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cap. 68 La ' Brigth Horizon '

"Di quali possibili risorse voleva parlarmi con calma, capitano?"

All'invito del re, il giovane si era seduto, e nella quiete del parco aveva ripreso il filo del discorso cui aveva accennato prima che il re incontrasse Corantin e il Maggiore. Seduti vicini, accarezzati dal sole tiepido del primo pomeriggio, egli si era schiarito la voce.

"Il mondo federale è molto variegato, maestà. Aderiscono alla nostra comunità anche paesi ancora molto poveri, con una popolazione esigua, dispersa in territori enormi.

Per offrire a questa gente un sostegno sanitario che altrimenti mancherebbe, per l'impossibilità di costruire e sostenere grandi ospedali attrezzati in zone così isolate e deserte, la Federazione ha convertito alcuni anni fa la più grande nave mai costruita in presidio sanitario.

È stato allestito nel suo ventre il più grande ospedale del mondo, un'intera città galleggiante in cui vivono e operano specialisti di ogni possibile branca medica; decine di sale operatorie, laboratori attrezzati con la più aggiornata e potente strumentazione che la scienza abbia sin qui concepito.

La nave si ferma nei porti, e la popolazione accorre, e trova il meglio che si possa avere sul pianeta, anche se quel paese è ancora povero e arretrato.

Questa nave è una risposta geniale ed efficace, alle necessità cui non si può dare risoluzione immediata, perché certe situazioni richiedono decenni per evolvere finalmente in reale progresso".

Archés annuì. Aveva conosciuto bene la realtà di quasi un ventennio prima e benché le notizie non filtrassero, poteva immaginare il mondo attuale con buona approssimazione.

"La Brigth Horizon era assai lontana, quando abbiamo ricevuto la richiesta di soccorso dalla vostra terra", riprese il capitano.

"La nostra missione è stata allestita con assoluta urgenza, ma già si era temuto, dal quadro che emergeva da quel primo appello, che le forze da inviare si sarebbero rivelate assolutamente insufficienti. Si è deciso di interrompere il lavoro della Horizon e di ordinarle una nuova rotta.

È una nave immensa, e non velocissima; inoltre le particolari esigenze che andava ad incontrare hanno imposto un lungo scalo. Molto del personale è stato sbarcato e altri specialisti sono stati convocati, ed è stata offerta loro una preparazione più adeguata di quella data a noi in due giorni. Ormai la nave incrocia al largo delle coste Inuri, e se il re deciderà che è il momento, in pochi giorni potrebbe attraccare in un vostro porto.

Il dottor Brender avrebbe laboratori pronti a sintetizzare farmaci ben più adatti, sulla base di analisi molto più accurate. E il ponte della Brigth Horizon, così vasto da offrire possibilità di atterraggio ad aerei militari, darebbe modo di ricevere aiuti ulteriori.

Cibo, re Archés". E il giovane fece una pausa.

"Ma sappiamo che Inurasi ha risorse per attaccare navi nemiche. E sappiamo che comunque nessuno aiuto è possibile se chi ne abbisogna lo rifiuta con decisione.

Perché la nave accosti è necessario che non solo il re, creda in noi. La Federazione si è preparata, ma agirà solo se questo popolo vorrà salvarsi e non altrimenti.

Cosa fare ora, è cosa che va valutata con attenzione. La presenza del presidio militare è forse la risposta a molte preghiere, sue come nostre, re Archés.

Forse è il segnale che si deve infine condividere la responsabilità che finora è gravata interamente solo sulle spalle del re. Io la supplicherai di parlare di noi, per scoprire se veramente gli Inuri preferiscono morire così o accettare soccorso".

Questo era quanto l'aquila federale aveva detto ad Archés, ma a quel discorso erano seguiti giorni troppo intensi per rifletterci colla dovuta calma.

I militari si erano trasferiti sulla piazza senza  indugi  e si era provveduto a rotta di collo a preparare l'altro enorme palazzo da adibire a rifugio per i malati che si fossero riversati in città.

Gli avvisi affissi in giro già la sera stessa vi avevano guidato i primi, e Archés aveva seguito di lontano, col cuore stretto dalla pena, un gruppetto di figure entrare adagio nel portone spalancato.

Era stata presa la dolorosa decisione di far trovare loro solo istruzioni scritte. I medici federali non avrebbero comunque potuto parlargli e istruirli e un militare Inuri avrebbe dovuto rischiare il contagio.

Archés aveva voluto tentare quella soluzione, pur chiedendosi cosa sarebbe successo se chi arrivava non fosse stato capace di leggere.

Aveva scritto in calce alla lista di spiegazioni e ordini, la disposizione di esporre alla balconata di rappresentanza un drappo giallo, preparato allo scopo, per significare che i primi malati erano arrivati; e in realtà voleva assicurarsi con quel semplice stratagemma che tra i primi arrivati ci fosse almeno qualcuno capace di leggere e seguire le disposizioni loro lasciate.

Il drappo fu appeso e Archés respirò, perché almeno su questo veniva rassicurato. Un filo di fumo da un camino disse poco dopo anche che erano al caldo e che forse stavano mangiando. Cibo e calore dopo un viaggio disperato.

Ma il dottor Brender era venuto a tormentare Archés. Voleva visitarli; il re scuoteva il capo, la possibilità che capissero che non era Inuri era alta.

Ma quello insistette: impossibile curarli a distanza, lasciando loro farmaci e istruzioni senza avere idea almeno di chi avessero in cura. Età, peso, sesso, condizioni... senza quei dati non si poteva neppure tentare.

"Se andrete lì a visitarli, vi ricopriranno di domande che non capirete... ", aveva cominciato Archés angosciato. "Non posso parlare", gli aveva detto il medico in perfetto Inuri, cogliendolo di sorpresa, e aveva mostrato una targhetta con la stessa scritta che avrebbe portato sul petto.

Così, contava di aggirare l'ostacolo. Archés scosse il capo. Solo attraversando la piazza sotto lo sguardo delle sue guardie rischiavano di svelare a queste la loro identità: i medici Inuri erano tutti, prima, militari.

La stessa corporatura dei federali, tutti in media più bassi, e poco muscolosi, li denunciava. Lo disse sottovoce, quasi mortificato, che in quel suo paese tanto comunicasse l'aspetto fisico.

Ma il medico replicò che avrebbe atteso la sera, e che nella scarsa luce e in lontananza, la loro corporatura non avrebbe colpito. Quanto ai malati, sperava che per loro contasse poco, chi veniva a fare un veloce controllo, se portava medicine e un po' di speranza.

Archés avrebbe voluto impedirlo, temeva che il medico si esponesse a un rischio eccessivo, ma infine cedette. Comprendeva, che quello che si era fatto sino allora era stato ben insufficiente.

I pochi ammalati visti e seguiti erano stati una terribile sconfitta. La donna e il bambino, Onix e gli altri uomini di Ossidia. Titanio. Tutti erano morti malamente, nonostante gli sforzi. Archés non si illudeva, tra pochi giorni sarebbe scaduto il termine dell'incubazione per Furius.

Capì che il medico, dopo quaranta giorni di sconfitte in quella sua terra era più che angosciato. Lo lasciò andare

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