cap. 19 Il peggiore degli scherzi
Quando il medico arrivò in tarda mattinata, la casa era avvolta nel silenzio. Urveo lo condusse nella sala e una donna gli portò il neonato. L'uomo lo visitò con grande cura, poi chiese della madre; fu accompagnato nella camera da letto.
Leona sembrava morta, e il medico dovette accostarle uno specchietto alla bocca per convincersi che, ancora, un alito di vita usciva da quelle labbra. Allora volle parlare con Diaspra.
Chiese come si fosse svolto il parto e quella con gli occhi cerchiati e il volto devastato descrisse ogni cosa. Infine il medico volle visitare la donna.
Quando uscì dalla camera, Furius era seduto a fissare la porta e, visibilmente, non era in grado di alzarsi. Ilruik gli era seduto accanto e come Diaspra aveva il viso segnato dall'angoscia.
"Vorrei parlarvi da solo, signore", disse il medico e Ilruik si alzò lentamente, mise un braccio intorno alla vita di Diaspra e la guidò fuori.
Furius fissò il medico in viso.
"Ho visitato il bambino", cominciò quello:"è gonfio e congestionato, per aver molto sofferto, ma è perfettamente formato, respira liberamente e ha un cuore potente. In poco tempo il colorito schiarirà, e chiunque si congratulerà perché ai Chiura è nato un maschio magnifico, che posso già pronosticare avrà il fisico possente di suo padre".
Furius ebbe una smorfia, forse un tentativo mal riuscito di sorridere. "E la donna?", chiese.
Il medico era stato messo sull'avviso, che Furius teneva a quella concubina.
"L'emorragia è stata imponente. Purtroppo è impensabile che riesca a recuperare. E non c'è scienza medica che si possa impiegare in suo soccorso. Credo che il signore di Chiura debba prepararsi".
Furius abbassò gli occhi:"Era inevitabile che succedesse, vista la sua corporatura?", chiese."Voglio dire, un altro bambino sarebbe nato, che non fosse stato questo mio figlio?"
Il medico trovò strana, quella curiosità, quasi morbosa.
"Era una donna di buone proporzioni", disse usando inavvertitamente già l'imperfetto:"Una discreta fattrice. Ma le è capitato come primo un maschio di mole imponente e un parto naturale è stato impossibile".
Furius serrò ancor più i denti. Poi:"Ciò che è stato fatto, è stato fatto bene?", chiese ancora.
Ora normalmente il medico avrebbe coperto un collega, se pure avesse giudicato un suo intervento non adeguato. Ma qui aveva lavorato una levatrice.
"Devo dire che non c'era da scegliere. Il bambino andava salvato e la madre sacrificata. Capisco che si è tentato di aspettarmi ma... il piccolo ha rischiato. Occorreva intervenire prima".
Furius commentò:"Capisco".
"La donna è stata trattata correttamente?", chiese ancora dopo una esitazione.
Il medico si trovava davvero a mal partito, a questo punto. Temeva di contrariare Furius, ma anche di rispondere un domani di imperizia:"La levatrice non poteva operare e quindi ha liberato il bambino come possibile; sarebbe stato meglio un taglio ventrale, per farlo nascere più rapidamente. E anche per la madre, sarebbe stato più pietoso, accorciare la sua agonia".
Furius continuò a fissare il pavimento:"Cioè sarebbe morta subito, mentre così... "
"Così sta agonizzando", sentenziò brusco il medico:"Ho chiesto se almeno fosse già svenuta, quando ha cauterizzato i tagli. Certo che è stato un massacro. Certe persone hanno lo stomaco di fare qualsiasi cosa e la presunzione di poter operare miracoli. Lo credo, che ora la levatrice sia così spaventata. Un macellaio sarebbe stato meno brutale".
Furius tacque a lungo. "Mi dica quanto le devo per il suo disturbo", fu quanto riuscì a dire alla fine.
Quando la carrozza del medico ripartì, Ilruik e Diaspra tornarono dentro.
"Cosa ha detto?", chiese Ilruik.
"Il bambino starà bene".
"E di Leona?", disse Diaspra, con un fil di voce.
"Morirà", e questa volta a Furius riuscì meglio, un tetro sorriso.
"Ti risparmio cosa ha detto di te, e di quello che le hai fatto. Ma io ora so cosa è successo".
Gli occhi di Diaspra si allagarono:"Furius, io... ".
L'uomo la bloccò. Si alzò di scatto e afferratole i capelli le tirò indietro il viso per piantare i propri occhi sconvolti in quelli gonfi di lacrime di lei.
"Tu", disse con voce terribile:"hai fatto quello che nessuno avrebbe fatto. Hai avuto lo stomaco di infierire su di lei, di farne scempio con un coltello e di bloccare l'emorragia con un attizzatoio rovente. Sul corpo di un'amica, di una sorella, hai fatto quello che un estraneo, perfino un nemico, non avrebbe potuto fare.
Hai una volontà d'acciaio, Diaspra, e non ti arrendi neanche all'evidenza. Credo che sputeresti in faccia al dio dei venti, e lo sfideresti a duello, se volesse spaventarti".
La lasciò andare di colpo:"Le somigli tanto da non credere, che siate nate tanto lontano e cresciute in modo così diverso".
E la voce si fece ancora più bassa e divenne faticosa:"Per il medico morirà. Per lui avrebbe dovuto morire già stanotte e la sua è solo una lunga agonia. Io dico, che le hai dato una possibilità.
E che l'ho già vista, agonizzare.
Non so se riuscirà a farcela ancora, ma tu le hai ottenuto una possibilità, come nessuno avrebbe saputo fare. Prego che ce la faccia anche per te, perché capisco cosa deve esserti costato farlo".
Diaspra diede un singhiozzo. Poi gli si strinse contro, piangendo a dirotto e Furius l'abbracciò come fosse Leona, accarezzandole i capelli e chiudendo gli occhi.
Passò tempo, prima che entrambi riuscissero a tornare indietro, a riprendere il controllo.
"Grazie di averlo detto, Furius", disse Diaspra allontanandosi.
E Furius anche fece un passo indietro:"Io torno da lei. Ti supplico, prenditi cura del bambino perché Leona ha quasi dato la vita, per lui. Occupatevi di trovare una balia, tenetelo in braccio, io ancora non ce la faccio".
"Conta che sia con suo padre e sua madre, Furius", gli disse Ilruik:"lo terremo accanto ad Ardito come fossero due gemelli, e non ci sarà sorriso o cura rivolta all'uno che mancherà all'altro".
Passarono tre giorni, e Leona non si svegliò. All'alba del terzo, Furius sentì il suo respiro. Così debole era stato sino ad allora che si stentava a credere, ci fosse ancora.
Ma poi si sentì. Si fece affannoso. Furius non si era allontanato dalla camera che per brevi istanti; non aveva mangiato. Aveva sonnecchiato sulla sedia, aveva premuto una spugna sulle labbra della donna perché ingoiasse poche gocce d'acqua.
Poche gocce, ma continuamente, con una pazienza infinita, perché avesse tanta acqua quanta ne serviva a convertirla in sangue. Dopo tre giorni, lo stomaco si serrò; quel respiro improvvisamente affannoso, quasi un rantolo, lo gelò.
"Leona", cominciò a chiamare:"Leona!", e lo sentì Diaspra dalla camera accanto. Entrò col bambino al seno, perché ancora non avevano trovato una balia adatta e lei aveva latte in abbondanza.
Entrò e sentì quel rantolo, e comprese che Furius impazziva di dolore.
"Ora basta", quasi gridava:"ora devi svegliarti. Devi, capisci? Non puoi andartene, non puoi lasciarci così. C'è tuo figlio, qui", e si voltò a guardare Diaspra.
Il suo sguardo la spaventò sul serio; fece un passo indietro, ma Furius le balzò addosso e le strappò il bambino di mano.
"C'è tuo figlio, qui, senti?". E sotto lo sguardo terrorizzato di Diaspra le premette il piccolo al petto.
"Tuo figlio... ", ripeteva gridando:"... lo senti? Lo senti?"
Il bambino cominciò a piangere e Furius prese le braccia inerti di Leona e le allacciò intorno al bambino, scostandole la veste perché il calore del bambino scaldasse la pelle gelida della donna. E Ilruik che accorreva, assistette alla scena paurosa di quel bambino che vagiva disperato, mentre il padre pazzo di dolore gli stringeva intorno quelle braccia gelide.
E di colpo, il rantolo si affievolì. Furius restò paralizzato e gli occhi castani si riaprirono. Perfino il bambino, smise di piangere. In quel silenzio irreale, Leona tornò cosciente. Percepì il movimento sul seno, un debole calore contro il petto. Aveva freddo. Chinò appena lo sguardo. Un fagotto tiepido si agitava piano contro di lei. Lo fissò a lungo.
Il dolore non la faceva pensare; un dolore atroce, che saliva dal basso ventre. Atroce. Diaspra. Furius. Tornò a guardare davanti a sé. Furius. I suoi occhi neri, profondi come pozzi. È tuo figlio?, gli chiese con gli occhi, non avendo forza sufficiente che per qualche pensiero disordinato.
"Nostro figlio", le rispose sottovoce, di colpo calmo:"Un maschio sano, perfetto e bellissimo. Partorirlo ti ha quasi uccisa, perché è un gigante che verrà alto come quell'orso di suo padre. Ora dovresti cercare di riprenderti, però, perché Diaspra si sta occupando del suo e del nostro insieme, ed è faticoso".
Il bambino fece un verso, e lo sguardo di Leona tornò in basso, rapido. Furius respirò profondamente. Viva. Era sveglia e ora sapeva di avere un figlio. Questo l'avrebbe tenuta viva. Non l'avrebbe lasciato, non avrebbe lasciato che il bambino portasse dentro il dolore d'aver ucciso sua madre, come lei aveva dovuto fare.
Furius le accarezzava i capelli e Leona sentì la sua mano tremare. Tornò a guardarlo. Chiuse gli occhi, poi li riapri. Sono debolissima, tentò di dirgli con lo sguardo.
"Ce la farai, non avere paura", le rispose senza capire che sentiva parole che lei non pronunciava. Gli arrivavano, comunque. "Ricordi Adamanta? Tu sei troppo agile, perché la morte ti afferri. Però la paghi sempre cara, questa danza. Riesci a parlare?".
Leona lo guardò a lungo. "Freddo", mormorò a fior di labbra e:"Dolore".
Furius continuò ad accarezzarla:"Ora Diaspra da un po' di latte al piccolo. Lei ne ha tanto, e così saranno proprio fratelli, fratelli di latte, i nostri figli, mio e di Ilruik".
E piano, pianissimo allontanò il bambino e lo restituì a Diaspra. Le braccia di Leona ricaddero, senza il sostegno di Furius.
"Bisogna coprirla di più", disse alla donna di casa che si era affacciata vedendo accorrere Ilruik.
"Ha freddo. Diaspra, non possiamo fare nulla per il dolore vero?". La donna lo guardò silenziosa. Il viso rigato di lacrime era incredulo, incapace di rispondere. Furius tolse alla donna di casa, anche quella incredula e ammutolita, la coperta che gli porgeva. Coprì Leona con cura, poi la sollevo un po' di più, perché vedesse intorno a sé.
Alla donna ordinò di correre in cucina:"Dì che preparino un brodo di carne, molto ristretto. Servono sostanze, che possa prendere bevendo. Ora che è cosciente potremo dargliene a cucchiaiate. Diaspra, ho bisogno che la culla del bambino sia in questa stanza.
Leona deve sentirlo, e vederlo. Sarà quello, che la sosterrà e che le farà sopportare il dolore. Ilruik, vieni qui al mio posto, devo allontanarmi qualche istante e Leona non deve restare sola".
Poi uscì, e crollò sulla panca fuori della porta, a nascondere il viso tra le mani e a piangere di sollievo, come non aveva fatto mai, a strani singhiozzi soffocati.
Un paio di giorni dopo, Ilruik dovette ripartire. Era passata una settimana ed era necessario per lui rientrare al comando. Lasciò Diaspra e il bambino a Chiura, perché Leona avrebbe avuto bisogno di assistenza per molto e Diaspra non voleva che nessun altro se ne occupasse.
Andandosene Ilruik poté salutare la federale che, ormai sveglia e lucida, uscì persino in un pallido sorriso.
"Ti lascio Diaspra", le disse chinato sul letto:"Non temere di trattenerla, questa volta. Voglio che lei torni solo quando ti sarai completamente ripresa. Voglio stare tranquillo, intesi?"
Leona tentò appunto di sorridergli:"Grazie", mormorò con sforzo, e Ilruik, vicino com'era al suo viso per sentirla, chiuse gli occhi.
Strofinò il suo naso a quello di lei, in un buffo gesto improvvisato, perché così lo spingeva il cuore.
Leona sapeva di non poter ridere, perché il ventre urlava di dolore a ogni minimo movimento del diaframma; pure le scappò, un accenno di riso. Poi l'uomo appoggiò la guancia alla sua, la premette con tenerezza e infine si girò a lasciarci un bacio.
Furius l'accompagnò fin fuori nel cortile, dov'era pronta una cavalcatura.
"Sei molto affettuoso, con la mia donna", commentò camminando.
Ilruik rise, incurante dell'implicita minaccia che si sarebbe potuta leggere in quelle parole.
"Non posso trattenermi, è vero! Sono pazzo di Leona!", riconobbe felice, perché la paura di perderla così, a un passo da quel sogno che lei inseguiva con tanto coraggio era stato micidiale e ora il sollievo rendeva tutto luminoso.
Furius lo rifletté con calma.
"Devo trattenerti ancora pochi minuti", disse guidandolo oltre il cavallo e i servi, verso il cancello e poi fuori, dove nessuno ascoltasse. Ilruik lasciò fare con assoluta tranquillità.
"Non temi possa risentirmi, per questo tuo modo di fare?", gli chiese. Ilruik alzò un sopracciglio.
"Perché sono un po' innamorato di lei? No, perché? Non sono il solo... Conoscerla a fondo e volerle bene viene facile, anzi quasi inevitabile. E per lei, sono comunque solo un carissimo amico.
Tu piuttosto, attento a non confonderti. È vero che Diaspra le somiglia parecchio, sono due guerriere; quindi stai attento, anche perché giurerei che tu piaccia moltissimo, a Diaspra, come uomo".
Furius passò oltre veloce, a questo.
"Devo dirti una cosa importante. Quando nasce un erede ai Chiura, è uso designare subito un tutore, che avrà il compito di educarlo se accadesse qualcosa al padre. In genere si sceglie un familiare, ma non ho più che parentele molto lontane, di quarto o quinto grado.
Quando è nato, hai detto che con te e Diaspra mio figlio avrebbe avuto un padre e una madre. Se anche non avessi già deciso, le tue stesse parole ti avrebbero scelto. Quindi sappi, che se mi accade qualcosa, ho indicato il tuo nome nei documenti ufficiali custoditi al Registro di Chiura".
Ilruik si accigliò. Per una volta, non era cosa da scherzarci sopra.
"Non possiedo un patrimonio adeguato alla stirpe da cui proviene, ma posso permettermi di mantenere decorosamente una famiglia numerosa. Terrò a mente di avere questo incarico, e sarò parsimonioso. Un figlio maschio in più sarà sempre prezioso".
Furius sorrise: "Non ho affatto intenzione di darti questo peso, ma sappi comunque che il tutore è investito anche della gestione del patrimonio fino alla maggiore età, con il compito di coinvolgere il ragazzo nell'amministrazione fin dai sedici anni.
Benché non sia più la ricchezza di un tempo, un tutore avrà di che mantenere agiatamente molte famiglie e disporrà di ampie risorse a sua completa discrezione".
Ilruik rimase interdetto.
"È una prospettiva notevole...", commentò.
"E un'ultima cosa...", aggiunse Furius: "come concubina, Leona appartiene al patrimonio della casa. Se mi succede qualcosa, tu sarai il suo nuovo padrone".
Ilruik si guardò intorno.
"Padrone, eh?", disse, ben sapendo che quella era la loro legge; poi gli venne da ridere.
"Cerca decisamente di non farti accadere nulla, Furius. Immagini cosa farebbero di me quelle due?"
Poi con aria maliziosa: "Comunque non sei saggio, a confidarmi questa cosa. Potrebbe sembrare quasi un affare, Leona a parte".
Furius piantò gli occhi neri in quelli dell'amico.
"Infatti le nomine sono sempre segrete. In passato, di diversi signori di Chiura si è sospettato siano passati al servizio degli Dei piuttosto in fretta, perché il probabile tutore aveva scommesso d'essere stato scelto. Quanto a te, se ho tanto sbagliato a pesare il tuo cuore, merito d'essere sepolto oggi stesso".
Ilruik rise. "Va bene, Furius. Mi hai avvisato. Ma la cosa finisce qui, nulla ti succederà per i prossimi cento anni, presumo. E potrei pensare addirittura che me lo abbia detto sperando che ti ricambi. Ma toglitelo dalla testa: Diaspra sceglierà da sola un altro uomo, se dovesse accadermi qualcosa. Cosa che non succederà".
Furius ne convenne.
"Cresceremo i nostri figli e custodiremo le nostre donne. Le carte si scrivono perché si deve. Fa buon viaggio, Ilruik. E come mi dicesti un tempo, ti ringrazierò poi perché parole ora non ne ho, di adeguate a quello che hai fatto per noi accompagnando qui Diaspra e lasciandomela finché Leona non stia meglio".
Così Furius e Ilruik si salutarono quella mattina, sapendo nei loro cuori che ognuno dei due avrebbe potuto contare sull'altro, per proteggere le cose più preziose che avessero, anche qualora la vita avesse giocato loro il peggiore degli scherzi.
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