cap. 39 La prova della vita
Mentre Leona si interrogava sulla Federazione, Archés sentì tutto il peso di quel passo che forse l'aspettava.
La possibilità di lanciare una simile richiesta d'aiuto era passata nei suoi angosciati pensieri come uno spettro, prima che arrivasse Leona. Un'ipotesi evanescente, assolutamente irreale.
Ora, invece, dopo decenni di orgoglioso isolamento e di diffidente disprezzo del suo popolo per quel mondo lontano, ora doveva prepararsi a implorare soccorso.
Se l'avessero saputo molti, forse quasi tutti i suoi sudditi, avrebbero gridato al tradimento. Temeva, anzi era convinto che sarebbero stati pronti a morire, pur di non essere soccorsi da quella gente odiosa che abitava oltre il mare.
Archés guardò Leona. Non era odiosa. Lui aveva vissuto con i federali. C'erano uomini e donne d'onore tra di loro. Il suo popolo non conosceva la verità, nutriva molti pregiudizi esagerati, frutto di antiche menzogne intenzionali.
Molto a lungo Archés aveva tentato di ricostruire quella antica scelta di isolamento, studiando i vecchi documenti sepolti negli Archivi Reali, protetti dal segreto di Stato; aveva concluso che alla radice doveva esserci stata la volontà di una classe di nobili e di privilegiati di fermare un evoluzione della società che li avrebbe privati del potere.
Se era così, l'ignoranza e l'arretratezza della sua gente erano stati puramente strumentali e lui era nel giusto a cercare aiuto presso i federali.
Pure, nonostante tutto, era così radicato anche in lui un certo sentimento che gli era difficile reprimere la paura di vedere la sua terra violata da gente straniera, magari munita di quelle armi terrificanti con cui un solo uomo poteva annientare un gruppo di valorosi guerrieri prima che neppure lo raggiungessero.
Archés scosse il capo, quasi a scacciare quei pensieri minacciosi. Voleva dare alla sua gente una possibilità e per questo sarebbe andato fino in fondo: a costo di maledirsi, a costo di guardarsi allo specchio e di giudicarsi il più stupido degli uomini, a costo...
"Andiamo a mangiare qualcosa", ripeté Leona con decisione, "prima di ricollegarci con Estreke".
Trascorso il tempo che le era stato consigliato, Leona riaccese l'impianto. Riallacciò anche lo spinotto e fu pronta. Furius portò altre due sedie e si sedettero. Aveva chiesto a Titanio un mazzo di carte e Leona rabbrividì, nel vederle.
Erano pochi, in tre, per quel gioco che all'epoca le aveva insegnato Tauro, così Furius cominciò un complicato solitario. Fu uno strano silenzio, quello che scese tra loro. Pieno di cose che avrebbero voluto chiedersi, ma che non osavano, temendo di evocare pensieri e ricordi dolorosi.
Leona guardava Archés, e qualcosa di rovente le bruciava nel petto. Archés fissava le carte e aveva negli occhi Tauro che si metteva tra Furius e la donna, per impedirgli di tormentarla. Furius girava le carte e rivedeva la serpe rossa sul tavolo accanto al suo elefante di pietra.
Le scariche e i segnali che vennero improvvisi a rompere il silenzio li fecero sobbalzare.
"Questa frequenza è stata riservata al corpo diplomatico", annunciò chiara in lingua franca una voce giovanile. Poi:"Canale d'emergenza attivo: mi sentite, Glittica?", la stessa voce in Inuri.
Leona respirò a fondo:"Navigatrice Wingbright in ascolto", rispose con voce ferma.
"Attenda un istante, navigatrice", e la voce tacque. Leona fece cenno ad Archés di tenere pronta la relazione e di starle vicino.
"Che i venti tornino a soffiare favorevoli...", e Leona sentì scenderle nel cuore la voce profonda del comandante dei grigi."... mi sentite chiaramente, Leona?"
"La voce arriva distintamente, comandante Di Webber. Ed è un'immensa gioia, risentirla!", rispose, e realmente, anche senza ancora sapere ciò che avrebbe detto, il solo fatto che così poco tempo fosse bastato per ottenere un contatto e che quell'uomo fosse ancora in servizio, ancora incaricato dei rapporti con Inurasi, già era per Leona il materializzarsi di una speranza.
Già il cuore gridava che non si era illusa, che non aveva speso una vita inseguendo un miraggio.
"Anche per me, Leona, è una gioia sapere che Inurasi è stata generosa con una straniera. Una gioia contenuta solo dall'apprendere che una grave minaccia è ciò che mi dà l'occasione di risentirti. Cosa succede, esattamente?"
Leona guardò Archés."L'impianto da cui trasmettiamo potrebbe avere un'autonomia drammaticamente breve, comandante. Preferisco che sia il re in persona, a parlare", e spostò il microfono davanti a lui.
Archés guardò il cilindro metallico e socchiuse gli occhi. Era il momento di farlo.
"Comandante, le sono grato per aver accolto la mia richiesta di un colloquio", disse.
Il tono composto e cortese diede all'ufficiale un brivido di pena. Era ben consapevole che qualcosa di terrificante si stava verificando, per spingere Glittica a cercare soccorso, e l'uomo comprese che il giovane re doveva combattere con un'angoscia violenta, per mantenere quell'atteggiamento calmo e dignitoso.
"Qualsiasi fosse stata la ragione per cui il figlio di Ergon avesse chiesto di parlarmi, la stima che nutro per il re mi avrebbe spinto ad accogliere con la massima sollecitudine questo desiderio.
Sapere che purtroppo vi sono gravi motivi, ha reso accorrere prontamente alla radio ancor più doveroso.
Da anni la Federazione proclama la sua disponibilità: io che ho avuto l'onore di conoscere personalmente il re, lo imploro di parlare liberamente e di metterci alla prova".
Archés respirò a fondo: a parole mi stendi la mano, grigio. E che farai, poi?
"Stiamo subendo un attacco micidiale, comandante", la sua voce risuonò ferma:"da parte di un nemico privo di alcuna umanità. Ci aggredisce senza darci possibilità di scampo, e io non ho armi per difendere la mia gente.
Ignoro se la Federazione abbia le risorse per combattere un simile nemico, e mi chiedo quale motivo avrebbe, comunque, per intervenire in una guerra non sua, ma sono seduto inerme a vedere il mio popolo morire.
A questo punto non ho nulla da perdere a implorare aiuto, se non la mia personale dignità. E per Inurasi sono pronto a pagare qualsiasi prezzo. La mortalità di questa epidemia che è scoppiata nel Nord è vicina alla totalità degli ammalati e la contagiosità altissima mi fa temere che presto l'intero paese sarà devastato.
Gli Inuri saranno annientati e chi di loro dovesse avere l'avventura di sopravvivere a questo, si troverà abbandonato in un inferno di orrore e solitudine. Una sorte che non auguro a nessuno.
Devo aggiungere altro, comandante? Se la Federazione volesse la soddisfazione di una implorazione più disperata, chieda pure.
Dirò e farò qualsiasi cosa, per ottenere anche solo la più remota delle speranze di salvare parte dei miei".
Il silenzio che seguì fu lungo.
"La Federazione non troverebbe alcuna soddisfazione nel vedere un popolo soffrire una simile sorte". La voce profonda del comandante risuonò accorata:"Mai avremmo desiderato che fosse la necessità, a spingere per un avvicinamento.
Neppure io so se abbiamo le risorse per evitare questa catastrofe. Quello che so è che cercheremo in ogni modo di aiutarvi. E quello che so, è anche che ai nostri occhi non c'è dignità più grande di chi è pronto a sacrificare ogni cosa per la propria gente.
La prego di credere, re Archés, che qualsiasi cosa accada la sua generosità e il suo coraggio resteranno proverbiali, per noi federali. Le unità di crisi, di cui la Federazione dispone per gli interventi d'emergenza sanitaria sono già state allertate", proseguì il federale,"mentre si preparano uomini e mezzi, ci occorre sapere il massimo possibile su questa infezione.
Su come si trasmette, sulle cure tentate, anche se inefficaci, sui sintomi... E poi immaginando un intervento, occorre decidere come e dove far arrivare in Inurasi queste forze speciali.
Il re comprende che il solo modo di aiutarvi sarà inviare non sono medicinali, di cui altrimenti non conosceremmo neppure l'effetto, ma anche medici e personale specializzato, con le nostre attrezzature mediche mobili più avanzate.
Chiedendoci aiuto il re chiede che uomini federali vengano a Glittica, aprendo le frontiere alle nostre squadre speciali... dispone dell'autorità per imporre questa scelta al suo popolo?"
Perché il comandante immaginava facilmente che il muro di ostilità e pregiudizio non potesse rompersi che con un'azione di forza. Un animale selvaggio e ferito non comprende affatto che un veterinario si avvicini con le migliori intenzioni, e gli si rivolta contro con la furia cieca del dolore che fa impazzire.
Archés anche immaginava cosa potesse accadere:"Non dispongo di alcuna forza, comandante", fu costretto ad ammettere. "Ho utilizzato la mia guardia del corpo personale per raggiungere ogni angolo del paese, soprattutto quelli più remoti, ordinando che ogni contatto materiale tra le varie circoscrizioni fosse interrotto.
Ho proibito ogni spostamento di uomini e mezzi, ogni mercato, ogni servizio di posta, allo scopo di favorire l'isolamento delle singole regioni, impedendo per quanto possibile la diffusione dell'epidemia.
Ignoro quanto possa aver ottenuto in tal modo, ma di certo io non dispongo più né di una forza militare né persino di strumenti con cui trasmettere ordini, posto che qualcuno fosse disposto a obbedirmi se ordinassi di collaborare con dei federali e non giudicasse che il morbo mi abbia fatto impazzire".
Il comandante tacque ancora, allibito dal coraggio disperato di quell'uomo. Comprese fino in fondo che stava chiedendo loro di intervenire anche con la forza, se necessario; e per il giovane re, così orgoglioso della propria origine, così innamorato del suo popolo, era un sacrificio estremo.
"Capisco", commentò sottovoce quando ebbe contenuto la propria emozione:"Allora prenderemo decisioni estreme, forse. Esiste nel cuore del paese un luogo molto aperto, un grande parco, per esempio, dove degli uomini possano essere paracadutati con sicurezza?
Gli aerei sono gli unici mezzi che ci consentirebbero di raggiungere Inurasi in brevissimo tempo e non disponendo di piste, possiamo immaginare di far arrivare uomini e mezzi a terra solo con dei paracadute.
Ma serve un luogo non abitato dove degli arceri non uccidano gli invasori federali prima ancora che tocchino il suolo. Se il re non è in grado di far sapere al suo popolo che veniamo per studiare questa malattia e tentare di sconfiggerla, noi saremo per chiunque degli invasori che vanno contrastati a qualsiasi costo".
Invisibile al comandante dei grigi Archés nella saletta del palazzo chiuse gli occhi sgomento. Lo stava facendo. Stava aprendo ai federali la porta, inchinandosi e pregandoli di entrare. Si morse a sangue un labbro.
"Il mio palazzo è nel cuore di Glittica e ha un giardino e un parco di vari ettari. Benché il palazzo sia deserto e la recinzione non sia al momento controllata, credo che nessuno oserebbe valicare le mura reali. Forse sarebbe un obiettivo adatto".
"Come è possibile che il palazzo del re non sia sorvegliato?"
Il comandante Di Webber stentava a credere a quanto succedeva.
"Nei giorni scorsi", gli rispose Archés,"molti corrieri del Nord sono venuti a Palazzo recando notizie disastrose. Si è diffuso rapidamente il terrore quando è circolata mio malgrado la voce dell'epidemia che avanzava dal Nord".
Il re rivide le scene in cui la gente gli si ritraeva inorridita davanti mentre tossiva.
"Ho comandato la mia guardia personale perché ogni angolo del paese fosse raggiunto da precisi ordini e ho disposto che chiunque lo desiderasse potesse tornare a casa, prima di rimanere separato dalla propria famiglia dal blocco della circolazione che andavo a imporre.
Dell'intero personale di servizio sono state solo due le persone rimaste al loro posto". Archés tacque e il comandante tentò di immaginare quella desolazione.
"Dunque... non vi sono militari, a proteggere il re?"
"Nessun militare può proteggere me né alcun'altra persona dalla minaccia che incombe", rispose Archés. "Tuttavia ho con me due guardie reali che non erano a Glittica assegnate alla mia sorveglianza, ma che, apprendendo l'accaduto, hanno lasciato ogni altra cosa e mi hanno raggiunto.
Agendo in senso contrario a chiunque altro, hanno abbandonato uno dei pochi possibili luoghi sicuri e sono accorsi per dividere la mia sorte e renderla meno desolata.
Quindi sono ingeneroso nel dire che non ho nessuna forza a mia disposizione: ho con me le persone più leali del regno e alcune altre non sono qui perché le ho fatte imprigionare altrove, volendole al sicuro e sapendo che solo la forza gli avrebbe impedito di tornare qui.
Ho pochi veri amici, comandante, ma posso contare che la loro fedeltà vada oltre il rischiare la vita".
E Furius e Leona chinarono lo sguardo, alle sue parole.
"Bene", mormorò il comandante: "Allora... il Palazzo Reale è al centro città?", chiese.
"Nella zona a nord-ovest, precisamente. Immagino sarà facilmente riconoscibile dall'alto", e ogni parola, ora, costava sangue.
"La più vasta piazza del regno si apre quasi al centro di Glittica, davanti al Palazzo Reale, e dietro questo il grande parco verde è unico per estensione e si spinge fino alla periferia: non avrete difficoltà a individuarlo".
Scese ancora una volta il silenzio.
"Re Archés, io ora vado a incontrare il governo federale riunito d'urgenza. Lascio il mio posto a un medico che tenterà di stabilire cosa sarà più necessario portare a Glittica, in base alle indicazioni che potrà darci circa il morbo.
Quando il colloquio sarà concluso vi invito a spegnere nuovamente l'impianto, per risparmiare la batteria. Questa frequenza è ormai assegnata al contatto con Glittica e ci sarà sempre qualcuno in ascolto; tuttavia prima di avere novità presumo passeranno molte altre ore.
Potrete controllare e contattarci quando preferite, ma suggerirei di farlo a intervalli più o meno regolari di tre ore. So bene che è cominciata una corsa contro il tempo e, sul mio onore, farò ogni cosa in mio potere.
Non oserò pronunciare parole di incoraggiamento perché il coraggio sto imparando dal re, cosa sia. Oserò ringraziarlo, invece, di aver avuto fiducia; ora è per noi il momento di meritarla e per me, personalmente, è la prova della vita. Se fallisco la mia intera vita sarà stata un inganno. Pregate anche per me, che il dio dei venti soffi nelle vele".
E l'alto ufficiale federale lasciò il microfono a un ufficiale medico. Poco dopo Leona spense la radio, e ogni cosa fu conclusa.
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