cap. 22 Chi ha fatto questo
Furius, Fidelio e Leona giunsero a Palazzo alla vigilia dell'incoronazione, all'alba, e furono scortati alle loro camere in silenzio, perché gli ospiti già arrivati ancora riposavano.
Le camere erano sullo stesso corridoio, ma a Leona ne era stata assegnata una singola, affianco a quella del signore di Chiura e di suo figlio.
Avendo viaggiato anche di notte decisero di sdraiarsi. Poche ore dopo Leona si affacciò al corridoio in quel momento deserto e bussò piano alla camera di Furius, nel caso Fidelio ancora dormisse. Ma Furius le aprì e le fece cenno di seguirlo; in piedi vicino a una finestra, rimasero a guardare.
In un cortile interno su cui affacciava quell'ala del palazzo, un gruppo di ragazzini giocava. Fidelio e Ardito spiccavano per l'altezza e la confidenza. Facevano coppia e si battevano contro un gruppo. Leona si chiese col cuore che pulsava forte se tra loro ci fossero i principi, i figli di Archés. In quel mentre, la porta che aveva richiusa entrando si aprì imperiosa.
"Furius di Chiura! Finalmente posso riabbracciarti", tuonò Ergon con vigore, nonostante la malattia avesse realmente scavato sul suo volto maturo dei segni... segni riconoscibili.
Il silenzio che precipitò nella camera subito dopo, Leona lo aveva ascoltato raramente. Si erano inginocchiati velocemente, lei e Furius, e del re non potevano distinguere che gli stivali. Ma il tempo che occorse a questo a dar loro il comando di alzarsi, diede a entrambi la sensazione che qualcosa lo aveva sorpreso.
E quando infine Leona poté alzare lo sguardo, l'espressione di Ergon le ghiacciò il sangue nelle vene. L'ordine che li aveva sciolti dall'inchino era arrivato stentato, smorto, arrochito e gli occhi che Leona incrociò erano così carichi di rancore, che la donna stentò a rimanere sull'attenti.
Irrigidita soffocò l'impulso di negare. L'accusa del re era così evidente che avrebbe voluto gridare. L'hai tradito, le dicevano quegli occhi terribili, ed Ergon furioso era uomo da terrorizzare chiunque. Leona si sentì morire. Quell'uomo intelligente e avveduto, giusto e rigoroso, la giudicava senza pietà e inorridiva, per il suo comportamento che giudicava spregevole.
"Come hai osato...", e la sua voce echeggiò cupa, bassa e minacciosa:"... venire fin qui e indossare ancora questa divisa".
Leona sentì la mente vacillare, sotto l'onda di odio che la investiva. Il re fece un passo avanti. Poi la colpì col rovescio della mano, con forza, uno schiaffo in pieno viso.
Leona sentì in bocca il sapore del sangue; ma il colpo arrivò assai più dentro, assai più profondo, da spezzare il cuore. Gli occhi le si appannarono. Ma rimase rigida, sull'attenti.
"Se non fossi una proprietà di Furius, e se Furius non mi fosse caro, per essere oltre ogni dubbio un amico di Archés dei più fidati, Inurasi sarebbe stata già liberata della tua presenza. Non osare tenere indosso quei panni un istante di più, e nasconditi in una stanza come un topo, bestia ripugnante che sei. E torna alla tua tana appena puoi, badando bene che nessuno sappia che sei qui.
Se ti incrocio ancora una volta giuro che non rispetterò più nessuno, e avrò il piacere di mandarti nel regno delle ombre con le mie stesse mani. Che Archés non sappia che eri qui o mi pagherai tutto insieme, il dolore che gli hai inferto".
Leona respirava appena, con gli occhi che bruciavano e il petto stretto che non riusciva ad aprirsi. Non disse o fece assolutamente nulla, come fosse di pietra, ed Ergon volse le spalle e si affrettò fuori come non rispondesse veramente di sé.
Furius si riscosse dopo qualche istante, e richiuse lento la porta. Non parlò, perché ora anche lui capiva che Leona aveva avuto ragione. Archés non aveva voluto la sua presenza. Probabilmente, nell'ordinare che il vecchio corso fosse convocato al completo, aveva dato per certo che lei non sarebbe stata contata. E che comunque, non avrebbe avuto l'ardire di presentarsi.
Insistere era stato un errore, da parte sua, dettato certo dal desiderio di credere che il tempo avesse potuto mitigare il dolore, quello di Leona tanto quanto quello di Archés. Ma si era ingannato. Archés non doveva aver perdonato nulla, né comunque essere andato oltre, se tale era il sentimento di odio che Ergon covava.
Furius bagnò una pezzuola e premette l'angolo della bocca spaccato dall'anello che Ergon portava. Premette a lungo, senza commentare, perché sapeva quanto Leona fosse devota al re, e la sentiva respirare a fatica. Infine la donna tirò il viso indietro.
"Prendimi un cambio dalla camera, ti prego", gli disse,"perché non succeda che incontri qualcuno. Devo cambiarmi subito. E dobbiamo raccomandare a Fidelio che non dica nulla, che ero qui anch'io".
Furius abbassò gli occhi, senza trovare la forza di dirle niente. Solo lui, poteva sapere quanta gioia aveva illuminato quei giorni, quanta ansia Leona avesse nutrito di vedere i vecchi compagni, quanto avesse atteso la possibilità insperata di giurare ancora lealtà al re, ad Archés; solo lui, poteva capire la crudeltà della disillusione, la profondità del dolore che ora l'attraversava.
Uscì senza poter pensare di dirle parole di conforto. Non esistevano, parole che potessero confortarla.
Infine, Fidelio rientrò. Un anziano servitore aveva mandato i ragazzini presso i padri perché si preparassero all'inizio della cerimonia. Mancavano due ore, ancora, ma il vecchio aveva sciolti i loro giochi, e quelli si erano salutati allegri.
Entrando nella stanza, Fidelio respirò all'istante l'aria pesante. Furius era già pronto. Si girò a guardarlo, e la sua espressione era seria, e triste. Fidelio ne ebbe una scossa, perché da giorni c'era tanta gioia, in casa, ed erano partiti così felici, da Chiura, così felici di quel viaggio che facevano per la prima volta insieme.
"Cosa è successo", chiese subito, un istante dopo essere entrato. "Chiudi la porta e vieni a sederti", gli rispose il padre. Fidelio ubbidì con un presentimento.
"Tu sai che la presenza di tua madre fu una scandalosa provocazione, quando molti anni fa venne dalle terre federali per frequentare il nostro corso. Ora, in occasione della cerimonia di incoronazione, Archés ha espresso il desiderio di avere vicini i suoi vecchi compagni, e chi ha diramato gli inviti ha consultato l'annuario di Adamanta e incluso anche tua madre.
Noi abbiamo creduto che fosse desiderata al pari di tutti gli altri, ma ci siamo sbagliati. La sua presenza crederebbe imbarazzi che il re vuole evitare; è nata federale e ancora oggi un gesto di simpatia nei suoi confronti allontanerebbe dal re il favore di molta parte della nobiltà, ostile a ogni apertura agli stranieri. Quindi è opportuno che non assista alla cerimonia. E a questo punto, è meglio per tutti che non si sappia neppure che era venuta con noi".
Fidelio rimase in silenzio. "Quindi non indosserà la divisa?", chiese poi. Egli sapeva cosa significasse per Leona indossare la divisa. Aveva visto la sua espressione il giorno prima di partire quando aveva chiesto a urveo di controllargliela addosso per essere certa che cadesse perfetta.
Sembrava più alta, camminava sciolta come fosse d'improvviso più forte, come fosse finalmente nella sua vera pelle. Fidelio aveva visto anche come l'avesse riposta nel bagaglio, piegandola con tale amorevole cura che si capiva fosse cosa sacra.
E poi avevano sempre parlato, loro, di come non fosse solo un'abito, quello che i militari indossano. Fidelio sapeva che sua madre era un militare. Conosceva come funzionasse l'organizzazione militare federale. Sapeva di quanti corpi diversi disponesse, ciascuno con la divisa di diverso colore. Sapeva che Leona aveva una divisa grigia, sotto la pelle, da navigatrice, che avrebbe avuto addosso sempre, in qualsiasi modo fosse vestita.
"E quella bianca... ", le aveva chiesto il giorno lontano in cui ne avevano parlato la prima volta:"quella dov'è?"
E Leona, allora, aveva sorriso, perché il bambino aveva sentito che anche quella, non poteva smettere di indossarla!
Gli aveva mostrato una moneta."Quale faccia, ha questa moneta", gli aveva chiesto:"un profilo del re o l'aquila rampante?"
Il piccolo aveva girato e rigirato la moneta. "Ha tutte e due le facce", aveva risposto:"Anche se la moneta è una sola".
"Anche la mia divisa è una, Fidelio. Su un lato è grigia, sull'altro è bianca. E l'una per i Federali, l'altra per gli Inuri, mi chiedono le stesse cose: rispettare la legge, agire con onore, fare da barriera contro la violenza, proteggere i deboli impedendo i soprusi dei forti, aiutare chi ha bisogno".
"Quindi, non indosserà la divisa?", chiese addolorato il ragazzo.
Furius scosse la testa. Fidelio rimase ancora silenzioso, per un po'.
"Perché le fanno questo?", e cercò la madre con gli occhi. Sentiva che era lì ad ascoltare. La vide quasi nascosta, in un angolo. Girava la faccia, ne vedeva solo il profilo. D'istinto si alzò e andò a guardarla da vicino. Vide il viso colpito, il labbro gonfio e spaccato.
Serrò le mascelle e strinse gli occhi, in un gesto identico a quello di Furius;"Chi le ha fatto questo?", chiese incredulo. Furius ingoiò amaro:"Io le ho fatto questo", disse cupo.
Perché da anni una voce gli ripeteva che aveva preso con la prepotenza qualcosa che non era sua. Che per egoismo aveva separato Archés e Leona, togliendo a entrambi una sentimento prezioso.
E quel rancore, che Ergon provava e che feriva Leona così profondamente, veniva anch'esso da lì, da quello che lui aveva voluto per sè a dispetto di tutto.
Allora, Leona gli si rivolse. "Sei già pronto, Furius. Potresti cominciare ad andare e forse incontrerai qualcuno degli altri. Molti non li vedi dal giuramento, sarebbe bello avere il tempo di parlare un po'. Io aiuterò Fidelio a prepararsi, e tenterò di spiegargli alcune cose".
Furius ebbe un'espressione angosciata. Avrebbe voluto restare, per parlare insieme al figlio.
"Fidati di me", gli disse Leona e Furius crollò il capo. Leona sapeva parlare, sapeva mettere sotto una luce giusta le cose, perché sembrassero meno orribili. Uscì senza parlare, troppo addolorato per fare altro che darle retta.
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