cap. 54 Un coltello alla gola
"Hai preso qualche decisione su quel che potremmo ancora fare, Archés, dopo aver esaminato quei documenti?"
Furius tentava di riportare il re indietro, al loro tempo e al loro luogo, qualsiasi fosse quello in cui la sua mente si era avventurata e persa.
Archés scosse il capo. "No, Furius. Non ho saputo immaginare nulla d'altro che si possa tentare, ancora, in questa situazione. Ma tu hai certo qualcosa da suggerirmi...", e non sembrava sarcasmo; piuttosto, consapevolezza di non essere affatto lucido, e fiducia che Furius gli fosse così superiore, da vedere possibilità che a lui sfuggivano.
Il Signore di Chiura lo fissò inquieto. Sembrava tornato a quella spossatezza in cui l'avevano trovato appena arrivati, prostrato dalla disperazione.
"Pensavo... ", prese a dire, perché nelle ore trascorse in attesa aveva effettivamente riflettuto a lungo, su quelle relazioni:"... che avevi previsto che il male sarebbe dilagato fulmineo, distruggendoci in un paio di mesi... ma i tuoi ordini lo hanno rallentato, guadagnandoci tempo prezioso".
Archés fece un gesto vago. "Avanza più lentamente, sì, ma sembra sempre inarrestabile", commentò.
"Vero, ma pare che diverse comunità abbiano saputo chiudersi efficacemente, al tuo comando... non solo le valli come Chiura, con un unico accesso ben individuabile e difendibile; anche in zone devastate come Kargasa, ci sono grandi palazzi, quasi dei fortini dove piccoli gruppi hanno saputo organizzarsi e sopravvivere... "
Archés non reagì.
"Ma questo ci pone un problema che dobbiamo tentare in ogni modo di risolvere", e la voce di Furius gli fece alzare lo sguardo. Era cupa, dolente ma decisa:"Stanno lottando, Archés! Ma avevi indicato loro un orizzonte iniziale breve... invece anche resistendo due o tre mesi, alla fine le scorte finiranno e la malattia sarà ancora in agguato.
Dovremmo trovare il modo almeno di far avere loro notizie, per dargli la forza e il coraggio di resistere ancora. E poi in qualche modo, quando andranno a esaurirsi le scorte, trovare un modo per aiutarli".
Archés tentò di scuotersi:"Non... vedo come arrivare a scambiare notizie con loro... e ancora meno come ottenere di far loro avere cibo".
Furius si fissò truce le mani:"In un paese federale questo sarebbe possibile...", constatò amaro.
Archés sospirò appena:"Loro avrebbero impianti radio... E aerei, e paracadute".
"Nel distretto industriale non abbiamo nulla di simile, vero?", chiese Furius a denti stretti.
Il re scosse la testa:"Gli unici mezzi a motore sono alcune imbarcazioni che sorvegliano quei tratti di costa accessibile, sull'Oceano che ci separa dalle terre federali più vicine".
Furius annuì cupo, lo immaginava. "La costa... ", mormorò però.
"Le città sul mare ", disse poi a voce più forte:"Quelle dovrebbero poter essere raggiunte... e forse lì la popolazione sta resistendo bene: hanno il mare che le protegge su un fronte, e che offre molto cibo che non viene dai mercati dell'interno.
Se contattassimo il distretto industriale, potremmo incaricare le imbarcazioni di percorrere la costa e comunicare con le popolazioni delle città marinare. Pur senza sbarcare, un modo si troverebbe: l'idea dei messaggi legati alle frecce era semplice ed efficace, per esempio".
Archés aveva lo sguardo smarrito:"Non so come contattare il distretto industriale".
"Leona non è un tecnico, ma è riuscita comunque a far funzionare la radio", replicò Furius:"I federali arrivati hanno un loro apparecchio e forse una preparazione tecnica tale che, con loro aiuto, potremmo riuscire a riattivare la nostra... tentiamo!"
Archés annuì con aria smarrita:"Va bene, parliamo col giovane capo delle Aquile. Pensi potremmo fare altro?"
Furius si accigliò: Archés era passivo, senza forze, un fantasma. Si alzò e si affacciò al corridoio. Scambiò due parole con qualcuno fuori, richiuse e tornò a sedersi.
"Se potessimo parlare col distretto... Dispongono di altri apparecchi radio? Le navi, per esempio, hanno un modo per comunicare con la base quando sono in navigazione? E se non via radio, c'è almeno un codice militare già in uso... Segnalazioni luminose... Qualcosa?!"
Archés lo guardò incerto; gli pareva, si, ma faceva fatica a ricordare e anche a immaginare di che utilità potesse offrire un codice di segnalazione... Chi doveva segnalare, e a chi altri?
A un bussare discreto, Furius andò ad aprire.
"Devi aiutarmi", disse sottovoce a Leona facendola entrare:"Devi dirmi perché è in queste condizioni".
Leona stupita entrò e posò gli occhi su Archés. Quello ne incrociò lo sguardo un attimo, poi d'istinto lo sfuggì rapido, come se potesse realmente leggergli nel pensiero.
"Gli avevo portato le relazioni di Titanio su Kargasa... E dopo l'ho trovato così", spiegava Furius sottovoce, come al capezzale di un malato.
Leona guardò le carte. La reazione istintiva di Archés le indicò che quello che aveva, lei avrebbe potuto vederglielo dentro senza difficoltà...
Era qualcosa di grande, di molto doloroso, qualcosa che lei forse doveva poter immaginare più di Furius...
Kargasa. Chi veniva, di loro, da Kargasa?
Leona chiuse gli occhi, frugando nella memoria: brandelli di frasi... nelle docce tra ricordi bollenti... nella sala comune, tra la paura d'esser messa in mezzo... in dormitorio fingendo tranquillità...
Kurt dal mare, Tauro da Glittica, Furius, Ilruik...
Poi di colpo, due occhi seri la fissarono tranquilli. Un lungo bastone disegnò lento nell'aria una traiettoria, fermandosi sulla sua pelle senza colpirla. Tornò nella posizione iniziale. E mentre lei imitava il colpo, andò lento a incrociarlo, insegnando.
"Ardesio!", il nome le sfuggì come un fiotto di sangue sotto l'affondo feroce di un coltello.
Archés sembrò rattrappirsi ancora.
Furius rimase ghiacciato. Poi gli si sedette piano di fronte:"Ardesio è a Kargasa?"
Se quello era ciò che l'aveva sconvolto, doveva dividere quel dolore con loro. Non poteva reggerlo da solo. Non anche questo.
"Archés, tu sai che Ardesio è in città?"
Archés sembrava troppo debole, per parlare.
"Era su al Nord", rispose infine a fatica:"Mi aveva appena mandato dei documenti importanti, comunicandomi che aveva concluso il lavoro che gli avevo affidato, e che restava a mia disposizione.
Stava costruendosi un palazzotto nel nord verso Ossidia, ma la famiglia, quando lui era in giro, la lasciava a Kargasa. I figli in collegio, le donne e le bambine presso la loro famiglia d'origine.
Lui stesso era ospite d'onore in quel palazzo, quando non era in missione, presso una delle casate più potenti della città".
"E il loro palazzo... non è tra quelli in cui si resiste ancora?", chiese Furius, e lo vide scuotere appena il capo.
Allora capì. "È quello che è stato assalito e distrutto?", ed era ovvio, che fosse quello!
Titanio doveva aver avuto incarico di cercare notizie e ne aveva riportate di terribili.
Leona intanto, faticava a respirare. Allungò la mano verso il tavolo, nell'appoggiarsi rovesciò qualcosa; cercò di battere le palpebre perché le sembrò di avere le vertigini, di vedere appannato, e di ondeggiare.
Perse l'equilibrio e solo i riflessi di Furius le impedirono di sbattere malamente. Finì in ginocchio con il braccio di Furius che le bloccava il torace, il viso a un palmo dal solido legno del mobile. Leona tentò di prendere aria, lo fece due, tre volte. Infine la stretta si sciolse, e la vista tornò limpida.
Intanto, Furius diceva delle cose. Leona lo sentiva a malapena.
"Scusa", mormorò, perché capì che imprecava.
"Bell'aiuto Leona. Perfetto. Già bastava Archés, ad arrendersi. Che accidenti vi piglia, credevate che fossimo tutti invulnerabili? Invece ci andiamo, a far compagnia alle ombre. Maledizione, Leona, respira, stupida donna!"
Leona ricacciò le lacrime: "Scusa", cercando di rialzarsi, e ritrovandosi seduta. Furius ce l'aveva messa di forza, seduta, e ora versava un dito di liquore, e sfogava rabbia e dolore facendo tremare i cieli.
"Bevi", le intimò, e Leona riebbe negli occhi Archés, furioso, che le cacciava in gola il liquido dopo la marcia nella neve, mentre Ardesio le strofinava le spalle.
Ardesio. Leona risentì la sua voce, così vicina e distinguibile tra le altre mentre giuravano. Non l'aveva più visto da allora.
Padre, implorò, è veramente morto?
- Non posso saperlo, Leona, sono solo la tua coscienza - le rispose.
Non è vero. Tu hai parlato anche a Furius. Ti prego, so che potresti dirmelo, è veramente morto?
- Sei impazzita, Leona? Credi davvero di parlare con l'oltretomba? Chiediti piuttosto perché vorresti saperlo... -.
Leona bevve un sorso.
"Titanio ha visto il cadavere? Qualcuno gli ha detto di averlo visto morto?", chiese poi, e la sua voce aveva una nota strana, roca, lenta. Alzò gli occhi su Archés:"Sai per certo che sia morto?"
Quello scosse la testa.
"Allora è vivo. Mi senti Archés? Allora per noi è, e deve essere, vivo. Non possiamo arrenderci prima, non possiamo tirarci indietro. Dobbiamo fare la nostra parte e lottare per portargli aiuto. Il dio dei venti non deve avere scuse, nessun alibi: se vuole strapparcelo, deve farlo di forza, abusando del suo potere di dire l'ultima parola contro ogni sforzo umano.
Con noi non avrà altra scelta, perché per Ardesio non mi arrenderò finché non ne vedrò il cadavere. E voi farete altrettanto".
Posò il bicchiere con forza e lasciò che tutto il dolore, e tutta la paura che viveva da quando era arrivata in quel paese, che era talmente tanta, talmente tanta da riempire un oceano, diventasse rabbia.
"Ora basta", e la sua voce ricordava il timbro di Furius:"Ora basta, subire. Ora noi andiamo a prendercelo, Ardesio. Lui e i suoi figli. E vediamo se ce la fa a fermarci, il dio dei venti!"
Archés la fissò, e sentì pena per lei. Ma Leona non era impazzita, non del tutto, almeno.
"Dobbiamo reagire, Archés, non capisci? Ci tiene il coltello alla gola... Ilruik... Tauro... Ardesio... Fidelio...", e ansimava, "Se cominciamo a chiederci dove sono, se sono vivi, se si sono ammalati... Ci fermeremmo come sotto la minaccia di un'arma alla gola.
È questo che sta facendo... chiamalo caso, chiamalo destino, chiamalo Dio... Ci sta ricattando! Ma io non starò a subirlo. Io non glieli lascio in ostaggio, sperando che abbia pietà.
Io non mi arrendo, Archés, e tu e Furius neppure, lo farete. Finché non lo vedrò gelido in una bara, per me Ardesio è vivo, e non me lo lascerò strappare così. Non lo lascio andare via".
E la furia che metteva nella voce e i pugni chiusi, che puntava sul tavolo contrastavano stranamente col viso bagnato di lacrime.
Archés diede dei respiri profondi, cercando di riprendere lucidità:"Non so per certo che sia morto, è vero... Ma in quel palazzo doveva essere... In quella città... E sperare che sia vivo altrove sarebbe sperare in un miracolo... "
"Quando c'è stata Leona di mezzo, miracoli ne abbiamo già visti", gli ricordò Furius.
Archés tornò a fissarla. Già, alcuni miracoli li avevano visti.
"Va bene", disse sottovoce:"hai ragione; ad Ardesio questo lo devo. Aveva fiducia in me, e se come re non non riesco più a stare in piedi, almeno come amico devo avere abbastanza spina dorsale da lottare ancora. Va a chiamarmi il capitano federale", ordinò a Leona;
"Col medico", aggiunse, "parleremo e sentiremo cosa abbia da suggerire ancora per la lotta alla malattia. Intanto noi cerchiamo un modo di raggiungere quelli che resistono nel Nord, senza essersi ammalati, e magari anche pensiamo a un modo di scambiare notizie col sud".
La donna si asciugò il viso sulle maniche e si alzò, sistemò la giacca, uscì. Tornò col capitano in una manciata di minuti.
Mentre lo guidava veloce, quello la guardava colpito dall'espressione di sofferenza che non aveva potuto cancellarsi dal viso.
"Avete esaminato la relazione di Titanio?", chiese con cautela.
La navigatrice assentì.
"È possibile che le notizie siano ancora più terribili di quanto ci si aspettasse?", chiese ancora.
La donna non rispose, facendogli strada.
Poi si fermò di colpo, e si girò verso di lui:"La situazione è terribile, sì. E poi... può accadere che tra le altre, si mescoli una vita che ci è più cara, e allora quel che le accade ferisce in un modo che è quasi ingiusto.
Perché davanti a tante vittime, è ingiusto che una sola ti distrugga; perché dovrebbero essere tutti uguali, gli uomini, per chi ha un ruolo, una divisa, un compito da assolvere. Ma invece, siamo persone, non divise".
Il capitano la fissò addolorato:"C'era in città una persona particolarmente cara?"
Leona ingoiò a fatica:"Avrebbe dovuto. Vorrei che avesse riguardo per un dolore che il re dovrà sforzarsi di dominare, e non lo giudicasse debole per questo".
Il capitano sorrise amaro:"Credo di aver visto a sufficienza, da sapere di che tempra siano fatti, il re e il signore di Chiura. E la loro parte migliore è di non essere divise, ma uomini che indossano una divisa.
Mai avrei osato comunque giudicare; sono onorato, però, che una persona che stimo straordinaria mi tratti con amicizia e mi confidi un dolore. Sto sforzandomi di rimanere razionale, ma quando tutto questo sarà finito, so che avrò nostalgia, di questa gente".
Leona lo guardò negli occhi, e vide qualcosa di familiare. La curiosità, la cordialità, la voglia di amicizia. Bravo ragazzo, pensò.
"Siamo alla disperazione, capitano, proprio sull'orlo. Abbiamo molto bisogno... Moltissimo bisogno, che qualcuno ci dia coraggio", disse senza vergogna, e il giovane abbassò gli occhi.
"Farò ciò che posso, sono solo un giovane di poca esperienza... Ma le giuro, navigatrice, che ci metterò tutto il cuore che ho".
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro