Fuoco
Fu come se per pochissime frazioni di secondo il suo corpo non esistesse più, come se fosse divenuto uno spettro vagante...
Poi Yan avvertì nuovamente la presenza delle braccia, delle gambe, della testa e di tutto il resto.
Strizzò gli occhi a causa del lampo color ghiaccio che lo avvolse, e quando li riaprì, dovette sbattere le palpebre diverse volte per scacciare le lucine che gli danzavano dinnanzi.
Era apparso in una foresta di alberi scuri, i cui tronchi, così come i cespugli e i fili d'erba, trasudavano magia.
Yan la percepì tutto attorno, arrampicarglisi addosso dalle punte dei piedi fino ai capelli, provocandogli un piacevole formicolio che, nonostante l'ansia, lo portò a sorridere per il solletico.
Si riscosse per riprendersi.
Doveva abituarsi.
Era già stato in quella Foresta all'incirca tre anni prima, agli inizi del suo apprendistato.
Ricordò nostalgicamente come si fosse gettato a terra per le risate non appena vi aveva messo piede.
Era stato l'unico ad avere quella reazione, gli era occorso un po' prima che la ridarella passasse, sotto gli sguardi severi e infastiditi del mentore e dei compagni.
Avevano visitato la Foresta per un'intera settimana, ma non si erano mai spinti ove si nascondeva la maggior parte delle creature magiche, in una zona in cui all'essere umano non era consentito entrare.
Gli abitanti del posto si erano riuniti altrove, per evitare i visitatori e le loro tracce d'inquinamento.
Yan trasse un respiro profondo.
Non aveva nessuna arma con sé, il pugnale e la lancia che si era creato erano rimasti al Rifugio, così come l'arco e la fionda.
"Che stupido! Avrei dovuto portare qualcosa..."
Però oramai era lì, non poteva tirarsi indietro.
La vita di suo padre dipendeva da lui, così come quella di altri nove cavalieri innocenti.
Non era sicuro di poter incendiare l'intera diga, anche perché, facendosi più vicino, si rese conto di quanto fosse alta, molto più di quanto avesse immaginato. Un drago adulto non sarebbe stato capace di vedervi oltre neanche sollevandosi sulle zampe posteriori.
"Ma certo, il fiume Shaks è il secondo più profondo di tutta Pure." Nel ricordare, Yan si batté la fronte. "E Kayne vorrebbe che i cavalieri scendessero lungo quella parete di terra e risalissero fino a questa riva... Beh, mio padre e gli altri nove sacrifici ci resteranno secchi di sicuro, non avranno via di fuga! Quegli stupidi metver sono addirittura veloci! Se solo potessi evocare una fiamma..." Imprecò tra sé e sé. "Forse dovrei tornare indietro per raccogliere delle firethorn. Ma basteranno? Sono spine piccolissime, non so quanto tempo impiegheranno per incendiare una diga grossa come questa. Dovrei passare minuti e minuti per incastrarle nei giusti nodi del legno, e ciò implicherebbe che io mi arrampichi là sopra. Allora i metver mi attaccheranno... Merda! Cosa posso fare?"
Mentre era lì che borbottava parole incerte e si guardava intorno, gli occhi si fermarono sui cespugli luminescenti delle shixleaves.
Si avvicinò e, cauto, allungò una mano su quelle piccole foglie apparentemente innocue.
Nelle notti che aveva trascorso con i compagni e il maestro, gli altri bambini avevano detto di reputare quelle luci alquanto piacevoli.
Al contrario Yan le aveva trovate fastidiose, e la sua idea non era cambiata.
Alzò gli occhi nel tentativo di controllare la luna, ma non riusciva a vederla tra le fitte chiome degli alberi.
Aveva cominciato la sua discesa?
Quanto tempo rimaneva prima che i cavalieri del re arrivassero?
Doveva farlo...
Era una cosa stupidissima, ma doveva procedere in quel modo, non aveva alternative...
Doveva farlo, per l'uomo che gli aveva dato la vita... lo stesso uomo che non aveva lottato per proteggerlo...
Yan inveì contro se stesso.
Era suo padre, e lui poteva essere migliore.
Lo avrebbe protetto a qualsiasi costo, si sarebbe sacrificato per salvarlo...
Non aveva rimpianti.
Era suo padre, lo faceva per lui... per lui, e per altre nove persone che non meritavano una morte tanto atroce...
Così allungò la mano sinistra e la ficcò in mezzo alle shixleaves.
Il dolore bruciante che gli avvolse le dita fu indescrivibile, non aveva mai provato nulla di simile, neanche quando i cavalieri avevano scoperto che lui era un "bestia" e lo avevano circondato per bastonarlo.
Rilasciò un urlo d'angoscia e si ritrasse con la mano avvolta dalle fiamme.
Le gambe cedettero non appena il dolore le raggiunse.
Appiccò così fuoco all'erba, da cui le lingue ardenti si adagiarono ad avvolgergli i pantaloni.
Yan si affrettò a rialzarsi continuando a urlare.
Mentre le fiamme risalivano lungo il suo mantello, si lanciò in una corsa tra piedi e ginocchia fino alla diga, contro cui impattò per aggrapparsi con la mano buona e posarvi quella in fiamme.
Non riusciva a pensare a niente se non a continuare a rimanere appeso. Non era capace di ragionare su come posizionare la mano affinché il legno prendesse fuoco.
Le fiamme premevano lungo le gambe, su per il polpaccio fino alle cosce, e poi alla vita, mentre quelle sul mantello si tendevano a pungergli collo e testa come se le loro estremità fossero fatte di metallo.
Incapace di sopportare quell'inferno, Yan si rotolò fino a cadere in acqua.
Il sollievo alle parti bruciate non fu potente quanto si era aspettato, e lottare contro il dolore per muoversi e tornare in superficie si rivelò più arduo di quanto pensasse.
Mise la testa fuori e nuotò fino a riva, ricoperta tuttavia dalle fiamme che lui stesso aveva liberato.
"Dall'altra parte! Dall'altra parte!"
Costretto ad affidarsi a un solo braccio poiché aveva l'altra mano morsa dalla pena, si dibatté per guadagnare la riva opposta, al momento salva dal fuoco.
Almeno non c'era la corrente a sballottarlo.
Le gambe dolevano, il fuoco aveva superato il tessuto dei pantaloni e agitarle era atroce...
Quando fu quasi arrivato, scorse un movimento presso la diga. Girò appena la testa e vide una creatura grossa quanto un sorcio, ma col manto che rifletteva le fiamme che aggredivano i tronchi.
Ben presto sgusciarono fuori altri di quegli animali, tutti urlanti per lo sgomento di vedere la propria casa incendiata.
Yan non aveva paura di loro: non potevano pensare ad attaccarlo, avrebbero dato la priorità a salvare la diga, o almeno la colonia.
Non sapeva quanti ne sarebbero sopravvissuti, ma era certo che la loro casa sarebbe andata distrutta. Sarebbe occorso un po' perché il fuoco consumasse l'intera diga, ma i metver non sarebbero arrivati a comprendere come domarlo.
Riuscì a trascinarsi fuori e si allontanò traballante tra gli alberi per rimanere a guardare, con la mano bruciata premuta contro la pancia e lamenti angoscianti che gli scappavano dalla gola.
Si lasciò ricadere sull'erba e stese le gambe, osservando i punti in cui la stoffa si era rovinata. L'aria era un sollievo per la pelle abbrustolita messa in mostra dai buchi nei pantaloni...
Liberò le lacrime per il dolore e poggiò la testa al tronco, mentre singhiozzava e osservava la colonia di metver zampettare sulla sua stessa riva: si trattava di esemplari più piccoli, probabilmente le femmine con i cuccioli, mentre i maschi dovevano essere rimasti all'interno per aiutare i più deboli.
Che lavoro di squadra, nonostante fossero solo degli animali!
Nessuno veniva lasciato indietro, nessuno veniva sacrificato.
"Ce l'ho fatta..." si rese conto.
Era riuscito a dar fuoco alla diga, forse più grazie all'erba vittima del suo passaggio.
"È ora di tornare a casa..." si disse infine, percependo una profonda fitta di mancanza nel non avere gli amici accanto.
Dunque, sempre sibilando e piangendo, contorse la mano sana verso la tasca per poter prendere il sacchetto di portsid.
Fu allora però che udì un rumore anomalo sotto allo scoppiettio delle fiamme: riconobbe urla umane, esclamazioni di sorpresa e imprecazioni lanciate al vento.
Dovette mordersi forte la lingua per impedirsi di urlare mentre si alzava più in fretta che poteva, ma non riuscì a ricacciare un fischio quando la sensazione di puntura si accentuò alle gambe, per non parlare dell'aggiuntivo dolore in bocca.
Aveva la testa in subbuglio, vedeva a malapena a causa delle lacrime e del fumo, ma riusciva a ricordare quanto fosse importante rimanere nascosto.
Si accorse con orrore che un gruppo di metver stava correndo verso di lui mettendo in mostra le zanne aguzze.
Yan strusciò i piedi altrove appena in tempo, anche se là, presso l'incendio, scorse delle figure indistinte che stavano forse indicando in sua direzione.
Il dolore alle gambe sembrò quasi sparire non appena si rese conto di quanto fosse necessario correre.
Non sarebbe riuscito ad afferrare in tempo il sacchetto di semi, non sarebbe riuscito a prenderne uno con una mano fuori uso.
Scattò zoppicante e piangente lungo la sponda del fiume, il più veloce possibile per lui, pur inciampando e barcollando in continuazione per le fitte alla carne.
Nel girarsi, vide i suoi inseguitori momentaneamente rallentati dai metver, che si erano rivoltati e li stavano attaccando.
Yan ringraziò tra sé quelle creature fastidiose e continuò a correre.
Impiegò davvero poco per uscire dalla Foresta.
Allora si ritrovò in aperta prateria, nel bel mezzo del nulla, dove non v'erano alberi o cespugli da sostegno...
Pensò di tornare indietro per cercare un posto dove accucciarsi, invece si accorse che poco più avanti, appena mimetizzati nel buio lungo il fiume Shaks, si ergevano degli edifici. L'insieme ricordava molto una fattoria.
Yan non rifletté un istante di più e barcollò da quella parte.
Se i proprietari erano addormentati, non si sarebbero mai accorti di lui, bastava che s'infiltrasse nel fienile per nascondersi il tempo necessario a mangiare un portsid e tornare a casa. Anche se ci fossero stati incantesimi protettivi attorno alla fattoria, su di lui non avrebbero funzionato.
Le gambe che ancora imploravano pietà, raggiunse la recinzione e la scavalcò goffamente, sempre tenendo la lingua stretta tra i denti.
Poi corse a perdifiato fino alla stalla. Si arrampicò su di un gruppo di covoni lasciati contro la parete, fino a una finestra aperta oltre cui si lasciò ricadere, ignaro di cosa lo avrebbe accolto.
Con suo enorme sollievo percepì la paglia attutire la caduta, sebbene il dolore che esplose agli arti inferiori fu indescrivibile.
Per evitare di urlare, morse tanto forte la mano sana da incidervi i segni dei denti e farla sanguinare.
Pianse ancora, soffocando i singhiozzi nella propria carne...
Non poteva permettersi altre perdite di tempo.
Ripresosi quanto bastava, non si fermò ad ascoltare se i soldati fossero vicini, ma armeggiò svelto per tirar fuori il sacchetto di portsid dalla tasca.
E invece si accese una luce non molto distante da lui.
Yan si girò di scatto.
*
Ok, ve l'avevo detto che la situazione si sarebbe riscaldata.
Eheh... eh... scusate, mi faccio pena da sola...
Al di là del mio pessimo umorismo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia lasciati tipo così 0o0
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