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cap. 57 Onix di Ossidia

Il giovane capitano bussò contro il telaio della porta per attirare l'attenzione di Furius, seduto truce a una grande scrivania, intento a fissare una carta geografica del Nord d'Inurasi.

Furius alzò gli occhi. Il federale non entrava neppure nella stanza, senza un suo cenno. Furius brontolò cupo, come un vero orso. Il giovane attese ancora, benché avesse visibilmente da comunicare cose importanti.

Furius fu costretto a rispondere più civilmente:"Cosa accade?"

"Un uomo è al cancello, comandante, con un drappo giallo. Neda sta avvisando i medici".

Furius si alzò di scatto. Si era convenuto che in tale evenienza, lui si sarebbe fatto incontro alla persona portatrice di una tale speranza, finalmente!, e avrebbe fatto da portavoce. Gli era stata raccomandata grande prudenza, comunque, perché un guarito poteva restare portatore di infezione per un certo tempo, dalla remissione dei sintomi.

Quindi un isolamento precauzionale sarebbe stato comunque osservato e Furius era stato istruito a mantenere la dovuta distanza, anche nel salutare e fare strada verso la zona destinata ai malati.

Nell'accorrere al cancello, Furius incrociò il dottor Brender che si aggiustava una mascherina, e quello ancora lo ammonì: prudenza! Furius si fermò a una decina di metri dall'uomo:"Vieni avanti", gli disse.

E quello spinse il cancelletto ed entrò, fermandosi nuovamente. Ora, se quello era un uomo guarito... Furius inorridì perché era visibilmente devastato, e debolissimo.

"Da dove vieni?", chiese a voce forte, perché era istintivamente arretrato, mantenendo il distacco.

"Da Ossidia. E nonostante il drappo non sono guarito".

Furius gelò. L'uomo doveva forse essere una persona autorevole, perché i gradi della sua divisa non lo aveva intimidito più di tanto. "Sono sceso a Kargasa in cerca di soccorso... ", continuò quello:"...quando ho accusato i primi sintomi; ma presso il Centro Medico ho trovato solo rassegnazione, e non più un solo medico vivo.

Mi è stato riferito però, che una cura si tentava a Glittica e che si cercava qualcuno che fosse riuscito a guarire. Mi hanno detto che in tal caso un drappo giallo l'avrebbe fatto arrivare al Palazzo Reale senza ostacoli.

Allora mi sono detto che, anche senza essere una persona guarita spontaneamente, avevo il diritto di venire a chiedere aiuto. Voglio essere curato. Per questo, sono venuto".

Furius lo fissò concentrato:"Non muoverti", disse poi, facendo cenno al medico; e allontanatisi alquanto i due scambiarono sottovoce poche parole.

"Mi sembra che abbia ragionato assai lucidamente", commentò Brender, alla traduzione del dialogo appena svoltosi in Inuri. "Ditegli di seguirmi mantenendo la distanza e di non impressionarsi troppo; vogliamo evitare il contagio ma tenteremo tutto il possibile".

Furius si voltò verso l'uomo:"Hai fatto bene a venire. Purtroppo la malattia è molto aggressiva e finora non abbiamo ottenuto molto, ma un uomo così deciso a combattere parte con una possibilità in più.

Segui il medico, che come vedi ha una mascherina per non respirare l'aria quando tossisci, ed eviterà anche di parlare... Non impressionarti, riceverai cure silenziose ma, speriamo, utili".

L'uomo guardò la figura con la maschera e non si mosse.

"Non sono solo", aggiunse dopo qualche istante.

Furius si accigliò:"che significa?"

"Sono venuto a Glittica con un gruppo di ammalati di Kargasa. Quattro uomini e tre ragazzi. Erano lì anche loro in cerca di aiuto, e siamo venuti tutti. Loro però sono rimasti fuori della città, anche perché avevano bisogno di riposo.

Non mangiamo da due giorni, non c'è più quasi nulla, in giro; chi ha cibo lo nasconde bene e chi non ne ha, ruba o muore di fame. Noi non siamo ladri, ma io solo mi sono sentito la forza di camminare ancora fino a Palazzo.

E d'altra parte, abbiamo anche temuto che l'accoglienza fosse amara, avendo falsamente usata l'insegna gialla".

Furius respirò a fondo; tornò a parlottare sottovoce con il federale, poi ripeté all'uomo di seguire il medico.

"Mi occuperò di parlare col comandante del presidio perché faccia passare i tuoi compagni. Porterò loro cibo per farli rinfrancare un po' e poi li guiderò fin qui. Abbiamo posto anche per loro. Devo sapere altro?"

E l'uomo scosse il capo.

"Segui lui, anche a te sarà dato del cibo... Se non sei il primo che è guarito spontaneamente, vediamo di fare di te almeno il primo successo dei medici".

Così, pochi giorni dopo aver perso la madre e il bambino, i medici ebbero nuovamente ammalati per seguire.

Uomini, questa volta, ma arrivati già molto gravi, da stupire avessero trovato la forza per quel viaggio.

Onyx, l'uomo che aveva portato lo straccio giallo, era in realtà sceso a Kargasa perché certo d'essersi contagiato, ma senza ancora sintomi. La febbre era cominciata lì, e l'aveva spinto a muoversi prima che gli mangiasse ogni forza. Pure, a piedi, erano occorsi giorni ed era arrivato per miracolo.

I suoi compagni, erano in condizioni perfino peggiori. I federali strinsero i denti. Usarono dosi massicce di tutto ciò che avevano. Febbrifughi, per abbassare quelle fiamme che li divoravano; antiemetici, per impedir loro di vomitare l'anima.

Tentarono di rimettere liquidi nelle loro vene, e antiemorragici, perché sanguinavano spontaneamente, orinando o tossendo.

Persero i primi già in due giorni. Riuscirono a far sopravvivere gli altri qualche giorno in più, rispetto a quanto sarebbe loro riuscito senza assistenza. Impedirono anche pietosamente che spasmi dolorosi li torcessero prima della fine.

Ma a nessuno il poco tempo in più bastò a sviluppare difese sufficienti a far regredire il male. L'uomo di Ossidia morì per ultimo, ormai senza conoscenza da due giorni, con Titanio che faceva per lui quello che i medici gli indicavano, per evitare loro al massimo contatti. E quel giorno   stesso, che il cuore di Onix fermava la sua corsa,  brividi di febbre dissero che Titanio era ormai ai primi sintomi, avendo concluso l'incubazione.



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