Dekig
Era il giorno precedente al Solstizio d'Estate quando Yan apparve all'interno dell'area appartenente al Dekig.
La fata Tife lo accolse svolazzandogli intorno e lo indicò a bocca spalancata. «Sei tu, White Ghost! Sei diverso!»
Lui sorrise divertito. «Questo è il mio colore di pelle naturale.»
«Uuh, sembri molto meno magico!»
«Eppure nessun mago ha un cuore grande quanto il suo!» sentirono dire da una voce simulante un tono zuccheroso. Elijah si avvicinò sbattendo le ciglia come una ragazzina innamorata. «È questo che ti rende una persona FAVOLOSA!»
Yan lo spostò ridendo. «Scemo! Cos'è questo soprannome? White Ghost? C'è il tuo zampino, vero?»
Elijah s'indicò con esagerato fare innocente. «Io? Certo che no! Soltanto una persona con un enorme senso dell'umorismo avrebbe potuto affibbiarti un soprannome del genere! Se potessi, gli stringerei la mano!» e di fatto intrecciò le proprie mani in una stretta fiera.
Yan continuò a ridere. «Come vanno le cose?»
«Benissimo! Qui è una vera pacchia! Gli gnomi sono uno spasso! Beh, a eccezione di Kokro, lui è un po' un musone. Ma gli altri mi fanno sganasciare dalle risate, alcuni sembrano dei giullari di corte! E ci sono unicorni e pegasi! C'è persino un drago!»
«Un drago?!»
«Sì, però... ehm, non aspettarti chissà cosa. Ecco, guarda...» Elijah girò la testa per cercarsi la schiena e lanciò un soffio. «Svegliati, voglio presentarti il mio amico!»
Inizialmente non accadde nulla, ma poi apparve, da dietro la spalla del principe, una testolina squamosa, con tanto di enormi occhi viola opaco, lo stesso colore della sua livrea. Il draghetto si sporse sempre più per annusare la mano di Yan, dipoi però snudò i dentini per provare ad azzannargli le dita.
Fortunatamente Elijah lo spostò in tempo. «No, Vrute! Cattivo drago!»
Yan tenne il braccio premuto contro il ventre, per paura che il piccolo drago si facesse avanti di nuovo. «Forse deve solo imparare le buone maniere...»
«Ehi, non dargli del cucciolo! Questa stupida bestiola ha ben dieci anni! È un drago adulto fatto e finito! È un dragonette, mi sembra si chiami. Una razza nana. Mi si è accollato alla schiena, sono giorni che non riesco più a togliermelo di dosso! Dormire è una tortura!»
Yan scoppiò di nuovo a ridere, soprattutto quando Elijah cominciò a snocciolare il nome di ogni singola fata carina del posto, non mancando di sottolineare come tutte gli facessero la corte.
Mentre l'amico lo conduceva attraverso gli alberi, Yan vide tutto attorno spuntare molte più creature di quante ne avesse viste la prima volta: presso un ampio lago incontrarono due spiritelli acquatici, i cui ciuffi di giunchi stavano subendo la lavorazione da parte di uno sciame di ondine. I lunghissimi becchi di due thifcraw spuntavano dai rami di un albero di frutti bianchi, mentre i due ragazzi passavano presso un cespuglio colmo di alti fiori scintillanti dagli occhioni in movimento. Tre piccoli pegasi galopparono loro dinnanzi quando attraversarono una radura, tenuti sotto osservanza dai rispettivi genitori intenti a brucare.
«Sono stati i thifcraw a rubare ai soldati di Kayne, sai?» lo mise al corrente Elijah, indicando i grossi uccelli spennati che li spiavano avidi dagli alberi.
«Ah sì? Beh, amano i tesori.»
«Sì, ma questi qui si preoccupano anche della salvezza della Foresta.»
«Dove sono gli unicorni?»
«Tutti a fare la ronda. Credevo che fossero i destrieri degli gnomi, invece agiscono di propria volontà. I puledri vengono tenuti al sicuro e allevati a fare la guardia appena compiono un anno.»
«Seguono la propria natura: proteggere la Foresta in cui abitano e tenere a bada le creature magiche, in particolare i draghi. Dovresti chiedere a uno di loro di liberarti di Vrute.»
Elijah scoccò un'occhiata infastidita al dragonette. «Sicuramente lo farò.»
Camminarono sotto a un albero di fintblood, frutta a forma di qualsiasi tipo di dito che, se morsa, rilasciava una sostanza densa e rossastra che ricordava molto il sangue.
Le bacche stavano venendo divorate da piccoli insetti rotondi e colorati, grossi quanto l'unghia di un uomo.
Sebbene la visione fu a primo impatto raccapricciante, Yan riuscì a guardare oltre l'apparenza e il corposo succo cremisi. «I laury!» esclamò, avvicinandosi a osservare meglio.
Dopotutto, quei minuscoli esserini erano carinissimi.
Un laury verde erba si volse per sbattere gli occhietti su di lui, prima di tornare a rosicare il frutto, sporcandosi tutte e venti le zampette.
Vrute si sporse dalla schiena di Elijah per tentare di divorare qualche insetto, ma il principe lo allontanò con una botta al naso.
Proseguendo, Yan iniziò a sentirsi formicolare dalla testa ai piedi, la stessa sensazione che lo accompagnava ogni qualvolta entrava nella Foresta di Hanover. Oramai si era quasi abituato, non vi faceva più caso.
Col sorriso sempre più ampio e la testa che roteava in diverse direzioni, si soffermò stavolta con un piede a mezz'aria non appena individuò una creatura ancor più bizzarra saltellare poco lontano da loro.
Era simile a uno gnomo, dalla pelle verde muschio e le orecchie a punta che strabordavano ai lati di un cappello di foglie, con una pigna sulla cima che ciondolava da una parte. A petto nudo, le intimità erano invece coperte da una grezza gonna di ramoscelli, mentre ai piedi calzava scarpette di foglie lunghe e attorcigliate. Somigliava molto a un giullare nano.
Yan rabbrividì incespicando all'indietro, nonostante il piccolo giullare saltellante non desse l'impressione di averli ancora avvistati. «El, m-ma quello è un credin?»
Come ne pronunciò il nome, il credin si volse di scatto puntando i rossi occhietti a spillo su di lui.
Appena lo vide lanciarsi a corsa, Yan si affrettò ad afferrare la fionda.
Elijah gli fece però cenno di rimanere calmo e aspettò che il credin si avvicinasse.
Era a pochi piedi dai ragazzi, quando l'ometto andò a sbattere il naso a patata contro una parete invisibile. Rimase spiaccicato sul vuoto a braccia e gambe spalancate, la lingua in fuori, finché non ricadde rigido all'indietro.
Ridacchiando sia per la scenetta che per il nervosismo, Yan tirò un sospiro di sollievo. «Beh, avete preso le misure adeguate.»
«Il Dekig non voleva abbandonarlo, ma allo stesso tempo non poteva permettere che facesse quel che gli pareva, perciò gli unicorni hanno creato questa zona tutta per lui, e che non può oltrepassare. È fuori di testa! Credevo che i credin più matti fossero quelli del Nord.»
«È così, in effetti: ti ficcano le dita nelle orecchie e ti rendono folle. L'unica maniera per uscirne è subire un trauma abbastanza scandaloso da riscuoterti. Invece i credin dell'Ovest, come questo qui, si limitano ad abbracciarti e a rimanerti aggrappati per tutta la vita.»
«Bella roba! Fosse una bella donna! È già un fastidio avere un coso squamoso sulle spalle! Figurarsi un ometto impazzito! Che si abbraccino tra loro! Avanti, vieni.»
Mentre si allontanavano, Yan si rese conto che la sensazione formicolante accresceva sempre più, quasi avesse un esercito di laury che gli marciava sulla pelle.
Elijah si fermò insieme a lui. «Io non riesco mai a proseguire oltre. La senti anche tu?»
«Sì.» Yan sbuffò una risata, le braccia attorno alla pancia. «La Foresta mi fa sempre quest'effetto.»
«Anche a me. Credevo di essere l'unico. In questa zona aumenta, non riesco a capire perché. Ho provato a proseguire, mi sono sforzato di sopportare, ma a un certo punto non c'è l'ho più fatta. Ha quasi cominciato a fare male.»
Yan tentò di darsi un tono e fissò là, oltre cui non sarebbero riusciti a incamminarsi: scorgeva una strana luce, completamente opposta alle numerose ombre che permeavano quella zona della Foresta. «Non hai idea di cosa ci sia lì?»
«Sembra che ci viva il Dekig, ma non so se ci sia una sorta di... palazzo, o che so io.»
Yan gli scoccò un'occhiata. Aveva lasciato Elijah tra le creature magiche da soli due giorni, eppure sembrava essersi già ripreso dal tentato omicidio da parte dello zio.
Certo un po' di tristezza era rimasta nei suoi occhi viola.
Quando Elijah si accorse di essere osservato e inclinò la testa, come a chiedere quale fosse il problema, Yan gli batté la mano sulla spalla. «So che ti manca casa...»
Il principe si strinse nelle spalle. «Mi manca mia zia. E Byron e Melissa. Non potrò mantenere la promessa fatta a Xerxes... Non gli hai parlato, vero?»
«No. Sei ancora intenzionato a rimanere qui? Posso raccontare agli altri cos'è successo e...»
«Non voglio che tu litighi con loro. Ti impedirebbero di vedere Dalila, e so che non lo sopporteresti. E poi, qui sto bene, dico sul serio. L'importante è che tutte queste fatine continuino a farmi dono della loro presenza!»
Yan sorrise. «Sei un buon amico, El.»
«Non mi ringraziare. Inoltre, anche nella natura si festeggia il Solstizio d'Estate, sai? Stasera si farà baldoria! E non sanno che sono troppo giovane per bere bevande alcoliche. Insomma, non credo conoscano la differenza, ma dicono che le loro bibite da festa annebbiano parecchio la mente. Non vedo l'ora! Oh, ti chiederei di fare gli auguri a Xerxes da parte mia, ma... limitati a trasmetterglielo con la forza del pensiero.»
Yan cominciò a massaggiarsi le tempie con gli indici. «Guarda che ogni giorno ci provo, davvero!»
«Pensa piuttosto a fare tutte le domande che vuoi al Dekig. Magari scoprirai perché questa Foresta fa il solletico.» Allo sguardo esasperato dell'amico, Elijah simulò un faccino innocente. «Ehi, Yan, io ho rischiato di finire ammazzato! Non mi andava di sottoporre uno Spirito Celestiale a un interrogatorio, avevo bisogno di riprendermi!»
«Scusa, El. Che insensibile che sono! Chissà come ci si sente a rischiare la vita e sentirsi braccati!»
Elijah scoppiò a ridere, appoggiato alla sua spalla. «Scuse accettate! Avanti, Il Lucertolone sarà disponibile a rispondere a qualsiasi domanda!»
Yan lo fissò adesso confuso. «Lucertolone?»
«Il Dekig, idiota!»
«Ma... cosa c'entrano le lucertole? È un'aquila...»
«Eh?» Elijah batté il pugno sulla sua testa. «Il Dekig somiglia a un cobra volante! Quale aquila?»
Yan non fece in tempo a controbattere, che si accorse che proprio il Dekig era apparso esattamente accanto a loro.
I due ragazzi sussultarono per la sorpresa e Yan arrossì, domandandosi quanto lo Spirito avesse udito della loro conversazione.
Con suo sollievo, il Dekig si chinò rispettoso. «Bentornato, Yan Mowbray. Siamo felici di riaverti qui. Passeggiamo.»
«Certo!» Yan accennò un saluto a Elijah, prima di accodarsi allo Spirito.
Lo aveva proprio accanto, e poteva confermare con certezza assoluta che Si trattasse di un rapace cornuto dal corpo ricoperto di corteccia!
Che prima Elijah lo avesse preso in giro?
«Desideri sottoporCi dei quesiti, Yan Mowbray?»
«Sì, per favore.»
«Comincia pure.»
«Ecco... Voi sapete che cosa sono io, giusto?»
«Certamente. Tu sei un essere umano.»
Yan arrossì per la seconda volta, chiedendosi se il Dekig stesse cercando di farlo sentire meglio o se semplicemente prendesse tutto alla lettera. «Io intendevo riguardo... riguardo alla mia malattia...»
«Malattia?»
«Sì, la malattia... del "bestia"...»
Il Dekig chinò il capo per guardarlo negli occhi. «"Bestia"... è così che venite definiti.»
«Esatto... Mi chiedevo come mai Voi non mi odiate.»
Lo Spirito sbatté gli occhi, come perplesso. «Hai forse compiuto atti di cui dovremmo essere adirati?»
«Io... io sono un "bestia"...»
Il Dekig continuò a guardarlo come senza capire.
Yan si schiarì la gola. «Sono un male del mondo.»
«Chi lo dice?»
«Beh, è risaputo.»
«Già, è risaputo...» Il Dekig sollevò il becco per osservare le foglie sulle loro teste, con aria assorta. «Forse è vero che voi porterete al cambiamento del mondo.»
«C-che cosa significa?» Yan Gli girò intorno per starGli dinnanzi. «N-no, i-io non voglio cambiare il mondo! I miei amici e io ci siamo nascosti appunto per non venire infastiditi e per non infastidire più nessuno...» Sentì come se avesse preso la scossa, tanto era ipocrita la sua frase. «E io invece sto continuando a frequentare Dalila...»
«La fanciulla della quale sei innamorato.»
Non si chiese come Il Dekig facesse a saperlo. A quanto pareva, sapeva certe cose e altre no, ma non doveva domandarsi il perché.
L'Aquila spiritica tornò a chinare il capo. «Non vuoi più reincontrarla?»
«Lo desidero con tutto il mio cuore!»
«Dunque qual è il problema?»
«Io sono un "bestia"...» ripeté Yan, adesso cominciando a spazientirsi. «Io le porterei solo danno. Non possiamo stare insieme. E se sapesse che cosa sono davvero, mi odierebbe...»
«Per quale ragione?»
«Chi potrebbe mai amare un "bestia"?»
Il Dekig strizzò le palpebre, raddrizzandosi. Tornò poi a sbattere le ali per proseguire la passeggiata, al che Yan Gli rimase appresso, a testa china.
«I miei compagni non sarebbero d'accordo su quanto sto facendo... Invece il mio amico elfo mi appoggia. Neanche gli elfi ci odiano, ma non capisco come mai...»
Lo Spirito aprì il becco per parlare: «Devi saper cogliere cosa è giusto e cosa sbagliato, e comprendere chi sia più saggio ascoltare e perché».
«C-cosa intendete dire?»
Il Dekig non rispose, anzi tornò a guardare avanti.
Yan sospirò piano.
Certo, le creature ancestrali non parlavano mai chiaro, soltanto per enigmi.
Che Il Dekig gli stesse consigliando di non dar ascolto agli amici?
Eppure loro erano la sua famiglia, le persone delle quali si fidava di più al mondo...
«Mi state dicendo che posso continuare a incontrare Dalila?»
«Devi fare quanto ritieni opportuno, giovanotto» insistette L'Aquila. «Sono decisioni che devi prendere per tuo conto. Se sbaglierai, lo capirai, l'importante è poi essere capaci di non commettere i medesimi errori una seconda volta.»
«Ma se quegli errori portano alla morte, non ci sarà una seconda possibilità...» Yan posò la mano sul petto. «È cominciato tutto perché desideravo proteggere mio padre e il mio popolo. E poi sono diventato egoista...»
«Il peccato è intrinseco degli esseri viventi, non solo degli umani. Tutti sbagliano, Yan Mowbray, persino i più puri come te. Tu desideri soltanto l'amore della ragazza che adori.» Il Dekig si piegò ancora per poterlo guardare dritto negli occhi. «Tu come Ci vedi, Yan Mowbray?»
«Come... un'aquila.»
«Un animale potente, vassallo della protezione e della giustizia.»
«Significa che ciascuna persona può vederVi in maniera differente? Perché sembra che Elijah Vi veda come un cobra.»
«Anch'esso potente, altrettanto regale, ma... più subdolo, letale... velenoso...»
«Quando siamo arrivati qui, i Vostri sudditi dicevano che Elijah porta un cattivo odore e non si fidavano di lui. Che cosa significa? Lui è buono, Dekig, io ne sono certo!»
«La fiducia nel tuo amico non è troppo vana. Ciò che lo affligge è complicato, la sua storia è molto più turbolenta di quanto tu possa immaginare.»
Yan rimase scioccato nel silenzio.
Cosa poteva tormentare Elijah di così tremendo – a parte ovviamente gli ultimi eventi con lo zio?
Sapeva che i suoi genitori erano stati uccisi da un vampiro, dovevano mancargli molto e non li aveva conosciuti troppo a lungo.
Ma cos'altro?
"Devo forse chiederglielo?"
«Sta a lui indagare sul proprio cuore» mormorò Il Dekig, e stavolta Yan non seppe come replicare.
Da lontano, vide Elijah afferrare Vrute e lasciarsi leccare sul viso, mentre i due piccoli pegasi si rotolavano accanto a loro.
"Come può il cuore del mio amico essere in pericolo?"
«Vorresti domandarCi qualcos'altro, Yan Mowbray?»
«Sì, riguardo una fiaba: Le sette Colombe e le sette Mele.»
«Le fiabe sono per i piccoli, per farli dormire serenamente. La realtà è ben differente.»
«Sì... va bene...» Yan preferì arrendersi subito su quell'argomento. «Allora un'ultima cosa, Dekig: Voi siete il Gioiello che i due eserciti cercano?»
Lo Spirito avvicinò nuovamente gli occhi verdi al suo viso. «Il Gioiello si trova a Egaelith, non è Egaelith.»
*
Una volta a casa, Yan si accoccolò in mutande sulle fresche lenzuola del proprio letto, intenzionato a riposare in preparazione della lunga serata che lo attendeva, e contemporaneamente fantasticava sul prossimo incontro con Dalila.
Si sarebbe arrabbiata se fosse arrivato molto più tardi del dovuto? Aveva organizzato qualcosa di speciale?
Avrebbe dovuto portarle un regalo?
"E cosa potrei regalarle? Forse dovevo raccogliere dei fiori!"
Passò la mano sul viso, riflettendo su quanto tempo rimanesse prima dell'inizio della festa.
Anche se fosse riuscito a raccogliere tanti fiori, però, come avrebbe risposto alle domande degli altri nel vederlo con un mazzo tra le mani?
Non poteva certo regalarlo a Xerxes!
Udì la porta di casa aprirsi e richiudersi. La voce di James, che stava facendo merenda in cucina, risuonò lungo le stanze: «Sei tu, Owen?»
«Sì...» il tono del giovane guaritore risuonò piuttosto greve.
Era sceso al villaggio, stavolta per controllare le condizioni della zia di Fema. Nonostante la donna non avesse ancora raggiunto il mese di gravidanza, per qualche motivo insisteva spesso affinché l'Umhïrtröfa scendesse, anziché salire lei stessa sino al Rifugio.
Ancora adagiato sul letto, con le braccia avvolte attorno al pupazzetto dell'aquila, Yan rimase ad ascoltare i due amici che parlavano.
«Gli altri?»
«Yan sta sonnecchiando in camera. Gli altri sono ancora fuori.»
«Yan sta dormendo?» mormorò Owen.
Yan fece per dire che era sveglissimo, ma qualcosa nel tono di voce dell'amico lo indusse a tacere, a fingersi addormentato, per continuare ad ascoltare.
Fortunatamente i due non chiusero la porta della camera, così poté ascoltare James che chiedeva: «C'è qualche problema?»
«Ecco, n-non voglio che gli altri lo sappiano, non oggi almeno...»
Yan si girò lentamente sul fianco per guardare, a occhi socchiusi, verso il salotto.
Osservò Owen che si sedeva rigido sul divano, la testa tra le mani. «James, è-è successa una cosa...»
«Ah, buffo che tu voglia il mio aiuto.»
Owen non rispose, la tensione che permeava tra loro.
Yan non riusciva a credere a quanto James fosse insensibile!
Sì, certe volte era un po' cinico, rinfacciava gli errori degli altri, ma non mancava mai di aiutarli quando stavano male.
E, in particolar modo, da quando si erano trasferiti al Rifugio aveva stretto una forte amicizia con Owen. Non era occorso troppo tempo prima che si ritrovassero in sintonia, arroganti e presuntuosi com'erano.
Fortunatamente, però, James gli si fece vicino. «Scusami» borbottò. «Dimmi cosa succede.»
«La... la zia di Fema non è riuscita a tenere il piccolo...»
«Cosa? Che intendi dire?»
«Ha abortito... Da quando la gravidanza era cominciata, aveva molti tipi di dolori, ma credevo fossero sintomi normali... Invece si trattava... Il suo ovulo non era abbastanza sano da poter portare avanti la crescita del piccolo...»
James schioccò la lingua mentre gli si sedeva accanto. «Non è potuto intervenire neanche un mago abile nella cura?»
«Credono che io sia un mago abile nella cura!» sibilò Owen, colto da un violento tremore alla gamba. «C-c'era una donna, ma non è una guaritrice di professione. In ogni caso, avevo fatto mandare un messaggio a un guaritore col quale mi scrivo spesso...»
«E?»
«E... lui mi aveva avvertito. Sapeva che sarebbe successo, m-m-mi aveva avvisato...»
«Allora lo sapevi. E non lo hai detto alla zia di Fema?»
Owen scuoteva la testa, senza il coraggio di alzare lo sguardo. «Una volta, ho dovuto dire a una persona che non c'era niente da fare contro la sua malattia... È stato difficile, ma l'ho fatto. Qui invece si trattava di dire a una madre di dover perdere il proprio figlio... Per quanto fosse ancora un puntino, i-io... lei...»
«Come sta?»
«Dopo il dolore fisico, è arrivato il dolore emotivo...» Owen tirò su col naso, il viso che pian piano diveniva rosso e la voce che s'incrinava maggiormente: «È stato orribile... Tutto finito, così... in una macchia di sangue... E non so se si tratti del tutto di lei, di suo marito, di entrambi...»
«In caso, potresti guarirli?»
«Io non posso farlo. I guaritori migliori al mondo hanno creato pozioni per combattere la sterilità, ma nulla ha mai funzionato. Forse certi aspetti non si possono modificare, come il nostro gene del "bestia"...» Owen continuava a far scorrere le mani tra i capelli, poi ancora sul viso, prima di abbracciarsi per conto proprio.
Anche James incrociò le braccia. «E adesso la gente penserà che lei, lui o entrambi siano come maledetti?»
«T-tu lo credi?»
«Che la gente sia un po' troppo superstiziosa e non faccia altro che pensare a quanto gli dèi influenzino la vita di chiunque? Sì. Io però non credo neanche che il Demonio esista, perciò non considero quei due come dannati.»
«Ma credi che siano contro natura come noi?»
«Come no! Quanta gente contro natura dovrebbe esistere, secondo i maghi? I "bestia", chi è sterile, gli albini... No, non sono contro natura. Quella coppia ha semplicemente un difetto per quanto riguarda gli organi sessuali. Non spingiamoci oltre.»
«A lei non interessa cosa pensano gli altri, comunque...» mugolò Owen. «Tutto ciò che continuava a ripetere, tra le lacrime, era di aver perduto il suo bambino, e che forse non potrebbe mai provare la felicità di averne uno... N-non so cosa fare...»
«Non ti starai incolpando, vero?»
«Li ho ingannati! Li sto ingannando! Li ho sempre lasciati credere nei miei poteri magici, quando in realtà non ne possiedo! Si aspettavano che io salvassi il feto!»
«Hai appena detto che neanche i migliori maghi guaritori sono mai riusciti a battere la sterilità. Il tuo collega aveva già dato il bambino per spacciato. Tu almeno ci hai provato, Owen. Tu non ti sei arreso.»
«L'ho messa in pericolo...» esalò Owen, afflitto. «L-le ha fatto male... Poteva a-anche andare peggio... N-non avrei mai dovuto, è-è-è stato da stupidi...»
James non seppe come rispondere a questa confessione, mentre Yan tratteneva il fiato.
Intanto il giovane guaritore prendeva respiri tremuli. «Sento che se la magia non è capace di agire, allora forse la non-magia può. Io sono l'unico a conoscerla, ma non ho idea di cosa fare in questo caso, James...»
«Forse un giorno lo capirai.»
«Ma a me serviva saperlo adesso!» Owen si trattenne a stento dall'urlare, anche se subito dopo scoppiò in prepotenti singhiozzi. «Avrei potuto salvare una creatura non ancora nata... e invece non so ancora niente» ringhiò.
«Nessuno nasce sapendo già tutto, e ciò di cui ti occupi è qualcosa che va ben al di là dell'immaginazione di chiunque altro. Stai già facendo molto, hai già fatto molto, hai contribuito a salvare numerose vite. Continua così, e vedrai che un giorno potrai salvarne molte altre. Non incolparti se adesso non sai.»
Owen però teneva ancora la testa abbassata.
A Yan piangeva il cuore nel sentirlo tanto afflitto. Neanche lui credeva che l'amico fosse un buono a nulla, anzi, la pensava esattamente come James: Owen aveva fatto già così tanto, considerato che lavorava da soli quattro anni.
Era giovane, aveva ancora un sacco di tempo per compiere nuove scoperte.
Per il momento, il suo lavoro era da lodare.
Il giovane guaritore strusciò gli occhi. «N-non raccontarlo agli altri. Glielo dirò io quando... quando me la sentirò...»
James annuì in silenzio, apparentemente spiccio e quasi insensibile alle lacrime di Owen.
Invece subito dopo allungò un braccio in sua direzione, lo attirò a sé e lo abbracciò, offrendogli la propria spalla su cui piangere.
Yan si trattenne dal sospirare.
Era angosciato per il dolore che quella donna doveva provare adesso e per sempre.
Allo stesso tempo, gli dispiaceva che Owen non volesse confidarsi anche con lui e gli altri, ma contemporaneamente capiva anche che certe cose preferisse tenerle per sé, che volesse aspettare a renderle pubbliche, persino con la sua famiglia.
Almeno si era sfogato con James.
Per un attimo Yan desiderò di poter correre da Nathan e raccontargli tutti i suoi segreti degli ultimi mesi.
Purtroppo però non poteva farlo. Di quello non poteva parlare con nessuno, neanche con il suo migliore amico...
*
Aaaah ci siamo!
Chiedo scusa se troverete molti errori, ma questa settimana è stata pienissima e a malapena sono riuscita a entrare sulla piattaforma!
Spero possiate perdonarmi!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo.
Credetemi, non ho scritto la seconda parte a cuor leggero, lo ritengo un problema veramente importante.
Desiderare dei figli e non poterne avere rende molte persone tristi, e non c'entra niente il fatto che agli occhi di alcuni una coppia debba per forza averne per essere felice. C'è chi li desidera con tutto il cuore e purtroppo non può neanche concepirli, e si sa che le adozioni non sono facili da ottenere.
Fortunatamente adesso ci sono tanti altri metodi, ma all'epoca non era così semplice.
Il tema delle cure difficili da trovare l'ho inserito per Owen, perché un dottore come lui deve imparare ad affrontare simili eventi che, purtroppo, a volte non si possono evitare.
Deve imparare a crescere e ad affrontare il fatto che non è colpa sua se accadono determinati episodi, così come non deve sentirsi in colpa se non riesce ad aiutare la madre di Yan, altro problema serio e che scrivo con il cuore pesante.
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