cap. 35 Fingere
Quando Leona raggiunse i due uomini in giardino, dopo aver preso un boccone veloce e finito di riordinare, li trovò silenziosi a fissare il cielo.
"Vorrei tornare alla sala radio", disse, pensando che ogni istante era prezioso.
"Archés deve dormire", le rispose Furius, e anche Leona aveva pensato che il re aveva l'aria di non riposare da troppo tempo.
"Va bene, certo. Ma io posso lavorare da sola alla radio. Una volta accesa, chissà quanto tempo occorrerà per trovare una frequenza con qualcuno in ascolto, se pure la troverò!"
Furius passò il braccio intorno alle spalle del re, senza il minimo timore d'essere irriguardoso."Allora andiamo: tu cerchi una frequenza, e io metto a letto Archés".
Il re ebbe un mezzo sorriso:"Non hai strani gusti, vero Furius?", buttò lì, e gli sembrava irreale, riuscire a scherzare ancora, dopo il buio completo in cui aveva annaspato per giorni.
"Per tua fortuna no", rise quello:"Già per una donna sono atroce. Un uomo lo ucciderei".
Leona fissò per terra. Furius la guardò con improvvisa intenzione:"Vero, Leona?", aggiunse, e la donna sentì infuocarsi le guance."Ti ha augurato di non godertela, se ben ricordo. Perché non dargli il piacere di sapere cosa è stato, soddisfarmi e provare a darmi un figlio?
Ti assicuro che non mi vanto, Archés: stare con me è fisicamente piuttosto impegnativo, benché con lei io non goda più, di vederla soffrire. Direi che puoi ritenerti soddisfatto: tra lo stupro di Tauro e gli anni con me, come donna Leona non ha che un solo buon ricordo, dell'incontro con un uomo".
Leona inghiottì amaro. Nonostante tutto il sentimento che li legava, Furius non sarebbe mai cambiato e non avrebbe mai perso quel tocco, con cui poteva affondarle le parole nel cuore come coltelli.
Alla luce smorta della torcia che bruciava nella parete a ridosso della quale erano seduti, la sua espressione smarrita colpì il re.
Archés ripensò a quell'augurio feroce che le aveva fatto."Tenti di dirmi qualcosa, Furius?", disse intuendo che quello non volesse solo giocare a far male a Leona.
"Pensavo solo che se il tempo di lasciare è vicino, forse dovremmo dire certe cose che pesano, prima di non poterlo più fare", fu la risposta, sincera quanto dolorosa.
Archés sospirò. Forse aveva ragione, forse il rancore faceva male, forse liberarsene era una buona idea.
"Ti ho odiato, Leona, e sinceramente ti ho augurato il peggio", disse allora, e la guardò bene in viso. Leona impallidì.
"Il peggio tranne una sola cosa... quando ho incontrato tuo figlio mi sono stupito di vederlo così piccolo. Poi ho capito che non era lui, il bambino che aspettavi allora. Quello è stato il solo male che non ti ho augurato e mi è dispiaciuto, sapere che il terremoto ve lo uccise. Volevo che lo sapeste".
La donna inghiottì più volte:"Sono felice di sapere che non ti sia mai augurato quella morte. Sarebbe stato... atroce", disse poi piano, e Archés vide che gli occhi le si erano gonfiati di lacrime.
"Tu non mi hai mai odiato, vero?", chiese, e Leona potè appena negare col capo.
"Io invece non sono mai riuscito ad accettare, che alla fine avessi scelto lui e non me. Da allora tutta la mia vita è stata una successione di sconfitte, di tradimenti, di errori e amarezze; e ogni cosa mi pareva l'ennesima ingiustizia.
Sono diventato arido, e duro. Per questo è stato così facile abbandonarmi, forse. Ma con te non avevo ancora cominciato a sbagliare, e non meritavo che mi trattassi così".
Le lacrime cominciarono a scendere; Leona lottava, ma non poteva frenarle:"Abbi pietà, Archés. Non posso cambiare il passato...", furono le sole parole che riuscì a dirgli.
Il re annuì:"Se sei stata una buona compagna per Furius, devo perdonarti. Mi è difficile, ma se Furius tiene a te e tu a lui tanto da seguirlo fino alla morte, allora non posso fare altro che smettere di augurarti male.
Forse, visto come sono andate le cose, dovete alle mie invettive la vostra serenità. Il re dei venti pare essersi divertito a rovesciare ogni mio desiderio".
Leona tentò di asciugarsi il viso.
"Non è che poi abbiamo goduto di tutta questa serenità", mormorò sottovoce Furius, mentre la donna tentava con pena di trovar voce.
"Anche i miei desideri...", le riuscì di dire,"...sono rimasti inascoltati, perché io ti ho augurato tutta la felicità possibile, invece, ma non ne hai avuta", e si asciugava gli occhi, perché non era il tempo, di essere debole.
"Va bene che tu mi abbia odiata", continuò con più voce:"Ne avevi motivo. Ma se quell'odio ormai ti fa solo male, allora liberatene. Furius ha ragione: se hai bisogno di sapere che sono stata punita, per placarlo, allora sappi che non è stato tutto facile.
Furius tiene a me ed è stato generoso come non avrei mai potuto neanche sognare. Ma nonostante questo, non è stato tutto facile".
E Leona guardò il passato:"molte sono cose che non capiresti e non ti darebbero soddisfazione, ma alcune... so che puoi pesarle per quello che sono state.
Rinunciare alla divisa per consentire al bambino di nascere, fu come rinunciare a tutto quello che ero. Perderlo, dopo, è stato come morire. Il dolore più grande che abbia mai provato. Non sono più stata la stessa, dopo.
Furius mi ha trattenuto, mi ha impedito di scivolare via, ma...". E non aveva parole, per dire quello che ancora era, quel figlio perso così. Archés lo sentì, e ne ebbe pietà.
"E poi, la tua incoronazione!", aggiunse Leona, perché Furius li aveva invitati a dire quello che forse avevano modo di confidarsi per l'ultima volta:"Quel giorno, io ancora l'ho inciso a fuoco nella memoria. La sartoria del corpo mi mandò una divisa e mi fu recapitato l'invito, come pari corso.
Mi chiesi se fosse possibile, e pensai di non venire comunque. Ma Furius insistette. Lui pensava che tu lo sapessi, che avessi dato il permesso. Io non potevo crederci, ma non potevo neppure impedirmi di sognarlo.
Quella mattina re Ergon venne a parlare con Furius; non lo aspettavamo di certo e io ero nella stanza, quando entrò. Vedermi e cambiare espressione fu una sola cosa.
Io ho amato molto tuo padre, Archés. Dal primo istante, mi conquistò. Gli giurai fedeltà senza alcuna riserva, in assoluta sincerità. Mi venne di fronte, e mi percosse con una forza che mi spaccò le labbra.
Ma il rancore che aveva negli occhi fu una percossa ben più violenta. Disse a Furius che se non fosse stato lui, l'uomo che mi possedeva, Inurasi sarebbe già stata liberata della mia presenza. Ma che non osassi farmi vedere, o non avrebbe risposto di sé.
E quello che disse poi rivolgendosi a me direttamente... quello non te lo ripeto. Provavo e ancora provo per lui molti sentimenti: ammirazione, rispetto, affetto, devozione. Il suo disprezzo mi ha spaccato dentro il petto ben più che la sua mano sul viso.
Ho saputo così, che non ti aspettavi certo che contassero anche me tra i cinquanta del Corso, e che non avrei potuto vederti, né giurarti fedeltà. E che non avrei rivisto Ardesio, né Corantin, né Kurt né alcuno degli altri.
Fu un giorno lungo, Archés, così vicina a tutti voi, ma lontana come se fossi tornata a Polaris. Volevo esserci mentre diventavi re. Mentre quello per cui avevi lottato tanto, per cui avevi pagato un prezzo così alto, si realizzava.
Volevo unire la mia voce alle altre che giuravano di difenderti con la vita. Non ho potuto, perché la mia sola vista ti avrebbe provocato schifo; non ho potuto... neanche vedere i tuoi figli, neanche spiare di lontano... non ho potuto nulla".
E nella voce l'angoscia di quel giorno, tornava a vibrare.
Archés chiuse gli occhi, stancamente.
"Ti sei pentita?", chiese. Solo quello, voleva sapere. Almeno quello doveva dirglielo, se voleva che la perdonasse.
Aveva avuto la certezza che non l'avrebbe fatto mai, ma quel dolore che le aveva augurato e che le vedeva negli occhi, in fondo era forse una punizione bastevole.
Ti sei pentita? Leona ebbe un sussulto: Pentita... ancora una volta fino in fondo, devo andare, quindi... non è ingiusto, padre, che mi prenda tutte le colpe così?
Poi alzò gli occhi su quel viso segnato, e le parole vennero.
"Tutto è accaduto perché non pensai che potesse nascere un figlio...", disse ricordando, ed era pura verità, "Ma una donna non può farlo, questo. Non può non pensare, non può perdere il ricordo di ciò che è.
Non dovevo, e la cosa più atroce è stata che per questo ha pagato anche chi non avrei voluto. Non posso dire che mi sono pentita di quello che feci, perché sarebbe come desiderare che non fosse mai esistito, il figlio che ho perso. Come ucciderlo di nuovo. Non posso farlo".
Leona combatté per parlare, benché la gola fosse stretta:"Ma se potessi cancellare il mio ricordo dalla tua mente, se potessi toglierti ogni dolore che hai sofferto per me, pagandolo col mio, mi lascerei fare a pezzi, e torturare a morte, per liberarti. Perché per me sei...", e non poteva dirgli, cosa fosse, ancora e sempre, per lei.
Archés abbassò gli occhi nei suoi. A crederle, lui era ancora importante. A crederle, aveva sofferto nonostante avesse avuto certo più di lui. C'era con lei un uomo che la voleva, e un figlio suo.
Lui non l'aveva mai avuta, una donna sincera e dei figli amorevoli. Però... le sfiorò il viso, e nuovamente lacrime le bagnarono le guance. Crederle ancora...
"Perché sei qui?"
E Leona seppe che voleva crederle, ma aveva paura.
"Ho seguito Furius".
Archés fece una smorfia:"Potevi dirmi che eri venuta a morire con me, come Furius. Avrebbe fatto più effetto".
Leona scosse appena il capo:"Furius non è venuto a morire, ma a combattere con te fino alla morte. È diverso. E io non voglio dire nulla, che faccia effetto. Non ti chiedo nulla, se non di non soffrire più".
Archés lasciò cadere la mano:"Cancellare i ricordi... non potrei proprio, Leona. Ma hai ragione, l'odio fa male e ne sono stanco. Basta così. Evidentemente, è toccato a me.
Immagino tu non lo volessi neppure. È successo, e vedo che anche tu hai sofferto. Allora per il tempo che rimane, fingiamo che dopo Adamanta la vita ci abbia separati e basta e che ora ci si ritrovi, a lottare fino alla fine. Va bene, così?"
Leona indagò quegli occhi tristi. "Fingiamo", convenne sottovoce:"... fingiamo che al giuramento tu abbia scelto la tua vergine Inuri, e che il giorno dopo io sia partita con Tauro senza più incontrarti.
Che alla tua incoronazione fossi malata e che oggi ci rivediamo per la prima volta, dopo quel saluto ad Adamanta che credemmo l'ultimo. Se così è, consentimi questo...", e messo giù il ginocchio destro, chinato il capo e abbassata la mano sinistra al piede, recitò la formula breve con cui le nuove guardie, incontrando il re per la prima volta, gli giuravano obbedienza e di impiegare ogni loro forza nella sua difesa, fino a che avessero vita.
Poi attese.
A quel punto il re toccava i giovani sulla spalla destra e con quel semplice tocco di ammetteva al suo servizio. Il tempo rallentò. Leona attendeva, ma Archés non la scioglieva dall'inchino, non accettava la sua offerta, non chiudeva quel pozzo spalancato su cui entrambi erano affacciati.
A Leona sembrò che anche il cuore rallentasse. Non avrà mai più fiducia, non potremo mai più parlare, non ci saremo mai più, l'uno per l'altra. Perché, ho ceduto alla speranza di poter tornare e avvicinarmi?
Leona stentava a pensare e neppure ricordava come fosse successo, che Furius avesse dato l'avvio a quel discorso. Lentamente, la destra stretta a pugno contro il cuore, divenne bianca, tanto forte l'aveva serrata, e cominciò a vibrare. Gli occhi fissi al suolo si appannarono, e Leona li chiuse, sconfitta.
Stentò a distinguere, che una mano infine si posasse sulla sua spalla. Archés la scosse piano."Io devo riposare, amica mia. Ti lascio il compito di tentare un collegamento con la Federazione. C'è la saletta di fronte l'impianto radio, che ha divani così comodi da dormirci. Se hai successo, chiamaci".
Leona tornò piano indietro. Amica mia. Archés era tornato. Il sangue tornava nelle vene gelide.
"Agli ordini", disse rialzandosi, ma le sembrò di non avere equilibrio. Avvertì Furius, in piedi dietro di lei. Senza toccarla, la sosteneva. L'aveva spinta verso Archés, perché quella ferita sanguinava ancora troppo. E ora, occorreva recuperare tutte le forze, essere al massimo.
Furius, cosa sarei, senza di te... gli disse con la mente, e si girò a ringraziarlo con gli occhi.
L'uomo non sorrise. Quanto è sempre importante, lui, maledizione!, pensò anzi in uno spasimo di gelosia, nonostante quella consapevolezza l'avesse sempre avuta. Poi lo sguardo di Leona scese ad abbracciarlo, e Furius ricacciò quel sentimento. Non era il tempo, non era più tempo per nulla che non fosse lo stringersi insieme, loro tre.
Se si ritrovavano, Leona e Archés, tanto meglio. Avrebbero combattuto con più vigore e se avessero perso comunque, almeno lo avrebbero fatto col cuore in pace, finalmente.
"Andiamo, allora", disse con quella voce profonda che faceva arretrare i paurosi, e mettere in guardia i prudenti. E che allargava il cuore di Leona. La donna fece un passo indietro, per lasciare strada ad Archés, e questi si alzò e li riportò nel palazzo.
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