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cap. 11 Il premio degli Dei

Ma i venti avevano soffiato capricciosi, e il tempo era passato lento senza che la speranza si concretizzasse.

L'inverno aveva imbiancato i pascoli, l'estate aveva tinto la valle di verdi intensi; il biancore della neve era tornato e poi ancora il tepore estivo, in un rincorrersi di colori e di stagioni.

Molto lavoro, intenso, era stato compiuto e molte novità erano fiorite a Chiura, ma nessuna nuova vita si era annunciata nel corpo asciutto della donna.

Inizialmente Furius si era intenerito, per il velo di tristezza con cui ogni volta la donna accoglieva la luna sorgere nel suo grembo; ma mese su mese la tristezza di lei era cresciuta, diventata ansia, e infine dolore.

Non era possibile che ogni cosa nella sua vita fosse così dura; Furius si malediva per averle chiesto quella maternità: inutilmente si cercavano nelle notti propizie.

E ora a Furius si stringeva il cuore ogni volta che vedeva Leona occuparsi di un bambino, perché la donna ai piccoli riservava una dolcezza, un'attenzione paziente, una cura che parlava del suo desiderio fortissimo di essere madre.

Ma dopo quasi tre anni la speranza era naufragata. Una sera ancora fredda di fine inverno, davanti al camino, Leona gli aveva fatto un discorso serio. Perdere quel primo figlio aveva segnato il suo corpo, Leona ne era convinta. Non avrebbe avuto altre gravidanze, qualche difetto fisico le impediva, evidentemente. E quindi, Furius non aveva scelta: se non poteva dargli figli lei, era necessario che prendesse moglie. La casa non poteva restare vuota, Chiura esigeva un erede.

"Ti prego, Furius, ostinarsi è inutile: se vuoi dei figli, devi trovare un'altra donna. So che temi per me, ma saprò affrontare la situazione. Tua moglie non avrà da lamentarsi, saprò stare al mio posto e aiuterò a custodire i bambini. Devi deciderti, perché è tempo, ormai, per te, di essere padre".

Furius aveva reagito con rabbia e affermato che di donne ne aveva più che a sufficienza. Leona aveva taciuto. Ma tra loro, una corda si era tesa. La donna era tornata sull'argomento più volte, finché Furius era esploso. Aveva spaccato una sedia a un passo da lei e l'aveva insultata.

"Dimmelo ancora una volta", l'aveva minacciata solo pochi giorni prima:"e mi sceglierò la moglie più feroce che riuscirò a scovare, e tu... tornerai non la serva miserabile dei primi giorni, quando comunque avevo ordinato che si avesse riguardo al tuo ventre gonfio, ma molto, molto peggio!"

Leona aveva taciuto, ancora. Ma ancora era tornata a pregarlo, dopo poco. E questa volta, per Furius era stata di troppo.

Sfogato fisicamente il primo impulso sulla innocente sedia, aveva strappato fuori da un cassetto della carta, e aveva vergato in fretta: al Signore di... Furius di Chiura porge i suoi saluti. Desideravo conoscere se presso la sua famiglia vi fosse una vergine in età da matrimonio. Nonostante il sisma recente abbia danneggiato il mio patrimonio, ritengo di poter offrire una dote equa. Attendo un cenno di risposta per organizzare una visita e trattare di persona l'affare di comune interesse.

"Fanne cinque copie", ordinò a Leona buttandole con malagrazia il foglio quasi in faccia:"E giuro ti pentirai di avermi molestato così, donna", concluse infuriato uscendo per non metterle le mani addosso.

Così le lettere partirono e i giorni presero a sgocciolare via ancor più lenti e tristi. Urveo sapeva da tempo che le cose tra i due si erano aggrovigliate. Il primo anno insieme era stato un tempo di grazia. La donna era lentamente rifiorita, sotto lo sguardo orgoglioso di Furius. Nonostante lavorasse con una foga che solo il suo fisico eccezionale poteva reggere, Furius trovava il tempo di passare con lei ore nei boschi.

Ne aveva fatto un fior di cacciatrice e le aveva regalato una giumenta, insegnandole a cavalcare. La donna aveva ricambiato con una dedizione assoluta alla sua casa, imparando ogni cosa che una Inuri dovesse saper fare, senza fermarsi mai, se non l'inverno al buio, quando nella cucina di casa prendeva il bambino, che non poteva ricevere istruzione adeguata nel caos che ancora seguiva all'evento dell'anno prima, e lo perfezionava nell'arte di leggere e scrivere.

Questo perché l'orfano aveva sostenuto che voleva diventare una guardia reale, per tornare a Chiura in divisa e avere l'onore di obbedire a Furius come militare e non come semplice servo.

Lo aveva affermato con una serietà che aveva intenerito Leona, e lei ora si adoperava perché avesse l'opportunità di provarci. In realtà già l'inverno del terremoto i genitori l'avevano ritirato dal collegio, essendo la sua istruzione sufficiente per il suo ruolo predestinato di servitore. E dopo il cataclisma, non vi erano più istituti prossimi a cui iscriverlo. Non per sua colpa, ma avrebbe saltato forse  anni di studio.

Leona gli faceva allora lezione accanto al fuoco, con un'innata capacità di interessarlo, di essere chiara e paziente, di ottenere costanti progressi. 

In casa nessuna delle donne aveva ovviamente quel tipo di istruzione, riservata agli uomini e in parte alle donne di alto rango.

Leona si era accorta che la seguivano quasi di nascosto, apparentemente occupate in lavoretti serali, di cucito e tessitura. La bambina che aveva trovato quasi due anni prima nella grotta buia, sopravvissuta lei sola di famiglia al terremoto e che Furius aveva preso in casa per pietà, era la più attenta.

Per lei Leona nutriva un'affezione profonda, assolutamente ricambiata. Gli occhi della giovinetta brillavano di intelligenza e di concentrazione. Leona ne aveva parlato con Furius, chiedendogli il permesso di istruirla apertamente insieme al maschio, assegnandole compiti e correggendoli.

Avere un compagno di studi avrebbe costituito per il bambino uno stimolo in più a impegnarsi al massimo, per non sfigurare. Furius aveva esitato inquieto, perché una simile cosa non si era mai sentita e poteva dare scandalo.

Non solo. "Sei certa di fare il suo bene, cambiando tanto il percorso normale di quella bambina? Come vivrà il suo destino di donna Inuri, se le darai un orgoglio e una consapevolezza così diversa?"

Leona aveva sorriso:"Come si preparerà un mondo nuovo, se non preparando uomini e donne nuovi? Akira è intelligente, già molto più adulta della sua età. Crescerà ben sapendo che la sua terra è ancora impreparata ad accogliere una come lei.

Ma soffocare quello che ha dentro sarebbe un delitto. Lasciami la possibilità di aiutarla e vediamo che cosa scorre nel suo sangue: il tuo è un popolo meraviglioso, Inuri! Abbi fiducia".

Così i due piccoli avevano cominciato a competere e il ragazzino ne aveva ricevuto seriamente una sferzata di impegno, perché Akira era più pronta e sveglia di lui, purtroppo.

Per orgoglio lui aveva moltiplicato gli sforzi e Leona lo lodava spesso, per il lavoro duro che faceva. Alla piccola riservata un sorriso e una carezza. Fingeva di degnarla poco, ma entrambe sapevano che faceva ogni cosa presto e bene.

E spiegando ai piccoli, uno sguardo girava sempre anche ai grandi, che ormai si affollavano in cucina, misteriosamente presi ogni sera da una qualche necessità. Le donne cucivano e preparavano dolci, con un'aria assorta; gli uomini pulivano strumenti di lavoro, o intagliavano oggetti in legno, lentamente, in silenzio.

Leona capiva che ascoltavano, e metteva tutto ciò che aveva in quelle sere invernali. Anche Diaspra, di tanto in tanto, rompeva il suo isolamento per passare una serata in cucina; composta in un angolo, anche lei ascoltava e ricordava ben altri maestri che proponevano quegli insegnamenti con altri modi e tutt'altro garbo. E più di tutti gli altri poteva apprezzare l'amore che Leona metteva in quell'impegno.

Trascorse l'inverno e il successivo il bambino, ormai di nove anni, lasciò la valle. Akira capì che le sue lezioni finivano lì  e lo guardò partire con rassegnata tristezza. Imprevedibilmente, quel suo coetaneo l'aveva salutata in disparte e aveva voluto dirle che gli dispiaceva che per la sua partenza lei non potesse più studiare.

Controvoglia e con imbarazzo, le aveva detto che era un peccato perché era brava e intelligente come un maschio. Akira si era inchinata come fosse già una donna e lui già una guardia reale.

"Studia tu per tutti e due e tieni alto il nome di Chiura, tu che puoi", gli aveva detto, e il ragazzino aveva promesso.

Leona chiese nuovamente a Furius se potesse continuare a istruirla. Egli sapeva ormai che tutti, in casa, seguivano le serate di Leona in cucina. Era fiero della sua gente, anche se incerto che fosse del tutto un bene.

"Se ti dico di no?", le chiese burbero.

La donna lo guardò tranquilla.

Furius sbuffò:"Fa' come vuoi, e speriamo bene".

E Akira non aveva creduto  a tanta fortuna, la sera che Leona le aveva chiesto  se volesse imparare ancora. La ragazzina aveva   sbarrato gli occhi e nonostante la stanchezza era  corsa  a riprendere le povere cose che aveva riposto con tanta tristezza.

Akira era una meraviglia, per quelli di casa. Faceva qualsiasi cosa servisse, ovunque vi fosse bisogno, senza un lamento. Se in cucina serviva un pelapatate, c'era. Se nello stallo dei maialini serviva pulire, c'era.

Se volevano che imparasse a tessere  si metteva al telaio, se occorreva lavare le stanze  arrivava con secchio e straccio.

Leona la voleva con sè  appena possibile. Prese a portarla perfino uscendo a caccia e,  se riuscivano a staccarsi dal gruppo, le metteva in mano la balestra e le insegnava a tirare.

Persino Diaspra, quando le partorienti della valle, saputo che in casa di Furius c'era una levatrice, la chiamavano in aiuto, portava con sé Akira. Come avesse risorse infinite Akira si prestava per ogni cosa, e la sua mente agile imparava di tutto.

Diaspra aveva deciso da subito di istruire una donna perché qualcuno sapesse dare un minimo di aiuto, quando lei avrebbe finalmente potuto raggiungere Ilruik a Darama. Akira era troppo piccola e Diaspra aveva preso una giovane di casa, già sposata e vedova, come assistente.

Ma come Leona, presto si era accorta che Akira trovava misteriosamente sempre il modo di esserci ogni qualvolta spiegava qualcosa alla futura sostituta. Alla fine aveva deciso di chiamarla direttamente e di portarla anche con loro, quando si annunciava un parto. E persino di notte la piccola sgusciava fuori dal suo cantuccio caldo più rapidamente della donna, subito sveglia e pronta, benché un istante prima dormisse placida.

Il secondo inverno finì; la primavera portò a Chiura un Ilruik felice. In primo luogo, arrivò con sul bavero nuovi gradi. Il comandante di Darama passava a una caserma più grande e di maggior prestigio e il suo secondo rilevava il posto vacante.

Ilruik era giovane, ma l'incondizionata fiducia di Archés gli aveva consentito  di  ottenere da Ergon quel grado. Il levriero arrivò a Chiura con le insegne di comando, e gli occhi brillanti. Chiunque avrebbe dovuto riflettere bene, ora, prima di sbarrargli il passo. Non era il potere in sé a farlo felice. Era che ora poteva prendere con sé Diaspra senza temere che qualcuno osasse farsi impunemente avanti ad infastidirla.

Inoltre la vecchia caserma semi-abbattuta dal terremoto era stata ricostruita con nuove mura assai più ampie, e al suo interno era stata realizzata una graziosa palazzina per dare agio a quei militari già sposati di portare con sè le proprie donne. Era finalmente la possibilità di avere Diaspra vicina, dopo più di due lunghissimi anni.

Aveva taciuto su quella opportunità che stava nascendo, voleva fosse una sorpresa grande, voleva soprattutto che tutto fosse pronto e sicuro. E finalmente la palazzina era terminata, e altri tre sottufficiali avevano fatto arrivare mogli e concubine.

Gli ambienti riservati al comandante erano i più belli: semplici ma luminosi, comodi, sicuri. Ilruik arrivò trionfante a portarsi via la sua donna.

Leona fu felice per loro, ma Diaspra lasciò un vuoto nelle sue giornate che riempì malamente di nuovo lavoro. Passò l'estate e si affacciò il terzo inverno.

Urveo vedeva che la donna perdeva la fiducia e che i suoi occhi scurivano. Sempre più silenziosa, lo sguardo su Furius si fermava quando quello non le badava. Triste, preoccupato. E quale fosse il tarlo che lavorava in quella quercia, Urveo l'aveva capito.

L'aveva vista sorridere a fatica, quando in casa era nato un bel maschietto  a una donna che, dopo il terremoto, si era legata a un buon giovane che Furius aveva preso come nuovo stalliere.

Urveo aveva pensato che riaprisse la ferita del piccolo perso su al palazzo dei Chiura, ma qualcosa poi l'aveva spinto a chiedersi se fosse altro. Il modo in cui aveva detto alcune cose, come se si infrangesse ancora adesso, di nuovo, il desiderio d'esser madre sugli scogli duri della realtà.

Urveo comprese di colpo che Leona tentava inutilmente di dare un altro figlio a Furius, e che questa attesa inutile la faceva sfiorire e consumava la sua vitalità. E Furius, Furius anche si tormentava.

Urveo osò portare il discorso sull'eredità dei Chiura, un giorno, e la reazione di Furius, così poco in sintonia con quello che ormai era diventato e così vicina al vecchio giovane ombroso e terribile che era stato, gli parlò chiaramente della sofferenza di entrambi.

Venne il famoso giorno delle lettere e Leona copiò lo scritto di Furius, sforzandosi di utilizzare le lettere eleganti della scrittura nobiliare, lasciando in bianco i nomi dei cinque signori che Furius voleva contattare e preparando sullo scrittoio il tampone e le cere da sciogliere per sigillare i plichi.

Urveo, che entrò nella sala mentre lei cercava Furius per dirgli che le copie erano pronte, lesse il testo. Uscì rapido, bisognoso di riflettere.

Prendere moglie era quello che lui stesso avrebbe consigliato a Furius. Anche troppo tempo aveva atteso. Pure, il vecchio provava una strana repulsione per quella decisione, come il cuore la sentisse sbagliata, pur così giusta come razionalmente era.

Le lettere partirono e il vecchio sorvegliò la donna, di nascosto. Furius era rigido e distante. Lei l'aveva spinto ad un passo che non voleva, e la fissava quasi con rancore. Leona era pallida, spenta. Lavorava, come sempre, più di sempre, ma pagava quella distanza che Furius aveva messo tra loro.

Sotto gli occhi Urveo notò i segni blu delle occhiaie e poi la colse, un mattino, a rimettere la poca colazione che aveva preso. Rimase nascosto, ma si disse che doveva avvertire Furius.

"Così non può durare", gli disse:"io l'ho già vista lasciarsi andare una volta. Se devi prendere una moglie, fallo senza gettarla via perché non lo merita e dopo ne sentiresti il rimorso".

Furius sbandò a quel discorso così diretto. Fu tentato di reagire con la vecchia violenza, di rimettere le cose a posto, tra servo e padrone. Poi si sedette.

"Rimetteva?", chiese e Urveo confermò. Furius aveva visto Leona chinata a vomitare schiuma una sola volta.

Ordinò ad Urveo di lasciarlo solo. Uscì dalla sala all'alba del giorno successivo, con alcuni documenti. Svegliò il vecchio per avvisarlo che partiva per alcuni giorni e preso poco bagaglio uscì senza una parola per Leona, che lo guardava aprire la panca degli abiti e prendere un cambio. Passò in caserma a lasciare gli ordini del caso, stilati quella notte, e partì.

Leona immaginò che avesse ricevuto risposta e che non sarebbe tornato solo; era ciò che voleva, pure il respiro le si fece corto e la tristezza le allagò gli occhi di lacrime. Non capiva come fosse, che si sentisse così debole.

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