cap.2 Stupore
Nella quiete della sala Leona invitò Tauro a sedersi nuovamente in poltrona e preso un grande cuscino morbido si sedette ai suoi piedi, secondo l'uso Inuri. "Come stai?", gli chiese.
E quello la fissò stupito, perché le leggeva dentro una serenità che mai si sarebbe atteso.
Scosse il capo incerto:"Ho visto molte cose orribili, molta infelicità, tanto dolore. Mi sento triste, benché personalmente non abbia perso nulla".
Poi aggiunse:"Sapevo che Furius era vivo, ma credevo di aver perso te".
Leona sorrise:"Che io non avessi una lunga prospettiva lo avevamo stabilito lasciando Glittica. Avrebbe dovuto sembrarti, comunque, solo un epilogo atteso".
Ma Tauro scuoteva la testa:"Era un pensiero orribile che fossi andata via così, con l'anima strappata dalla mia violenza. Non riuscivo a perdonarmi".
La donna strinse le mani intorno alle sue:"Tu non hai nulla da perdonarti, Tauro. Non è stata 'la tua violenza'. Tu sei un ricordo splendido e ho per te un affetto e una gratitudine che è difficile da esprimere a parole. Non so se puoi credermi, ma c'è stato un momento in cui sono stata ad un passo dal lasciarmi cadere, mesi fa.
Un passo piccolissimo. Non reggevo più, troppo dolore mio personale e troppo intorno. Poi Furius mi ha presa e tirata indietro; mi ha impedito di farlo, di chiudere gli occhi e arrendermi. E tra le cose che mi ha detto, tante, e forti, c'era questo: che tu e Ilruik eravate vicini, e vivi. Che tu lo creda o no, questo mi ha costretto a rimanere.
L'idea che combattevate ancora, la gioia di sapere che il dio dei venti vi aveva protetto, voi e Furius, mi ha fermato mentre ero proprio sul punto di scivolar via".
E fissandolo bene in viso, lasciò che l'uomo capisse quanto realmente fosse nel suo cuore. Tauro guardò le mani che stringevano le sue.
"Tu come stai?", le chiese allora a sua volta, indagando il volto ovale non più scavato e livido, i grandi occhi castani non più cerchiati e infossati.
Leona sorrise.
"Posso chiederti io una cosa, prima?", disse:"Perché scrivesti a Furius di quello che era successo? Già il destino mi metteva nelle sue mani, così mi sentìi veramente annientata, nuda, senza alcuna difesa. Mi sentii tradita, quando mi riferì che l'avevi avvertito. Perché lo facesti?"
Tauro non riusciva a guardarla; anche quel ricordo gli era pesato tanto, sulla coscienza. Era stata una mossa disperata, una scommessa buia e l'aveva pensato, sì, che stava offrendo a Furius il miglior modo di infierire, ma...
"La notte in cui Archés tornò in dormitorio, ad Adamanta", le raccontò allora,"dopo aver smaltito le tossine della percorso rosso... praticamente noi tutti eravamo in attesa. Aspettavamo che lui fosse finalmente fuori, e anche che tu ti arrendessi.
Sapevamo che combattevi una battaglia persa, soffrivamo per quella agonia infinita. Quando rientrò Archés, lo sorreggevano Ardesio e Furius. Entrarono e ci dissero che eri fuori. Che eri viva. Dovettero ripeterlo più volte prima che noi tutti, increduli, ci convincessimo. Credo che tutti, nessuno escluso, si siano sentiti vittoriosi in quel momento.
Qualcuno che, ricordi, aveva scommesso mesi prima che non saresti arrivata alla fine, volle pagare il suo siclo sostenendo che non era mai stato più contento di perdere una scommessa. E Furius, che quella notte sembrava un altro, disse davanti a me, e io glielo sentii affermare senza possibilità d'errore e con un'espressione convinta che non potei dubitare fosse sincera, che non era mai stato così felice di vincere.
Quel giorno che ci separammo, lasciando Darama, mi venne in mente quel Furius. Avrei dovuto ricordare mille altre cose, invece pensai a quello. E alla disperata trovai il modo di mandargli un biglietto. Mi addolora sapere che ti sentisti tradita, in quel momento pensai che sapere quanto fossi debole, e ferita e bisognosa di aiuto, lo avrebbe spinto a proteggerti; anche perché se non ottenevi aiuto da lui, nessun altro avrebbe potuto salvarti".
La donna continuò a stringergli le mani.
"Ti chiedo perdono", concluse Tauro:"ma non potevo tentare null'altro fuori che quello!"
Leona annuì. La notte di Adamanta. Ricordava il saluto di Furius, il pomeriggio prima. Certo, lei non l'aveva visto sorreggere Archés che tornava tra gli altri, nè l'aveva sentito tradirsi con Tauro. Chissà se c'erano state altre volte in cui aveva detto e fatto qualcosa che non doveva, qualcosa che stonava con quella dichiarazione di guerra eterna che le aveva fatto al primo sguardo!
"Anche di questo, Tauro, non devi chiedere affatto perdono, perché quel biglietto ha cambiato le nostre vite. Nè tu né io potevamo saperlo, ad Adamanta, ma Furius non aveva avuto una vita facile. Lui era come... un prigioniero.
Prigioniero di un passato non suo, ma che pesava sulla sua coscienza come ne avesse responsabilità. Prigioniero di un nome, di un ruolo, che doveva interpretare anche se contrastava con certi istinti, certi sentimenti che doveva reprimere, per essere Furius di Chiura.
Prigioniero di insegnamenti che doveva rispettare, per senso d'onore, ma che stridevano dentro di lui con ciò che desiderava.
Prigioniero dentro se stesso, non credo avrebbe mai scelto la libertà. Ma per qualcun altro, quando ha avuto la consapevolezza di una sofferenza così forte in qualcun altro, allora ha trovato la forza di ribellarsi.
Quando gli hai fatto sapere in che condizioni sarei arrivata a Chiura, il prigioniero si è ribellato e anziché finirmi, come avrebbe voluto il suo ruolo, decise di proteggermi. A suo modo, naturalmente. Tu ti mettesti tra me e gli altri dichiarando apertamente che non ero come le donne Inuri, che non mi asservivo agli uomini, che chiedevo rispetto. Furius si mise tra me e gli altri dicendo semplicemente che gli appartenevo.
Io ero troppo distrutta per reagire e lasciai che credessero quel che volevano; conseguenza fu che nonostante disprezzo e ridicolo nessuno osò toccarmi. Certo, Furius era un padrone esigente e feroce, che pretendeva pronta obbedienza. Ma nella sua ombra, sopravvivevo".
Leona si fermò un attimo, ripensando a quei mesi amari.
"Quindi, si pensava che fossi una sua donna e non era vero?", chiese Tauro.
"Non era vero. Non allora. Col tempo però le cose cambiarono. Ricordi quelle serate atroci di riposo nella sala comune, con Furius che mi tormentava davanti a tutti? Non fece più nulla del genere. Invece successe che parlassimo, da soli, in certi turni di guardia. Parlando ho scoperto cose che ignoravo, che persino Furius preferiva ignorare di se stesso.
Ci siamo avvicinati.
Poi... poi c'è stata un'ispezione. A Darama, avevo potuto vedere Archés solo da lontano, e già era stato difficile. Qui a Chiura Furius fece in modo che, all'insaputa di tutti, potessimo parlare e stare un po'insieme. Archés andò via più sereno, consapevole che Furius mi proteggeva. Io invece crollai. Tu sai che effetto aveva su di me".
Tauro annuì. Ricordava la donna piangere silenziosamente, sapeva che era rimasta incatenata ad Inurasi per il principe.
"Furius mi restò vicino, e io feci quello che non avrei mai pensato possibile. Non significava che pensassi a lui, anzi... c'era solo Archés per me! Ma ero sola e disperata e Furius non ebbe bisogno di forzarmi. Tempo dopo scoprii che quel cedimento aveva avuto una conseguenza importante".
Leona si ritirò le mani in grembo:"Aspettavo un figlio. Il medico della caserma mi sorprese a vomitare schiuma, mi tenne d'occhio, fece domande. Infine mi fissò un appuntamento con il medico delle donne e io dovetti prendere una decisione.
Rifiutai in partenza l'idea di uccidere quella creatura, che non aveva colpe e già era viva dentro di me. Piuttosto decisi di metterlo al mondo e subire la condanna che le leggi del Sud impongono alle donne non sposate che osano sfidare l'obbligo di appartenere a un uomo, prima di concepire un figlio. Parlai con Furius, già pronta a percorrere l'unica strada possibile.
Furius mi offrì allora di diventare sua concubina. In tal modo il bambino non sarebbe finito nella casa degli orfani, e invece avrebbe avuto la protezione di un nome potente. Nessuno, mi assicurò, avrebbe osato ricordargli che aveva nelle vene anche sangue straniero.
Mi sembrò una sorte assai più clemente, per il bambino, e accettai. Rinunciai al servizio e mi ritirai in casa di Furius. Eri mai stato a Chiura, in passato?"
Tauro silenzioso, stordito da quel racconto incredibile, scosse solo la testa.
Leona si volse verso la finestra:"Di qui vedi il pendio risparmiato dalla frana, coperto di boschi verdi. Alle nostre spalle l'altro lato della valle è quello dove una parte enorme del monte è venuta giù, seppellendo il paese e la strada di ingresso.
La casa di Furius era a metà pendio, circondata da un bosco di castagni di una bellezza da incantare. Era un palazzo austero, isolato, solenne, che dominava la valle; i suoi costruttori avevano usato la pietra del monte e scavato parte degli ambienti direttamente nella roccia.
La prima volta che vi salimmo con la squadra, in una uscita di pattugliamento, ne rimasi fortemente colpita. Si sentiva, che Furius apparteneva a quel luogo: tutto lì era massiccio, potente, esprimeva dominio. Ma coloro che l'avevano fatto edificare avevano fondato il proprio potere sul sangue e sul terrore. Furius aveva un rapporto di amore-odio con quella casa.
Rabbrividiva agli antichi ricordi sanguinosi imprigionati nella pietra, ma comunque lui vi era nato e qualcuno era pur riuscito a proteggerlo e a lasciarlo crescere, fuori dall'influenza atroce del padre. Un tutore, il vecchio austero che vi ha accolto: per lui Furius nutriva e nutre un'affezione profonda e filiale.
Quella prima volta io rimasi colpita proprio da come Furius attraversava il bosco e da come guardava l'alta torre che svettava a dominare la valle; da come fosse felice di dirigervisi, da come fosse orgoglioso dell'ospitalità che poteva offrire, da come si informasse di ogni cosa successa in sua assenza e da come i lavoranti l'accoglievano, con una devozione assoluta, come se ogni volta benedicessero il dio dei venti del signore loro toccato, finalmente, dopo generazioni".
Leona tacque di nuovo, con di nuovo negli occhi Furius che montava Mistral con un'espressione di gioia pura, in un'esplosione di giovinezza onnipotente. Tacque a lungo e Tauro non poté trattenersi:"Avete un figlio?"
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