Goodbye, John
Sherlock riuscì a tirarsi su, anche se respirava affannosamente, e rimase in ginocchio, le mani ad artigliare con violenza il terreno, il volto teso in una smorfia, emettendo degli strani lamenti, seppur soffocati, come fosse in preda di un dolore inimmaginabile ma, allo stesso tempo, cercasse di resistergli.
-Sherlock!! Che ti prende?? Spiegami, ti prego!!-ripetè L'Hobbit, con panico crescente, gli occhi colmi di sincera preoccupazione.
Ma lui non gli rispose: teneva gli occhi ermeticamente chiusi, strizzati addirittura, cercando di riprendere a respirare, il capo chino.
Poi, alla fine, seppur con immane e palese difficoltà, parlò.
-John...
-Sí??
-... Perdonami.
Il biondo lo guardò stranito.
-... Sherlock, che cosa stai dicendo??
Ma lui lo ignorò.
-Ti prego, John, perdonami... per tutto il dolore che ti ho causato...-ripetè, imperterrito, ma a sempre fatica, come se una qualche forza cercasse di prendere il sopravvento su di lui.-... Per averti... mentito... per averti... lasciato nelle... nelle mani di...
-Sherlock, smettila!! Mi hai già chiesto scusa!!-L'Hobbit si accucciò davanti a lui, e gli sollevò piano il volto sofferente, obbligandolo così ad incrociare il suo sguardo.-E io ti ho perdonato. So che non ha senso, ma é così. Ti ho perdonato, nonostante tutto. Te l'ho detto. Gli amici fanno così.
Il corvino riuscì, nonostante il dolore atroce, ad abbozzare un sorriso lievissimo, ma pieno di gratitudine.
-Adesso dimmi cosa c'è, cosicché io possa aiutarti!!-ripetè John, di nuovo.
Ma lui scosse la testa, stringendo le labbra.
-Non puoi aiutarmi, John... non più... non stavolta...
-Che vuoi dire??? BASTA PARLARE PER ENIGMI!!-sbottò l'altro, stavolta furioso.
L'elfo prese un respiro profondo e indicò qualcosa poco distante.
-John... la vedi quella torre campanaria?
Lui alzò lo sguardo verso il punto indicato dal corvino, e la vide: era una torre diroccata, ma alta abbastanza da sovrastare l'intera città.
-Sí... e allora?
-Per favore... aiutami a raggiungerla... poi ti spiegherò ogni cosa... se ancora ne sarò in grado...
-... Che significa???
Sul volto dell'elfo scesero lentamente alcune lacrime, mentre i suoi occhi tornavano, per un solo istante, azzurro ghiaccio.
-John... ti prego... fallo e basta... per me...-aggiunse, in un flebile sussurro.- So che non ho il diritto di chiederti nulla, ma...
L'hobbit lo mise a tacere prendendogli un braccio e facendolo passare sulla sua spalla, dopo averlo aiutato a tirarsi in piedi. La differenza di altezza tra i due era evidente, e in altre circostanze sarebbe sembrata addirittura comica: ma non in quel momento.
-Andiamo-disse John, semplicemente.
E, con passi lenti e faticosi, sostenendo il peso dell'amico, si diressero verso la torre.
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John si accasciò stremato sulla cima, sdraiando con delicatezza Sherlock vicino a lui, che aveva perso i sensi. Aveva praticamente dovuto trascinare di peso l'amico fin lí, perché dopo pochi passi pareva aver perso del tutto le forze. Non sapeva neppure come avesse fatto.
D'improvviso, questi si riprese e spalancò di scatto gli occhi, divenuti di nuovo rosso fuoco.
-Sherlock... siamo qui... come volevi tu... Ora spiegami, per favore-lo implorò John.
Dopo una fitta più forte delle altre, che parve dilaniarlo internamente, Sherlock si decise a parlare.
Faceva ogni tanto delle piccole pause, come a riprendere fiato.
-... É da un po' che... lo stavo aspettando...-spiegò, rantolando. -La trasformazione... sta diventando... permanente...
Il biondo sgranó gli occhi, inorridito.
-Come lo sai??
-Non c'è una spiegazione... scientifica... lo sento... e basta...-mormorò, ripetendo inconsciamente le stesse parole di Irene Adler.-... Non solo sarà permanente... ma... la mia parte umana... cesserà di esistere... sarò solo un drago assetato di sangue... per l'eternità...
John scosse ripetutamente la testa, i pugni stretti.
-N-no... No. Non é possibile. Non puoi... No!
-Mi dispiace, John... non dipende... da me...-sussurrò l'altro, con voce rotta.-Appena mi sarò... trasformato... non sarò più nemmeno in grado... di riconoscerti... e devasterò questa città...
L'Hobbit era talmente sconvolto da non riuscire nemmeno a parlare, mentre realizzava la portata di quella catastrofe. Tutti gli ignari abitanti di Lagolungo...
-Allora torniamo alla Montagna!!-esclamò.-Così non dovrai...!
Ma il corvino scosse appena la testa in segno di diniego.
-Non servirebbe a nulla... e poi, è troppo tardi... la trasformazione è già iniziata... riesco a sentirla... non posso fermarla...-Si portò una mano al petto, come se gli bruciasse, contraendo le labbra e trattenendo un gemito.
John non sapeva come sentirsi, mentre guardava Sherlock accasciato a terra, sofferente. Gli posò una mano sulla spalla.
-Io resterò qui. Non ti lascerò solo.
Ma a queste parole l'elfo sollevò di scatto la testa, parlando stavolta in tono duro.
-No, John. Tu ora te ne andrai da qui. Immediatamente.
L'hobbit scosse la testa con fermezza.
-Non ci penso nemmeno.
-Invece lo farai. Dovrai farlo.-Sherlock parlò con ancora più durezza, sebbene la fatica di articolare le parole diventasse ogni minuto più evidente, i riccioli corvini in netto contrasto col pallore della sua pelle, rendendola quasi traslucida.- Perché non sarò in grado di riconoscerti. La tua presenza qui non mi porterebbe alcun beneficio. Potrei addirittura ucciderti. E questo non deve accadere. Non lo permetterò. Vattene. Ora.
Disse queste ultime parole ringhiando, e guardandolo dritto negli occhi, risoluto. John capì che in nessun modo l'avrebbe smosso.
-Aspetta... prendi prima queste...-Tirò fuori dalla sua sacca due fiale: una contenente un liquido giallo, l'altra verde.-Una volta che sarai tornato alla Montagna, lancia la prima sulla parete esterna: causerà una forte esplosione e la distruggerà... sembrerà che io sia uscito da lì... l'altra modificherà i ricordi... della tua... Compagnia...
Lui rigirò tra le mani le due fiale, incerto.
-... Non voglio che tu... finisca nei guai... per avermi... aiutato... Ti dico solo... una cosa... tutta quella ricchezza... non sempre... è un bene... può portare... alla pazzia... Pensaci... prima di dargli... quello che così disperatamente cercano...
John aggrottò la fronte, non capendo quelle parole criptiche. Si limitò a fissare le due boccette, trattenendo a stento le lacrime.
-E se... ti... uccidessero?-chiese, con voce rotta.
-... Lo accetterò-sussurrò l'elfo, con rassegnazione.-Ormai... la morte... sarebbe preferibile a questa... vita... Questo non è... vivere... e sai come l'ho capito?
Il "No" pronunciato dal biondo fu piuttosto un sussurro.
-... Grazie a te... ho capito cosa significa... vivere... e avere qualcuno... che tiene a te... Io non ho mai avuto amici. Eccetto uno. E stavolta... non mi riferisco... a Victor...
Nel dirlo, fissò i suoi occhi in quelli blu dell'altro, lucidi, mentre le lacrime gli scivolavano sulle guance, sentendo bruciare ogni particella del suo corpo, ma non solo; il suo cuore stesso pareva in fiamme. Una volta, James gli aveva detto che gli avrebbe bruciato il cuore. E, solo in quel momento, capì cosa davvero intendesse.
Anche John era in lacrime, mentre la sua mano rimaneva però ancora salda sulla sua spalla.
-... Sherlock... io...
-Ora vai.
-Sherlock...
-Vai! -ringhiò lui di nuovo, gli occhi rossi, in fiamme.
Con la disperazione nel cuore, l'Hobbit lasciò la presa: il corvino, a quel punto, si avvicinò lentamente al margine della torre campanaria.
Spalancò poi le braccia.
L'hobbit spalancò gli occhi, allibito e inorridito.
-Sherlock!!! Cosa stai...??
Lui si voltò, fissandolo negli occhi per alcuni lunghi istanti, come se volesse imprimersi per sempre il suo sguardo nella memoria, in un silenzio di tomba, quasi irreale. L'unico suono udibile in quel momento, per una strana coincidenza, era il canto di un tordo.
-Addio, John...-sussurrò, per poi buttarsi di sotto.
-SHERLOCK!!!
Il biondo corse immediatamente al parapetto. Ma indietreggiò, d'istinto, quando si trovò quasi faccia a faccia con un muso irto di scaglie.
Cadde sulla schiena, respirando affannosamente, mentre un immenso drago rosso iniziava a volare sulla città e a sputare fiamme. Poi iniziarono le urla.
Gli occhi di John si riempirono di paura e lacrime.
Smaug era arrivato.
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John non seppe mai come avesse fatto a scappare da quell'inferno.
Sapeva solo di aver corso, corso, e corso ancora: di aver preso una barca, e di essere tornato alla Montagna Solitaria, mentre intorno a lui sentiva le grida dei cittadini di Pontelagolungo, che scappavano terrorizzati. Sentiva ancora il calore delle fiamme. Il fumo. Il fuoco.
Si accasciò un momento su una roccia, il respiro mozzo. I nani erano ancora lì, completamente addormentati. Fece esattamente quello che Sherlock gli aveva detto.
Prese un respiro profondo e aprì la prima fiala, scaraventandola poi con forza contro la Montagna.
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Smaug volava sulla cittadina di Pontelagolungo, maestoso e terribile al tempo stesso.
Era ormai scesa la notte, e l'unica luce era data proprio dalle fiamme che divampavano da lui stesso.
I nani e l'hobbit, su quella rupe, non poterono far altro che assistere inermi a quella catastrofe, in silenzio, gli occhi colmi di terrore.
In lontananza, si potevano addirittura udire le grida.
-Povere anime...-mormorò Balin.
L'hobbit non disse nulla. Non ne aveva la forza.
L'unico che non sembrava curarsene era Thorin; era voltato di spalle, senza neppure guardare la città in fiamme.
L'hobbit si scoprì furibondo.
Gli importa solo di quella stupida Arkengemma.
È ossessionato...
Non conta quanto sangue e morte lascia lungo la strada...
John sembrò capire, solo in quel momento, ciò che Sherlock gli aveva detto. Quel tesoro... quella pietra... sembravano portare alla pazzia. E qualcosa gli diceva che il peggio doveva ancora arrivare.
Non poté indulgere troppo in quelle riflessioni, perché in quel momento successe qualcosa.
Qualcosa che spezzò il cuore di John in mille pezzi.
Smaug cadde di schianto nel lago, colpito a morte da quella che, anche in lontananza, distinse subito come una freccia.
Ricordò solo in quel momento ciò che i nani gli avevano raccontato, anche se in forma di leggenda.
Solo una freccia nera può trapassare la corazza di un drago...
Con esasperante lentezza, lo vide cadere in quelle acque nere.
E poi sprofondare.
I nani osservarono tutta la scena, stupefatti, non credendo ai loro occhi.
-È morto... Smaug è morto...-mormorò John.
Sentì intorno a sé, come un mormorio indistinto, le grida di esultanza di tutti i nani.
-Finalmente!
-La Montagna è nostra!
Lui, invece, non parlò.
Non ne era in grado.
Sapeva che avrebbe dovuto fingere esultanza, ma non aveva la forza neppure per quello. L'unica cosa che riuscì a fare fu scivolare lungo la roccia, gli occhi chiusi. E nella sua mente, un nome.
Uno solo.
Sherlock...
Una lacrima, una sola, gli rigò il volto.
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