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Cap. 70 Se non mi uccidono...

L'indomani, Archés inviò Leona al presidio, con l'ordine di scortare Corantin e il Maggiore a Palazzo. Impartì l'ordine appena l'alba filtrò dalle finestre e aveva un'espressione decisa che irrigidì la donna sull'attenti, e le restituì un'aria militare e rigorosa.

La notte con le sue angosce si allontanava, il giorno e il tempo della lotta erano tornati. Leona parlò alla sentinella del presidio. Avrebbe riso, dell'espressione di quella; con una simile realtà alle porte, ancora l'uomo si scandalizzava della divisa bianca indosso alla donna.

Inurasi stava per essere inghiottita, e quello, anziché per la gola spalancata del mostro a un passo dietro di lui, rabbrividiva per un'infrazione alle regole. Alle sue stupide, vuote regole di uomo.

Leona gli ruggì l'ordine del re e quello si rassegnò a trasmetterlo, esprimendo con lo sguardo tutto il suo schifo per la situazione in cui era, costretto a rispettare le parole di una donna.

In breve Leona tornò facendo strada ai due ufficiali. Archés li aspettava nel salone d'ingresso. Non si perse in saluti. Con un'espressione decisa e terribile che al Maggiore ricordò Ergon, fece cenno di seguirlo e si inoltrò veloce per sale e corridoi.

Leona intuì la direzione, ma silenziò ogni pensiero. Obbedire era il suo solo impegno. Non più pensare, non più cercare. Li scortò fino alla sala di controllo dei medici e rimase fuori sull'attenti. La sala era vuota. Archés indicò loro il vetro sulla stanza di Titanio.

Il vetro isolava dai rumori, ma il vecchio sul letto ansimava visibilmente. Un uomo completamente coperto in una tuta dall'aspetto curioso teneva il suo polso, per misurarne evidentemente le pulsazioni. Sotto i loro occhi, l'anziano si contrasse convulsamente, poi si rovesciò su un fianco, vomitando sangue. L'uomo con lui lo sorresse, poi lo riadagiò sul letto e con un panno bagnato gli ripulì il viso. Lo puliva e lo rinfrescava. Poi si diresse ad un tavolo, e preparò un iniezione.

Cercò una vena, e iniettò velocemente. Poi tornò a passare una pezzuola sulla fronte, e dietro la nuca. Il vecchio chiuse gli occhi, e posò una mano su quella del medico. Quello l'accarezzo piano, poi si allontanò e tornò con della segatura da versare a terra.

Archés tirò via i due ufficiali senza una parola. Li portò alla finestra dell'altra stanza e bussò al vetro. L'uomo seduto di spalle si volse, e si alzò senza fretta. Corantin e il Maggiore inghiottirono. Rimasero rigidi a fissare il Signore di Chiura arrivare loro di fronte, di là dal vetro.

Furius li studiò calmo, poi si inchinò appena salutandoli composto. Gli uomini gli resero il saluto. Archés aveva scritto due parole in fretta e poggiò il foglio al vetro.

Sto per dir loro la verità. Se non mi uccidono torno più tardi a raccontarti. Furius lo fissò negli occhi. Poi scrisse qualcosa.

"Sì".

Archés sorrise. Sì, approvo. Sì, sono con te. Sì, ti aspetto. Sì, mi fido di te. In un monosillabo e in uno sguardo, Furius sapeva dirgli tutto ciò che serviva.

"Andiamo", disse e li portò nel giardino. Leona si fermò di guardia a distanza rispettosa. Archés trasse dalla giacca delle carte e gliele passò. Erano la relazione di Titanio su Kargasa.

"Il vecchio che avete visto, ha contratto la malattia per farmi avere queste informazioni", disse. "Voi avete davanti agli occhi i disperati seduti alle porte di Glittica, ma leggete e saprete da dove vengono. Non avevate mai visto da vicino un contagiato, comunque, presumo".

Il Maggiore scosse il capo:"No, ma sapevamo da ciò che il re ci scrisse, in quali condizioni si riducevano".

"Immaginare e vedere sono cose diverse. Leggete, e preparatevi a ciò che vedrete a giorni". E tacque.

Il Maggiore lesse. Poi passò le carte a Corantin, in silenzio. Archés lasciò che assorbissero. Li lasciò capire l'orrore della città deserta, delle case saccheggiate, dei ricchi asserragliati con i cadaveri putrescenti sulle linee di confine tracciate a terra e difese balestre in pugno.

Li lasciò immaginare il centro medico dove gli ammalati accudivano i morenti e bruciavano i cadaveri, spiegando ai nuovi venuti come succedergli nel compito; li lasciò inorridire nel bagno di sangue di Breva, con la donna in fuga dalle vendette tra vicini, nella follia di rancori da sistemare, prima di non avere più la forza di uccidere e stuprare.

Lasciò che vedessero l'agonia di quelle loro terre.

Poi ricominciò a parlare.

"Il Nord Est dove è scoppiata l'epidemia è un cimitero. Nel Nord Ovest, il distretto si è isolato validamente, e non vi sono malati. Diverse città sulla costa sono salve e sopravvivono grazie al mare e alla pesca.

Il Nord e il Centro sono devastati dalla malattia e dai saccheggi, ma ancora qua e là piccole e piccolissime comunità resistono e si difendono. Il Sud è il più risparmiato, per ora, e diverse valli forse potranno resistere ad oltranza.

Purtroppo, non si può sperare altrettanto di chi resiste nel cuore del paese. Il blocco che ho imposto ha rallentato la diffusione dell'epidemia, ma il tempo guadagnato non ho portato il vantaggio che speravo. Nessun malato nel Nord è sopravvissuto. Titanio è il settimo paziente su cui a Palazzo si tenta tutto il possibile.

Nessuno ha potuto ricevere cure migliori. Ma sta morendo, come gli altri, solo più lentamente. Tra pochi giorni sapremo se Furius sarà l'ottavo. Devo confessare che ho perso la speranza che, nonostante il coraggio e l'impegno, questi medici possano trovare una cura. E senza una cura, moriremo.

Coloro che stanno resistendo dovranno cedere, alla fine. Il cibo finirà. L'assediante avrà buon gioco, per forza. Questa è la fine del nostro popolo, signori".

Il Maggiore tentò di dire qualcosa, poi però chinò la testa e non parlò. Corantin era impallidito e fissava gli alberi, impietrito.

"Quale che sia il motivo che sta spingendo il dio dei venti a cancellare gli Inuri dalla faccia della terra, io non ho alcuna arma, da opporgli. Contro questo nemico, sono del tutto impotente".

Archés respirò a fondo:"Ho fatto la sola cosa che fosse in mio potere, dopo aver ordinato il blocco. Voi sapete, in che modo mio padre riceveva notizie dal mondo federale, e in che modo furono presi gli accordi che consentirono il mio viaggio a Polaris quasi vent'anni fa?"

I militari tornarono a guardarlo.

"Il re possedeva un impianto radio, all'epoca... ", gli rispose il Maggiore: "Poiché i federali usavano quegli strumenti per tenersi in contatto con i loro mezzi, navali ed aerei, noi pure usavamo la radio per controllare le loro comunicazioni, e assicurarci che non si avvicinassero ai nostri confini".

Archés annuì:"Infatti. Pur ripudiando tutto quello che sapesse di federale, non abbiamo disdegnato di sviluppare tutto quello che potesse servire alla nostra difesa armata. L'impianto radio di Ergon è sempre stato mantenuto operativo, ed è il mezzo grazie al quale ha potuto salvarsi il distretto industriale, pur essendo nel nord e assai prossimo alle zone dove è esplosa la malattia.

Infatti, appena mi sono fatto un quadro della catastrofe che si profilava, ho contattato via radio il distretto e ho ordinato l'isolamento completo. Poi, a recare questo stesso ordine ho inviato Tauro, all'oscuro della mia possibilità di comunicare altrimenti, e all'arrivo il comandante della mia scorta personale è stato imprigionato: il solo modo che avevo per impedirgli di tornare a morire a Glittica".

Corantin sorrise cupo. Sapeva già che solo questo spiegava come Tauro non fosse al fianco di Archés.

"Ve ne parlo, perché sappiate cosa ho dovuto fare per mettere Tauro in salvo; purtroppo non mi è riuscito altrettanto con Furius". E la voce di Archés si abbassò di un tono:"Furius era l'uomo designato a succedermi, se avessi lasciato in qualche modo il trono. Ora il peso passa a Tauro, perché Furius ha deciso che saremmo andati avanti insieme; ed è un tradimento quello che sta tentando di fare adesso, di precedermi".

Il silenzio, nel parco sembrò innaturale. Neppure uccelli, si sentivano fischiare, neppure in lontananza. "Comunque quello che dovevo dirvi è che ho usato la radio. Per comunicare col distretto, una prima volta. E per parlare con il governo federale, una seconda".

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