Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

cap. 42 Il blocco non fermerà l'epidemia...

Quando tutte le attrezzature e le scorte furono al sicuro, Archés chiese al gruppo dei federali di radunarsi nella grande cucina e portò i suoi due anziani. "Loro...", disse ai nuovi arrivati,"...sono le persone più fidate del regno, esclusa la mia guardia reale. Sono rimasti con me a curarmi quando si pensava che fossi ammalato della pestilenza del Nord, decisi a morire con me.

Non conoscono la lingua franca e sono certi che io sia impazzito, ad aver invocato dei federali. Ciononostante, sono ancora qui.

Vi prego di avere rispetto per la loro vecchiaia e per la loro lealtà, qualunque atteggiamento dovessero dimostrarvi. Sapete bene che purtroppo la gente di qui vi disprezza. Per decenni sono state raccontate su di voi cose terribilmente meschine e false... tali idee furono diffuse ad arte, di questo io sono ormai convinto, per poter mantenere l'isolamento col consenso generale; un isolamento che impediva che nuovi modelli di società fossero conosciuti.

Il popolo è stato ingannato e dominato crudelmente. Ma per tutti voi ciò significa purtroppo che ci sarà ostilità anche feroce e inorridisco pensando alle vostre armi, perché temo che possano costringervi a usarle.

Non con loro, almeno. Li raccomando alla vostra comprensione: per quanta ostilità vi possano dimostrare, non sono in grado di farvi alcunché".

"Veramente ce la vedo, la vecchia, a mettere veleno per topi nella minestra", commentò sottovoce Furius con quella maschera sorridente che sapeva indossare, ma cui il petto bruciava a quella analisi spietata della storia, che ammetteva davanti a degli stranieri, per voce dello stesso re, inganni e violenze.

"Non è divertente, Furius", gli si rivoltò Archés, anch'egli oppresso da circostanze che bruciavano come ferro rovente.

"No, non lo è", confermò Furius, perdendo l'espressione ironica e incupendosi.

Il vecchio si fece avanti:"Devo dire una cosa", e parlò in lingua franca.

Archés fu colto veramente di sorpresa.

"Comprendo abbastanza, e un po' parlo. Lo dico perché non pensi che sono una spia", disse Titanio rivolto ai federali, con una frase scorretta ma di senso chiaro.

Il vecchio aveva parlato con aria di sfida, perché sapessero che non li temeva, ma il capitano si fece avanti conciliante:"Questo è provvidenziale", disse pronto per disarmare la diffidenza ostile di quello:"L'urgenza ha escluso che noi si potesse imparare anche solo poche parole di Inuri, e una delle incognite di questa missione è l'incapacità di parlare con la vostra gente.

Una persona in più in grado di fare da traduttore è una benedizione".

Il vecchio si accigliò, ma non commentò.

"Dal momento che abbiamo provvisoriamente sistemato i materiali", disse a questo punto il medico assistente del professore:"Credo sia tempo di fare un piano e decidere da dove cominciare. Possiamo parlare subito, maestà?", chiese, incapace di soffocare la smania di mettersi al lavoro per distrarre la mente dal corpo penzolante del suo maestro.

Archés sospirò:"Preferisce un colloquio privato o parliamo qui?"

"Direi che abbiamo bisogno del consiglio di tutti, quindi anche qui va benissimo", rispose il medico.

"Un consiglio di guerra tenuto in cucina, senza neppure una sentinella all'erta. Gran scorta, ha mandato la Federazione!", ironizzò Furius.

Più forte di lui, l'avversione per quella situazione assurda. Non riusciva a vincersi, non riusciva a non trovare odiosa qualsiasi loro idea.

"In effetti", intervenne il giovane capitano:"Tutto il personale medico aveva chiesto di non essere accompagnato. I volontari erano disposti a venire disarmati e privi di alcuna protezione, con l'opinione favorevole dei grigi.

Il consiglio generale ha insistito invece per una scorta, e alla fine è stato raggiunto un compromesso e assegnata alla spedizione la nostra esigua pattuglia.

La nostra speranza, evidentemente, è però di essere inutili come soldati, e di poter contribuire piuttosto solo come infermieri o uomini di fatica".

"Anche voi militari disarmati?", ironizzò ancora Furius, ricordando le affermazioni di Leona sui grigi.

"No, signore", rispose calmo il capitano:"Disponiamo in effetti di armi assai efficaci. Ma ci insegnano che più è potente l'arma, più colui che la porta deve possedere un forte autocontrollo ed essere caratterialmente restìo ad usarla.

Siamo addestrati a cercare ogni possibile alternativa al loro utilizzo. Immagino che un buon medico, pur sapendo come utilizzare un bisturi, sia spinto a cercare sempre la soluzione meno cruenta e a tentare di tutto, prima di risolversi ad amputare un arto, se non sia in cancrena".

Furius strinse gli occhi senza replicare. Avanti, Furius, lo supplicò mentalmente Leona, ammetti che è in gamba, questo ragazzo! Abbi il coraggio di accettare che anche un federale può essere a posto.

Furius, come l'avesse sentita, rifiutò di guardarla per non darle soddisfazione.

"Comunque...", parlò nuovamente l'aquila,"...io sono ai suoi comandi, signore di Chiura. Non avendo alcuna conoscenza del luogo mi rimetto al suo giudizio. È opportuno che questo ambiente sia sorvegliato per scongiurare un attacco?"

Furius ebbe un gesto rabbioso:"Se pure fosse, mi si sta chiedendo di ordinare a dei federali di uccidere gente del mio stesso sangue?"

Il giovane prese la mitraglietta che recava a tracolla e la posò sul tavolo. "Se ci attaccassero, comandante, difenderci non significherebbe solo salvare dei federali a costo di sangue Inuri.

Difenderemmo piuttosto la speranza di trovare una cura per salvare questo popolo, sia pure a sua insaputa. Immagino che le sia già successo, di dover uccidere un colpevole per salvare degli innocenti.

Il problema è che qui  ci sarebbero  solo innocenti, e vittime, da tutte e due le parti.

Non le chiederò di ordinarci di spargere sangue. Chiedere questo non sarebbe umano e sinceramente non vorrei essere al suo posto. Se non lo reputa necessario, o anche solo giusto, non imbracceremo le armi. E sarà quello che il destino vuole".

Il silenzio accolse profondo quelle affermazioni. Furius era rigido, cupo, incatenato da quelle parole a una scelta obbligata. Il federale aveva messo a nudo una verità dolorosa: quegli uomini andavano protetti a costo di sangue Inuri, se erano l'ultima speranza contro il dilagare dell'epidemia.

E sottomettendosi al suo comando gli davano la possibilità di farlo al meglio. Ma lo gravavano di una responsabilità odiosa. "Sorvegliare questo palazzo richiederebbe ben altre forze", e la voce di Furius rotolava profonda come l'eco in una caverna:"Al più possiamo fare in modo di sapere con un minimo di anticipo se qualcuno ci sta venendo addosso.

Per questo basteranno due persone, una nel parco, all'altezza di quel cancello", e indicò la sagoma dalla finestra,"e una nella sala d'ingresso di quest'ala del palazzo. Scelga le due sentinelle, in seguito le informerete di quanto sarà stato discusso e deciso".

"Robert", chiamò senza esitazioni il capitano, e indicò il cancello nel parco. "Neda", e si volse interrogativo a Furius perché non avrebbero saputo quale fosse, la sala d'ingresso di cui parlava.

"Navigatrice", disse allora Furius, usando per la prima volta anch'egli quel titolo:"Accompagnala e torna rapidamente".

Leona fece strada e la ragazza in divisa blu la seguì guardandosi bene attenta intorno. "Questa", le disse Leona nell'ampio salone che dava sulla piazza d'onore.

La giovane cercò un buon punto d'osservazione. "Forse qui?", le suggerì Leona mostrandole un ampia finestra sul cortile, da cui c'era ottima visuale della piazza e della scalinata d'ingresso.

Neda si accostò annuendo:"Perfetto!", disse, e le sorrise. Leona poté vedere bene la figura armoniosa della ragazza aquila. Nel buio, i capelli cortissimi come un uomo, alta e agile, non l'aveva distinta tra gli altri. Ma ora la vedeva bene, e nel viso dai tratti delicati spiccavano occhi grandi, dalle lunghe ciglia, di un colore azzurro intenso che non vedeva da molti anni.

"Aspetta qui nuovi ordini", le disse, e quella rispose con un attenti e uno sguardo concentrato sulla piazza.

Un'altra federale!, pensava Leona tornando nelle cucine; ma era talmente grave la presenza di quel gruppo di stranieri, talmente enormemente pericolose le circostanze, che la presenza tra gli altri di una donna era poca cosa.

Rientrò silenziosa e trovò che la vecchia levatrice stava scaldando una bevanda al cioccolato che era solita offrire ad Archés come colazione. Era una mattina fredda, e la vecchia voleva che il re si scaldasse.

Aveva acceso la cucina a legna con l'aiuto del anziano servitore, e preparava un pentolone di bevanda; Leona le si accostò sollecita, sostituendola nel mescolare mentre quella andava ad aprire una madia.

Si guardò intorno e il giovane capitano, che nel silenzio seguiva i suoi movimenti, fu il più rapido a farsi avanti. Non occorreva parlare la lingua franca per indicare i grossi barattoli che l'uomo prese dalla dispensa e mise a tavola.

La vecchia li scoperchiò mostrando biscotti secchi da accompagnare alla cioccolata. Poi si diresse a un grande armadio e un paio di federali, sull'esempio del capitano, si avvicinarono per aiutarla. Quella indicò delle tazze.

In breve tutti furono raccolti intorno alla tavolata davanti ad un cioccolato fumante, e a un mucchietto di biscotti. Poco formale, come sala riunioni, ma quel calore quasi familiare era una benedizione che veniva a sciogliere il gelo di quella notte.

"Buonissima", commentò il capitano sorseggiando, e puntò gli occhi limpidi in quelli della vecchia; quella aveva troppi anni sul cuore, per lasciarsi penetrare da uno sguardo pulito: la sua faccia restò chiusa, una maschera rugosa ed inespressiva.

"Possiamo parlare, ora?"

Il medico che era ormai suo malgrado il responsabile del lavoro sanitario era tormentato dall'esigenza di trovare un punto di partenza, almeno.

"Direi che è opportuno, sì", gli confermò Archés.

"Io sono un medico, re Archés... ho bisogno di malati. Verranno loro, o dobbiamo andare noi?"

Il silenzio che seguì fu lungo.

"Non verrà nessuno a cercare soccorso presso di me, temo. Si immaginerà che l'ordine sia di salvaguardarmi dal contagio... ", rispose infine Archés, profondamente afflitto.

Aveva invocato il soccorso federale ma non era in grado di gestire in alcun modo la situazione, e la vergogna gli si leggeva in viso.

Il medico strinse le labbra. "Spostare i macchinari da laboratorio non sarebbe opportuno...", insistette poi,"...inoltre il palazzo è estremamente spazioso e offre il modo di creare zone di isolamento... sarebbe consigliabile ricoverare qui, dei malati".

"Posso chiedere", intervenne Leona cautamente:"se avete idea di quale morbo stia diffondendosi? Sulla base della descrizione dei sintomi, potete immaginare se sia qualcosa di già conosciuto presso la Federazione? Avete con voi farmaci che presumete potranno arginare l'epidemia?"

L'uomo posò la tazza vuota, senza guardare la navigatrice. Poi la spinse verso il centro del tavolo e passò una mano sul piano, quasi a spazzarlo da briciole, che però non aveva sparso. Infine alzò lo sguardo e la sua espressione era cupa. Di più, Leona avvertì della rabbia sobbollirgli dentro.

"I sintomi che compaiono nei primi giorni potrebbero far pensare ad un simpatico campionario di pestilenze. Un bel po' di roba pericolosa", prese a risponderle:"Ma l'evoluzione successiva del male le esclude. Tuttavia, abbiamo avuto diversi anni fa esperienza di una febbre emorragica che si è manifestata in modo similare in un territorio piuttosto isolato, cosa che ha semplificato il suo contenimento.

Il professor Nathab se ne era occupato approfonditamente, e per questo aveva voluto essere qui".

"Quindi", chiese ancora la federale:"avete fondate speranze di poter dominare la malattia anche a Inurasi?"

"In realtà, la situazione non è così rosea", le rispose:"La febbre di Salthor, come fu battezzata con riferimento al primo ricercatore che ne approfondì la sintomatologia e le strategie di cura, provocò all'epoca perdite assai pesanti e ne furono contenuti gli effetti solo con l'impedire fisicamente che alcun contagiato lasciasse il paese.

Di fatto, la scelta del re di bloccare la circolazione di mezzi e persone è stata probabilmente la scelta migliore che gli fosse possibile applicare".

"Il blocco della circolazione però non reggerà a lungo", intervenne allora Furius:"Mancando mezzi per comunicare, nel silenzio di ordini superiori e con le forze militari bloccate nelle proprie zone di competenza, è immaginabile che molti disperati tenteranno di sottrarsi all'epidemia prendendo vie secondarie e dirigendosi verso territori più inospitali e non presidiati.

E in seguito la necessità di sfamarsi, o l'ansia di ricongiungersi a dei familiari, o il desiderio di scoprire cosa accade, li riporterà verso gli abitati.

Inoltre, bande di malviventi tenteranno di approfittare del vuoto di potere causato dal non aver più notizie del re e della sua guardia, e imperverseranno muovendosi avanti e indietro, sfruttando il divieto imposto ai militari di inseguirli fuori zona.

E infine gente priva di coscienza, o comunque di consapevolezza, all'insorgere dei primi sintomi tenterà di trovare aiuto contravvenendo all'ordine di non muoversi".

Furius fissò il medico con gelida calma:"Il blocco ci avrà guadagnato del tempo, ma l'epidemia arriverà comunque in tutta Inurasi... E serviranno cure, o le perdite non saranno pesanti... saranno semplicemente la fine di questo popolo".

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro