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Una nuova avventura

Molto tempo dopo...

John sollevò lo sguardo dal suo libro, la penna d'oca ancora tra le dita; si lasciò sfuggire un sospiro, mentre guardava fuori dalla finestra: era una tipica giornata come tante altre, nella Contea, il cielo terso e soleggiato.
A ben pensarci, non era proprio come tante altre: era infatti il suo centoundicesimo compleanno.
Dopo tutto ciò che aveva passato, non avrebbe mai potuto immaginare di arrivare a quell'età.
Ma non era quella, la cosa più assurda: il suo aspetto, infatti, era rimasto tale e quale a quando era partito cinquant'anni prima per quell'assurdo viaggio insieme alla compagnia di Thorin Scudodiquercia senza neppure prendere il bastone.
Certo, gli hobbit erano noti per la loro longevità; d'altro canto, però, non era normale non mostrare alcun segno di invecchiamento. Non un ruga solcava il suo viso, nè aveva alcun capello bianco sul suo capo, ancora biondo e riccioluto.
John non riusciva a spiegarsi il perché: ma qualcosa gli diceva che c'entrava quello strano Anello trovato nelle caverne dei Goblin, e da cui non riusciva a separarsi nemmeno per un istante.
In quel preciso momento, infatti, era riposto nella tasca del suo panciotto: ma un improvviso quanto mai impellente fremito della sua mano lo portò a sfiorarlo con le dita, come a volersi sincerare che fosse ancora lì, con lui.
Sempre.

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"Non sei invecchiato di un giorno!".
Erano state proprio queste le prime parole pronunciate da Gandalf, dopo averlo calorosamente abbracciato.
Era da lungo tempo che non si vedevano, e lui era venuto appositamente per festeggiare il suo compleanno. John avrebbe dovuto sentirsi felice, quel giorno.
Ma non lo era.
Perchè forse non era cambiato fisicamente, ma in qualcos'altro sì: dove più contava.
Nel cuore. E nell'anima.
Gandalf lo aveva avvertito.
"Puoi promettermi che ritornerò?"
"No... E se farai ritorno, non sarai più lo stesso..."
Quelle parole si erano rivelate profetiche.
John aveva fatto sì ritorno, ma era cambiato nel profondo e non sarebbe mai più stato quello di prima.
Persino tornare alla sua vita di un tempo, fatta di tranquille passeggiate, tè con i vicini e cura del suo piccolo giardino gli aveva procurato una vera e propria sofferenza. Lui non era più fatto per quella vita. Forse non lo era mai stato.
Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita?
Come fai ad andare avanti, quando nel tuo cuore cominci a capire che non si torna indietro?
Ci sono cose che il tempo non può accomodare.
Ferite talmente profonde che lasciano un segno...

Chiuse gli occhi per un momento, sopraffatto dai ricordi.
Era tornato a usare con tutti il nome di Bilbo Baggins. L'aveva anche scritto nel suo libro di memorie, "Andata e Ritorno. Un racconto hobbit di Bilbo Baggins", dove aveva narrato tutta quella grande avventura da lui vissuta, credendo così di alleviare la sua tristezza, ma ottenendo solo di rimpiangere quel periodo.
Aveva, altresì, omesso alcuni dettagli. Anzi, più che dettagli, tutto ciò che era accaduto tra lui e Sh... il drago... era troppo personale per essere divulgata.
Alcune cose sono fatte per rimanere celate nel cuore...
Non che mancasse comunque la sofferenza, in quella parte di storia da lui narrata. Aveva infatti stretto infine amicizia persino con Thorin, nonostante tutto, e anche il suo "furto" dell'Arkengemma-consegnata al re degli Elfi per far fermare la guerra- era stato perdonato dal nano, proprio poco prima che esalasse l'ultimo respiro.
Ma anche il nome di John Watson era legato a troppi ricordi... Quasi tutti troppo dolorosi per essere rivangati... e divulgati. Ancora peggiori di quello.
Non si riconosceva più dunque nel nome di Bilbo Baggings, ma nemmeno in quello di John Watson. Era come in una sorta di limbo da cui sembrava impossibile uscire.
Scosse la testa e intinse la penna nel calamaio: ma, dopo aver indugiato per alcuni istanti con la punta di quest'ultima sopra la pergamena, con un sospiro, la ripose, insieme al libro-dopo averlo chiuso con un gesto quasi di stizza- in una sacca: non aveva ancora finito di scriverlo. Ed era da giorni che non ci riusciva.
Aveva pensato ad un finale, in realtà: "E visse per sempre felice e contento fino alla fine dei suoi giorni."
Stirò le labbra in un sorriso amaro: quella era solo una frase fatta; lui non stava vivendo felice e contento.
Per niente.

Anche per questo aveva deciso di lasciare la Contea, e stavolta per sempre. Nella sua vecchia casa sarebbe venuto a vivere Frodo, un suo lontano nipote che lui aveva preso con sé dopo la morte dei suoi genitori.
Di tutti i suoi numerosi parenti, era stato l'unico che l'aveva colpito davvero.
Forse per la forza d'animo che gli sembrava di scorgere nei suoi occhi; o forse perché gli ricordava lui stesso: aveva il suo medesimo amore per l'avventura. Stava ad ascoltarlo per ore e ore, quando gli raccontava la sua storia: ma, allo stesso tempo, sapeva che quel ragazzo giovane ed esuberante amava ancora tanto la Contea.
Non come lui.
Quello non era più il suo posto.

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Era sparito dalla festa sotto il naso degli invitati grazie, di nuovo, all'Anello.
Era anche riuscito a togliersi una minuscola soddisfazione, insultando sottilmente la stragrande maggioranza dei suoi parenti.
"Conosco la metà di voi solo a metà.
E nutro, per meno della metà di voi, metà dell'affetto che meritate".
Trattenne a stento una risatina:
erano accorsi praticamente tutti, anche quelli che l'avevano sempre apertamente detestato, solo per scroccare la grande cena da lui organizzata.
Era giusto che ora si fosse tolto una piccola soddisfazione... Anche qualcun altro avrebbe approvato. E forse ne avrebbe persino riso. Qualcuno che non avrebbe mai dimenticato... Anche se avrebbe tanto voluto farlo.
Anzi, doveva farlo. Era l'unico modo per ricominciare a vivere, in qualche modo...

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Alla fine, Gandalf l'aveva convinto: aveva lasciato a Frodo quello stupido Anello. Ne era sollevato, in un certo qual modo...
Nonostante non avesse mai voluto ammetterlo-nemmeno con sé stesso-aveva sempre percepito una sorta di potere maligno irradiare da quel gingillo all'apparenza innocuo: era come un occhio che lo osservava costantemente... Forse era stato meglio disfarsene: era comunque legato a troppi ricordi.
E lui voleva solo dimenticare, e iniziare una nuova vita, per quanto possibile. Magari con un ennesimo nome diverso.
Ma c'era ancora qualcosa che doveva fare-che sentiva, di dover fare-prima di lasciarsi tutto alle spalle.
Un ultimo addio. Quello definitivo.

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-Ciao, Sherlock...-mormorò, accucciandosi di fronte alla piccola lapide, e sfiorando delicatamente con le dita, una per una, le lettere dorate che vi erano incise:

Sherlock Holmes

Da quando aveva posto quella lapide in un piccolo angolo del suo giardino-circa mezzo secolo prima-quasi tutti gli abitanti di Hobbiville non avevano mai smesso di domandargli chi fosse
"Sherlock Holmes".

Era un elfo dagli occhi di ghiaccio.

Era un terribile drago.

Era un bugiardo. Un ottimo bugiardo.

Era gentile, anche se cercava di nasconderlo.

Era coraggioso, più di chiunque altro io avessi mai incontrato.

Era forte.

Era straordinariamente intelligente.

Era incredibilmente arrogante.

Era un eroe, anche se lui asseriva il contrario.

"Era... Era un mio amico", rispondeva però John, semplicemente, trattenendo a stento le lacrime insieme a quelle parole.
-Sherlock... sto lasciando la Contea... non so dove andrò... Forse tornerò a Brea... voglio rivedere ancora una volta il posto dove tu vivevi... Sentire che, in qualche modo, sei ancora vivo...-Si asciugò bruscamente la guancia.-Non so cosa farò, da oggi in poi... ma di certo non tornerò mai più qui. Questa vita non fa per me.
Ripensò con rimpianto alle visioni mostrategli da Irene Adler: uno scorcio di vita-passata, futura o alternativa che fosse-ben diversa da quella che gli si prospettava ora.
-Volevo solo... salutarti... prima di andarmene. Chissà... forse ci rivedremo... in un'altra vita...-aggiunse sottovoce, e asciugandosi un'ennesima lacrima.
Con un ultimo triste sospiro, prese la sacca da viaggio e si diresse giù per la strada: durante il cammino, si ritrovò a mormorare a voce bassa alcune strofe di una vecchia canzone, che parevano delineare perfettamente il suo stato d'animo.

... La Via è fuggita avanti...

... Devo inseguirla ad ogni costo...

... E poi dove andrò? Nessuno lo sa...

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La strada che portava a Brea era lunga, ed era ormai scesa la notte.
Ma l'hobbit non era preoccupato: era un'oscurità che lui ben conosceva.
Anche se, ultimamente, nella Contea avevano cominciato a giungere individui poco raccomandabili.
Una notte, aveva visto un gruppo di Elfi dirigersi ai Porti Grigi; lasciavano per sempre la Terra di Mezzo.
L'istinto da ex soldato di John gli diceva che si stava approssimando una nuova guerra.
"Le montagne pullulano di Goblin...", aveva commentato il vecchio Gaffiere alla locanda.

Scosse la testa; anche se così fosse stato, non poteva certo arruolarsi: avendo toccato più di un secolo d'età, non l'avrebbero mai accettato...
Ormai le avventure, per lui, erano giunte al termine.
Le sue riflessioni vennero interrotte da un improvviso rumore alla sua destra: uno scricchiolio.
John si voltò di scatto, i sensi subito all'erta: l'oscurità era quasi totale, tranne qualche sporadica lanterna appesa su qualche albero, per rischiarare almeno il cammino verso la strada principale.
Attese per qualche istante, teso: riprese poi il cammino, guardandosi però intorno circospetto.
Dopo appena due passi venne  circondato da tre figure nere. John le riconobbe all'istante, fremendo di terrore.
Goblin...

Il cuore gli batteva forte nel petto, insieme però a una grande rabbia.
Cosa diavolo potevano mai volere da lui?? Di certo non erano venuti fino a lì per uccidere una preda a caso.
Con tutta la calma possibile, sfoderò la sua fidata Pungolo, ringraziando il cielo per il suo sangue freddo.
-Che cosa volete?-gli ringhiò, in tono feroce.
I Goblin risero maleficamente.
-Ohh... Una cosa molto specifica-ghignò uno di loro, avvicinandosi.
John gli puntò contro la lama.
-Sta'. Indietro. Non lo ripeterò.
Quell'essere immondo non arretrò, ma rise di nuovo.
-Qualcosa per cui ci pagheranno molto bene.
-E tu ce la darai... se non vuoi morire infilzato-sibilò un altro dalla faccia orribilmente butterata, sfoderando un lungo pugnale nero.

L'Anello.

Stanno cercando l'Anello.

L'hobbit non sapeva cosa lo rendesse così sicuro, ma ne era certo.
Doveva assolutamente impedire che arrivassero fino a casa Baggins, da suo nipote.
E c'era un unico modo.
-Non ho nulla, per voi-ringhiò dunque con ferocia.-... Tranne questo!!
E prima che i tre Goblin potessero reagire, l'hobbit aveva già infilzato quello di fronte a lui, che cadde a terra con un acuto lamento.
Il secondo gli si lanciò contro, urlando rabbioso: ma John, con notevole perizia, infiammato dall'adrenalina che da tanto tempo più non sentiva, fece una rapida giravolta su sé stesso, e lo ferì alla giugulare; il Goblin si accasciò, rantolando, e morendo dopo pochi istanti, lasciando spruzzi di sangue nerastro sul sentiero.
Il terzo, però, fu più furbo: dopo una finta alla sua sinistra, colpì l'Hobbit al polso col piatto del pugnale, facendogli così cadere la spada: gli strinse poi subito le dita nere alla gola, e lo buttò a terra, sovrastandolo e tenendolo inchiodato a terra, puntandogli il pugnale al collo.
John rabbrividì, il cuore che batteva all'impazzata. Era in una strada buia, da solo e disarmato.
La malefica creatura ghignò, pronta a tagliargli la gola.
... Davvero?
Morirò veramente in questo modo??
Sarà davvero questa la mia fine, dopo tutto quello che ho passato??
Quelle domande passarono istintivamente nel cervello del biondo mentre, incapace di alzarsi, attendeva l'inevitabile, fissando l'immonda creatura maligna ghignante che lo sovrastava.

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Il Goblin aveva ancora quel medesimo ghigno stampato su quel disgustoso volto quando la sua testa venne d'improvviso staccata dal collo, facendo crollare il suo corpo addosso a John.
L'Hobbit rimase un momento immobile, gli occhi colmi di incredulità: era accaduto tutto così rapidamente che lui stesso ci mise un momento a realizzare che diavolo fosse successo.
Un momento prima il Goblin gli puntava il pugnale al collo.
Un momento dopo una lama sconosciuta gli staccava di netto e con inaudita rapidità la testa, rotolata via proprio a pochi passi da lui.

Si scrollò l'empia creatura di dosso e si guardò intorno, attonito, in quella quasi totale oscurità.
D'improvviso, un'altra sagoma lo sovrastò: indossava una lunga veste nera un cappuccio scuro, che ne oscurava del tutto i tratti del viso; nella mano destra impugnava una lunga spada, la cui lama gocciolava sangue nero del goblin che aveva appena decapitato.
All'inizio, fu attraversato da un fremito di paura e inquietudine: poteva essere un altro criminale, magari della Gente Alta... Ma, se fosse stato davvero un criminale, perché mai avrebbe dovuto salvarlo?
Mise dunque a tacere con forza tutti i suoi dubbi: chiunque fosse, quello straniero gli aveva appena salvato la vita. Non l'avrebbe certo fatto, se fosse stato mosso da intenzioni ostili nei suoi confronti. Anzi, considerata l'altezza era probabile che fosse un elfo di passaggio. Magari diretto ai Porti Grigi, in procinto di lasciare la Terra di Mezzo: in effetti, aveva sentito voci al riguardo.
Tirò dunque un respiro profondo e si rialzò, rivolgendo infine la parola al suo misterioso salvatore, che lo fissava in silenzio.
-Uff... La ringrazio... mi ha salvato la vita...-sospirò.-È stata una fortuna che passasse proprio per questa strada! "Elen sìla lùmenn' omentielvo"... "Una stella brilla sull'ora del nostro incontro"-aggiunse, con soddisfazione, in alto elfico, fiero di ricordarsi ancora, dopo tutto quel tempo, le frasi che aveva appreso a Granburrone.

-... Bel tentativo, John. Ma devi migliorare la pronuncia. È terribile.
Quando udì quella voce, il tempo, per John, parve cristallizzarsi. Come lui stesso, che rimase immobile, lo sguardo fisso sulla sagoma nero vestita, il cuore in tumulto.
No.
Questo non è possibile.
Non fare lo stupido.
Ti stai immaginando cose che non esistono.
Finalmente però la misteriosa sagoma si levò il cappuccio, mostrandogli il volto.
Pelle diafana.
Orecchie a punta.
Riccioli neri.
Occhi verde azzurri.
Zigomi affilati.
L'ombra di un sorriso sulle labbra.
L'Hobbit si stropicciò più volte gli occhi, ma niente. Quell'allucinazione-perchè questo doveva essere, per forza!-rimaneva lì, imperterrita, a fissarlo, precisamente identica a quando l'aveva conosciuto, in ogni dettaglio.
Non poteva essere vero.
Dopo un tempo che parve infinito, il biondo riuscì a mormorare, come in trance.
-Tu... sei... caduto... nel lago. Ti ho visto... La freccia... Tu sei morto... Non puoi essere reale...
-Mi permetto di dissentire-replicò di nuovo con ironia quella voce a lui terribilmente nota.-Non sono morto. E devo ringraziare te per questo, mio caro John. Sei stato tu. Tu mi hai salvato.

All'Hobbit iniziò a girare fortissimo la testa: se la prese tra le mani, e si trovò a piegarsi a terra, sulle ginocchia.
-No... non è vero... è tutto uno stupido sogno assurdo. Probabilmente sono ancora davanti alla tua tomba... e questo solo un sogno ad occhi aperti!-Si portò le mani sul volto, coprendosi gli occhi, e si rese conto solo in quel momento che era bagnato di lacrime, e che lui stesso stava singhiozzando.-Non è reale... non è reale... non devo illudermi... non è reale... è solo un'allucinazione... nulla di più... E quando mi sveglierò sarà ancora peggio, perchè mi sarò cullato nell'illusione che...!
All'improvviso avvertì delle mani fredde stringergli i polsi, e scostargli lentamente, con delicatezza, le mani dal volto: John tacque, allibito.
-... Le allucinazioni possono toccare le persone? -gli chiese Sherlock, con la medesima ironia di poco prima, ma in tono più affettuoso e intriso di un nuovo calore.
Solo allora il biondo si convinse che era tutto vero.
Assurdamente, inspiegabilmente,
stupendamente vero.

-Sei davvero vivo...-sussurrò.
-Finalmente ci sei arrivato! Ancora un po' e...!
Sherlock venne bruscamente interrotto da un improvviso e inspiegabile calcio negli stinchi tiratogli da John: era, purtroppo, la parte più alta che l'hobbit riuscisse a raggiungere.
-Ahia!! John, ma si può sapere che diavolo ti prende!?-esclamò l'elfo, allibito, massaggiandosi la parte offesa.
-... E lo chiedi pure??? Da quanto tempo sei RESUSCITATO!?!?-strillò lui, sottolineando sarcastico e rabbioso l'ultima parola.-Perchè non me l'hai fatto sapere subito, eh?!? PERCHÈ???
-Perchè sono rimasto letteralmente in coma fino a qualche giorno fa, John-replicò l'elfo, pacato.-Quando la maledizione si è spezzata, mi hanno trovato che galleggiavo nel lago dove sono caduto... ma con sembianze umane! Pensa, è stato proprio mio fratello. In qualche modo ha saputo che il maleficio si era spezzato e sapeva esattamente dove trovarmi. Nonostante questo, però, sono rimasto sospeso tra la vita e la morte per molto, molto tempo. La freccia nera, pur spezzando il maleficio e rendendomi di nuovo umano, avrebbe dovuto comunque uccidermi. Ma c'era ancora un alito di vita, in me. Solo gli incantesimi di guarigione elfici mi hanno salvato. Ma ci è voluto molto, molto tempo.

L'Hobbit, dapprima, sgranò gli occhi, spiazzato da quel racconto, ma non perse del tutto il suo cipiglio minaccioso.
-Tu ora mi spieghi tutto. Subito- gli ordinò, infatti. - O giuro che il calcio che ti ho dato prima sarà niente, in confronto agli altri che ti farò arrivare!
Sherlock ridacchiò e annuì, alzando le mani in segno di resa. Ma, per un momento, esitò, come se quella parte della storia gli fosse ancora più difficile da raccontare.
L'hobbit attese e, nonostante la rabbia, non riuscì a distogliere lo sguardo da lui: dall'amico che, per tutti quegli anni, aveva creduto morto.
-John... ricordi il testo della maledizione di Moriarty?-chiese il riccio, infine.-Ricordi la prima strofa?
Lui annuì; non le aveva mai dimenticate, nonostante gli anni passati.
-... Se la Maledizione vorrai spezzare, la tua umanità dovrai ritrovare...
Sherlock lo invitò a proseguire.
-... Quando il bene di un altro al tuo anteporrai...-mormorò ancora-parte dell'incantesimo spezzerai...
John si bloccò, come folgorato.
-Tu mi hai salvato da Magnussen... e hai rinunciato all'antidoto... Hai antemposto il mio bene al tuo...
Sherlock annuì, sorridendo.
-Esatto. Ma, se ben ricordi, mancava qualcosa. La seconda parte del testo.
Il biondo annuì, e il corvino sorrise leggermente.
-... Ora non più.
L'elfo tirò fuori dalla tasca della veste un frammento di un'antica pergamena, e glielo porse.
Il biondo lo dispiegò e lo lesse a voce alta.
-Ma tutto ciò vano sarà stato...-Sgranò gli occhi, allibito.-...se il tuo cuore da una freccia nera non verrà trapassato!!!

L'hobbit scosse la testa più e più volte, non potendo credere a quello che aveva appena letto.
-Il suo incantesimo era astuto-spiegò Sherlock, con un accenno di sincera ammirazione per la mente del Negromante.-Anche se fossi stato colpito, per puro caso, da una freccia nera, non sarebbe valso a nulla. Sarei morto e basta, e con quelle mostruose fattezze. Per liberarmi della maledizione, e tornare umano, era fondamentale realizzare quelle determinate condizioni. Tu mi hai fatto riscoprire la mia umanità, come ti dissi dopo averti salvato da Magnussen. E, sempre grazie a te, ho anche rinunciato alla mia salvezza per la tua, spezzando un'altra parte del maleficio, spezzato poi del tutto dalla freccia nera che mi ha trafitto il cuore, lasciandomi però un ultimo alito di vita. Quel cuore che credevo di non possedere, ma che tu hai invece scoperto e riportato alla luce. Perciò tu, John Watson, mi hai salvato la vita. Tu hai reso tutto possibile.
L'elfo lo guardò dritto in volto, sorridendo con calore.

Gli occhi dell'hobbit si colmarono di lacrime di commozione e di gioia, la rabbia ormai solo un ricordo.
Era troppo emozionato per parlare, perciò lo abbracciò di slancio: data la sua altezza, si ritrovò a stringergli la vita, singhiozzando. Sarebbe stata, come già era successo tanto tempo prima, una situazione quasi comica.
Ma Sherlock non rise.
Commosso, non fece altro che posare una leggera carezza sui capelli riccioluti dell'hobbit, per poi ricambiare quella stretta.
Rimasero lì così, abbracciati, in silenzio, per qualche minuto. O forse di più. Non era importante.
L'unica cosa che contava era che Sherlock fosse vivo, e che fosse lì.
-E dunque...-si azzardò John a chiedere all'elfo, esitante, asciugandosi le lacrime. -Che farai, ora? Tornerai da tuo fratello?
-Per carità!!-Sherlock alzò le braccia al cielo con aria esasperata.-Ho già dovuto sopportarlo durante tutta la mia convalescenza, che mi è sembrata eterna! Non sai quante volte avrei voluto ritrasformarmi in drago solo per incenerirlo!!
L'Hobbit scoppiò a ridere di cuore.

Da quanto non ridevo più così?

Da tanto... troppo tempo...

-Perciò...-Sherlock proseguì. -Pensavo di tornare al mio vecchio "lavoro".
Si voltò a guardarlo con un sorriso sgembo.
-... Tu eri un guaritore, vero? E pure un soldato. Chissà quante ne avrai viste...
-Già...-replicò John, ma con uno strano sorrisino sul volto.
-E poi, la tua ultima avventura... Ne hai passati di guai, no?
-Oh, altrochè! Da bastarmi per una vita intera...-replica di nuovo il biondo, sarcastico.
Seguirono, di nuovo, alcuni lunghi minuti di silenzio.
-Se non hai altri progetti...-chiese infine l'elfo, con un pizzico di esitazione nella voce.-Vorresti... passarne altri, di guai?
A quelle parole, John sorrise come non mai.
-Pensavo che non me lo avresti mai chiesto. Credo proprio di essere pronto per un'altra avventura... Anzi, per altre mille!-esclamò, con il tono più entusiasta che avesse mai avuto da anni.
Sherlock gli sorrise di rimando e balzò in piedi,anche lui felice come non era mai stato.
-Speravo che lo dicessi. Andiamo! Non vedo l'ora di presentarti la mia padrona di casa. Credo che ti piacerà... Ma prima dovremmo rifocillarci a qualche locanda. A Brea ne conosco una che serve dell'ottimo cibo e una birra formidabile. Sai...-spiegò l'elfo, in tono saputo, continuando a camminare, seguito a ruota dall'hobbit-una buona locanda si riconosce dalla maniglia della porta...
John gli camminò a fianco, sempre sorridendo: finalmente si sentiva di nuovo vivo, come non gli capitava da anni.
A quanto pareva, Irene Adler aveva avuto ragione.
In ogni realtà, tempo, o dimensione che dir si voglia, erano destinati a ritrovarsi sempre, nonostante tutto.

Sherlock Holmes e John Watson.
Insieme contro tutto il resto del mondo.

---

Poco lontano, nell'ombra, dietro alcuni alti alberi, due figure osservavano quell'improbabile coppia di amici allontanarsi chiacchierando e ridendo.
-Il tuo piano è stato rischioso...-commentò la prima figura.
- Era un rischio calcolato-replicò la seconda, serafica.-Mio fratello non ha mai accettato il mio aiuto. Perciò, questa era l'unica maniera perché l'accettasse: non farglielo sapere.
Entrambe emersero infine dall'oscurità: una di esse portava un cappello da mago e un manto grigio logoro, l'altra una lunga veste bianca come la neve.
-Da quanto conoscevi per intero l'incantesimo di Moriarty?-chiese Gandalf, curioso.
-Da sempre-replicò Mycroft Holmes, togliendo un filo d'erba inesistente dalla sua veste candida. -Ma non potevo dirlo a Sherlock: si sarebbe certamente fatto uccidere di proposito. E questo non lo volevo. Anche se ha trascorso molto tempo in quella caverna, senza davvero vivere. E sarebbe ancora lì, se non fosse arrivato quell'hobbit. Ti devo ringraziare, per questo.
Lui chinò appena il capo.
-Suppongo che sia stato tu anche a mandargli quell'indovina.
-Sì, esatto...-Lo stregone sorrise, mentre guardava ancora i due allontanarsi.-Non potevo non rivelargli ciò che erano destinati a creare. Un'amicizia. Che li completerà entrambi. Come ancora non possono comprendere... ma lo capiranno presto...
Mycroft annuì, volgendo lo sguardo nella medesima direzione dello stregone, e anche lui abbozzò un sorriso.
-C'è ancora una cosa.. Come sapevi che a Pontelagolungo Bard conservava ancora proprio una freccia nera?-chiese di nuovo Gandalf.
Per tutta risposta, Mycroft si limitò a produrre un lieve fischio, e un tordo molto familiare andò a posarsi sulla sua spalla, cinguettando.
-Diciamo che ho i miei... informatori...-disse semplicemente, sollevando un sopracciglio, mentre lo stregone ridacchiava, scuotendo la testa.
Seguì poi il silenzio, mentre ancora li osservavano. Non c'era bisogno di aggiungere altro.

Grazie a una serie di circostanze, fortuite o meno, il destino di Sherlock Holmes e John Watson si era compiuto ancora una volta.
E, probabilmente, sarebbe sempre stato così.

Perché è una verità universalmente riconosciuta che ogni Holmes ha bisogno del suo Watson.

~FINE~

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