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cap. 24 Gli uomini di domani

A notte inoltrata la città festeggiava il nuovo re; il cielo era illuminato dai riflessi rossastri dei falò e mentre il vento leggero portava suoni di canti e ritmi di danza, Archés passeggiava in giardino. Si era ritirato, infine, ma ancora aveva la forza di parlare con qualcuno.

Ilruik camminava con lui, felice di come il re gli si fosse accostato, chiedendogli una manciata di minuti tutti per lui. Al tavolo della nobiltà più illustre, Archés aveva conversato gradevolmente con i più potenti del regno.

Ma il suo sguardo aveva indugiato di frequente sulla lunga tavolata dei vecchi compagni. Pur nel tentativo di rispettare la solennità dell'evento, da quel tavolo s'erano levate spesso allegre risate e Archés aveva ingoiato il desiderio di spostarsi tra quelli.

Gli anni avevano un po' cambiato parecchi di loro, ma nessuno tanto quanto Furius. La vecchia aria ringhiante e il rispetto gelido che lo circondava si erano dissolti. Ora aveva un'aria molto composta, assorta, e nonostante la compagnia, triste. Ora guardava dritto negli occhi gli uomini con franchezza, e chiunque lo salutava poteva sentire il piacere con cui prima stringeva loro il braccio al modo Inuri e poi li abbracciava; ma anche si avvertiva un'indecifrabile tristezza.

Tauro e Ilruik lo avevano messo in mezzo, al centro della tavolata, e gli strappavano di frequente risate un po' amare; Ardesio era di fronte a loro, e spesso si chinavano in avanti, a parlottare prima di scoppiare a ridere.

Furius restava il più composto, comunque, perfino più di Tauro che, acceso dalla compagnia, era visibilmente soddisfatto nel volgere lo sguardo in giro come un caposquadra orgoglioso del risultato del suo gruppo.

Infine il re aveva decretato il banchetto concluso, sciolto gli ospiti dal restare ulteriormente alla mensa.

"La mia casa è la vostra", disse:"chi vuole riposare conosce la sua stanza, chi vuole ancora festeggiare mi onori con la sua allegria", e si fermò finalmente al tavolo del corso.

Avevano mangiato e bevuto e brindato alla sua salute oltre il concepibile, e molti si alzarono e gli si strinsero affettuosi intorno, chiaramente brilli. Li portò verso l'aria fresca del giardino e poi li rimandò alle camere, con la promessa di riservare loro un po' di tempo l'indomani. Alcuni però, avevano controllato il proprio calice e camminavano sobri in gruppetti. Ilruik, Furius e Tauro tra questi, un po' isolati.

Archés si chiese con una fitta se avessero parlato di Leona. Circa due anni prima, benché fosse rimasto saldo nel suo proposito di non pronunciare mai più quel nome e di cancellare la memoria di lei, aveva casualmente saputo che la federale era ancora a Chiura, ancora concubina di quel signore. Appena un accenno del fatto, non richiesto e sfuggito in un discorso a riguardo del buon lavoro che Furius stava realizzando nella sua valle.

E nonostante ora Archés si imponesse con forza l'indifferenza, non poteva evitare che l'ombra della donna spuntasse nei suoi pensieri, soprattutto quella notte con la tavolata raccolta come ad Adamanta.

Archés aveva guardato istintivamente il posto dove lei si isolava, perché non fossero troppo oltraggiati dalla sua presenza. Nessun posto era vuoto però, lì a Glittica, nessuno nei pressi di una porta di cucina, nessuno riservato a una donna in divisa. Archés si era passato più volte una mano sugli occhi, come istintivamente cercasse di cancellare una immagine da quelli, inutilmente.

Poi, aveva notato i ragazzi.

A un tavolo loro riservato alcuni ragazzi di varie età avevano tenuto un comportamento più composto dei loro padri. Anche i suoi principi erano seduti lì, sdegnosi. Archés inutilmente cercava nei loro volti qualcosa di sé. Inutilmente aveva tentato di farne dei figli come lui era stato con Ergon. Bellissimi, fisicamente prestanti, assolutamente estranei. Il suo più atroce fallimento.

Archés sondò i volti degli altri. Un ragazzino bruno non aveva bisogno di chiedersi che sangue avesse. Gli occhi di Furius lo fissavano da quel volto somigliantissimo, intensi e severi.

Archés passò rapido al compagno seduto alla sua destra. Riccio, affilato, Archés ne intuì la nascita dai movimenti spigolosi e dalla confidenza con l'altro. Impossibile non accostarli e sovrapporli, all'immagine di Furius e Ilruik, seduti al tavolo vicino.

Archés tornò più volte a indugiare sui giovinetti. E quasi sempre, come fosse in grado di sentire  quello sguardo su di sé, il figlio di Furius alzava gli occhi nerissimi e li volgeva appena, a incontrarlo. Archés se ne sentiva turbato.

Ora, finalmente libero, concluso quel complicato spettacolo teatrale che doveva alla sua gente in occasione dell'investitura, Archés respirava sollevato camminando accanto a Ilruik.

Lo aveva staccato con un sorriso da Tauro e Furius, che si erano fermati e inchinati al gesto del re. Ora proseguivano dietro di loro, a debita distanza, e Archés si informava di Darama e di Diaspra.

Discorrevano confidenzialmente e Ilruik si scaldava felice al calore di quella amicizia, tanto più cara perché l'uomo era ormai tanto più potente di lui, che si sarebbe giustificata la distanza tra i piedi e la cima di un monte. Invece, era l'Archés di sempre. Forse, più vicino ancora.

"Posso farti conoscere mio figlio?", chiese a un tratto Ilruik che di Ardito era giustamente fiero, come della cosa migliore che gli fosse mai riuscita. Archés sorrise con una punta di segreto dolore.

"È quello che cammina accanto a noi?", gli chiese indicando i due ragazzini, che procedevano scambiando qualche parola sulla loro sinistra, anche loro attenti a rispettare una adeguata distanza. Ilruik sorrise con gli occhi brillanti d'orgoglio.

Archés si fermò sotto una torcia fissata a un palo, perché nel suo cerchio di luce fosse possibile vedere bene il ragazzo, e Furius e Tauro si fermarono pure per non avvicinarsi. Ardito arrivò nel cerchio e si inginocchiò composto, emozionato da quell'incontro inaspettato. Il re gli pose una mano sulla spalla e gli fece rivolgere il viso a lui, rialzandolo.

Come Ergon prima di lui Archés affondava i suoi occhi in quelli di chi aveva di fronte, a scavare tra i pensieri e le sensazioni. In Ardito, il cuore era aperto e accogliente come un abbraccio, pulito come poteva aspettarcisi da un giovanissimo, ma anche caldo e passionale, e orgoglioso, come già scalpitante di essere messo alla prova.

"Sarai altissimo come tuo padre", osservò per prima cosa Archés, misurando che il volto del ragazzino già gli arrivava al petto.

Ardito sorrise:"Può darsi, ma spero di non somigliargli solo per l'altezza, sire", rispose rispettosamente, ma con gli occhi limpidi ben fissi, senza inutili timidezze.

"E cosa speri ti abbia passato, oltre al privilegio di guardare tutti dall'alto in basso?"

Ardito ebbe una risatina allegra, che incantò Archés, oppresso da giorni di composti ossequi.

"Non proprio tutti", disse Ardito volgendosi verso Fidelio e Furius, senza che si capisse se pensava a sé e all'amico o al padre e al Signore di Chiura.

"In tutto", continuò poi improvvisamente serio, con gli occhi brillanti di intelligenza:"Spero di poterlo imitare in tutto. Di diventare altrettanto forte, altrettanto generoso e altrettanto testardo. Spero di diventare una guardia reale e un uomo del re".

Ora, non c'era giovane in Inurasi che non ambisse a quella carriera, ma in Ardito Archés vide più, che un vago sogno infantile. Nel giovinetto riconobbe l'espressione caparbia di Ilruik, capace di camminare all'infinito su una gamba distrutta, e capace di tornare in piedi nella metà del tempo che sarebbe occorso a un uomo normale. Decisione, vedeva incisa a chiare lettere sul bel viso magro.

"Quanti anni hai?", gli chiese allora.

"Quasi dieci", gli rispose.

Archés controllò un moto di sorpresa; meno di quanto si potesse dire...

"Eri il più piccolo al tavolo, quindi!", sorrise.

Ardito si drizzò per sembrare più alto ancora:"In verità il minore tra noi era Fidelio di Chiura; di poco, ma è nato dopo di me!", e si volse a guardarlo.

Archés, che aveva dominato la curiosità per un decennio si volse anch'egli. Il ragazzo bruno dagli occhi neri come pece aveva quasi quattro anni meno di quanto non si aspettasse...

Per questo, pensò, i principi che aveva creduto suoi coetanei o quasi, lo sovrastavano... Si era stupito, che un figlio di Furius avesse una statura media; in realtà, per avere la sua età, era assai più alto di quanto sarebbe stato normale.

"Un altro gigante quindi", mormorò Archés.

Fidelio intanto non aveva distolto gli occhi dal re. Archés immaginò che sperasse di potersi anch'egli avvicinare; e dovette riconoscere tra sé che gli rimescolava l'anima, il pensiero che potesse essere figlio di Leona.

In verità, gli occhi li aveva rubati a suo padre ma qualcosa, nella sua espressione, svegliava nel principe ricordi brucianti.

Tornò ostentatamente a guardare Ardito:"Una guardia reale, quindi...", disse. Poi, stringendo la spalla con la mano che ancora teneva appoggiata su quella:"Ti aspetto", disse serio.

E Ardito, che non era ancora un uomo, ebbe gli occhi lucidi di lacrime d'emozione. Archés se ne avvide, e collegando Ardito al suo amico, pensò: Fidelio, a te questo non voglio concederlo.

Gli nasceva, gli si agitava dentro un desiderio malsano di sfogarsi su quel ragazzo. Ma un istante dopo, la coscienza gli si ribellò: cosa sei diventato, Archés, per essere così arido... Quello è il figlio dell'uomo a cui devi la vita, ed è solo un ragazzo che guarda il suo miglior amico parlare col re. Se lo ignori, ne sarà molto ferito. Tornò a guardare di sfuggita Fidelio.

"Porta il tuo ragazzo a riposare Ilruik", disse, avendo improvvisamente deciso, al levriero. "È stata una giornata impegnativa e spero di rivederti domani almeno qualche altro istante, prima che partiate. Comunque, ti ho raccomandato di darmi regolarmente tue notizie; personali, non solo della guarnizione di Darama. E porta i miei saluti a Diaspra".

Ilruik si inchinò, colpito al cuore come suo figlio prima, perché il re degnava tanto la sua donna da mandarle un saluto personale. Si rialzò felice e guidò Ardito fuori della luce, verso Furius e Tauro.

 Archés guardò Fidelio. Lo infastidì quasi la tranquillità con cui attendeva, come avesse capito che aveva deciso di parlargli. Fu tentato di girare le spalle e punirlo, per quegli occhi che leggevano dentro... Poi gli fece un cenno appena percettibile, e quello fu nella luce in pochi passi rapidi. 

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