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cap. 49 L'educazione delle Nobildonne Inuri

Ardesio restò col respiro a metà. L'eco delle parole di Maya lo stordiva:"Mi dimostrò così, che potevo vivere senza correre".

Ebbe voglia di chiedere se scherzava, ma l'espressione di lei gli disse che no, non scherzava. Si forzò a respirare nuovamente, perché lo stomaco gli si era chiuso, e aveva qualcosa che gli premeva sullo sterno.

"Ti tenne a lungo, in quella condizione?", chiese poi, e la voce gli uscì forzatamente calma.

"Un po'", gli rispose.

"Tenevi il legaccio sempre?"

"Sempre sì, giorno e notte. Così mi abituavo prima, disse".

"Per un po'... quanto?", volle sapere meglio Ardesio.

"Un anno circa, credo", gli rispose, pacata.

E Ardesio sentì in bocca un sapore strano, una saliva amara.

"Dopo qualche mese mi chiese se desideravo ancora correre, e io, che ancora a volte inciampavo alzandomi, per affrettarmi alla finestra a spiare il cortile quando sentivo voci nuove, curiosa di guardare... Io alla domanda diretta fui costretta a rispondere di si. Così il laccio rimase al suo posto.

Quando dopo altri mesi mi chiese ancora cosa desiderassi, risposi che desideravo essere sciolta, per camminare meglio. Non mentivo, e questo era finalmente un desiderio adeguato, perché non avevo detto correre, ma camminare.

Vedi, Ardesio, Taima aveva trovato un modo intelligente per dire la verità facendosi apprezzare: se ci stava insegnando a leggere, e poi chiedeva a Taima cosa desiderasse, lei semplicemente affermava che desiderava leggere bene, che era vero, perché così non veniva rimproverata e quello lo avrei voluto anche io.

Ma io avevo sempre inteso la domanda in senso diverso e immaginavo volesse sapere cosa desideravo fare, che mi piacesse. Per questo, sbagliavo sempre. Alla fine, esasperato, l'istitutore disse a mio padre che doveva ricorrere a mezzi più drastici.

Non c'era possibilità di farmi venire fuori quello che, evidentemente, mancava. Gli dispiaceva. Ebbe il permesso, e curò comunque di usare metodi che non lasciassero cicatrici".

Ardesio ingoiò:"Spiegati", disse pianissimo.

Maya si strinse nelle spalle:"La frusta, o il bastone, avrebbero lacerato e non andavano bene. Usava un asciugamano arrotolato, inzuppato d'acqua. Fa assai male e lascia grossi lividi che però guariscono senza tracce. Diventai immediatamente migliore, dopo questo".

Ardesio continuò ad ingoiare.

"Era così doloroso, che la paura superò quella del dolore che temevo mi infliggesse leggendo nel pensiero. E mi decisi a mentirgli. E così migliorai subito, naturalmente".

Ardesio socchiuse gli occhi:"Mi dispiace", disse.

E davvero, provava un dolore cupo all'idea di quella bambina spaventata, che imparava a nascondersi dietro le bugie.

"Non fosti più punita?", chiese guardandola triste.

"Pensai che avrebbe capito che non ero sincera, se all'improvviso fossi diventata un'altra", gli rispose." Quindi di tanto in tanto dicevo cose che sapevo avrebbe disapprovato e che avrebbe punito. Ma almeno limitavo la pena, e mi convincevo di aver trovato una discreta soluzione.

Ormai sapevo che stavo crescendo, e mi dissi che in fondo nella mia casa avevo capito come cavarmela. Cominciavo a pensare, invece, che quando mi avessero data in moglie, la cosa sarebbe stata più difficile. Anche perché l'istitutore insisteva a dire che non andavo, che non ci mettevo impegno, e profetizzava che non mi avrebbero voluto, o che comunque mi avrebbero rispedito a casa come una merce difettata e che avrei umiliato mio padre, costringendolo a restituire la dote.

Lui si lamentava che facevo fallire i suoi sforzi e che per fortuna almeno Taima prometteva di diventare una vera nobile, da cui si potesse ricavare un'ottima dote e un matrimonio politicamente vantaggioso".

Ardesio allargò le braccia avvilito:"Mi spiace, Maya", e stringeva i denti a quella violenza, fisica e morale così vigliacca, che la donna aveva subito.

Maya guardò verso la cucina, verso il bagliore tenue del caminetto, accanto al quale riposava Taima. "Non sprecare per me la tua compassione, Inuri; non fui io, ad avere la parte peggiore", e il tono della sua voce diede ad Ardesio uno spasimo di paura.

"Cosa vuoi dire?", chiese seguendo il suo sguardo e intuendo spaventato, che parlasse di Taima. Ora Maya lo fissava ancor più attenta, e seria.

"Tu non sai, come e cosa si insegna alle donne della nostra condizione, vero Ardesio?"

L'uomo ingoiò:"Non con troppa precisione... Perché?"

"Quando avemmo sugli undici, dodici anni, l'istitutore decise fosse tempo di curare un particolare aspetto, della nostra cultura. In quello stesso tempo, cominciò a separarci.

Fino allora aveva tenuto lezione a entrambe, contemporaneamente. Ma a quel punto cambiò sistema, perché io rallentavo Taima... a lei poteva insegnare di più, e meglio.

E Taima, smise di parlarmi. Eravamo sempre state tutto, l'una per l'altra, ma a quell'età Taima si allontanò. Io credevo fosse per la mia inettitudine e feci di tutto per studiare ogni cosa al meglio.

Ma lei mi evitava, ormai, e io ci impazzivo. Poi mio padre, che non era troppo informato dei nostri studi, giudicò opportuno affidarci ad una istitutrice, una donna esperta che lavorava in un collegio, proprio per curare quella materia che, scoprì in quel punto, l'istitutore aveva invece già cominciato da tempo ad affrontare con noi.

Mio padre se ne stupì, ma l'istitutore protestò invece che faceva parte del suo incarico e che sapeva bene, cosa dovesse fare. E che comunque, avrebbe apprezzato che l'istitutrice venisse ad esaminarci, perché fosse riconosciuto il suo buon lavoro.

Quella allora fu convocata ed effettivamente ci trovò ben preparate. E mio padre, soddisfatto, disse all'istitutore di continuare pure".

Ardesio si raschiò la gola:"Di quale particolare materia stai parlando, Maya?"

"Di come compiacere fisicamente un uomo, Ardesio, argomento oggetto di serio approfondimento. Da noi nobildonne ci si aspetta che, pur fisicamente integre, si sia pronte a capire e ad assecondare i più svariati desideri".

Ardesio si passò piano il palmo della mano lungo il fianco:"Non... pensavo ci fosse poi tanto da studiare... e in che modo... ". E si interruppe. Ebbe un pensiero sgradevole.

"L'istitutore ci sottopose un testo di anatomia", rispose tranquilla Maya alla domanda rimasta a mezzo:"Era un libro per futuri medici, e tutt'altro che facile, ma ci obbligò a studiare fino all'ultima virgola, tutta la parte dedicata all'apparato riproduttivo sia maschile che femminile, spiegando bene tutto nel dettaglio.

Quando quella donna venne a far domande, dovette constatare che avevamo idee chiarissime, sul meccanismo dell'accoppiamento e della nascita di nuovi esseri umani. Anch'io, sapevo di aver studiato con diligenza.

Ma di me, l'istitutore era sempre scontento. Taima era la sua preferita, invece, e per premiarla dedicò a lei una cura particolare, perché potesse diventare perfetta. Farò di te una sposa perfetta, Taima, diceva soddisfatto.

Tu invece, diceva a me, non meriti tanto impegno. Peggio per te, sarai rispedita a casa dopo una settimana, insulsa come sei".

E ora, la voce di Maya si era fatta diversa e Ardesio cominciò ad avere paura. Paura di capire bene.

"Un giorno", continuò a raccontare la donna, con le parole che uscivano basse, e lente, che sembravano tizzoni che cadevano nella neve, sfrigolando, sciogliendo intorno, affondando verso il suolo... "Un giorno vidi Taima correre via dalla sua stanza con una mano premuta sulla bocca, precipitarsi nella latrina e vomitare, a conati convulsi.

L'avevo seguita, e tentai di sorreggerla e di asciugarle il sudore, ma quella mi spinse via, e mi gridò che mi odiava".

Maya tacque, stringendo una mano a pugno, sul petto, poi alzò gli occhi in quelli di Ardesio:"Mi disse che mi odiava, e io ne rimasi annientata.

Per tutto il giorno, e la notte, rimasi con gli occhi sbarrati a ripetermi nella mente che mi odiava. Ma al mattino, mentre andavamo nelle stanze a studiare, io da una parte sui libri, lei dall'istitutore, mi balenò un pensiero.

Non sono mai stata intelligente, Ardesio. Anzi, non mi sono sentita ripetere mai altro che sono molto stupida, ma quella mattina intuii all'improvviso che la preferenza per Taima potesse essersi trasformata in una attenzione malata.

Ruppi ogni prudenza, corsi avanti, e spiai nella stanza in cui l'aspettava. Mi nascosi, e lo vidi seduto in poltrona. Taima entrò, e camminava come sul vetro. Lui le indicò un cuscino, perché si mettesse i suoi piedi, e Taima sembrava lo supplicasse con gli occhi, di no.

La vedi ubbidire così piano, così lentamente, da stupirmi che lui lo tollerasse. Poi capii che godeva della sua paura. Capii anche, che mi risparmiava perché lei avesse il tormento di essere quella scelta. Tutto, voleva che provasse.

Quando vidi come l'istruiva a compiacere un uomo, venni fuori urlando. L'interruppi come una furia, gridando di lasciarla. Non so da che mi venne, il coraggio di dire quello che dissi, ma non capivo più nulla, e non avevo più paura.

Gli urlai che l'avrei denunciato a mio padre, e che quello lo avrebbe buttato fuori di casa bastonato a morte. Che quello che faceva era rubare, perché Taima non era la sua donna, di cui potesse disporre. In casa di mio padre, abusava di sua figlia e lo disonorava e l'avrebbe pagata.

Dissi cose pesanti, che lo fecero balzare in piedi, ma io mi misi tra lui e Taima e lo sfidai a ucciderci, per farci tacere, e a spiegare poi il perché a mio padre.

Allora, vidi che si controllava. Che giudicava opportuno, evidentemente, che in fondo non andassi poi a riferire a mio padre. Nonostante tutto, quello che faceva non era giustificabile, con uno scopo istruttivo.

Benché ridesse della mia ignoranza e dicesse di andare pure, che era tutto legittimo, pure invece tentava di trattenermi, di spiegarmi che andava bene così, che se volevo insegnava anche a me, così avrei saputo far godere un uomo ed essere una buona moglie.

Gli risposi che non osasse. Che sapevamo ormai tutto il necessario, e che di più serviva solo a lui, per personale svago. Gli ripetei che era un ladro, e che non toccasse più Taima o lo avrei denunciato, e me la portai via".

Il silenzio nella casa, assordò Ardesio. Nel silenzio, le parole erano come lampi, in un cielo notturno di tempesta. Illuminavano spettrali, una desolazione cupa.

"Parlasti a tuo padre?", chiese sottovoce.

Maya abbassò la testa:"Il coraggio finì con quella scenata. L'istitutore era buon amico di mio padre, che aveva in lui molta fiducia. Tememmo che non ci credesse. O che comunque, la cosa non fosse poi troppo grave.

La usava senza toglierle quella verginità fisica necessaria a essere perfetta per il matrimonio".

Ardesio non era un puritano, sapeva che le donne erano istruite ad assecondare i gusti degli uomini, ed era cresciuto vedendo che esse erano di norma serve docili, a volte schiave miserabili.

Tuttavia, la ferocia di tutto questo la vide quella notte con una chiarezza che gli toccò lo stomaco. Improvvisamente, le parole accorate di Leona tornarono nella sua coscienza. Improvvisamente, furono realtà.

Quelle che aveva visto attraverso un vetro smerigliato, come sagome indistinte, ebbero un contorno nitido, e furono carne e sangue; e Ardesio chiuse gli occhi.

"Ci lasciò in pace", riprese adagio Maya:"E tornò a tenere lezioni a entrambe, senza toccare più certi argomenti. Taima tornò a volermi bene, perché capì che non l'avevo abbandonata. Non sapevo, non avevo capito. Ero stupida, appunto.

Ma non saprei, se veramente non l'abbia più tormentata. Ho avuto il dubbio che dopo un po' abbia ripreso, e che lei abbia evitato di farmelo capire, per paura che reagissi nuovamente. Forse l'ha perfino ricattata, in qualche modo che non so.

Intanto, gli anni erano passati e un giorno, tu sei stato ospite a palazzo. Nostro padre ordinò a Taima di farsi apprezzare. Eri una buona occasione, a suo giudizio, e le consigliò di impegnarsi. La fece vestire dalle donne e io ebbi una terribile paura.

Paura che andasse via. Paura di rimanere sola in quella prigione così squallida. E lei era triste per me.

 Poi, tu chiedesti di prenderci entrambe. Avesse avuto una opinione migliore, di me, mio padre ti avrebbe distolto,  per avere di che stringere almeno due buone alleanze. Ma tanto mi aveva disprezzata, il nostro tutore, che mio padre non giudicò utile trattenermi e ti accontentò.

Eravamo incredule di poter restare ancora insieme, ma come estremo regalo il nostro amico ci tenne un'ultima lezione, su come quella volontà di sposarci entrambe potesse voler dire il gusto di giochi particolari.

L'ultimo dolce saluto, con la soddisfazione di farci sapere che in due nello stesso letto con un uomo, poteva significare dover infierire l'una sull'altra o... ".

Ardesio si alzò di scatto. Ne aveva abbastanza. Ne aveva abbastanza, di quella fogna.

"Domani avremo molto lavoro, va a letto", disse con voce strozzata, e fuggì nella sala a controllare i bambini. Ripassò silenzioso tra i letti, si fermò a fissare le piccole. Sistemò un braccino, che penzolava gelido fuori dalla coperta, e la gemella sorrise nel sonno, al calore della mano.

Ardesio tornò nella cucina con la bocca amara. Sistemò le braci, spalle al letto. Si sentiva rivoltare, veramente.

"Non vieni?", gli sussurrò pianissimo Taima e Ardesio si girò appena. Si vergognava. Scosse la testa. La donna lo fissava triste e batté piano la mano accanto a sé, in un gesto quasi implorante di invito. Ardesio si alzò e si sedette sul letto, con le mani in grembo.

"Ancora sveglia... , mormorò. "Mi aspettavi?", chiese poi cupo, perché Maya aveva pensato che per questo, avesse messo le due reti vicine.

Taima annuì e:"Scusa", disse.

Ardesio la guardò incerto e anche lei lasciava che vedesse cose che aveva nascosto bene, tanto a lungo.

"Si sentiva parlare, di qua?", chiese Ardesio, vergognoso di sapere cose che la riguardavano, che lei non aveva detto.

Taima annuì di nuovo.

"Come hai fatto... ", le chiese allora,"... come hai sopportato, che ti toccassi. Se avessero fatto a me, tanta violenza, avrei odiato ogni uomo con tutto il cuore".

Taima socchiuse gli occhi. Ardesio la ricordava con uno dei gemelli al seno, sorridente, bellissima, che sfiorava incantata il cucciolo con un dito, e poi lo infilava nel pugnetto chiuso, mormorando tenerezze sciocche.

Come aveva potuto, accogliere lui e poi i suoi figli...

La donna sospirò lieve:"Tu come hai fatto...", gli chiese in risposta,"...a diventare come sei?"

Ardesio ingoiò, quasi con dolore:"Come sono?"

"Gentile", gli rispose,"attento a non fare male, a non dispiacere. Come fossimo... ", e non sapeva dire.

"Come non fossimo bestie", disse Maya alle sue spalle, che le parole lasciava sgorgare come sangue da una ferita.

Ardesio ingoiò ancora. Mai aveva pensato tanto a Leona come quella notte.  

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