Il perfido re
Erano passate due settimane da quando Rifel'a aveva svelato i portsid e Owen aveva giurato d'impegnarsi sempre di più nel suo lavoro.
Eppure un giorno, recatosi in laboratorio per aiutarlo, Yan lo trovò addormentato, con la testa tra le provette, troppo stanco a causa del mancato riposo.
Non avendo stavolta cuore di svegliarlo, gli spostò la testa affinché non rimanesse sommerso nell'opprimente alone delle medicine. Owen non grugnì né sbatté le palpebre come faceva di solito prima di ricadere a dormire: era profondamente avvolto nel sonno.
Fu così che Yan ebbe un lampo di genio.
Con estrema delicatezza, lo raccolse mettendogli un braccio sotto le ascelle e uno sotto le ginocchia, poi lo portò fuori dal laboratorio.
Alle facce preoccupate degli altri, lui rispose con un occhiolino e bisbigliò: «Oggi il guaritore si prende una giornata di riposo».
Dunque Xerxes si occupò di appendere una pergamena fuori dalla porta affinché i pazienti sapessero che l'Umhïrtröfa non era disponibile e, quando gli altri ebbero recuperato mantella e stivali, scortarono Owen fuori, fino al burrone.
Lui non si svegliò neanche nell'aria gelida, né quando venne adagiato nel mezzo della prateria innevata.
Loro gli sedettero intorno e attesero che si svegliasse.
Finalmente il ragazzino iniziò a sbuffare e a mugolare. Non appena spalancò gli occhi, si alzò di scatto a sedere e si guardò intorno stralunato, probabilmente ancora sotto l'effetto di qualche allucinazione. «Che diavolo ci faccio qui fuori?»
«Ti sei addormentato, così ti abbiamo portato qui!» cantilenò Yan. «Pronto per una giornata all'insegna del divertimento?»
«Che cosa? Oh no!» Owen portò le mani alla fronte. «Dovevate svegliarmi! Io dovevo svegliarmi! Mi sveglio sempre quando mi addormento in laboratorio, perché il mio cervello sa che devo lavorare!»
«Si vede che il tuo cervello è troppo stanco» obbiettò Nathan. «Suvvia, Owie, una giornata fuori casa potrà farti soltanto bene, te la meriti! Nelle ultime settimane al villaggio sono guarite un sacco di persone, tutto grazie a te!»
«L'inverno sta finendo, quindi posso resistere per...»
«Per un altro mese?» lo interruppe Xerxes, in tono saccente. «Ne dubito fortemente. Nessuno può sostenere tanto stress, neanche una roccia come te.»
Owen provò a protestare un'altra volta, ma James lo prese letteralmente sotto braccio e lo sollevò come un tappeto arrotolato. «Forza, è l'ora di una bella scivolata sulla neve!»
«Perché dovete essere così insistenti?!»
Skye gli arruffò i capelli, prima di tirargli le orecchie a sventola. «Stiamo solo svolgendo il ruolo degli amici migliori che tu possa avere!»
Quando James lo lasciò cadere con la faccia nella neve, Owen si limitò a tacere, pulendosi il viso.
Nel momento di raddrizzarsi invece tirò di sorpresa una palla di neve su Yan, prima di scappare. Gli altri non ebbero tempo di rendersene conto, che Owen aveva già sferrato un secondo attacco, stavolta contro Nathan. Questi tentò di ribattere, ma Skye lo colpì da dietro e investì anche Xerxes, così dettero il via a una battaglia tre contro tre.
Yan corse a nascondersi tra gli alberi insieme a Xerxes e Nathan.
«Dividiamoci» consigliò quest'ultimo. «Xerxes, arrampicati sugli alberi per gli attacchi a sorpresa. Yan, allontanati verso la parete di roccia. Io faccio da esca, così posso condurli da voi.»
Intanto che Xerxes sceglieva un albero su cui nascondersi, Yan si allontanò, pronto a ricevere gli avversari.
Mentre camminava, sentì qualcuno pispigliare dalle foglie.
Riconobbe Rifel'a, nascosto tra i cespugli.
Yan si spostò da quella parte, sorpreso di vedere l'amico elfo spintosi sino al loro territorio. Owen gli aveva dato il permesso di entrare, così come poteva Vow'a, ma fino ad allora Rifel'a non si era mai avvicinato tanto.
Probabilmente Vyra, la dragonessa Guardiana del monte, non sapeva niente a riguardo, il giovane elfo doveva aver usufruito proprio dei portsid per non allertare le magie ai confini tra i territori.
«Ehilà, Rif! Da dove spunti fuori?» lo salutò Yan. «Che cosa ci fai quaggiù?»
«Yan, devi venire nella mia tenda, è urgente!»
Yan perse il sorriso, percependo la tensione accapponargli la pelle. «Che cosa succede?»
«Si tratta del tuo regno. Presto!»
Il ragazzo lanciò un'occhiata alle spalle. Degli altri non v'era traccia...
Scattò a corsa per inerpicarsi sul sentiero in salita e raggiunse Rifel'a il più in fretta possibile, scoccando continui sguardi dabbasso per accertarsi che gli amici non potessero vederlo.
Non aveva tradito la loro fiducia quando Rifel'a gli aveva consegnato i portsid.
Anzi, proprio perché Yan non si era fidato di se stesso aveva deciso, con grande rammarico e difficoltà, di restituirli al legittimo proprietario.
L'elfo era sembrato deluso che il suo regalo venisse rifiutato, ma Yan aveva tentato in tutti i modi di giustificarsi: non aveva potuto mandare all'aria la vita che lui e i suoi amici erano riusciti a costruire.
Sua madre stava male, ma Owen probabilmente non poteva nulla...
Una volta Yan aveva ottenuto il permesso di portare lo specchio magico al Rifugio, per chiedere all'amico di dare un'occhiata alle condizioni della donna.
Il giovane guaritore era rimasto a lungo a osservarla, ma non era riuscito a strutturare una diagnosi.
Yan si era poi pentito di avergli chiesto il favore, perché per il resto della serata Owen era rimasto immerso nelle preoccupazioni, più tetro che mai.
Seguì l'elfo presso l'albero rosa, vicino a cui questi usò proprio i portsid per apparire più avanti avvolto in scintille azzurra. Da lì passarono insieme nella galleria e corsero poi attraverso l'accampamento della tribù, sino alla tenda della sua famiglia.
«Vuoi dirmi cosa sta succedendo?» lo incalzò il ragazzo, in preda al fiatone.
Rifel'a afferrò lo specchio e lo pose sul sacco a pelo. «Mio padre mi ha avvisato di cosa è successo nel tuo regno. Non era sicuro di volertelo rivelare, per non farti impensierire. Ma io credo che sia giusto che tu sappia la verità. Perché non hai chiamato i tuoi amici?»
Yan distolse lo sguardo. «N-non c'era tempo...»
Né ebbe modo di chiedersi se gli altri si fossero accorti della sua assenza, perché Rifel'a si rivolse allo specchio: «Mostrami la città di Murcuw».
La superficie tremolò, finché non vi si formarono le familiari immagini di edifici che una volta erano stati ben tenuti... ma che adesso erano a pezzi...
Yan si fece avanti per afferrare lo specchio e osservò la città in cui era nato vista dall'alto. Murcuw era completamente devastata: le pietre che una volta avevano formato le case erano spezzate lungo le strade, alcune travi di legno erano andate bruciate; in certe zone divampavano ancora le fiamme, le finestre dei negozi erano state spaccate, i prodotti – cibo, vestiti, materiali di tutti i tipi – schiacciati e irrecuperabili...
«No...»
Murcuw era stata distrutta, le stesse mura erano crollate in alcuni punti.
E il villaggio di Murc, al di fuori, era in condizioni ben peggiori della città.
Soltanto il palazzo del duca sembrava essere stato risparmiato.
«No...»
Rifel'a posò la mano sulla sua spalla. «Mio padre mi ha raccontato che l'esercito del re è stato avvistato in tempo dalle sentinelle, perciò gli abitanti sono riusciti a fuggire prima di venire travolti. Sono purtroppo poi stati trovati e costretti a seguire i suoi ordini.»
Yan trattenne il fiato mentre fissava gli occhi sull'elfo. «Mia madre?»
«Lei e tuo pa... Voglio dire, lei e suo marito si trovano in una grande foresta più a sud, con il resto degli abitanti e dei cavalieri di Murcuw.»
«A sud... D-dunque nella Foresta di Hanover. Che cosa ci fanno lì?»
«I cavalieri del re hanno costretto quelli di Murcuw a seguirli nella battaglia contro il baronato di Tirsh. Adesso sono tutti accampati in quella foresta.»
«Ma certo, il territorio di Tirsh comincia a sud della Foresta di Hanover, con la città di Newmist. Perciò... è stato l'esercito del re a sopraffare Murcuw...»
I soldati reali erano marciati nel ducato di Bellspring, e così sulla città di Murcuw, per poter raggiungere il baronato in guerra contro Sua Maestà.
Ciò che Yan aveva temuto di più si era avverato: quella che era stata la sua casa era rimasta vittima della guerra tra quei due territori entro cui si era trovata intrappolata, senza via di scampo.
"Perché? Perché il re ha fatto distruggere la mia città?" Yan strizzò gli occhi per il dolore e la rabbia. "Era per incutere terrore nel nemico? Per mostrargli di cosa è capace? Lo ha fatto con tutte le città di Bellspring che si trovavano sul cammino? E il duca cosa pensa di tutto questo? Robert Bellspring è sempre stato un uomo intelligente... ma come può muovere guerra contro il suo re? Potrebbe unirsi alla baronessa Tirsh, ma senza i cavalieri di Murcuw? Rischierebbe la condanna a morte dei suoi sottoposti e di tanti altri innocenti..." Provò a deglutire il nodo la gola. «Dunque mia madre è accampata nella Foresta di Hanover con l'esercito del re?»
«Stanno sostando a nord della Foresta. Mio padre ipotizza che stiano mettendo su una strategia per attaccare. La baronessa Tirsh ha esposto i suoi soldati al centro della Foresta, in difesa dei propri territori. Probabilmente nei prossimi giorni si svolgeranno numerose trattative tra le due fazioni rivali.»
«Come può la baronessa insistere nella lotta contro un esercito talmente rimpinguato?»
«Sono rammaricato, amico mio...»
«G-grazie per avermi avvisato... Qual è il motivo che ha scatenato tale guerra?»
«Mio padre non è ancora riuscito a capirlo.»
Yan strinse così tanto la cornice dello specchio da farsi male alle dita. «Devo analizzare meglio il disastro a Murcuw, e nei dintorni...»
*
Rifel'a accompagnò Yan sino all'albero rosa, da cui il ragazzo proseguì fino all'insieme di fusti dove si era svolta senza di lui la battaglia a palle di neve.
Incrociò Nathan, che si guardava intorno. Quando sentì l'amico, si girò e strabuzzò gli occhi. «Dove diamine eri finito? Sei sparito nel nulla! Sei andato a nasconderti, vigliacco?» Accorgendosi del suo sguardo abbacchiato, però, Nathan si fece serio. «Ehi, che cosa succede?»
Non voleva distruggere la giornata di gioco...
Per una volta che Owen era finalmente fuori e poteva rilassarsi, Yan avrebbe dovuto rovinare tutto...
Eppure non era colpa sua. La colpa era di re Kayne, di quell'orripilante uomo che continuava a tartassare le loro vite anche da così grande distanza.
Portò le mani al viso, cercando la forza per parlare: «Murcuw è caduta...»
Nathan non rispose subito. Fu solo quando Yan lo sbirciò tra le dita, che sussurrò sconvolto: «Che cosa?»
«Murcuw... la nostra città è caduta... L'esercito del re ci ha marciato sopra, costringendo gli abitanti a sostenerlo. Adesso bivaccano nella Foresta di Hanover, i cavalieri si stanno preparando ad assaltare il baronato...»
«Quindi...» Nathan aveva gli occhi vitrei, parlava quasi senza rendersene conto, «i tuoi... tua madre sta bene?»
«Sì. Ho visto anche Shirley, con Cassius.»
«E casa mia?»
Yan strizzò le palpebre a ripensare a quanto visto. Era ciò che si era preparato a rivelare durante tutto il tragitto dal villaggio elfico fino a lì, ma continuava a essere tanto difficile. Il cuore gli faceva malissimo, quasi fosse stato squarciato...
«Mi dispiace, Nathan, non è rimasto nulla... È del tutto distrutta...»
*
Yan tornò al villaggio elfico più volte alla settimana, per tenere sotto controllo la situazione instabile a Egaelith.
Nessuno degli amici tentò mai di dissuaderlo, neanche Xerxes, che sembrava essersi incupito proprio come lui e Nathan, quasi anche la sua casa fosse stata annientata.
«Si sente in colpa perché è stato suo padre ad abbattere Murcuw» disse Nathan una volta.
«Che colpa ha lui?» protestò Yan. «Xerxes non è Kayne, i delitti del re non sono anche i delitti dei suoi figli.»
«Hai ragione. Ma è comunque suo padre. Si sentirà sempre mortificato a causa sua... Ogni volta che gli parlo, sembra rinsanire. Poi però torna a rimuginarci.»
Yan avrebbe voluto parlare all'amico principe, rassicurarlo che né lui né Nathan lo biasimavano per i demeriti del padre.
Prima però che potessero riuscirci, James si sedette al fianco di Xerxes e gli cinse le spalle col braccio. «Lo sai, una volta mio padre sbagliò la taglia di un vestito. Un tizio alto quanto un cavallo gli aveva chiesto una tunica sfarzosa per il proprio matrimonio. In quel periodo mio padre era stanco e distratto a causa della cecità di mia sorella, e confuse le misure dello spilungone con quelle di un cliente alto quanto un panchetto. Fu un vero disastro!»
Xerxes lo fissò di traverso. «Stai avendo un attimo di nostalgia?»
«Quello che voglio dire è che mio padre sbagliò le taglie, ma io, suo figlio, non c'entravo niente.»
Il principe lo fissò ancora un po', finché le sue labbra non si allargarono in un sorriso. «Sicuro di non aver scambiato gli appunti delle misure?»
«Ah! Avrei fatto un grande colpo! Ma no, non c'entravo niente.»
«Sì, d'accordo.» Xerxes si rilassò. «Ho capito cosa vuoi dire. Mi serviva.»
«Certo! Pensare a un tizio alto e smilzo indossare una tunica matrimoniale che gli arriva alle cosce fa sganasciare!»
Xerxes scoppiò a ridere, così gli altri non ebbero bisogno di aggiungere altro.
Sotto sotto, Yan era grato che nessuno lo pungolasse a lasciar perdere le ispezioni allo specchio.
Doveva sapere. Doveva tenere d'occhio i movimenti bellici e controllare sua madre, che adesso dormiva in una scomoda tenda col marito.
I guaritori a disposizione dovevano tenere i componenti medici pronti per coloro che sarebbero rimasti feriti in una futura battaglia, perciò non sembravano prestare molto riguardo verso la povera donna malata...
Aveva soltanto una guaritrice che la seguiva ormai come se fosse la balia di un'anziana, con appresso Shirley Lucas come apprendista, a quanto pareva brava nelle magie curative.
Tyler Mowbray, invece, era impegnato tutto il giorno nelle ronde per la Foresta di Hanover.
Stava acquisendo numerose rughe. Se non avesse avuto un tono di voce squillante e la schiena dritta, si sarebbe potuto pensare che anche lui fosse malato: le occhiaie e la pelle degradata nell'opaco mettevano in risalto non solo la stanchezza, ma anche la preoccupazione per la moglie.
In un raro impeto di affetto e oramai di usuale confusione, Yan si ritrovò a pensare: "Papà, pensi di star facendo la cosa giusta? O vorresti unirti alla baronessa Tirsh?"
Forse nel baronato la mamma avrebbe ricevuto le cure adeguate.
Un cavaliere era tenuto a seguire gli ordini del proprio re, giusti o sbagliati che fossero... ma come potevano tutti quei soldati accettare quella situazione tanto disonorevole?
Come potevano abbandonare una donna malata?
Persino gli abitanti di Murcuw venivano ignorati, che fossero nobili, benestanti o umili. Vivevano tutti ammassati, costretti a procacciarsi il cibo poiché l'esercito non forniva loro alcun aiuto.
Erano rimasti solo tre guaritori, con Shirley come apprendista novella, per giunta ad affidamento di una donna in agonia. Tutti gli altri maghi abili nella cura erano stati costretti a stabilirsi nell'accampamento dell'esercito per servire i cavalieri.
Rimanere fermo a guardare era atroce. Yan avrebbe tanto desiderato intervenire, trasportarsi per portare sua madre con sé e farla visitare da Owen...
Poi, nei primi giorni dell'Aries, apparve proprio re Kayne, in sella al suo ippogrifo dalle piume dorate.
Con lui c'erano le guardie e un piccolo manipolo di soldati, tra cui anche i più giovani. Yan riconobbe Bianca, ma vide persino Elijah, tutt'altro che entusiasta di essere lì.
E non mancava neanche il giovane Byron.
Nonostante fosse soltanto un bambino molto spaventato, eccolo catapultato nel bel mezzo di quella situazione tesa e pericolosa.
Suo padre non aveva avuto pietà per la sua infanzia. In qualità di erede, doveva assistere ai movimenti battaglieri e politici così da imparare per il futuro.
Tuttavia Byron aveva soltanto dieci anni, cosa poteva mai comprendere?
Yan osservò re Kayne entrare nella sua tenda insieme al figlio e al nipote, spogliarsi dalle vesti da viaggio e adagiarsi leggiadramente sul letto. «Caro Byron, concediti un po' di riposo adesso che siamo arrivati, perché non ne avremo per molto tempo.»
Insicuro su come comportarsi, il bambino passò una mano tra i capelli castani e lanciò un'occhiata a Elijah, il quale si girò in contemporanea come se si fossero letti nel pensiero. «Posso dunque sdraiarmi, padre?» mormorò il piccolo principe.
«Oh, sì. Ma prima ho bisogno di chiederti un favore, figlio mio adorato.» Il re gli fece cenno di avvicinarsi e gli strinse molto delicatamente la mano, sorridendogli con affetto. «Byron, te ne prego, esci a recuperare un po' d'acqua per tuo padre. Quegli incompetenti dei miei sottoposti devono essersene dimenticati.»
«Oh, certo, padre, vado subito.»
«E ricordati di sgridarli, figliolo» lo richiamò Kayne. «Non meritano alcuna pietà per questo errore. Devi umiliarli a suon di rimproveri. Sii però cauto: alza la voce senza esagerare, mantieni un piccolo sorriso come se in realtà stessi scherzando e...»
«Ma, padre, così non mi prenderanno sul serio.»
Il re ebbe uno spasmo alle labbra. Non apprezzava venire interrotto.
Ciononostante mantenne il suo piccolo sorriso e rispose con pacatezza: «Se non mi lasci parlare, non imparerai mai. Sei d'accordo, figlio caro?»
Byron si azzittì, arrossendo profondamente.
«Adesso hai compreso?»
«S-sì, padre. Vado subito.» Il bambino sgusciò fuori dalla tenda inciampando sui propri tacchetti, nervoso.
Elijah lo guardò andarsene, prima di spostare lo sguardo sullo zio, tornatosene in panciolle. «I soldati hanno molto di cui occuparsi» disse il ragazzo. «È comprensibile che si siano dimenticati di procurarci dell'acqua.»
Kayne non lo guardò. Mantenne gli occhi chiusi nel riposo, ma rispose con un accenno di severità: «Non fare il musone, nipote caro. Questa esperienza servirà a entrambi per maturare: Byron deve divenire più scaltro e responsabile, tu invece devi diventare forte, non puoi fargli da bambinaia per sempre. Lui un giorno sarà re e tu non gli servirai, deve imparare a cavarsela da solo».
Senza che il sovrano se ne accorgesse, Elijah gli scoccò l'occhiata più incandescente che Yan avesse mai visto in un essere umano. Tuttavia mise le mani dietro alla schiena e rispose con educazione: «A dire il vero, zio, ho pensato molto riguardo alla carriera verso cui potermi indirizzare».
Il labbro di Kayne tremolò in un secondo spasmo che non fu capace di nascondere. Senza volgere lo sguardo sul ragazzo, ridacchiò come un folletto. «Cosa mai è balzato alla tua giovane mente?»
Gli occhi viola di Elijah si strinsero nel disprezzo, prima di aprirsi di nuovo mentre dichiarava: «Desidero divenire il consigliere di Byron, zio».
Kayne non si scompose. Con ancora il suo sorrisetto affascinante impresso sul volto, rispose pacato: «Mio carissimo nipote, ritieni saggio che il mio erede riceva consigli da un parente che potrebbe riservargli...» ci pensò su un istante, «come dire... un trattamento di favore?»
Elijah fece un cenno di rispetto che celò l'espressione. «Non riserverò alcun trattamento che non sia onesto e, laddove necessario, severo. È vero, Byron è mio cugino, ma ritengo che avrà bisogno dei consigli da parte di una figura familiare, in modo tale che lui stesso potrà sentirsi più a suo agio e non dovrà dubitare minimamente di colui che gli sarà più vicino.»
Kayne si tirò su senza preavviso. Si levò molto lentamente e avanzò col mento sollevato verso suo nipote. Non chinò il capo per guardarlo, abbassò soltanto gli occhi. Il suo tono di voce si fece d'improvviso mellifuo e spietato: «Hai sognato troppo a lungo, Elijah. Ma Xerxes non c'è più, e Byron non è lui, per quanto tu ti sforzi di trasformarlo. Beh, ti dico una cosa, nipote:» sibilò quella parola come un serpente, «ringrazia che io voglia farti diventare cavaliere, anziché portarti un destino persino peggiore di quello che ho procurato a Xerxes. Accontentati di tenere in mano una spada, non puntare a una metà dello scettro. È stata la tua famiglia a sporcare le vene del mio primogenito, tu non meriti di salire al comando. Sono stato chiaro?»
Elijah aveva perso il tono altezzoso ed era indietreggiato, spaventato.
Re Kayne sogghignò, prima di dargli le spalle e tornare sdraiato.
*
Uff, la situazione comincia a scaldarsi... e chissà la prossima volta!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto😊
Cosa pensate di questa guerra intestina nel regno di Egaelith?
Come pensate che agirà Yan?
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