cap.63 Un ponte crollato
Il gruppo degli assalitori era stato falciato dalle mitragliette federali da pochi minuti, quando il dottor Brender lasciò correndo il microscopio per precipitarsi nel parco.
Il capitano, che lo aveva chiamato, si fermò a debita distanza dal cancello a cui quello si affacciò indossando la tuta, i guanti e la mascherina che normalmente lo proteggevano nei contatti con i malati.
Furius vedendolo attraversò la piazza; parlarono a lungo. Il capitano vide il medico scuotere il capo, più volte. Infine, tornò indietro solo. "È probabile che quel gruppo di uomini fossero contagiati. Dobbiamo prepararci, perché l'epidemia sta arrivando a Glittica.
Non è bene maneggiarne neppure i cadaveri, con il comandante abbiamo pensato che la cosa migliore sia bruciarli. Se ne occuperanno i nostri medici con le protezioni idonee.
Voi, capitano, sorvegliate il palazzo meglio che potete, perché questo episodio potrebbe ripetersi. Faccio strada al comandante, la possibilità che si sia contagiato consiglia prudenza. Al momento, certo non è a sua volta un veicolo di infezione, ma ha chiesto ugualmente di rispettare il protocollo di isolamento.
Preparo una stanza per lui e lo medico. Poi dovrò parlare anche con il re, e con la navigatrice. Non sono buone notizie, quelle di oggi...", e sorrise tetro, perché mai avevano avuto una sola buona notizia, da che erano arrivati, eccetto il contatto con il distretto.
Il medico preparò la stanza e Furius tornò nel palazzo lungo il percorso stabilito, benché il dottor Brender gli avesse assicurato che nella peggiore delle ipotesi, comunque non poteva diventare egli stesso fonte di contagio se non di lì a molti giorni.
"Forse non erano ammalati", gli aveva detto per prima cosa, quando Furius gli aveva raccontato l'accaduto. Ma Furius gli aveva descritto il vomito emorragico dell'uomo che gli aveva dato appuntamento nel regno delle ombre.
"Forse la stoffa del pantalone ha impedito un contatto diretto"; ma Furius ricordava il calore della mano sulla ferita, lo strappo nella stoffa era largo.
"Forse il contatto è stato minimo, insufficiente; non possiamo escludere che sia successo, ma ancora non sarei per credere che il virus sia già al lavoro". E poi:"Perché?", aveva chiesto senza potersi trattenere. Perché un uomo doveva cercare intenzionalmente la rovina altrui?
Furius si strinse amaro nelle spalle:"Odio. Il suo sguardo da solo diceva più delle parole. Per quale motivo poco importa.
Forse era una vittima, forse delle guardie hanno disonorato la divisa, abusato del loro potere, inflitto delle sofferenze ingiuste, esercitato prepotenze odiose.
O forse era un carnefice, un ricercato, un condannato liberato dai compari. Davvero poco importa. Quello che conta, è che forse sarò presto io stesso pericoloso.
Se non subito, presto; ignora lei stesso, dottore, quando. La sola cosa ragionevole, quindi, è ricorrere subito l'isolamento, come per Titanio.
Se la maledizione di quell'uomo fallisce, tra venti giorni sono fuori. Se il colpo gli è riuscito, nessun altro dovrà pagare la mia imprudenza. Ho lasciato mi cogliessero di sorpresa, come un novellino. Mi vergogno della mia stupidità, e solo per questo merito che quell'uomo mi attenda soddisfatto sulla soglia dell'inferno".
Ora nel pomeriggio che inoltrava, il medico disinfettava e fasciava rapido lo sfregio allo stinco in una delle stanze con il vetro-finestra sulla sala di controllo.
Il capitano, predisposto un nuovo turno di sorveglianza, vi aveva portato il re, cui aveva tentato di presentare l'accaduto nel modo meno traumatico e meno allarmante possibile.
La disperazione di Leona gli aveva fatto immaginare che il legame fortissimo col Signore di Chiura avrebbe spezzato anche il re, già così provato da tutto.
Aveva usato tutto il cuore che aveva, il giovane, nel parlargli; Archés aveva colto la compassione sincera che lo spingeva, l'affetto che provava per lui; il capitano, in pochi giorni, gli si era affezionato in modo incredibile.
D'altro canto Archés conosceva i federali: sapeva che ve ne erano di ogni pasta, come gli Inuri. Questo aveva un cuore grande, una mente lucida e un'anima generosa.
Per riguardo a lui Archés contenne la sua reazione. E lo fece anche perché quello era l'inizio della fine, e voleva affrontarlo in piedi.
Furius l'avrebbe fatto, e lui non voleva essergli da meno; dalla sala, lo considerò cupo lasciarsi medicare la gamba. Attese che il medico finisse e poi seguisse le norme di igiene previste, benché Furius non potesse essere ancora una fonte di contagio.
Forse non lo sarebbe diventato affatto, come spiegò poco più tardi il dottor Brender al re, perché non era detto che fosse bastato quel minimo contatto per infettarsi. Tuttavia il pericolo sussisteva, e il comandante per primo aveva voluto ricorrere subito a quelle precauzioni.
Per una ventina di giorni avrebbe vissuto appartato, ma non era comunque il caso di trarne conclusioni catastrofiche.
Anche il medico, comprese Archés, temeva che lui crollasse. Respirò profondamente. "Bene", disse, "Il capitano mi ha riferito che i suoi medici hanno dovuto improvvisarsi becchini e provvedere a un rogo funebre.
Mi duole che tutto sia così sporco e duro, state affrontando una prova pesante e ve ne state dimostrando pienamente all'altezza. Non io, ma il re dei venti, lo segnerà a vostro credito.
Ora è bene che mi occupi della donna. La vostra navigatrice è una creatura singolare, capace di sentimenti inspiegabili. La sua devozione al Signore di Chiura è molto profonda e il pericolo di vederlo morire la ferirà ben più che se fosse lei, in prima persona, a rischiare".
E lasciata la sala, si diresse in cucina. Trovò Leona spossata, davanti a una tazza di tisana ormai fredda; Archés ordinò con un gesto alla vecchia di lasciarli e le si sedette accanto.
Raccolse in silenzio le idee.
"Ho parlato ora con il dott. Brender", le disse poi, "ha medicato Furius e lo ha portato in una delle stanze per l'isolamento. Non può escludere che si sia infettato nonostante la sua ferita allo stinco sia a malapena un graffio. Non lo considera probabile, comunque, e la prudenza che Furius per primo ha preteso di osservare non deve abbatterci. Tra una ventina di giorni, potremo tirare un sospiro di sollievo".
Leona rimase silenziosa. Archés la considerò con tristezza. Questo era quello che chiunque avrebbe potuto dire, ragionevolmente parlando. Ma lui la conosceva ben oltre chiunque.
"Tu senti che ha pescato una carta nera, vero?", aggiunse con una voce appena udibile.
Leona alzò gli occhi. Archés era lì. Da quanto tempo non era con lei? Da quanto tempo si incrociavano senza essere nello stesso luogo... non quello fisico, dove tutti potevano essere, ma nel luogo del cuore, dove si è soli con le persone che sanno come entrare nella tua anima. Da quanto tempo...
Leona lo guardò smarrita.
"Non temere, so che sei la donna di Furius", disse Archés come se lei avesse parlato. "Puoi appoggiarti a me senza timore", e sorrise tetro. "Tauro diceva che il tuo istinto per il pericolo era infallibile e, se fosse vero, Furius lo abbiamo perso. Ma forse, Leona, questa volta a parlare non è l'istinto, ma la paura!"
Leona inghiottì ripetutamente.
"Questi giorni saranno lunghi per Furius, chiuso in una stanza. La nostra disperazione, al di là del vetro, li renderebbe una tortura ancora più insopportabile", continuò il re. "Dobbiamo controllarci, donna, e possibilmente impedire che a parlare sia solo la paura. Hai visto, quando siete arrivati, in che pozzo mi aveva sprofondato, la paura! E di nuovo, quando Titanio mi ha portato notizie di Kargasa. Ora non posso più caderci.
E tu, anche, dovresti impedirti di lasciarti dominare da lei. So bene che anche il tuo coraggio spaventoso ha un limite. Ma davvero, è necessario per Furius che tu riprenda a combattere. E dal momento che la solitudine è la peggiore delle consigliere, puoi starmi vicino se vuoi.
Ci conosciamo bene, noi due, e direi che possiamo contare su una reciproca solidarietà. Ci siamo feriti a vicenda e credo perdonati sinceramente, anche. Ora possiamo sostenerci, se vogliamo. Furius è molto importante anche per me. Intendo restare in piedi, questa volta, ma non dubito che avrò momenti in cui mi sentirò impazzire di angoscia. Ti sto chiedendo, e offrendo, aiuto".
Leona chiuse gli occhi. Aiuto da Archés. Per sopportare Furius che moriva. Con quello che provava ancora per lui. Scosse la testa confusa.
Archés le prese le mani ghiacciate. "Farò attenzione; so che sei vulnerabile, e sul mio onore non ti sto offrendo amicizia per riprenderti. Furius mi giocò questo scherzo, ma non sapeva cosa provavo. Io lo so, invece, cosa siete l'uno per l'altra e non oserei mai mettermi tra voi. Ti voglio bene, Leona, e puoi fidarti di me", e si chinò ad alitarle sulle mani, e poi a strofinarle per scaldarle, in un gesto istintivo che si fa con i bambini quando il freddo dell'inverno li fa tremare.
La donna chiuse gli occhi, poi senza resistere a quel viso così vicino alle sue mani, passò a sfiorargli il volto con i polpastrelli.
Come i ciechi, prese a seguirne il contorno; disegnò con le dita l'arco delle sopracciglia, sentì gli zigomi, la curva della mascella, poi il profilo deciso del naso; a stento Archés intuì che disegnava le labbra, passando così leggera che neppure lo toccava.
Fu la sua volta, di inghiottire.
"Mi riconosci?", chiese.
"Sì, Archés", e Leona tornò ad aprire gli occhi. "Ti riconosco. Sei certo di quello che hai detto?", e ora si guardavano come la notte delle destinazioni, quando non si mentivano su nulla. "Perché io ho sentito che non ti avrei mai più avuto amico, che il ponte era crollato e la strada interrotta irrimediabilmente.
E anche quando Furius è riuscito a farci parlare, appena arrivati, abbiamo pur sempre stabilito che era una finzione, che ci serviva per sopravvivere; ma entrambi abbiamo chinato gli occhi di fronte a qualcosa che ci separava troppo profondamente, per essere rimediato. Ma ora... " E che ora fossero nuovamente uno accanto all'altro sembrava così reale!
"Ho avuto molto poco, dalla vita, di ciò che desideravo, Leona", mormorò allora Archés. "Ho riflettuto e deciso che almeno la tua amicizia la pretendo. Almeno quella e almeno ora. Senza togliere nulla a Furius, e senza lasciare che un orgoglio stupido mi tolga l'ultima cosa bella che posso godere. Dove si sia smarrito l'amore che provavi per me non lo so e non ha più importanza. Sei mia amica?", e gli occhi di Archés le sondarono l'anima come un tempo.
Leona quasi crollò. Che non veda tutto! Non deve scoprirlo ora... Il pensiero balenò rapido e si precipitò a chiudere l'ultima porta. Ma molto sentimento era già sfuggito.
L'uomo sospirò. Fu un bene, quel tentativo di Leona di abbassare gli occhi all'ultimo momento. Archés vide che provava ancora per lui un affetto smisurato.
Immaginò che fosse vergogna per il passato tradimento, l'improvviso pudore che l'aveva fatta ritrarre. E anche il pensiero di Furius.
Confusamente, forse a Leona quel suo sentimento per Archés pareva irriguardoso, nei confronti del suo uomo.
"Questa volta, Leona, non ci separano più, fino alla fine. Il ponte lo abbiamo ricostruito a forza di sofferenza, non credi?"
E Leona annuì silenziosa e gli strinse le mani.
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