2. Cambiamenti
Lucifero stava meditando con le gambe incrociate e le mani appoggiate alle ginocchia. Lasciava scorrere liberi i suoi pensieri per poter trovare una soluzione. Usava quella tecnica ogni volta che doveva prendere un'importante decisione, anche se questa volta non ne aveva.
In quel luogo tanto buio quanto silenzioso si trovava a suo agio, così tanto che perse la cognizione del tempo.
Dal nulla spuntò una donna, pensava di averla solo sognata, ma le sensazioni provate erano fin troppo reali. Quando la vide andar via si allontanò in fretta e furia da quel luogo e si promise di non farci più ritorno.
Tornò al suo Paradiso, monotono come sempre, deciso a riprendere il suo giro di supervisione.
Tra tutti i corpi celesti presenti in quel luogo, Michael era quello che più attirava l'attenzione di Lucifero. Non aveva voglia di parlare con qualcuno, ma suo fratello era troppo vicino per poterlo evitare.
«Lucifero, finalmente ti ho trovato! Abbiamo fatto la riunione senza di te, l'ho tenuta io al posto tuo. Ma dov'eri finito?»
«Mi duole sapere di non aver adempito a un mio dovere. Non mancherò un'altra volta, fratello.»
«Comunque sia, abbiamo affidato un impuro a Gabriel.»
La parola "impuro" ricordò a Lucifero l'incontro con la donna misteriosa. Si chiese se anche lei lo fosse e se lo fosse diventato anche lui.
«Un'altra cosa: ci sono tre nuovi angeli di cui ti dovresti occupare.» Michael non ricevendo un responso, gli scosse la spalla, ma lui sembrava non sentire niente.
Il ricordo di Oscurità lo aveva rapito dalla realtà.
Era tutto buio attorno a lui, poi una luce soffusa attirò l'attenzione dell'Arcangelo. Quel bagliore luminoso stava turbando la sua tranquillità, perciò aprì gli occhi.
Vide in lontananza una figura. Aveva paura che qualcuno lo avesse scoperto, ma si accorse subito che l'energia non era quella di un angelo. Si alzò e si mise in guardia: non sapeva chi fosse, dunque non poteva fidarsi.
La silhouette a clessidra e i capelli lunghi gli fecero capire che l'entità era una femmina, anche se ciò non bastò per farlo sentire al sicuro. Poteva essere una Dannata che in qualche modo era riuscita ad avvicinarsi al Paradiso senza farsi scoprire.
Accese un fuocherello azzurro per far luce in quel posto sperduto, dato che l'aura dell'entità non bastava, e riuscì a distinguere i suoi tratti. Era bellissima.
Due gemme nere le facevano da occhi. Due occhi intensi, penetranti, decisi, ben ricamati nella neve del bulbo, nel prato dell'iride e nella notte della pupilla. Due gemme levigate dalla sofferenza. Lucifero si chiese cosa avesse portato la donna a essere così e, soprattutto, chi gli aveva strappato la purezza. Il conflitto che c'era in quello sguardo era incastonato in un volto di una bambola di porcellana. I suoi zigomi erano monti, mentre il naso saliente e mobile fuoriusciva dal viso ovale restituendo a quella mitica figura la propria tridimensionalità, la sua concretezza.
Spostò il suo sguardo sulle labbra carnose e nere, come il buio che li circondavano. Inevitabilmente l'occhio gli cadde anche sulla scollatura, coperta parzialmente dai capelli ondulati, e intravide un seno prosperoso. Non capiva bene cosa fosse quella sporgenza, ma se era coperto, lui non avrebbe dovuto curiosare.
«Lucifero, finalmente ci incontriamo. Tuo padre mi parlava molto di te.» disse con voce suadente.
«Sei una Dannata? Non ho mai visto creature come te.» chiese riluttante. I suoi occhi erano fissi in quelli di lei, non riusciva a fare altro se non guardarla.
«No, non lo sono. Non preoccuparti. Sono Oscurità, la sorella di Luce, tuo padre».
«Lui non si chiama Luce, il suo nome è Dio. Come osi definirti sua sorella?» la confusione cominciò a farsi sentire: non sapeva come spiegare l'energia simile al padre, ma non voleva nemmeno accettare che Lui gli avesse tenuto nascosto una cosa così importante. C'era qualcun altro al di fuori del Paradiso e aveva avuto il coraggio di non rivelarglielo.
«Spiegarti la mia origine sarebbe alquanto difficile e tu non hai tempo da perdere» si avvicinò lentamente con sensualità, ma Lucifero non sarebbe caduto in tentazione, era questo ciò che si ripeteva. Mentiva a se stesso perché le sensazioni che Oscurità gli procurava non si potevano nascondere. Non ne sapeva la natura, ma gli piacevano, nonostante sapesse che stava peccando.
«Voglio solo avvisarti di ciò che succederà, non voglio farti alcun male, per ora».
«Per ora?» chiese Lucifero titubante. Era pervaso da emozioni contrastanti, le quali gli offuscavano la mente. In quel momento desiderava solo scappare da quegli occhi intriganti.
«Luce sta commettendo un grave errore, sono venuta per parlarti della sua pazzia, affinché tu possa fermarlo. Non lasciare che perda anche me. Sei suo figlio, ti ascolterà» aveva ignorato completamente la domanda, sapeva che gli sarebbe rimasto poco tempo.
A quelle parole sentì il sangue ribollirgli in corpo: suo padre non sbaglierebbe mai e non era pazzo. Non poteva permettergli di parlare in quel modo di lui. Nonostante il sentimento sconosciuto che stava nascendo, le rispose sgarbatamente: «Io non so chi tu sia, ma non permetterti di sminuire mio padre. Non aggiungere altro, non mi interessa ascoltare menzogne».
«Lucifero, se fossi stato come i tuoi fratelli avresti subito difeso Luce, tu non sei vuoto e privo di valore come tutti gli altri. Tu sei di più, molto di più solo perché hai avuto il beneficio del dubbio. Non lasciare che Dio ti trasformi nel suo giocattolo personale. Non lasciarti comandare. Non ascoltarlo e rifiuta la sua richiesta d'aiuto quando verrà da te, o diventerai polvere per mano sua» sembrava disperata, anche se aveva un tono di supplica. Non rispose, rimase in silenzio a lungo, non avrebbe ceduto.
«Lucifero, di' qualcosa, ti prego».
«Lucifero... mi senti? Che ne pensi?». Michael fermò i suoi pensieri poggiando una mano sulla spalla del fratello.
«Ti senti bene?».
«No, non ho finito il mio controllo giornaliero. Devo andare».
Nel frattempo, Gabriel sfogava la sua ira su Raphael. Era frustrato e arrabbiato, non sapeva da dove provenisse ciò che provava e non riusciva più a controllarsi. Dopo settimane e settimane passate a sentire il suo sangue puro ribollirgli nelle vene e quel dolore straziante al petto, come se una bestia lo stesse ferendo dall'interno del suo corpo, lui non ce la faceva più. "C'è un limite a tutto" pensò. "E se fossi io quella bestia? E se fossi io a creare quel male che mi tormenta da settimane?"
Lui esternava tutto quello che provava, ma dovevano esserci conseguenze, era inevitabile.
«E tu saresti mio fratello? Spiegami qual è la tua utilità e perché hai un titolo così grande. Ah giusto, sei il quarto figlio, ma se fossi stato il quinto? Sarebbe stato decisamente meglio. Mi vergogno di essere tuo fratello! Sei uno scarto, sei come l'invidia per noi angeli! Una cosa totalmente inutile dato che siamo tutti uguali! Dovevano farti cantare, altro che Arcangelo!». Detto ciò, Gabriel gli tirò uno schiaffo in pieno viso che lo fece cadere sul pavimento bianco e freddo del Paradiso. Le piastrelle erano sempre pulite, non si sporcavano mai, anche se gli angeli vi camminavano ogni giorno. Il marmo si interrompeva ogni qualvolta ci fosse una stanza. Nulla di particolare: quattro sottili pareti racchiudevano un armadio e un letto, altrimenti le camere sarebbero rimaste vuote, come le anime degli angeli. Raphael sputò sangue, lo schiaffo che aveva ricevuto gli aveva fatto male. Anche lui si stupì quando vide il rosso sulle piastrelle immacolate. Non si era mai chiesto perché non fosse concesso alcun colore, le ali dei suoi tre fratelli erano l'unica eccezione. Si chiese, però, perché lui non avesse lo stesso trattamento, perché non potesse averne anche lui un paio diverse da quelle degli altri angeli. Lui ne aveva quattro, ma questo agli occhi degli altri era visto come una malformazione.
Non oppose resistenza quando Gabriel lo colpì più volte, sapeva di non poter fare niente.
Dopo diverse ore si stufò anche lui, ma evidentemente il fratello non aveva ancora finito di sfogarsi. Lo feriva di più il fatto che fosse Gabriel, colui che avrebbe dovuto volergli bene a procurargli tanta sofferenza.
Cercò di fuggire da quella situazione, ma lui solamente con la sua energia lo aveva sbattuto contro la parete della propria stanza. Un po' alla volta, con la sua forza stava rompendo gli organi interni dell'Arcangelo portandolo alla morte.
«Gabriel? Sei tu? Cosa stai facendo?» . Disse Anael mentre stava entrando in quella stanza, ma qualcuno non glielo permise.
«E tu come osi disturbarmi? Non vedi che ho da fare?» l'aura di Gabriel si amplificava e stava diventando sempre più nera a ogni minuto che passava. Due occhi rossi, iniettati di sangue presero posto delle sue iridi azzurre, non era più in sé.
«Scusami, non volevo disturbarti, fratello» rispose Anael impaurito dall'energia oscura che stava percependo in lui. Cresceva sempre di più, mentre la rabbia prendeva il controllo del corpo dell'Arcangelo.
«Mi hai chiamato fratello? Stai scherzando? Io sono un tuo superiore! Esigo rispetto! Io sono uno dei primi angeli a essere stato creato, come osi, pulce, chiamarmi fratello!?» l'aura dell'Arcangelo diventò completamente nera e rossa. Inconsapevolmente stordì tutti coloro che erano nei pressi della stanza e infine, non potendo sostenere tale potere, Gabriel perse i sensi.
Quello nei secoli a venire sarà chiamato "Potere proibito" perché nessuno dovrà mai farne uso, a meno che non voglia andare incontro alla morte.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro