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1° Capitolo- Gelo

"Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l'anima in fiamme."
Charles Bukowski

《Cosa vedi quando chiudi gli occhi?》
《Le tenebre.》

Il gelo scorreva sulla sua pelle, in cui era presente una normale consistenza nelle ossa ed il vento, anch'esso isolato, si inoltrava verso i posti più lontani; soffiava e sbatteva, era come se esalasse la sua accanita rabbia sulle persone, e oggetti che si imbattevano contro esso.
La visione dei suoi occhi di ghiaccio, freddi proprio come lei, non era nitida, come aveva sempre favorito. Invero, in quella giornata di pieno inverno, il suo carattere strano -che di tanto in tanto non riusciva a comprendere neanche lei- aveva predominato.
Le persone osservavano in lei la diversità, non come un aspetto che poteva valutarsi positivo, ma bensì vedevano la sua stranezza come un elemento negativo, dal quale dover stare alla larga; alcuni di loro erano lontani, fuggenti, spaventati e lei era stanca di inseguire tale ammasso di persone che non meritava nulla, almeno era ciò che lei credeva fermamente, poiché quella, come lo definiva lei, era gente che aveva paura anche della sua medesima ombra.

E nel mentre udiva il fischiettio del vento penetrargli irruentemente le orecchie, lei aspirava dalla sua sigaretta, lasciando che il fumo uscisse lentamente con fare maestoso dalla sua bocca, così espansivo nell'aria, e, doveva ammettere che le piaceva accompagnare con lo sguardo quella nuvola grigia, che, in questioni di secondi, si dissolveva liberamente. L'avevano sempre avvertita ed, in un certo senso, avevano sempre cercato di impaurirla, ma lei non seguiva ciò che le altre persone proferivano. Sfregava le sue mani, contenute nei suoi guanti di pile, come per riscaldarsi dal vento impetuoso. Aveva la pelle d'oca, un chiaro segno della temperatura gelida presente, ma lei lo aveva sempre amato, quindi si limitava candidamente a sorridere mentre sentiva esso carezzarle ogni suo centimetro della sua pelle rosea. Tanto, d'altra parte, pensava: il gelo si era già impradonito del suo cuore.

▪Quel gelo che non sarebbe andato mai via così facilmente.▪

Aveva atteso prima di completare di fumare la sua sigaretta -che lasciava sempre a metà-. Gettò il mozzicone in un punto vago dell'asfalto, e calpestandola appositamente adottando un movimento rotatorio del piede, fece per entrare di nuovo in casa, muovendo quelle due gambe che, al pensiero di rincasare, divenivano due macigni troppo ponderosi per essere in grado di compiere movimenti. Risiedeva in una casa con dei piccoli spazi in una grande città con suo padre, un uomo di mezz'età, con un cervello futile, apparentemente normale, ma costituito da solo vuoto dentro.
Nel corso della sua vita, era sempre stato così, una testa calda per intenderci, e, più il tempo scorreva, più le cose aggravavano irrimediabilmente.

Non era neppure sicura se, in quel cervello ozioso, ci fosse stata intelligenza; non chiedeva troppo, ma...perlomeno un pizzico, anche se in cuor suo si era già rassegnata. I ragionamenti coerenti che idealizzava erano molto rari, e, se avvenivano, potevano considerarsi un qualcosa di straordinario.

Ipotizzava frequentemente: poteva darsi che lui si era stancato di affrontare il mondo circostante ed era stato segnato, come un marchio di fuoco, dalle avversità della vita. Forse, pensava ancora, si era ritrovato anche lui, come lei, solo in mezzo al mondo...
Un'anima sperduta in un mondo colmo di esseri umani.
Non lo stava certamente perorando, perchè non lo meritava, solo... cercava solamente di scovare delle risposte a moltissime domande.
Di certo, la ragazza dagli occhi impenetrabili, non era riuscita mai a sopportarlo, anche se tutte le volte la madre le aveva chiesto così tante volte di farlo per lei, fin troppe; e ci provava, e quanto lo faceva, fino alla fine, ma nel complesso non ci riusciva mai. Non poteva respingere quel sentimento tanto represso nei suoi confronti.
Odiava dover provare sentimenti. Voleva essere ancora più gelida, e non provare emozioni, ma, purtroppo, non ne era in grado. Chi lo era?

Alfred, il padre che in quel momento era intento a seguire un programma soporifero, si voltò per scrutare la presenza di sua figlia che era rimasta fissa immobile ad osservarlo annoiata. 《Ciao, papà.》sputò il suo veleno, con fare arido, calpestando un sacchetto di plastica sparso gettato ai suoi piedi. Anzi, più precisamente, sul pavimento del salone di casa sua.《Ehi, figliuola.》 rise, senza nessuna motivazione, adagiando il telecomando che si trovava ai lati del suo largo bacino sul tavolino di legno che aveva dinanzi e ritornando a guardare la tivù tranquillamente, come se non gli importasse nulla che lei era lì, a ripugnarlo con tutto il suo cuore. Non riuscendo ad afferrare una conversazione adeguata, decise che sarebbe rimasta a casa, magari stando attaccata ad uno stupido schermo mentre scorreva le pagine di uno dei suoi social preferiti o magari, ancora meglio, guardando un film, chi lo sa. Considerava un insulsataggine voler stare ventiquattro ore su ventiquattro attaccata ad un insulsato schermo; lurido oggetto che impediva la comunicazione sociale. Preferiva cento mila volte stare in compagnia con i suoi amici, forse più falsi che veri, celando tutto ciò che nutriva dentro di sé attraverso un sorriso, piuttosto che tenere gli occhi incollati su di esso.

Ma quella non sarebbe stata giornata per uscire, così, mentre era diretta in camera sua, decretò che poteva rivelarsi rilassante distendersi sul comodo letto dalle coperte morbide di ciniglia. Chiuse la porta alle sue spalle, e si rilassò scrutando le lancette dell'orologio, poi socchiuse le palpebre e un brivido le percorse la pelle delicata, mentre una lacrima solitaria le velava il suo piccolo visino. Sentiva i suoi pensieri inondarle la testa, come un'ondata potente che si scaraventa impetuosa su di lei.

Silenzio. I brividi su tutta la sua pelle.

Percepiva il gelo degli anni della sua vita non vissuti al meglio, come aveva sempre sperato.
Percepiva il gelo dentro il suo cuore di ghiaccio, che era rimasto raggelato per troppo tempo.
Il gelo dentro alla vista delle persone con sole anime impure, costituite solo da crudeltà. E lei, cercando di comprendere, si scervellava, spettinandosi con le dita quei lunghi capelli corvino che teneva sulla testa annodati, proprio come i suoi pensieri, sperando di riuscir a scorgere una soluzione. Ma, realmente, aveva la consapevolezza che non ce ne fosse una, o magari centomila. Non ce n'era nessuna.

La cosa che poteva apparire più strana, è che, pur sapendolo, mentiva a se stessa, sperando di lasciar spazio all'autoconvinzione. La menzogna era l'unico alleato per nascondere il dolore, ma si sa, la verità si presentava, come il maggiore dei tuoi peccati. Possedeva delle idee tutte sue, ma, si chiedeva sempre se quest'ultime fossero veritiere o false. Sapeva anche che questi pensieri si ingarbugliavano come dei fili posizionati male, e questa cosa, oltre a farla confondere, non le piaceva per niente...
La confusione nella sua testa era l'unica nemica con cui doveva combattere.

Ogni essere umano commetteva dei peccati. E quest'ultimi ti schiacciavano: questa era un'affermazione ben precisa, senza alcun dubbio.
Essa era mischiata con la consapevolezza di aver compiuto qualcosa di sbagliato, commesso da persone che erano in grado di ucciderti, anche solo con un semplice sguardo, anche solo con delle parole, frasi, sparate come fossero proiettili a mezz'aria, pronti a sfondare la persona mirata. Stessa autonomia di una fiamma ancora non tanto ardente. Per scatenare una grande fiamma il fuoco esige dell'aggiunta di altro legno. Cosicchè quest'ultimo arde, ed è come se provasse male, poiché il fuoco brucia su quel pezzo di legno, e non ha pietà, anzi, viene alimentato di più grazie ad esso. E le persone assumevano questo tipo di comportamento: lei piangeva, soffriva in silenzio, urlava nella sua mente, ma questi non smettevano di torturarla finché non la vedevano nuocere lì, appoggiata su una fredda parete. Veniva danneggiata, proprio come un giocattolo non più funzionante, che viene gettato subito dopo. Una frase che la colpiva più del dovuto era quella di Arthur Bloch, ovvero che le cose vengono danneggiate in proporzione al loro valore. Quale valore le aveva additato la gente?

Sicuramente nulla nient'altro più complicato da stabilire ad un soggetto come lei, una ragazza da un'anima grigia, messa in disparte da tutte quel nero che aveva intorno, macchiata dal veleno di un serpente a sonagli.
Ancora quel grigio, quel mezzo colore, quella via di mezzo. Aveva sempre adorato le vie di mezzo, quelle che se non riesci a decidere, ti riduci a scegliere quella che sta in mezzo, come un forse. Perchè lei era in grado di pugnalare quelle persone al petto, proprio come facevano con lei, ma, una volta compiuto ciò, arrivava subito dopo il pentimento, e, purtroppo, questo la spaventava più del dovuto. Ella era una codarda, una ragazza che non era mai pronta. E aveva capito, nei suoi sedici anni di vita, che la prontezza era il primo elemento sostanziale per affrontare questa vita.

Spalanca gli occhi.
Urla soffocate.

Era quella la sua realtà?

Spazio autrice

Ehilà! Come vi è sembrato il primo capitolo? Ci tengo molto ad una vostra opinione, quindi commentate suu! Vi adoro. Ciao❤

❤❤

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