19. Ascesa
La vista della testa mozzata di Malphel scaturì in Lucifero una grande soddisfazione, che puntualmente cercava di repirmere con l'indignazione.
Quel giorno aveva ucciso due demoni solo per saziare quella sua sete di sangue. Non si riconosceva più. Si sentì egoista: aveva tra le mani la vita di chiunque fosse inferiore a lui e la trattava come se fosse insignificante, uccidendo chi lo aveva deriso. Doveva imparare a controllare i suoi scatti d'ira e, soprattutto, il Marchio, il quale richiedeva sempre più morti a gravare sulle sue spalle.
Semandriel entrò nella stanza di corsa, col volto carico di preoccupazione. Si tranquillizzò un poco quando vide Lucifero. Le sembrava inquieto e per niente felice della libertà ottenuta.
Le dispiaceva vederlo corrucciato, col capo chino su un corpo privo di vita. Sapeva cos'era accaduto perché quattro sconosciuti erano corso urlando nel corridoi in cui era caduta.
Si avvicinò a lui con cautela, timorosa di essere di disturbo, ma l'Arcangelo non si era nemmeno accorto della sua presenza. Appoggiò le mani sul suo viso, accarezzandogli dolcemente una guancia. Lucifero chiuse gli occhi e posò la propria mano su quella dell'angelo caduto davanti a lui.
«Semandriel...», le sussurrò mentre le cingeva i fianchi e la attirava a sé. Semandriel lo zittì portando un dito sulle sue labbra.
«Non... Non mi chiamo più così. Il mio nome ora è Astaroth», gli riferì. Lui annuì debolmente poi fece scorrere i suoi occhi scuri sul corpo di lei. Anche la sua veste era logora, come se avesse preso fuoco. Le braccia sottili e muscolose della donna erano ricoperte di polvere, o fuliggine e il seno piccolo era visibile sotto gli stracci che indossava. La pelle diafana brillava al tepore delle torce che Buer doveva aver acceso mentre era assorto nei suoi pensieri. Il suo volto in quel momento sereno lo estasiava. Gli occhi, ormai scuri, erano due pozze in cui tuffarsi. Sperava di poterlo davvero fare e di non risalire più a galla, nella realtà che stava iniziando a odiare. Incapace di resistergli, le diede un delicato bacio sulle labbra.
«Avrò fatto la scelta giusta?» chiese più a sé stesso che a lei.
«Non lo so e forse non lo sapremo mai. Dobbiamo vivere per scoprirlo» gli rispose Astaroth. Quel momento, tanto intimo agli occhi di Lucifero, fu interrotto da un'entità che fece il suo ingresso nella sala.
Il suo era un passo leggero, ma l'Arcangelo lo percepì ugualmente. Si chiese perchè fosse riuscito a sentire i passi e non Buer che accendeva le torce o Astaroth che entrava nella stanza, ma preferì non riflettere sulla questione prima di aver scoperto l'identità dello sconosciuto. I capelli biondi spiccarono subito agli occhi di entrambi i presenti.
«Cosa ci fa un angelo qui?» bisbigliò Astaroth. Lucifero non era convinto che quello fosse un angelo: nessuna anima pura rimaneva illesa una volta entrata all'Inferno. Spinse l'angelo caduto dietro di sé per proteggerlo e chiese con tono intimidatorio: «Chi osa entrare nel mio regno?».
L'entità continuò ad avanzare senza pronunciare una parola.
Quando gli fu abbastanza vicino, lo sconosciuto gli rispose: «Sono il Signore dei mari. Non sono né un demone né un angelo. Sono semplicemente Leviatano, figlio di Luce».
Lucifero sentì cadergli l'Inferno addosso. Volle ridere, ma poi cambiò idea. Volle arrabbiarsi, ma non ci riuscì. Non sapeva cosa pensare di quelle nuove informazioni.
«Figlio di Luce? Io non ti conosco, non ti ho mai visto in Paradiso. Come puoi essere suo figlio?». L'Arcangelo cercò di studiarlo, come faceva sempre con i suoi interlocutori, ma gli fu difficile in quell'occasione. Non riuscì a essere calmo. Sentiva una dolorosa consapevolezza farsi spazio nella sua mente, una consapevolezza a cui non voleva pensare. «Non capisco. Mi stai forse mentendo?» insistettè Lucifero.
Leviatano lo guardò spazientito.
«La mia casa è sempre stata il mare, per questo motivo non mi conosci. Ho notizie importanti da darti e non ho molto tempo, perciò ascoltami».
L'Arcangelo non lo ascoltò, ma si avventò su di lui, ignorando Astaroth.
Si lasciò nuovamente trasportare dalle sue emozioni senza riflettere.
Il Dannato provò a colpire il mostro marino con una serie di pugni, ma lui li schivò tutti con una velocità che Lucifero non credeva possibile.
«Sei sempre vissuto in una campana di vetro. Non puoi prendertela con me per ciò che Lui ti ha nascosto!» esclamò Leviatano mentre si abbassava per evitare un calcio. Il Dannato si allontanò, si fermò per riflettere e si buttò nuovamente su quella creatura. Il mostro abissale ne approfittò per spostarsi di lato e posizionarsi dietro al nuovo Re dell'Inferno. Gli afferrò le braccia e sussurrò una parola che Lucifero non capì
Fu immobilizzato con una semplice parola. Le sue braccia erano intrappolate in una morsa dietro la sua schiena dall'energia di Leviatano.
«Hai usato la magia! Non è un combattimento leale questo!» gridò, cercando di liberarsi. Presto ci sarebbe riuscito poichè l'entità, anche se dotata di una grande velocità, era più debole di lui.
«Io non ho affatto combattuto con te, voglio solo parlarti, ma credo di essermi rivolto Re sbagliato. Quale Re non è padrone delle proprie emozioni?» disse il Signore dei mari, il quale si voltò e si incamminò verso l'uscio.
«Placa la tua collera, Lucifero, e volgila al Dio che ha osato sconvolgere l'equilibrio» parlò ancora una volta.
Umiliazione. Era questo ciò che sentiva Lucifero nel dare ragione a quella bizzarra entità. Se non ci fosse quel marchio sarebbe tutto diverso, pensò. La presa allentò e lui fu di nuovo libero di muoversi.
«Cosa sei venuto a dirmi?».
La domanda fece voltare Leviatano, il quale corse davanti a Lucifero. Avrebbe voluto chiedergli di più su suo padre, il loro padre, ma si trattenne.
«Sediamoci, la storia è molto lunga e non è piacevole nemmeno per me».
Così il mostro abissale gli parlò della terra, delle sue creature e dei quattro protettori degli elementi.
Fece attenzione a non far trasparire alcuna emozione quando parlò delle creature marine, ma Lucifero notò la rabbia che divampava nell'animo del suo interlocutore.
Gli disse di Adamo, di Lilith e dei poteri conferitole da Gea.
Il Re degli Inferi lo guardò accigliato, pensoso. Stette a lungo in silenzio, poi chiese: «Cosa mi consigli di fare?».
«Fai di Lilith la tua consorte, infrangendo il sogno di Luce».
«Non può» intervenne Astaroth, la quale era rimasta seduta su uno scalino per tutta la durata dello scontro e del racconto.
Lucifero si girò verso di lei. I lineamenti contratti si addolcirono, vedendola preoccupata.
«Farò ciò che è necessario» sentenziò, serio ma con un tono più dolce del solito.
Leviatano annuì:«È necessario se i Dannati vorrano sconfiggere Luce insieme al loro sovrano».
L'Arcangelo, invece, scosse la testa. «Deciderò cosa fare nel momento opportuno».
Ci fu qualche altro minuto di silenzio, che Lucifero si riservò per riflettere senza l'influenza della Prima Maledizione.
«Mi sei stato utile. C'è qualcosa che desideri, che posso darti?» domandò.
«Vorrei la tua protezione. Poco fuori dall'Inferno c'è una sala dell'allenamento con con un alloggio. Il vecchio proprietario è stato ucciso, pertanto ti chiedo ti poter prendere io il suo posto e qualora accettassi la mia richiesta, sarei onorato di poter combattere con te».
Lucifero guardò a terra come se in quel preciso punto del pavimento illuminato dalle torce ci fosse la risposta giusta, poi puntò gli occhi su Leviatano. Scrutò nelle sue iridi, cercando un qualche imbroglio, una qualche emozione negativa rivolta a lui, ma non vi trovò niente. Sembrava solo in fuga da qualcuno, era una semplice entità iraconda ma calma allo stesso tempo.
«Te lo concedo, Levitano».
La sala con i sogli pullulava di angeli caduti e demoni. Erano i Dannati di Lucifero, i suoi Dannati. Lui sedeva sullo scranno di legno di Malphel. Vedeva ogni entità negli occhi, così come loro vedevano lui. Erano in trepida attesa come lo era lui. Tutti i presenti sapevano che stava per accadere l'inimmaginabile.
Buer gli aveva portato dei vestiti nuovi e aveva fatto radunare sia i nuovi Dannati che quelli già presenti da prima della Caduta.
Doveva assicurarsi di avere l'appoggio di tutti prima di divenire Re a tutti gli effetti, anche se era certo che nessuno si sarebbe opposto al suo volere.
La sala era così ampia da contenere ogni demone dell'Inferno, benché non ce ne fossero molti. Vide visi conosciuti e altri nuovi. quest'ultimo non avevano le ali sulle spalle, segno che facevano parte della nuova generazione.
C'era chi lo guardava con indifferenza e chi lo guardava con curiosità e speranza. La cinquantina di angeli che si era portato appresso, compresi Satanahel e Apollion, erano sotto i pochi scalini che portavano ai cinque sogli mentre in fondo alla stanza, appoggiati al muro, c'erano i cosiddetti "noboli". Al centro si trovavano i demoni di basso rango e i loro figli, i quali lanciavano occhiate furtive agli angeli caduti dietro alle loro spalle.
Lucifero si alzò e si schiarì la voce, poi parlò come un vecchio oratore: «So che non vi ho fatto una buona impressione fino a questo momento e forse nemmeno adesso, ma le circostanze sono diverse. Ho lottato in Paradiso per scendere qui con l'intento di portare in alto il nome dei Dannati...». Un boato lo interruppe.
«... poichè noi siamo sempre stati considerati sporchi e indegni della luce, io stesso ho creduto in tali parole. Ma non è questo ciò che siamo e io voglio dimostrarlo a chiunque non abiti all'Inferno. Luce ci ha relegati qui e ha costretto voi a nascondervi per nascondere la sua vergogna, il suo fallimento». Un clamore di assenso da parte di tutti riempì la stanza. Lucifero non sarebbe mai aspettato di sortire un tale effetto nei Dannati. Guardo la folla e aggiunse:«Noi esistiamo e abbiamo il diritto di farci sentire e di uscire allo scoperto!». Le creature urlaromo ancora, all'unisono.
Gli davano ragione, lo acclamavano: gli aveva convinti. Era sempre stato bravo a convincere. Gli bastava pensare al suo obbiettivo per far accendere il desiderio in lui mentre dalla sua bocca uscivano altre parole, con obbiettivi diversi dal suo. Aveva nascosto la sua vera intenzione e nessuno se n'era reso conto.
«Ho bisogno del vostro appoggio per fare tutto ciò. Mi accettate come vostro Re?».
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