cap. 21 Una divisa per sempre
La notizia arrivò ufficiale alla soglia della stagione estiva: re Ergon abdicava e Archés saliva al trono di Inurasi.
Si mormorava che motivi di salute avessero costretto Ergon a insediare il principe, e questo fu un dolore, per Leona. Ma Archés era ormai un uomo esperto, che da anni preparava la sua rete di alleanze e prendeva coscienza della realtà del paese grazie agli incarichi in seno alla guardia reale.
Chiura era stata di gran lunga la provincia meno visitata, ma Archés riceveva da Furius relazioni puntuali sul suo sviluppo e pure se non di persona aveva referenti attendibili che gli confermavano l'assoluta fedeltà delle relazioni alla vera condizione della valle. Così, Archés si asteneva senza apprensioni dal recarvisi.
Pienamente tranquillo sulle capacità e sulla lealtà di Furius, evitava. E Leona non aveva mai più lasciato l'ombra dell'Orso rampante. Ma un mese circa dopo la grande notizia, arrivò l'invito. L'incoronazione non sarebbe stata, secondo la volontà di Archés, così grandiosa come altri avrebbero considerato opportuno. Ma certo la capitale avrebbe comunque vissuto un evento di grande richiamo.
Alcune personalità erano invitate espressamente, perché il futuro re ne riteneva la presenza indispensabile e il loro soggiorno era organizzato perché non avessero difficoltà. Ospiti personali del re.
Singolare era stata la scelta di non abbracciare tra questi ospiti illustri alcuni nomi prestigiosi e di esigere invece la presenza, a esempio, dell'intero corso da cui Archés era uscito guardia reale.
Non tutti potevano evidentemente vantare la brillante carriera di Tauro o di Furius, ma li voleva comunque tutti con sé, senza esclusioni. E gli scrivani che ricevettero l'ordine lo girarono al comando di Adamanta, perché fornisse loro l'elenco degli allievi.
Vennero poi ricercate le ultime destinazioni di ciascuno e si procedette a recapitare sollecitamente gli inviti e persino, secondo il preciso desiderio del futuro re, le divise candide, prive delle insegne e dei gradi nel frattempo guadagnati, per essere nuovamente, per un giorno, pienamente solo compagni di corso e di vita.
Un desiderio quasi scandaloso, che molto diceva della nostalgia di Archés per le amicizie sincere e generose che aveva vissuto allora, e del malessere con cui viveva il suo ruolo, circondato di interessi fortissimi, che si traducevano troppo spesso in rapporti falsi, opportunistici e ipocriti.
Agli uomini era consentito di portare con sè i figli maschi, ma l'invito non menzionava donne, mogli, figlie o concubine. E Leona, comunque, non avrebbe neppure considerato l'idea di muoversi da Chiura.
Poi, Furius le consegnò un biglietto. Avevano aperto insieme quello rivolto al comandante della guarnigione di Chiura e Leona aveva sorriso commossa, nel vedere l'involto per Furius che conteneva la divisa candida dei cadetti.
Guardò con incredulo stupore il biglietto che Furius le porse dopo. Aprì chiedendosi cosa Furius avesse studiato per stupirla, perché lui sorrideva sornione. Ma Furius non aveva fatto nulla, questa volta. Uniformandosi all'ordine del re, un invito aveva raggiunto ogni membro del Corso, fosse o no ancora un militare.
Leona fissò allibita un invito identico a quello di Furius. Lo lesse e lo rilesse. L'uomo non capiva perché lo considerasse così incredibile, ma Leona scuoteva il capo.
"Sono passati molti anni, Archés infine è passato oltre e te lo dimostra. Se non l'avesse fatto, avrebbe confessato una debolezza che, evidentemente, gli ripugna. Tu sei un passato chiuso, Leona, e può permettersi di invitarti senza rancori. Sei un pari corso, quindi ti vuole ai suoi piedi il giorno in cui non sarà più principe, e diverrà re. Sei rimasta a Inurasi per questo giorno, che io ricordi. Quindi..."
E le porse il secondo involto. Leona sbandò come ricevesse un colpo tale da potersi reggere a stento. Continuò a negare, silenziosamente, come quella fosse una cosa impossibile, e mise giù la divisa, dolorosamente.
Sentiva che non era possibile, tutto questo. Un errore, pensò, è palesemente un errore.
Ma Furius non era d'accordo. Un invito del re alla cerimonia di intronizzazione, partito per errore? Con l'invio di una divisa tessuta e cucita appositamente sulle ultime misure disponibili di ciascuno di loro? Per l'uomo era impensabile. E cos'altro, quindi, uno scherzo?
Leona fissò il candore della stoffa. Forse il dolore di Archés di quel giorno lontano si era sopito, finalmente; lo avrebbe desiderato con tutte le sue forze.
Ma lo sdegno, l'orgoglio ferito, l'amarezza del tradimento... Leona sentiva che il baratro tra loro era invalicabile. "Archés non mi perdonerà mai, Furius".
Quello ebbe un gesto vago:"Forse è così. Ma credo che non ammetterà davanti a tutti che tu l'hai ferito. Troppe cose, si potrebbero capire. E se tu sola mancassi, del Corso, forse troppe domande si farebbero.
Credo che fingerà comunque che nulla sia accaduto. Rifletti, Leona. Vuoi veramente perdere l'occasione di rivederli tutti? Non solo Tauro e Ilruik. Ma Corantin... Kurt... Ardesio... ".
Furius usava armi sleali, per farla capitolare. Il ricordo del giorno del giuramento le avvampò il viso. Il ricordo di loro nella sala, in divisa, pronti a uscire nel cortile d'onore; i volti giovani, fieri, compresi nella solennità, vincenti, stretti dalla sensazione di appartenenza reciproca come fossero una cosa sola, un'entità con una sola voce e un solo cuore... Leona vacillava.
"Provala", disse Furius indicando la divisa; e poiché esitava, prese a toglierle con decisione l'abito. La donna si fece indietro con l'aria implorante come le avesse ordinato di allungare le mani su un braciere acceso.
"Metti quella divisa", le ordinò con fermezza, e si voltò a prendere la sua.
"Proviamole", mormorò allora Leona, ma era percorsa da un tremito leggero. Un biglietto accompagnava gli involti, raccomandando una prova sollecita, per operare le opportune modifiche. Furius rise, perché la sua giacca tirava sul petto, dove il torace era ancora più largo, di quanto non fosse ad Adamanta.
Poi si affiancò a Leona, a guardare le loro figure riflesse nello specchio grande della camera. Sul viso di Leona si segnò il solco di una lacrima. Perché aveva amato quella divisa con tutte le sue forze, l'aveva tolta stracciandosi l'anima su cui era cucita, e indossarla ancora riapriva una ferita mai guarita del tutto.
Si guardarono affiancati nello specchio, e ricordi su ricordi fluirono sulla superficie liscia argentea, mentre Furius teneva la sua mano sulla spalla di Leona, quasi a non farla fuggire. Poi si volse, rapido, a trarre da un cassetto il pugnale d'ordinanza.
'Tu sarai per sempre, una guardia reale... e delle migliori, anche ', le aveva detto una volta davanti a Ilruik e Diaspra. E le completò la divisa con l'arma. Le allacciò la cintura del fodero e per fissarle la cinghietta alla coscia si inginocchiò, in un gesto che un uomo del suo rango avrebbe riservato, forse, solo il sovrano.
Leona passò la mano tra i ricci bruni, senza più tremare, perché così vicini erano ormai, da non sentire dove finisse il sangue dell'uno e cominciasse quello dell'altra, dove finisse il battere, il sentire e il ricordare dell'uno e cominciasse l'anima dell'altra.
"Così va bene", disse Furius rialzandosi, perché Leona, ora, era quella di Adamanta. E non l'arma, le aveva allacciato, ma il ricordo di mille sfide tra loro, di cento ferite inferte, di una lunga guerra senza esclusione di colpi, costata tanta sofferenza e infine vinta; vinta senza riserve; vinta con un prigioniero liberato e convertito. Vinta trionfalmente.
Leona smise di specchiarsi nel vetro e lo fece in quegli occhi bruni orgogliosi, e tornò a ruggire. "Sarà bellissimo, rivederli tutti!"
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