Predestinazione
John, seduto su un cumolo di preziosi, era in attesa di Sherlock, che si stava preparando per partire alla volta della città di Dale.
L'hobbit giocherellava assorto con la sua medaglietta, seguendo il contorno di ogni singola lettera con il pollice, perso nei suoi pensieri, ma soprattutto nei dubbi: stava davvero per recarsi da un pericolosissimo stregone... solo per aiutare un elfo che conosceva appena??
Forse era davvero pazzo come tutti lo avevano sempre definito...
D'altra parte, tuttavia, sentiva che era giusto aiutarlo.
-... Allora, vogliamo andare?
L'hobbit trasalí: non si era accorto che Sherlock si fosse avvicinato.
Alzò lo sguardo, e rimase colpito.
L'elfo aveva indossato una lunga veste nera e un pastrano, nero anch'esso: alla cintola portava una strana sacca e dei pugnali di fattura elfica; sulla spalla portava appeso un arco e una faretra piena di frecce dal pennaggio colore cenere. Al collo era annodato un fazzoletto blu.
-Mi é mancato tutto questo...-lo sentì mormorare, mentre si osservava, passando lentamente le mani affusolate sul pastrano con uno strano sorriso, gli occhi cristallini lucidi. Probabilmente, era la prima volta dopo secoli che Sherlock indossava di nuovo i suoi abiti. L'Hobbit, vedendolo con quell'espressione palesemente commossa in volto, si convinse: stava facendo la cosa giusta.
Si alzò con un sorriso e con rinnovata risolutezza.
-Sono pronto. Andiamo.
Si avviarono lungo una galleria, per evitare di essere visti dai nani.
-Bilbo! Dove accidenti stai andando??-esclamò però improvvisamente una voce alle loro spalle.
L'hobbit si voltò di scatto, e Sherlock pure.
-Bofur?!?!... C-che cosa ci fai qui??-balbettò John.
-Eravamo preoccupati per te! Thorin mi ha mandato a vedere che cosa stessi... e lui chi é??-domandó il nano, sbigottito, indicando Sherlock.
Il biondo era in preda al panico: come avrebbe fatto, ora?? Di certo Bofur non avrebbe mai mentito a Thorin, e avrebbero scoperto la verità, e...!
Ma l'elfo non sembrava per nulla preoccupato. Infatti si avvicinò al nano con molta tranquillità.
-Mi chiamo Sherlock Holmes. Ma tanto tra due minuti non te lo ricorderai. Anzi...-disse, tirando fuori dalla sacca una fiala-non ricorderai nemmeno di avermi visto...
John aggrottó la fronte, mentre Bofur indietreggiava.
-Cosa...??
Sherlock, rapidissimo, buttò ai suoi piedi la fiala che, rompendosi, diffuse un fumo azzurrognolo.
Appena l'ebbe inalato, gli occhi del nano diventarono stranamente vacui.
-Ora tu tornerai dai tuoi amici e dirai che lo scassinatore sta cercando l'Arkengemma. Chiaro?-gli ordinò Sherlock, ma in tono suadente... Anzi, ipnotico.
-Mhm mhm... chiaro...-annuí Bofur, con la medesima espressione vacua.
-Poi butterai a terra questa.-Gli ficcó in mano una fiala.
-Certo. Sarà fatto...-replicò il nano, in tono monocorde, come se fosse in trance. Poi, ripercorse la strada a ritroso, senza mai voltarsi indietro.
Per tutto il tempo, John era rimasto a osservare la scena, attonito.
-Ma... cosa diavolo gli hai fatto??-sbottò, infine.
-Tranquillo, John. É solo una pozione che ho distillato molto tempo fa: ha capacità ipnotiche. Non ricorderà nulla, tranne quello che gli ho imposto io di ricordare.
-... E l'altra?
-Sonnifero. Cosí non si accorgeranno della tua assenza. Dormiranno almeno per un giorno intero.
Il biondo tirò un sospiro, in parte sollevato, ma anche irritato.
-Potevi almeno avvisarmi!
L'elfo si strinse nelle spalle.
-Non ne vedevo l'utilità. E ora andiamo. Abbiamo già perso troppo tempo.
Senza aggiungere altro, si voltò verso l'uscita, seguito a ruota dall'hobbit.
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Il viaggio fino alle rovine della città di Dale fu breve, ma per tutto il tempo a John parve che Sherlock fosse molto teso. Infatti, il suo sguardo era distante, gli occhi cerulei persi in lontananza, assorto in chissà quali pensieri: probabilmente perché, come gli aveva detto lui stesso, Magnussen era estremamente pericoloso.
-Hey... Non preoccuparti-cercò di rassicurarlo istintivamente l'hobbit.-Sono certo che andrà tutto bene...
-Cosa ti rende così ottimista?-gli chiese l'elfo in tono freddo, voltandosi a guardarlo.
-Beh...-replicò lui, titubante. -Perché ho letto molti libri... e, alla fine, l'eroe trionfa sempre...
Sherlock si bloccò, come se fosse improvvisamente andato a sbattere contro una parete, e si voltò verso di lui.
-Cioè...??? Ho capito bene?? Io per te sarei un eroe??? E perché, di grazia??
John rimase un po' stupito dalla sua agitazione, ma non per questo tacque.
-Quando eri umano aiutavi le persone, no? Hai salvato delle vite. Hai impedito a quel Negromante... Moriarty, giusto?... di soggiogare la Terra di Mezzo-gli ricordò, stringendosi nelle spalle.-Per me, questo é quello che fa un eroe...
L'elfo era rimasto a fissarlo, uno sguardo incredulo sul volto. Sembrò addirittura... toccato, dalle sue parole. Ma poi, in un istante, la sua espressione tornò fredda e compassata.
-Non ti illudere, John-disse, lapidario.-Gli eroi non esistono. E se esistessero, non sarei uno di loro. Stanne certo.
Pose particolare enfasi sull'ultima frase, per poi proseguire il cammino in totale silenzio, mentre un piccolo tordo cantava sul ramo di un albero.
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Della cittadina di Dale ormai rimaneva ben poco: solo case distrutte e qualche carretto abbandonato: tuttavia, le poche strutture ancora in piedi fecero capire all'hobbit che doveva essere stata meravigliosa, prima che venisse distrutta da...
-Ci siamo quasi. Lui vive in una di queste...-disse Sherlock, imboccando una stradina laterale parzialmente nascosta, mentre John cercava di memorizzare la strada.
Il silenzio copriva la cittadina come una coltre di nebbia: a quanto pareva, era completamente disabitata.
Non aveva ancora finito di pensarlo, che una figura femminile uscì all'improvviso da una delle abitazioni, proprio di fronte a loro.
Sherlock si immobilizzò, e così anche l'Hobbit.
La figura indossava una lunga veste nera tempestata di brillanti, che scintillavano ad ogni suo movimento, ed era coperta sia sulla testa che sul volto da un velo del medesimo colore, che le nascondeva il viso completamente, eccezion fatta per gli occhi, di un verde intenso.
-Lei cosa ci fa qui? Che cosa vuole??-domandó Sherlock alla figura, in tono duro: ma a John non sfuggì il suo sguardo di genuino interesse.
Di sicuro, Sherlock conosceva quella donna. E, altrettanto sicuramente, gli piaceva.
-Salve anche a lei, Holmes-replicò la misteriosa donna, sarcastica, la voce vellutata e seducente.-Ne é passato di tempo, dall'ultima volta. Secoli, mi pare.
-Glielo ripeto. Che cosa vuole?-domandó di nuovo l'elfo, con più durezza.
A quel punto, John si intromise.
-Scusi, lei chi é?
La donna abbassò lo sguardo verso di lui, rivolgendogli un sorrisino.
-Ahhh... lei deve essere il famoso Bilbo... O forse dovrei chiamarla... John?
L'hobbit sgranó gli occhi.
-M-ma perché tutti conoscono quel nome??-spalancò le braccia, esasperato.-È troppo pretendere un minimo di privacy??
Ella ridacchiò bonariamente: la sua risata era lieve e dolce: musicale, addirittura.
-Non se la prenda, caro. É solo il mio lavoro. Sono un' indovina, prevedo molte cose. Il mio nome é Irene Adler, come il signor Holmes sa bene...
Sherlock ancora la fissava, ma il suo sguardo era tornato freddo. Irene proseguì, puntando stavolta lo sguardo sull'elfo.
-Rispondendo alla sua domanda, signor Holmes, sono qui per restituirle un favore. Tempo fa, lei mi ha salvato la vita.
John si voltò verso il corvino, incredulo.
-Davvero??
-Era solo stata rapita da un gruppo di goblin, niente di che...-minimizzò quest'ultimo con un gesto della mano.
-Oh, non sia così modesto...-Irene si avvicinò, con uno scintillio negli occhi verde smeraldo, attraversati da un lampo di genuina gratitudine.-Ha rischiato la vita, per salvarmi. Per questo sono qui. Lo consideri come un pagamento...
-Cosa mi sta offrendo, esattamente?-domandó finalmente Sherlock, suo malgrado intrigato.
-Le mostrerò chi é lei davvero. O meglio, chi siete davvero...-rispose lei, con serietà, guardando stavolta anche John.
Lui aggrottó la fronte, non capendo a cosa la donna alludesse.
Irene tiró fuori da una delle pieghe della veste una sfera di cristallo e la tenne sospesa sul palmo della mano: chiuse poi gli occhi mentre la sfera, pian piano, si riempì di una nebbia bianca che, dopo aver girato vorticosamente per qualche secondo, venne rimpiazzata da alcune immagini.
Immagini di Sherlock e... sue.
John trasalì.
In quelle immagini, Sherlock non era un elfo, e lui non era un Hobbit.
Ma erano loro, decisamente. L'incarnato niveo, i ricci corvini e gli occhi cristallini del primo erano pressoché identici, così come il volto e gli occhi blu del secondo; sebbene questi avesse i capelli biondi corti, non riccioluti, e le orecchie non a punta, bensì arrotondate, come quelle della Gente Alta. La statura, invece, pareva la medesima... forse un po' di più...
Una delle prime immagini mostrò i loro alter ego stringersi la mano di fronte ad una porta verde, con un numero in lettere dorate appeso sopra, seguito da una lettera.
Il biondo trattenne a stento un urlo, non appena le distinse.
221B.
Quella porta!!
Ma come é possibile??
Prima che potesse riprendersi dallo stupore, seguì un'altra immagine: lui che salvava la vita a Sherlock con una specie di strana arma, che l'hobbit non riconobbe.
In un'altra ancora, era il corvino a puntare quella bizzarra arma di metallo contro, chissà perché, un muro con uno strano dipinto giallo sopra... finché "lui" non arrivava e gliela toglieva dalle mani.
Ne seguirono molte altre, rapidamente, come in un caleidoscopio.
Loro due che correvano per le strade di una cittadina piena di luci... Seduti in un salotto a parlare, mentre un'anziana donna gli serviva il té sorridendo... Che fronteggiavano un terzo uomo dallo sguardo maligno...
Molte altre vennero, tutte diverse, ma rimaneva una costante.
Loro due.
Si erano già conosciuti!
Ecco perché, fin dall'inizio, a John era sembrato di conoscere quello strano elfo. Ed ecco perché quella strana porta lo aveva attirato fin dal primo istante!!
La sfera ritornò trasparente e le immagini svanirono.
Seguì un lungo momento di silenzio attonito.
Nessuno dei tre disse una sola parola.
-Co-cos'era??-balbettò John alla fine.-Io non capisco...
Irene volse lo sguardo su di lui, sospirando.
-Non so dirvi cosa sia, esattamente: se una dimensione alternativa, un futuro molto lontano, o un passato ancora più remoto. Ma una cosa la so. Ci sono cose a cui si é destinati. Anime che visitano innumerevoli mondi diversi, o epoche diverse, ma che, inevitabilmente, prima o poi, finiscono per rincontrarsi. E voi eravate destinati a incontrarvi. Persino qui. Persino ora.
John alzò lo sguardo verso Sherlock; era molto pallido e gli tremavano le mani.
-Io non credo nella predestinazione-affermò, caparbio: ma il tono della sua voce era tutt'altro che fermo.
-Sa, Holmes...-gli sussurró la donna, il volto a pochi centimetri dal suo.-Alcune cose non sono fatte per essere credute... o provate... men che meno scientificamente. Esistono e basta...
Sospirò di nuovo, riponendo la sfera nella veste.
-Fate tesoro di ciò che avete visto. Per il vostro bene...-li ammonì, gettando un ultimo rapido sguardo all'elfo; fece poi un lieve sorriso a John.
L'Hobbit ebbe a malapena il tempo di sbattere le palpebre, che era già sparita.
-Beh... chi l'avrebbe mai detto?-sussurró dopo qualche istante, ancora incredulo.-Non avrei mai pensato di...
Ma Sherlock non lo stava ascoltando: era infatti appoggiato al muro del vicolo, gli occhi chiusi, l'espressione sofferente, e bisbigliava qualcosa, che però lui non riuscì a capire.
-Sherlock... stai bene??-chiese l'hobbit, preoccupato, posandogli una mano sul braccio. L'elfo a quel contatto si riscosse, come se fosse stato colpito da una scarica elettrica.
-Sí. Benissimo. Andiamo.
Senza aggiungere altro, riprese a camminare senza voltarsi, e lui gli andò dietro: ma, intanto, si interrogava sulle parole di Sherlock, che alla fine era riuscito ad afferrare.
Ripeteva solo una frase, più volte, sempre la stessa.
Non significa niente...
Non significa niente...
Non significa niente...
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Il nascondiglio di Magnussen, il Collezionista, ricordava la bottega di un rigattiere. Ovunque l'hobbit posasse lo sguardo vedeva oggetti diversi, di ogni fattura conosciuta: elfica, troll, nanesca... scaffali colmi di provette, pergamene, tomi antichissimi, eleganti vesti...
Avanzarono cautamente più all'interno: la stanza era immersa nell'ombra, rischiarata appena da una lampada a olio, perciò John non vide subito la figura che si era levata da dietro un paravento.
Anzi, due figure.
La prima era un uomo vestito con un pastrano grigio logoro, i capelli biondi striati di bianco e il naso adunco, su cui erano posati degli occhialini argentati.
Ma furono i suoi occhi, a inquietarlo: erano verde smeraldo, simili a quelli dell'indovina, ma freddi, privi di qualsiasi traccia di calore.
Anche l'espressione era seria, vuota e piatta: e proprio questo gli faceva paura.
L'altro uomo, invece, era alto un pochino di più di John, ma non poi così tanto; anche perché stava ingobbito, risultando ancora più basso. Aveva i capelli di un giallo paglierino e, al contrario di Magnussen, esibiva un disgustoso sorriso, talmente ampio da dividergli in due la faccia, mostrando una dentatura storta e ingiallita.
L'Hobbit dovette far forza su sé stesso per non indietreggiare per la paura e per il ribrezzo.
Ora capisco cosa intendeva Sherlock...
Che persone disgustose...
Per quanto le due figure non avessero ancora aperto bocca, il loro aspetto la diceva lunga.
Da quando erano entrati, Sherlock non aveva detto una sola parola: rimaneva in piedi lí, a fissare le due figure, in totale silenzio, l'espressione indecifrabile.
Finalmente, Magnussen parlò; sua voce era la pari della sua espressione: fredda e piatta. Tuttavia, l'hobbit vi percepì una nota di chiaro trionfo: ma anche qualcos'altro.
Crudeltà.
-Sherlock Holmes... Quale onore. Alla fine ha accettato la mia proposta, allora... Noto con piacere che mi ha portato il pagamento richiesto...
Le sue labbra si curvarono in un sorriso lievissimo, quasi un ghigno, mentre, inspiegabilmente, volgeva uno sguardo avido e rapace verso John...
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