Cap. 15 Dove neppure la fantasia può arrivare
Quella sera, quando Furius rientrò, la casa era silenziosa. Diaspra era già a riposare, con la scusa della stanchezza del viaggio. Urveo aveva ordinato a tutti di imitarla, lasciando Leona a servire il signore.
Così, la sala era silenziosa, il tavolo apparecchiato per lui, il camino acceso benché non facesse affatto freddo. Leona era vestita con più cura, soprattutto aveva uno sguardo diverso. Furius sentì la differenza a pelle, senza neanche che parlasse.
Allora si sedette e si lasciò servire. Notò che alla donna sembravano tremare le mani e si avvide che sembrava appoggiarsi al mobile, in piedi a fianco a lui. Lo notò ma non fece nulla, e mangiò con calma. Poi, finito che ebbe, alzò gli occhi su di lei e le chiese di accompagnarlo fuori.
Leona esitò un istante:"Al bosco dovrai sorreggermi, perché non sto bene, Furius. Ma se avrò il tuo braccio sarò felice di seguirti". E i suoi occhi dissero che non parlava dei due passi di quella sera.
Uscirono senza parlare e al bosco la donna dovette fermarsi di colpo, perché si era sforzata molto, per camminare sin lì come nulla fosse. Furius aveva misurato però la sua debolezza, spiato la fatica sul suo volto.
Sembrava assurda quella condizione in Leona. Furius conosceva bene le sue forze, la sua prestanza ed era veramente preoccupato. Quando la donna si fermò capì che non riusciva più a reggersi e anziché offrirle un appoggio, la prese direttamente in braccio, come pesasse nulla. Leona non protestò, non tentò di farcela da sola. Gli appoggiò il volto contro il petto e gli allacciò le braccia al collo:"Perdonami", fu la sola cosa che osò dirgli, quando arrivati alla terrazza sul fianco del monte, si fermò a guardare la valle.
"Perdonami", e tutto quello che avrebbe voluto dire le mancò letteralmente la forza di dirlo. Furius inspirò a lungo. Qualche parola di Diaspra e tutto cambiava; abbassò gli occhi pronto a dar sfogo alla frustrazione e la sua espressione lo fermò. La supplica che aveva negli occhi, il dolore, la debolezza, la paura, spensero ogni rabbia.
Era smarrita come una bambina, come non l'aveva mai vista. Impazzita di dolore, sì. Spezzata dalla ferocia Inuri, sì, l'aveva vista. Ma farsi piccola così, che chiedeva perdono, no. Si sedette su una panca, e se la tenne stretta al petto senza parlare.
Le aveva detto che avevano bisogno di farlo, invece non si scambiarono neppure una parola. Non ce n'è fu bisogno. La riportò a casa in braccio e dormirono vicini, vicini nei pensieri più che nei corpi, come erano stati subito dopo la frana. Uniti come allora, Furius se ne rese conto, da una perdita. Anche questa volta un figlio non sarebbe arrivato. Ma avevano l'uno l'altra, e questo era più di quanto tanti non avessero.
Solo l'alba portò le parole. Quanto dolore tormentava la donna perché gli negava di diventare padre! Gli raccontò di quel bambinetto che accarezzava Mistral, e non si rassegnava che fosse stato solo un sogno; Furius la cullò a lungo e le parlò della sua pena nel vederla spegnersi. Parlarono tanto da dimenticare che c'era un mondo fuori, che mormorava incuriosito.
Infine, dovettero smettere di parlare. Era orario di pranzo e arrivava il rumore delle donne che pulivano e cucinavano. Spuntarono dalla loro camera insieme e Urveo tirò un respiro di sollievo perché quella tensione gelida che li separava si era dissolta come la nebbia al calore di una bella giornata; restava una brina di tristezza sul volto della donna e quell'aria stanca che benché fosse nascosta nuovamente dietro un sorriso, brillava evidente per chi la conosceva bene.
Diaspra era in piedi da tempo e tutti in casa l'avevano accolta con autentica gioia. Perché era un'ospite molto più gradita di qualsiasi altra avesse potuto spuntare dalla carrozza; perché era una presenza rassicurante e quieta, nonostante la sua grande bellezza; perché la sua amicizia per Leona le guadagnava il loro affetto e stima incondizionata.
E Diaspra ricambiò quell'accoglienza con un calore e un piacere evidenti; brillava di una luce nuova, addirittura, e Akira lo commentò al primo sguardo: "La signora è ancora più bella, come se non si senta più sola!", e a Diaspra spuntarono lacrime di felicità e volle stringersela al cuore, e mormorarle due parole a voce così bassa che nessun altro potesse sentire.
La ragazzina la fissò felice, e poi chinò appena un po' il viso da un lato, a guardarla bene, e Diaspra lesse la sua lieve tristezza, che quella cosa non fosse accaduta anche a Leona.
Diaspra era certa che Akira sapesse tutto, perché quegli occhi indagatori coglievano anche le cose che sarebbero sfuggite a chiunque altro. "Shss", le impose sorridente con un dito sulle labbra: "Abbi fiducia", aggiunse poi, come aveva detto a Furius, con quella calda convinzione di chi è felice e lotta perché lo sia anche chi gli è caro.
Nel pomeriggio Diaspra portò Leona a sedersi al sole, nello spazio verde sul retro della casa. Lì la interrogò a lungo sulle sue condizioni. Volle sapere tutto, ma proprio tutto di quella ricerca di un figlio andata delusa e del suo stato di salute.
Leona rispondeva con imbarazzo, nonostante Diaspra avesse le conoscenze quasi di un medico. Quando poi le chiese di farsi visitare, allora proprio si ritrasse con autentica vergogna. "Non vedo perché, sono a posto", sostenne, ed era arrossita.
Diaspra scosse il capo.
"Se sei a posto nel corpo come lo sei nell'anima, lo credo bene che un figlio non sia arrivato".
Leona sembrava sinceramente stupita, di quelle parole. Diaspra allora le tenne un discorso chiaro: impedimenti fisici potevano essercene tanti, ma tanto contava anche lo spirito.
"Se questa maternità ha occupato tutta la tua mente, diventando un ossessione, potresti esserti preclusa la strada da sola. Non ho i dati medici per spiegartelo ma ho l'esperienza pratica: un figlio a volte arriva solo quando si smette di crederci, e si abbandona la lotta. Forse perché non deve, essere una lotta! Guardati: tensione e dolore ti hanno abbattuto come le tossine del percorso rosso. In un corpo così, un figlio non troverebbe risorse sufficienti".
Leona sospirò.
"Capisco. Ma quando abbiamo cominciato stavo benissimo, ero fortissima e fiduciosa. E non è successo egualmente nulla".
"Non è detto che debba succedere subito", osservò Diaspra. "Un anno, anche due possono essere del tutto normali. Magari un problema fisico c'è pure. Qualcosa che va curato. Per questo volevo vederti.
E poi questa debolezza... il vomito al mattino... sai che sembrano i sintomi di una gravidanza?"
Leona scosse il capo.
"Dopo gli ultimi giorni di luna Furius non si è più avvicinato, e ormai è molto più di un mese".
"Quindi", calcolò Diaspra, "c'è anche un ritardo?"
"Sì, ma... "
"Ho capito, Leona, che non è possibile", la interruppe prima che lo ripetesse:"ma il tuo corpo invece non lo capisce, e se tu hai continuato a chiedergli una gravidanza, lui può fingerne una. E come capisci da sola non è un buon segno".
"Una gravidanza isterica? Potrei essere così... compromessa?", chiese Leona.
"Dimmelo tu", le rispose:"la tua condizione emotiva è così disastrosa?"
Leona ripensò a quegli ultimi tempi, al tormento continuo, al pensiero di Polaris, al ricordo di Gialesia, ai sogni in cui tornava a nuotare libera e ai risvegli sudati accanto a Furius.
Alla sensazione di aver buttato ogni cosa, di aver sbagliato tutte le strade, alla bruciatura rovente che aveva sentito in fondo al cuore quando Archés aveva avuto dalla sua principessa il primo erede maschio.
"Sì", ammise improvvisamente consapevole: "Sono sotto grande pressione. Un figlio era il possibile riscatto di molte cose preziose sacrificate per poter andare avanti. Può essere, che alla fine mentalmente abbia ceduto".
Diaspra annuì.
"Devo visitarti. Ho promesso a Furius che vi avrei aiutati e da qualche parte devo cominciare. Dalla tua condizione fisica, direi, è un buon inizio. E poi un bel po' di chiacchierate ti faranno un mondo di bene. Non intendo andar via prima di averti vista tornare Leona", e sorrise decisa.
Quel pomeriggio, nell'intimità della camera, Diaspra la aiutò a spogliarsi; la visitò gentilmente, ma evocava ricordi pesanti. Leona le raccontò della sua prima visita, di quella ispezione barbara, tanto inutile quanto feroce, del medico di Adamanta, così umiliante da bruciare ancora.
Diaspra voleva sapere come era finita in infermeria, e lasciò che i ricordi distraessero Leona da quello che le faceva; il ricordo del medico... il terrore di tornare in infermeria... e Ilruik che sapendolo l'accompagnava e non si separava da lei, quando fu necessario suturare le ferite del duello.
I ricordi di Adamanta erano una buona cosa, decise Diaspra. Le ricordavano chi era, quanto aveva saputo lottare, quanti ostacoli non erano riusciti a bloccarla. E presi in quelli, non colse l'espressione di Diaspra nel concludere il suo esame.
Il giorno dopo Diaspra chiese a Furius di parlargli da solo. Si fece intendere quasi a gesti e l'uomo, già sull'avviso, trovò il modo di rientrare assai prima del solito senza che nessuno se non Diaspra lo vedesse.
Nel cortile, schermati da un capanno, la donna gli sorrise rassicurante. Furius sapeva che aveva trovato il modo di convincere Leona a lasciarsi visitare e ora temeva avesse trovato chissà cosa, di brutto, nella donna.
"Tutto bene, Furius, va tutto bene", gli disse per prima cosa, avendo riguardo alla sua espressione ansiosa.
Ma Furius immaginava non fosse del tutto vero.
"Perché hai voluto parlarmi da solo, allora?"
"Perché la situazione è comunque delicata, e occorrerà che tu sappia come prendere la cosa dal giusto verso", gli rispose.
Furius si appoggiò a un bancone e incrociò le braccia:"Sono pronto. Dimmi cosa c'è".
"Leona è incinta", e Diaspra lo affermava con assoluta certezza.
Furius sbandò.
"Ma... mi ha detto che... ".
"So bene cosa ti ha detto, e avevo pensato per questo a una falsa gravidanza, uno di quegli scherzi atroci che la natura può tirare a una donna, se molto sotto pressione.
I sintomi erano così sfacciati... nausea, debolezza... fragilità e depressione... persino il seno gonfio e un certo ritardo. Ma la visita mi ha provato altro: è veramente incinta, di quasi tre mesi direi, e lei non ne ha alcuna idea.
Occorre parlarle con calma e sarebbe bene che lo facessi tu, perché l'emozione sarà fortissima e tu devi aiutarla a non farsi prendere da mille paure e pensieri oscuri, come non è affatto impensabile che accada. L'equilibrio non è il suo forte, in questo periodo, e dovrai guidarla e sostenerla, in questi primi momenti.
Azzardo a prevedere che in compenso la vedrai letteralmente tornare alla vita, nel giro di poco. Quando sarà di quattro, cinque mesi e comincerà a distendersi e a sentire il bambino muoversi dentro di lei, riavrai la tua leonessa, Furius".
L'uomo la fissò per qualche istante, poi si alzò bruscamente e le diede le spalle. Diaspra guardò sorridendo quel gigante che nascondeva la faccia; vide il torace allargarsi, in due, tre respiri molto profondi. Si girò quando ritenne di aver dominato le emozioni più forti.
"Sei certa di quello che mi hai detto? Se fosse un'illusione, Leona non potrebbe reggerla... "
"Lo so, Furius, ma occorre avvisarla perché per un po' deve essere prudente. E anche per rassicurarla, perché capisca che non è malata e che tutto probabilmente migliorerà a breve".
Furius capiva, ma esitava.
"Quindi non pensi che si possa aspettare ancora un po', per essere proprio sicuri?"
"Furius", gli rispose, "Leona porta tuo figlio in grembo, e deve saperlo. Io sono, proprio sicura".
Occorse un po', perché Furius parlasse di nuovo. Diaspra pensò che quell'uomo le piaceva sempre di più. Ebbe voglia di abbracciarlo, per quello che gli leggeva negli occhi. Lasciamo stare, si disse, Ilruik ci impazzirebbe, a saperlo. Ed ebbe voglia di danzare.
"Grazie, Diaspra", gli disse infine Furius, e nella voce profonda vibrava una nota nuova, commossa, felice, potente; la donna rise di gioia.
"Non ho fatto nulla, Furius. Avevate già combinato tutto voi due, ti ricordo", aggiunse con aria maliziosa.
Anche Furius rise, poi la prese per la vita e la fece girare in aria, come si fa con i bambini; la rimise giù e le lasciò un bacio leggero a fior di labbra.
"Grazie", le ripeté ancora. "Non dirlo a Ilruik, questo, ma sei la mia migliore amica!".
Poi corse via, a cercare Leona.
Che rientrasse prima e con quegli occhi brillanti, fece subito capire a quella che aveva novità felici. Leona pensò ad uno dei tanti progetti per la valle, che lui aveva per le mani. Si dispose ad ascoltarlo quieta, sorridendo nonostante quella stanchezza che le faceva avere sempre voglia di dormire. Furius chiuse la porta della stanza.
Quando ne uscirono, Leona aveva smesso finalmente di tremare. Incredula, aveva una mano sul ventre, in un gesto che era scattato istintivo e aveva colpito Furius come un pugnale. Questa volta, lui allungò la mano a coprire la sua e Leona lesse i suoi ricordi. Lesse di quella carezza che non aveva voluto fare, allora, e che gli bruciava ancora dentro come tutti i rimorsi di ciò che non si è più in tempo a fare.
Lo tirò a sé e spese per lui tutta la tenerezza che aveva, tutte le carezze i baci e le parole che aveva nel cuore; e Furius le ricordò che proprio lei aveva predetto che non avrebbe mai conosciuto la tenerezza di una donna. Leone rise e pianse, e lo sfidò a trovare qualcuno che allora avrebbe potuto avere abbastanza fantasia da immaginarli insieme.
"La vita va molto oltre ogni fantasia!", commentò Furius.
Un mese più tardi Diaspra ripartì per Darama, ancora scortata da Furius. Nuovamente lasciò un vuoto, ma Leona non poteva pensare di tenerla ancora lontana da Ilruik. Ora la sua condizione era visibile anche con le ampie vesti Inuri e non voleva che il levriero perdesse quei momenti preziosi, in cui finalmente attraverso la stoffa leggera certi movimenti si percepivano già. Diaspra partì facendo mille raccomandazioni, perché da quando la nausea era diminuita, Leona andava recuperando forza e voglia di fare.
"Non esagerare", le aveva ripetuto conoscendola: "Sospetto che quelle che scambiasti per giorni di luna, furono le avvisaglie di un aborto, fortunatamente rientrato. Credo che tu abbia rischiato e ora devi custodirti con molta attenzione. Pretendo che i nostri figli siano compagni di corso, visto che avranno la fortuna di essere quasi coetanei. Quindi attenta a questo piccolo, io vanto dei diritti su di lui. Se poi fosse una femmina, considerala già promessa a mio figlio".
Leona scuoteva la testa, ridendo, ma prometteva di essere assolutamente cauta. Gli occhi le lucevano e Diaspra non capiva bene se fossero lacrime di gioia, all'idea di quella meravigliosa fortuna dei loro figli coetanei e già amici, o di dispiacere, perché lei partiva.
Ilruik l'accolse col sollievo di chi ritrova la propria casa dopo una lunga guerra, e impazzì di gioia alla grande notizia che sarebbe diventato zio. Figlio di mio fratello, era infatti per lui il bambino che sarebbe nato a Chiura, e Furius pensò che quello stupido geniere era in fondo veramente il fratello che avrebbe scelto, se gli fosse stata per magia data quella facoltà.
"Tuo figlio nascerà un paio di mesi prima... Troppo poco tempo per essere a Chiura quando sarà il tempo di Leona, vero?", chiese partendo Furius a Diaspra. Il parto, ora, era la sua grande paura.
Diaspra prese una mano di lui tra le proprie: "Se tutto andrà bene e il mio non se la prenderà troppo comoda, cercherò di esserci. Ma sta sereno, Leona è una donna fisicamente fortissima ed è tempo che le cose, dopo tanta pena, volgano al bello. Stalle vicino e godetevi questi mesi di attesa. Vi faremo sapere non appena ci saranno novità".
Finì così il caldo estivo e l'autunno pennellò di rosso i primi gradoni della frana. Il collegio ultimato accolse i primi piccoli ospiti e la vendita dei raccolti abbondanti consentì alle famiglie di Chiura acquisti insperati.
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