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Cap.72 Il salire della marea

"Posso averne anch'io?", Leona tradusse dall'Inuri la richiesta del maggiore, e il federale seduto dietro la tazza inghiottì. Si alzò e silenziosamente scivolò verso la cucina.

L'ufficiale anziano invece si sedette muovendosi piano, e il dottor Brender, incapace di controllarsi, si avvicinò a controllargli il polso, per accertarsi che non avesse veramente un malore. Agì da medico così sfacciatamente che al Maggiore venne da ridere.

"Tranquillo, ho solo bisogno di riavermi da un brutto colpo. Fino a ieri ancora avevo creduto che infine tutto si sarebbe risolto. La reale gravità di questo male la sto guardando in faccia solo stamattina, e ne sono... molto spaventato".

Corantin si sedette accanto a lui, anch'egli improvvisamente spossato. E ad Archés cedettero le gambe. Si sedette di fronte a loro.

Nel silenzio, le statue federali ripresero vita. Si strinsero loro intorno, l'uomo di prima tornò con un vassoio e più tazze fumanti che lasciò nel centro del tavolo. Archés allungò la mano a prenderne una:"Grazie", disse, e invitò il maggiore a servirsi.

Quello lo fece senza esitare. Se vi hanno sciolto del veleno, tanto di guadagnato, pensò Corantin imitandolo. Meglio lasciarlo subito quell'incubo.

"Dottor Brender ci tenga compagnia", disse allora Archés e poi, in Inuri ai due ufficiali, con Leona che traduceva veloce le parole ora da una lingua ora dall'altra:"Il dottore dirige l'operato dei medici; doveva essere l'assistente del responsabile, ma il capo spedizione è rimasto vittima del viaggio.

Ha fatto appena in tempo a vederla, Glittica, e subito Inurasi ha preteso un pegno d'amicizia pesante".

Il Maggiore sorseggiò la bevanda calda. "Mi spiace", disse poi rivolto al dottor Brender, e quello aggrottò la fronte.

Quell'ufficiale posato aveva la mente e il cuore aperti, e pronti. Non trovava in lui quel coraggio sprezzante che animava Titanio, né l'orgoglio smisurato di Furius, tenuto a freno dall'appassionata necessità di proteggere la sua gente.

Questo è un popolo ricco, sentì improvvisamente il dottore. L'ignoranza in cui l'hanno annegato è stata strumentale, e la navigatrice ha mille ragioni, per lottare. Se riusciamo a salvarli, avranno molto da offrire, come tutte le genti, forse persino di più.

"Il dottor Nathab ha fatto un ottimo uso, della sua vita", disse allora,"in quaranta giorni forse la sua esperienza avrebbe trovato una soluzione che alle mie capacità, invece, sfugge. Eppure non sono un inetto! Ma questo mostro finora è stato più forte di noi".

Il medico fissò i due ufficiali e continuò:"Questa notte il re si preoccupava di sapere come abbiamo previsto di lasciare Inurasi, se le cose volgeranno al peggio. Perché ovviamente, più tempo passa più è certo che la nostra presenza si scoprirà, e non avendo ottenuto nulla di buono, non avremo di che smorzare la rabbia dei vostri uomini.

Abbiamo appena saputo, re Archés", disse guardandolo,"che la sua intuizione era corretta. Ci sarebbe effettivamente modo per noi di tornare rapidamente indietro e chiunque dei miei vorrà,  sarà libero di farlo, a questo punto.

Per quanto mi riguarda però, io non lascerò questa terra senza aver trovato una cura per questa belva di epidemia. O io o lei; o vinco questa guerra, o non torno a casa sconfitto.

Non sono un uomo d'armi, ma a mio modo voglio combattere anch'io. Non ho famiglia, e non lascio né vedova né orfani. Posso spendere la mia vita come mi piace e sono notoriamente un testardo e un presuntuoso". Sorrise tetro, ricordando. "La navigatrice mi insultò a giusto motivo per il mio cattivo carattere, appena arrivato; ma la sua ira è stata una salutare lezione.

Non sono diventato umile, perché non è nella mia natura; ma mi ha scosso a dovere, e costretto a essere obiettivo. Ho capito meglio, cosa volevo e dovevo fare".

Tornò a guardare il Maggiore e poi Corantin:"Il nostro capitano ha ragione, era tempo che il vostro re trovasse comprensione tra i suoi. Sta lottando e sfidando davvero il destino, con un coraggio che ce lo ha reso caro.

Ma siamo pur sempre solo degli stranieri, noi, con cui parla una lingua che non è la sua". Il medico tacque, e Leona finì di tradurre, e tacque anch'essa.

Archés finì la cioccolata, e Leona alle sue spalle gliela tolse rapida davanti. Si spostò alle spalle del Maggiore, pronta a servirlo. Corantin la guardò riflettendo su quella flessibilità, con cui passava da un ruolo all'altro.

Da militare di scorta a traduttrice, da balestriere a donna, da federale a Inuri. Sorrise pensando a Furius, che l'aveva tenuta accanto da Adamanta in poi.

Che accidenti ci avrà fatto, si chiese. Leona l'incontrò a mezz'aria, gli occhi di Corantin. Abbassò i suoi e raccolse anche la sua tazza.

"Molte cose sono ancora a mezzo, nella nostra nuova sistemazione. Vorrei tornare ad occuparmene, e a raccogliere le idee. Il re voleva solo informarci della situazione, prima che la scoprissimo da soli, o c'è altro di cui discutere?", chiese il Maggiore, che rapidamente analizzava quanto aveva saputo.

"C'è altro", confermò Archés:"ma effettivamente desidero che abbiate il tempo di riflettere su tutto. Domani, potremo parlare ancora".

L'ufficiale si alzò:"allora chiedo di poter andare", e Corantin si alzò anch'egli.

Archés fu più lento."Vi accompagno", disse. Il capitano e le due aquile presenti si misero sull'attenti, gli altri si alzarono in segno di saluto rispettoso.

Archés fece strada fino al cancello; Leona, balestra in pugno, camminava dietro di loro distante il giusto da non poter sentire.

"Grazie", disse loro soltanto il re, nel congedarli.

Corantin gli sorrise, il maggiore crollò il capo. Si allontanarono col cuore in tumulto, e dall'altro lato della piazza videro un buon numero di persone dirigersi al ricovero. Alcuni si trascinavano visibilmente, e tutti avevano un'aria molto misera. Anche Archés e Leona li videro; la marea saliva.

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