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cap. 65 Quindici anni non sono bastati...

"Un militare al cancello. Ha il drappo giallo". Archés e Leona si fissarono. La donna prese la balestra e accorse.

Era l'unica a poterlo fare, se non volevano che il re si affacciasse di persona a incontrare chi arrivava. I federali non avrebbero potuto parlare, la vecchia stava inchiodandosi. Camminava a malapena in cucina, e non era necessario essere medici per vedere che mentre Titanio peggiorava, lei perdeva le forze.

Leona sola quindi, poteva farsi avanti. Il militare la fissò sconcertato.

"Da dove vieni?", chiese la donna, ferma a distanza di sicurezza, balestra armata in pugno.

Quello esitò:"Chi sei?", gli chiese di rimando:"come puoi osare indossare quella divisa e parlarmi?"

"Sono Donna", gli rispose:"Sono guardia reale da oltre quindici anni, e per la voglia di giocare del dio dei venti, al momento sono la sola che posso fare da tramite tra il re e chi bussa a questo cancello.

Abbiamo dei malati, a Palazzo, e la scorta del re è ai minimi termini. Tu sei un guarito?"

L'uomo continuò a fissarla. Tutti sapevano che c'era stata una donna federale, che aveva finito il corso e indossato la divisa; ma poi era scomparsa nel nulla, e nessuno poteva seriamente credere che fosse ancora viva.

"Devo poter riferire al re chi sei e perché sei qui. Devi sforzarti di vincere il disgusto, uomo, per rispondermi. Considera che sono tempi in cui accade l'impossibile, e anche una donna è meglio che nulla, se occorre chi versi il suo sangue per il re", gli disse, per deciderlo a parlare.

"Non sono un guarito, né un malato", rispose il militare a fatica:"Mi manda il comandante del presidio di città. Sapendo che un drappo giallo è il lasciapassare, mi ha inviato a riferire notizie. E a fare una richiesta".

Leona lo squadrò:"Parla, e io riferirò al re".

L'uomo si accigliò:"Non vorrai... Io devo parlare col re, o con un ufficiale della sua scorta".

Leona riconobbe che l'uomo si comportava coerentemente con il suo ruolo. Certo, lei era meno del minimo, come militare, e pretendeva di interrogarlo!

"Il re non può esporsi al rischio di parlare con qualcuno che venga da fuori e che potrebbe portare il contagio. Quanto agli ufficiali... Non uno di loro può raccogliere il messaggio.

Tutti gli Inuri a Palazzo sono stati contagiati, tranne il re e una vecchia serva. Solo loro, io e i medici siamo ancora illesi; ma i medici devono rispettare assoluta prudenza, se vogliono sperare di vivere per continuare a cercare una cura.

Quindi sono, ti ripeto, la sola che può fare da tramite. Devi anticiparmi il senso delle notizie e della richiesta; io riferirò e,  se lo ritiene, il re parlerà con te".

L'uomo raddrizzò le spalle ed ebbe un movimento come volesse farsi avanti. Una freccia gli si piantò ai piedi, a un pelo dalla scarpa, e la balestra di Leona, con già il nuovo colpo pronto, si alzò lentamente, percorrendolo, bloccandosi all'altezza del petto: prova a muoverti, diceva con una chiarezza ben maggiore di ogni discorso, e ti passo il cuore da parte a parte.

Il militare si fece statua. Si scambiarono qualche complimento silenzioso con gli occhi, poi cedette:"Il comandante ha preservato con assoluta cura il presidio, finora, e nessuno di noi ha avuto contatto diretto con alcuno, se si eccettua l'uomo che venne dal palazzo circa un mese fa e che era sicuramente sano.

Ma ora le pattuglie avvistano fuori città un gran movimento di gente. Secondo gli ordini, gli ingressi a nord sono difesi, ma la situazione è grave.

Glittica non è circondata da mura, e chi vorrà, entrerà comunque; basterà aggirarla un po' per trovare qualche accesso da altre direzioni che non siano il settentrione.

D'altro canto la città stessa è, di fatto, deserta, fatta eccezione per il palazzo. E infine, quelli che non decidono di cercare un altro ingresso, semplicemente si siedono davanti al grande arco d'accesso e attendono visibilmente di morire di fame.

Il comandante, in mancanza, avrebbe rispettato gli ordini fino all'ultimo. Ma potendo, informa il re di queste circostanze, perché forse egli vorrà cambiare disposizioni".

Leona ebbe negli occhi gruppi di gente affamata e malata, ammassata, tra la rassegnazione e la disperazione, sotto il tiro delle balestre della Guardia, e abbassò lentamente la sua.

"La richiesta?", chiese con voce più bassa, perché fin lì quello  aveva riferito le notizie.

"Il comandante si chiedeva se anziché una difesa inadeguata di una città vuota, non potesse immaginarsi una più opportuna difesa almeno del Palazzo Reale".

Leona annuì:"Un'ultima cosa: devi assicurarmi che non puoi essere un potenziale contagio per il re, se ti concedesse un colloquio. Giuralo sul tuo onore".

L'uomo si irrigidì. Ma non era più sotto il tiro della balestra, e la donna sottintendeva che la sua parola d'onore valesse tanto, da affidargli l'incolumità del re.

"Che questa divisa bianca possa diventare rossa, inzuppata del mio stesso sangue, se osassi avvicinarmi all'uomo cui ho giurato fedeltà,  essendo per lui un pericolo", rispose.

Leona lo salutò militarmente:"Devo pregare il messaggero di attendere ancora, purtroppo. Riferirò ogni cosa immediatamente  e tornerò a fargli strada, se il re lo chiamerà a colloquio.

Devo precisare che, nascosto alla vista, vi è chi tiene il passaggio sotto tiro. Il re è ancora difeso, per quel minimo che è possibile".

L'uomo incrociò le braccia  e fece verso d'aver capito, come gli convenisse non muoversi di un passo.

Leona volò via. Archés, il capitano e il dottor Brender, la attendevano nel salone d'ingresso. Riferì la situazione, e i tre uomini ghiacciarono. Arrivava, infine, l'onda di marea.

Il re seduto, congiunse le mani in grembo e se le fissò.

"Archés", lo chiamò Leona dolcemente.

"Archés", ripeté inginocchiandosi e prendendogli le mani:"La richiesta del comandante del presidio è sensata, inutilmente si tenterebbe di fermare i disperati che accorrono a Glittica.

Abbiamo ben visto come sia possibile entrare in città, e anche nel palazzo. I militari del presidio potrebbero essere molto più utili qui da noi, invece che a presidiare il nulla".

Archés scosse il capo:"A Palazzo scoprirebbero i federali e sarebbe la fine".

Leona rimase silenziosa un istante.

"Potresti ordinare loro di occupare uno dei grandi palazzi che affacciano sulla piazza. Motivando la scelta con la presenza di malati. E potresti usare gli uomini per scegliere e preparare qualche altro edificio, da adibire a rifugio per quei disperati che sono fuori città.

Se non possiamo offrire loro ancora una cura che li salvi, possiamo almeno farli ricoverare al coperto, con del cibo, e un po' di legna da bruciare per non gelare.

L'esperienza del Centro Medico di Kargasa ci insegna, che i malati si possono assistere gli uni con gli altri, e che già questo è un conforto. Se non possiamo strapparli alla morte, evitiamo almeno che muoiano abbandonati per strada come cani randagi".

Archés chiuse gli occhi. 

 "E se poi infine decidessi di dire la verità alle guardie... loro sono la tua riserva, Archés, ti hanno giurato fedeltà assoluta... E hanno sotto gli occhi la rovina del loro popolo. Forse capirebbero, che hai tentato un'ultima disperata mossa  per impedire che Inurasi sia distrutta".

Il re riaprì gli occhi:"Più di quindici anni non ti sono bastati, donna, per capire che razza di popolo sia quello Inuri".

Leona sorrise:"No, Archés non mi sono bastati e non me ne basterebbero cento, per convincermi che non abbiano tanta intelligenza e cuore da aprire gli occhi sulla realtà.

La Federazione non è una minaccia, e in una tragedia come questa sta tentando con ogni sua possibilità di essere d'aiuto. Nelle parole del comandante c'è lo sgomento per la sofferenza a cui assiste impotente, e la preoccupazione che la disperazione rivolga quei derelitti contro di te.

Poiché ti conosce,  e si dimostra uomo di cuore, credo sarebbe dalla tua parte, in questo estremo tentativo, come Furius".

Archés la guardò angosciato:"E se invece non lo capissero, se lui e le guardie mi si ribellassero e attaccassero? Se costringessero i federali a difendersi?

Sono qui a portare aiuto, e possibilmente vita... cosa sentirebbero se dovessero uccidere, invece, e lottare per scappare armi in pugno... Io sono responsabile anche di loro, Leona".

La donna gli strinse le mani: "Ognuno deve affrontare le sue prove, Archés, anche i volontari federali che sono qui dovranno vivere ciò che il dio dei venti deciderà di mandargli.

Forse accecherà le tue guardie, e le scaglierà contro chi tende loro una mano, forse no. Tu non puoi fare di più. Però... guardati intorno, Inuri. Hai solo federali, vicino. Ti senti solo?"

Archés la fissò e la sentì vicina, sincera e amica, oltre ogni possibile dubbio.

"Questo è un colpo basso, donna. La mia fiducia non fa testo, sono un Inuri che ha avuto molto più di chiunque altro, ha visto e ricevuto cose che alla mia gente sono sconosciute.

Tu hai addosso cicatrici tali da sapere bene, invece, come siete considerati. Proprio perché non mi sento solo, e ho toccato con mano l'amicizia che i federali mi hanno offerto, mi considero responsabile di quanto accadrà loro...

Parlerò con la guardia al cancello", disse poi decidendo:"e proporrò agli uomini del presidio di trasferirsi sulla piazza, come suggerivi...

Quanto a offrire ai contagiati un rifugio, le scorte di cibo del palazzo sono generose, ma ignoro quanto a lungo potrebbero sostenere centinaia di persone... "

Liberò una delle mani dalla stretta di Leona e la passò ripetutamente sugli occhi, come quelli e il capo pulsassero dolorosamente.

"Alzati, sono io che sono ridotto in ginocchio davanti al dio dei venti, ad aspettare il colpo di grazia"

Leona si alzò lentamente. Ti sbagli, pensò, se credi che non sia in ginocchio accanto a te.

"Avete nulla da dirmi o suggerire", chiese al capitano e al medico.

"Se la popolazione sapesse", parlò allora il militare:"sarebbe possibile ricevere ulteriori aiuti... Cibo, ad esempio, razioni d'emergenza... e anche nuove scorte di medicinali, perché una massa di persone così numerosa esaurirà in breve quelli portati...

Nuovo personale... Noi siamo arrivati nel più breve tempo possibile, ma la Federazione ha altre risorse che richiedevano tempi maggiori per essere attivate. Tempi che sono trascorsi... Ora dipende dagli Inuri, accettare un aiuto che non può arrivare se non con il loro consenso".

Archés aggrottò la fronte:"Quali nuove risorse?"

Il capitano lo guardò sereno:"Ne ho avuto conferma questa mattina, ma ho bisogno di calma per esporre queste possibilità; dopo aver parlato con l'uomo in attesa, se il re vorrà concedermi del tempo, potremmo considerare la cosa.

Avvicinare il presidio ma tenerlo fuori dal palazzo credo possa essere intanto una buona soluzione, che ci dà il tempo di scegliere se rivelare o no la nostra presenza".

Il medico annuì, condividendo l'idea.

"Va a chiamare l'uomo", ordinò allora a Leona:"gli parlerò. Voi ritiratevi e fate in modo che non veda nessuno dei vostri".  

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