27. Aaron
Abby
Esco dall'ufficio di Cornelius dopo aver messo tutto nell'esatto ordine in cui l'ho trovato. Il cuore continua a martellarmi nel petto senza tregua, come se avesse all'improvviso ricominciato a battere per davvero. Sento una sensazione dilagante di ansia aggrovigliarsi attorno alle pareti dello stomaco, così forte che nemmeno riesco a camminare, appena fuori dalla stanza. Rimango per qualche manciata di secondo immobile lungo il corridoio buio, con una mano sopra il petto e l'altra poggiata sul muro freddo, a sostenermi.
L'idea di tornare nella mia stanza mi fa mancare l'aria dai polmoni. Forse perché è l'idea di rinchiudermi da sola in prigione a non andarmi più tanto a genio, o forse perché in questo momento è di schiarirmi per bene le idee che ho bisogno.
Dopo quello che ho letto nel De Rerum Vetitae infatti la mia testa è piena di assurdi pensieri. I dubbi mi hanno assalita all'improvviso, travolgendomi come un tornado sfuggito alle previsioni metereologiche.
Che cosa ho fatto? Cosa sono diventata?
Mi porto le mani sulla fronte e mi mordo il labbro inferiore per non singhiozzare. Non so dove si trovi in questo momento mio padre, ma non posso permettermi di farmi scoprire proprio adesso.
Tuttavia, anziché tornare nella mia stanza, m'incammino lungo il corridoio che porta alle stanze numero due e quattro, spinta dalla voglia di riflettere. La strada la conosco bene ormai, al punto che potrei persino ricordami il numero delle mattonelle che le separano.
Devi trovare un modo uscirne, Abby. Devi provare a mettere in pratica la Coniuctio Mentis. Ogni giorno che passa sei sempre più slegata dalla realtà.
Mi passo una mano sul mento, mentre rifletto tra me e me, e nel frattempo continuo a camminare, sovrappensiero. Senza accorgermene, supero le due stanze in cui sono stata condotta più volte da Cornelius e Russell e mi trovo a proseguire lungo un corridoio più stretto e angusto.
Quando realizzo che mi sto inoltrando in una zona mai visitata di questo rifugio mi blocco e mi volto indietro: riesco ancora a scorgere le lampade accese addosso alle pareti di pietra e in lontananza vedo la porta della mia camera. Tono a fissare avanti a me, realizzando per la prima volta che il corridoio continua, dopo le stanze due e quattro. E l'evidenza è così tanto banale che mi fa restare stupita.
C'è altro dentro questo posto.
A confermare la mia supposizione è un rumore improvviso, proveniente proprio dal fondo del corridoio, dove anche le lampade sono spente. È un rumore di piedi strascinati per terra e di ferro sbattuto. È un rumore di essere vivente.
Spalanco gli occhi stupita e mi guardo ancora una volta indietro, spaventata dal ritrovarmi mio padre alle spalle, furioso. Ma dietro di me non c'è nessuno e la curiosità di scoprire da dove provenga il rumore è troppo alta per farmi tornare indietro. Così mi faccio coraggio con un respiro e continuo ad avanzare, immergendomi completamente nel buio.
Ci sono altre tre stanze di fronte di a me: due poste lungo il corridoio, e una, più grande, alla fine. Mi avvicino piano, cercando di non fare troppo rumore, e appoggio l'orecchio sulle prime due porte che mi trovo lungo il tragitto: all'interno non proviene alcun suono sospetto, ma quando provo ad abbassare la maniglia, la sento bloccata sotto alla mia mano. Sono entrambe chiuse a chiave. Quindi qualcosa da nasconderci, qui dentro, dev'esserci.
Mentre provo ad armeggiare ancora con la maniglia di una delle due porte, sento lo stesso rumore di prima provenire chiaramente dal fondo del corridoio, stavolta più forte e seguito da un lamento.
Lascio andare immediatamente la maniglia e sussulto, spaventata. Mi avvicino alla terza porta, che chiude il corridoio, e senza pensarci due volte provo ad abbassare la maniglia. Con tutta la mia sorpresa, questa non è bloccata, e mi permette di aprire piano la porta, che emette un cigolio timido.
Ho il cuore in gola, ma ormai non posso più tornare indietro. Mi sono spinta così a fondo che andare avanti è l'unica mossa che mi rimane da compiere.
Entro all'interno di una stanza rettangolare abbastanza ampia, che però dà tutta l'idea di essere una prigione. E con prigione non intendo quella che definisco la camera in cui sono stata rinchiusa io, bensì una vera e propria cella: proprio di fronte ai miei occhi delle sbarre di ferro scendono dal soffitto fino al pavimento e dividono esattamente in due parti la stanza.
Davanti alle sbarre ci sono io, con una mano ancora poggiata su maniglia della porta e uno sguardo pieno di terrore, e dall'altra c'è una persona, che in questo momento mi sta fissando con occhi piccoli e rossi e un sorriso cupo dipinto sulle labbra.
«Oh, abbiamo visite, oggi», esclama con voce gutturale. Sembra che non parli da secoli, tanto la sua voce è roca. «Da quanto tempo che non ne ho una...»
Rimango a fissare l'ombra rinchiusa dietro alle sbarre senza riuscire a formulare nemmeno una parola. Mi sento pietrificata dalla sua presenza, e mi rendo conto che in questo momento non riuscirei nemmeno a fuggire via. Di fronte a me c'è un uomo conciato male, probabilmente della stessa età di mio padre, ma molto più trasandato. Ha i capelli completamente canuti e la fronte stempiata. Il suo volto è scavato da profonde occhiaie e la barba incolta denota una pessima cura di sé. Indosso ha degli abiti vecchi e laceri, che forse non cambia da tempo. La sua cella è spaziosa ma all'interno non c'è un bel niente, oltre a un bagno con zero privacy, una brandina e un tavolino con una sedia, sopra al quale c'è poggiato un vassoio vuoto e un libro usurato.
«E pensare che speravo nell'arrivo di quel parassita di Russell», continua l'uomo, senza smettere di inchiodarmi con lo sguardo. «Sono due giorni che non mi porta del cibo, quello schifoso...»
Deglutisco, ancora paralizzata dalla scoperta, e trovo il coraggio per lasciare la maniglia della porta e fare un passo avanti. «Chi... Chi diavolo sei tu?»
«È curioso che potrei fare la stessa domanda a te, ragazzina. Non credo che tu sia un'altra di quegli inutili umani di cui serve Cornelius... No, non credo proprio.»
«Perché sei rinchiuso lì dentro?»
Ma l'uomo senza nome sorride senza rispondere a nessuna delle mie domande. Piuttosto si fa avanti fino alle sbarre di ferro e con un dito mi fa un cenno. «Avvicinati.»
«No.»
«Avvicinati, ho detto», ripete lui, e di nuovo i suoi occhi assumono la colorazione cremisi, proprio come i miei.
È un Demone anche lui.
«C'è troppa poca luce, qui dentro. I miei occhi quasi non ci vedono più, ma adesso che ti ho più vicina forse inizio a capire...» mormora, scrutandomi attentamente. «Ma sì, certo. I capelli rossastri e lo sguardo pieno di furbizia sono due segni caratteristici. E poi il potere che emani, ragazzina... Assomigli a tua madre, ma sei decisamente la figlia di Cornelius.»
Rimango a fissare l'uomo con uno sguardo di sfida forzato. Non devo mostrarmi spaventata di fronte a lui. Anche se sta dietro a delle sbarre, temo che non sia affatto da sottovalutare. Se è davvero un Demone come penso, saprà come farsi valere anche tenuto sotto prigionia.
«Hai indovinato. Ma adesso voglio sapere chi sei tu.»
Lui scoppia in una risata profonda e cupa, poi si avvicina la tavolo, prende la sedia e la trascina di fronte a me, sedendosi. «Anche il carattere è il suo, non c'è che dire», scherza, fissandomi con occhi cupi. «Io mi chiamo Aaron, e sono stato il migliore amico di tuo padre.»
La schiettezza con cui mi risponde mi lascia senza parole. Ho la gola talmente secca che provo a deglutire più volte prima di prendere di nuovo parola. «Perché sei rinchiuso qui dentro?»
«Piuttosto, perché sei rinchiusa tu qui dentro? Devo dedurre che il grande piano di Cornelius stia funzionando se è riuscito a creare te e ritrovarti, per giunta.»
«Io non sono rinchiusa come te.»
«Oh, ne sei sicura? Perché non sono sempre delle sbarre a determinare una prigione», mi fa riflettere, senza smettere di sorridere. «Tu sei una pedina, proprio come lo sono io.»
Scuoto piano la testa e faccio un passo indietro. «Non è vero.»
«Come ti chiami, ragazzina?»
«Mi chiamo Abby, ma sapere il mio non ti aiuterà ad evadere da qui», rispondo brusca. Parlare con quest'uomo mi mette un'inquietudine addosso che difficilmente ho provato altre volte. C'è qualcosa nel suo sguardo... qualcosa di malinconico e allo stesso tempo arrabbiato, che mi destabilizza e mi fa stare sulla difensiva.
«Evadere? E chi ha parlato di voler evadere? Ormai ho capito che il mio posto è questo», risponde lui con un'alzata di spalle. «Fuori da qui non sono più nessuno. Non ha senso nemmeno sforzarsi per uscire.»
«Da quanto tempo sei rinchiuso qui sotto?»
«Anni. Decadi, forse. Temo di aver perso il conto. Qui i giorni sono tutti uguali. Ma forse avrai iniziato a capirlo anche tu.»
«Ti ho detto che non sono come te. Io sto aiutando mio padre a ritrovare i poteri. Il mio ruolo è fondamentale», replico, piccata. Quest'uomo, con la sua arroganza ben celata, sta iniziando a innervosirmi.
«Oh, anche io ho aiutato tuo padre per molto tempo, cara. Devi sapere che eravamo amici fin da ragazzi, quando facevamo finta di lavorare in uno stand di un parco giochi di Henver con il solo scopo di adescare umani indifesi. Siamo sempre stati complici, io e lui. Ho appoggiato le sue idee, anche quelle più surreali. E adesso ne sto pagando le conseguenze, proprio come farai tu.»
Spalanco gli occhi, tramortita da un flash nella mia testa: lo stand del Demon's Eye, nel parco giochi del Joyland. Il ricordo della Lacrima sul primo incontro di mia madre con Cornelius. Aaron era il suo amico.
«Perché avrebbe dovuto rinchiuderti, se eravate complici?»
Aaron cancella il sorriso dal volto e guarda un angolo lontano della sua prigione. «Perché Cornelius sa solo servirsi delle persone. Forse tua madre è stata un'eccezione, almeno durante i primi tempi. Era davvero preso da quella donna umana, ma i suoi progetti erano troppo grandi per essere soprasseduti da un banale innamoramento. Mi dispiace per la triste fine che abbia fatto, ma non doveva incrociare la strada di un Demone. È stata una stupida.»
«Non parlare così di mia madre!» Faccio un passo avanti e sento la rabbia avvolgermi dalla punta dei piedi fino ai capelli. Gli occhi mi bruciano quasi da lacrimarmi e stringo i pugni delle mani fino a far diventare bianche le nocche.
Aaron mi guarda interessato. «Hai gli occhi di un Demone anche tu, ma sei figlia di un'umana. Che esperimento, che è riuscito a creare tuo padre!» ride e scuote la testa. «Ma non aspettarti di ricevere un trattamento migliore da parte sua, nonostante dentro di te scorra il suo stesso sangue.»
Provo a calmare la rabbia. Socchiudo le palpebre e mi sforzo a ritrovare uno stato di tranquillità. Adesso il mio occhio muta con una rapidità e una semplicità incredibile. E non credo che questo sia un bene. «Come sei finito in gabbia?»
«Sono stato adescato. Un po' come te, immagino», prova a indovinare Aaron. «Cornelius è uscito di testa dopo essere entrato in possesso di quel libro. I suoi sogni si sono ingigantiti a vista d'occhio e quando ha iniziato a creare Sottomessi per la città, ho capito che aveva oltrepassato il limite. Di lì a poco è diventata la persona più ricercata in tutta la nostra storia, dopo il suo maestro. Quando è stato catturato e portato a Danville ho capito che era giunta la fine per lui. Tutti i nostri sogni di gloria e i progetti... buttati all'aria per colpa di alcune pretese troppo grandi.»
«Questa storia la conosco già. Lui è riuscito a scappare da Danville e si è nascosto qui sotto.»
«Io nel frattempo avevo fatto disperdere le mie tracce. Non sono mai stato un Demone ligio al dovere, ma non mi sono nemmeno macchiato le mani di grosse accuse. Perciò non volevo essere associato a qualcuno in procinto di essere giustiziato a Danville», racconta, senza guardarmi in faccia. «Poi però ho scoperto che era riuscito incredibilmente a fuggire da quella prigione di città. Quando le acque si sono calmate è stato lui a farsi vivo, facendomi recapitare un messaggio. Io ho capito subito chi fosse il mittente e sono rimasto stupito dalla sua incredibile bravura. Insomma, sfuggire da un intero esercito Celeste non è uno scherzetto... Nel biglietto c'erano tutte le promesse che Cornelius mi aveva fatto. Potevamo ancora raggiungere i nostri obiettivi insieme. Dovevo solo raggiungerlo nel suo covo... Qui sotto.»
«E poi?»
«E poi la storia è finita. Sono sceso in questa oltretomba carico di aspettative, ma l'unica cosa che mi ha atteso è stata la mia cattura. Cornelius si è servito di Russell per trarmi una trappola e farmi risvegliare dentro questa cella», mi spiega, con una nota accentuata di cattiveria. «Poco dopo ho scoperto della condanna che gli era stata inflitta dal Consiglio... Privo di poteri e ricercato ovunque, lui aveva un bisogno disperato di me per poter mandare avanti la sua fabbrica di soldatini trasformati. Io sono stato il braccio di cui si è servito per tutti questi anni. La sua unica fonte di potere demoniaco.»
Rimango a fissare Aaron perplessa. «Perché non hai mai provato a fuggire? Ti trovavi di fronte pur sempre una persona priva di poteri.»
«I primi tempi ci ho provato, ma è stato lì che ho firmato la mia condanna... Hanno iniziato a stordirmi sempre di più, svegliandomi solo per trasformare umani. La mia vita ha perso sempre di più il contatto con la realtà. E poi le medicine che mi davano hanno indebolito molto il mio potere, al punto di rendermi utile solo per creare Sottomessi.»
Mi avvicino alle sbarre della prigione e allungo le mani per toccarle. Ma Aaron scatta in piedi, proprio come se avesse appena preso la scossa. «Ti consiglio di non toccarle. Non è ferro normale, ma ha scaglie di rubino e ossidiana all'interno. Se lo sfiori, ti ustionerai. È anche grazie a questa gabbia che mi hanno tenuto sotto scacco.»
Trattengo il fiato, spaventata dal suo scatto. Con gli occhi spalancati, non smetto di fissare l'uomo di fronte a me: nonostante sia stato a lungo il braccio destro di mio padre, non riesco a vederlo come un nemico. È soltanto un prigioniero che ha subito le sue scelte.
Un po' come te, Abby. Non ti ritrovi nemmeno un po' nella sua storia?
Cancello questo pensiero che mi brulica nella mente e scuoto la testa.
«Sembri una ragazzina piuttosto sveglia... Come fai a non capire che sei una pedina di tuo padre?»
Per la prima volta rimango senza parole con cui ribattere. Vorrei dire che io sono il pupillo di mio padre, il suo diamante grezzo da sfoggiare, ma quest'uomo sembra avermi preceduto in tutto e per tutto, per poi finire comunque rinchiuso.
E tu farai la stessa fine, se non riuscirai a fuggire.
«Io... Io non mi fido di te. Non ti conosco neppure. Potresti essere solo un ciarlatano.»
Aaron ride di nuovo. «Attenta a fidarti troppo di tuo padre, Abby. L'ammirazione porta spesso a risvolti difficilmente reversibili.»
Stringo di nuovo i pugni, in pieno contrasto come me stessa: la Abby cambiata, che non crede a una sola parola di Aaron, e la Abby più umana che è da poco riemersa da un baratro nero e profondo, che invece mette in dubbio tutte le parole di Cornelius.
«Vorresti farmi credere che mio padre sia un pericolo per me, e non un motivo di forza?»
«Dovresti togliere un po' di disincanto dai tuoi occhi, ragazzina. Se Cornelius ti sta rendendo forte è solo perché ha bisogno che tu lo diventi per lui. Scommetto che sta provando a riprendersi i poteri che il Consiglio Celeste gli ha negato.»
Rimango in silenzio per non annuire e dover ammettere la sua ragione.
«Già, c'avrei scommesso...» Aaron capisce al volo e scuote la testa, sospirando. «Svegliati finché sei in tempo. Fallo prima che tuo padre ritrovi i poteri, o sarà la fine per entrambi, oltre che per tutti i Celesti. Ma di loro in effetti non mi preoccupo affatto, visto gli schifosi progetti che avevano in mente per ottenere il predominio su tutti.»
«Cosa sono queste voci?» Una voce profonda prorompe alle mie spalle, interrompendomi.
Mio padre.
Cornelius entra nella stanza di Aaron a grandi passi, spalancando la porta. I suoi occhi saettano di rabbia e allo stesso tempo incredulità, mentre passano senza sosta da me all'amico rinchiuso. Si morde il labbro inferiore e stringe i pugni con forza. Per un attimo temo che voglia usare la violenza su qualsiasi oggetto abbia a disposizione nella sua area d'azione, ma poi prende un bel respiro, lungo e profondo, e prova a impostare un sorriso posticcio.
«Stento a credere ai miei occhi.» Prende parola alla fine, incrociando le braccia al petto. Fa qualche passo avanti e si interpone tra me e la cella di Aaron. Adesso ci tiene sotto scacco entrambi, guardando con aria indagatoria prima me, poi lui. «Qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo qui? Anche se è piuttosto evidente.»
Aaron indietreggia nella cella e torna a mettersi seduto sulla sua sedia. Non mostra un briciolo di paura. Anzi, quasi è divertito dalla situazione. «Ciao, Cornelius. È bello rivederti. Potresti anche passare a trovarmi ogni tanto. Un tempo eravamo inseparabili, ricordi? Mentre adesso mi mandi solo quel tuo tirapiedi.»
Cornelius avanza verso Aaron e si ferma a pochi millimetri dalle sbarre, senza però toccarle. «Sei stato tu ad attirarla qui?»
«Mi stavo lamentando per il pessimo servizio mensa, a dire la verità. Nemmeno sapevo che tenessi un'altra prigioniera oltre a me», risponde con pacatezza, alzandosi dalla sedia. Con pochi passi si avvicina a mio padre, finché non si trovano a essere uno di fronte all'altro, separati solo dalle sbarre. «Assomiglia così tanto a Dorothy, lo sai? Ma, dimmi... Le riserverai il suo stesso trattamento?»
Vedo mio padre allungare con una rapidità disarmante il braccio attraverso le sbarre. Il gesto è talmente veloce e istintivo che riesco a mala pena a intervallarlo con un battito di ciglia. Rimango immobile, mentre afferra per la maglia Aaron e lo attira addosso alla recinzione di ferro. Nello stesso momento in cui le braccia e la faccia entrano a contatto con il metallo fuso al rubino, l'uomo inizia a gemere piano, quasi con pudore. La pelle si tinge di una colorazione rossastra nel giro di pochi secondi, lasciandogli un segno marcato.
«Non sei nella condizione di provocarmi, Aaron. Potrei torturarti fino a che non inizi a sputare sangue.»
Aaron stringe i denti. L'ustione gli sta lasciando un segno sempre più scuro sulla guancia, come una cicatrice. E da come strizza gli occhi, immagino che gli faccia male da morire.
«Lascialo andare!» La mia voce interrompe il silenzio teso nella stanza senza che quasi me ne accorga. «È stata colpa mia. Ho disobbedito all'ordine di tornare nella mia stanza e mi sono messa a curiosare per il corridoio, finché non ho trovato lui.»
Cornelius solleva le spalle quasi sussultando. Con una mossa lenta si volta verso di me, mostrandomi il suo profilo funereo, mentre con la mano lascia andare di scatto la maglietta lacera di Aaron, che si lascia cadere con un tonfo a terra.
Adesso lo sguardo di mio padre è solo rivolto a me. «Stai dicendo la verità, Abby?»
Mi mordo il labbro per non farlo tremare e annuisco, gettando subito dopo lo sguardo a terra.
«Così mi deludi... Dopo tutto quello che mi avevi appena dimostrato oggi?»
«Mi dispiace. Io ero... troppo eccitata per tornare nella mia stanza. Non avrei dovuto curiosare in giro.»
Cornelius stringe gli occhi e prova a scrutare la bugia nelle mie pupille, sottili come spilli. Si avvicina a me molto lentamente e la sua ombra scura mi sovrasta. Negli occhi saettano scintille di rabbia e disappunto, che però tenta in tutti i modi di modulare. «Non curiosare nel sotterraneo è sempre stata una delle regole basilari. Infrangerla mi lascia molto su cui riflettere.»
«È stato un errore che non si ripeterà», mi appresto a ribattere con tono piatto. Mi tengo sempre sulla difensiva quando vedo il suo volto mutare di espressione e diventare una maschera di freddezza.
«Ne sono certo. Da stasera inizierai a prendere il doppio delle dosi di tranquillante, così, finiti gli allenamenti, ti resterà la forza solo per mangiare e dormire, anziché gironzolare loscamente nella mia casa», replica lui. «Devi capire che ad ogni azione sconsiderata corrisponde sempre una punizione. Adesso andiamocene di qui. Non ti fa bere ascoltare quest'uomo.»
Aaron si avvicina di nuovo alle sbarre e ci sorride, stanco. Poi guarda mio padre e mi indica. «Attento a tua figlia. È più sveglia di quanto pensi.»
Cornelius solleva un angolo della bocca, quasi schifato da lui. Mi afferra pesantemente per un polso e mi attira a sé, come se fossi un trofeo di guerra. «Fatti gli affari tuoi, Aaron. Non appena avrò riacquisito i miei poteri – e manca davvero poco, ti assicuro – sarai la prima persona che farò fuori... Guardati», lo indica con un cenno del mento. «Ormai sei solo una carcassa di Demone. Sei debole e solo. Non sei mai stato degno di starmi accanto, né tantomeno di supportare la mia guerra contro i Celesti. Sei stato solo un oggetto da usare al bisogno.»
Mio padre mi strattona verso la porta che conduce al corridoio e mi fa capire che non gli interessa più continuare la discussione con lui. Ma proprio poco prima che usciamo dalla sua cella, Aaron pronuncia cinque parole che fanno vacillare del tutto ogni mia certezza.
«Proprio come tua figlia, Cornelius?»
***
Nel corridoio, a intervallare il silenzio tra noi due c'è solo il rumore dei nostri passi, pesanti e freddi.
Le parole funeste di Aaron mi rintoccano ancora nella mente, come un brutto presagio all'orizzonte. In realtà è tutto il suo discorso a farmi riflettere, unito alle scoperte apprese all'interno del De Rerum Vetitae.
Cosa ne sarà di me dopo che mio padre avrà riacquistato tutti i suoi poteri?
Ma oltre a questa domanda c'è un altro dubbio a ronzarmi nella testa. Ed è qualcosa che non ho intenzione di tenermi dentro, perché l'unico in grado di chiarirlo potrebbe essere solo mio padre.
«Che progetti hanno i Celesti? Aaron ne ha parlato con molto disprezzo.»
Mio padre si ferma di scatto nel bel mezzo del corridoio e si volta a guardami. I suoi occhi sono ancora cupi di rabbia, ma adesso emerge anche qualcos'altro... Sorpresa, forse?
«Cosa ti ha detto? Non avresti dovuto parlarci. Quell'uomo potrebbe solo confonderti.»
«Voglio sapere la verità sui Celesti. Perché li disprezzate così tanto? Perché questa perenne voglia di combattere contro di loro?»
«Non so quali fandonie ti abbiano raccontato quei Guerrieri, ma i Celesti non sono le persone benevole e dal cuore puro che ti hanno descritto. Gli intenti di alcuni di loro sono decisamente peggiori dei nostri... È per questo che ho iniziato a portare avanti il progetto delle sperimentazioni tramite il De Rerum Vetitae», spiega mio padre. «Ho intenzione di creare un esercito di creature demoniache, perché solo così potrò contrastare la minaccia Celeste e ripristinare un equilibrio nel mondo sovrannaturale.»
Le sue parole stridono nella mia testa con un suono stranamente innaturale.
Quindi adesso sono i Celesti a essere i cattivi della situazione?
«Quale minaccia?»
Lui riprende a camminare. Adesso non mi guarda più. «Creare una specie perfetta e imbattibile per ottenere il dominio assoluto sui Demoni. È per questo che stanno cercando quel libro. I loro scopi sono temibili, e per questo dobbiamo essere pronti per fronteggiarli. Anche a costo di fare dei sacrifici.»
Cornelius si ferma davanti alla mia stanza e mi fa cenno con la mano di entrare.
«Cosa... Cosa significa questo?»
«A Danville gli uomini di potere ci stanno cercando, Abby. Stanno cercando te, me, e il libro. Ognuno di questi tasselli li faciliterà nel loro progetto di egemonia. Dobbiamo diventare più forti di loro, altrimenti per noi sarà la fine.»
Aggrotto le sopracciglia e sento un peso sul petto che quasi non mi fa respirare. «Io... sono confusa.»
«Lo so. Era per questo che non te ne avevo mai parlato», replica lui, spingendomi nella stanza. Mi guida accanto al letto, e, con una lieve pressione sulle spalle, mi fa mettere seduta sul materasso. «Devi solo impegnarti a diventare più forte di quanto non lo sia già. Ho bisogno di un'ultima prova da parte tua... È l'ultimo sforzo che ti chiedo. Dopodiché potrò riavere i miei poteri. Già stanno riaffluendo, ne ho avuto la prova oggi.»
Di nuovo, la sensazione opprimente di ansia torna a gravarmi sullo stomaco. Inizio a respirare in modo agitato e con la coda dell'occhio guardo il comodino. Sopra ci sono le pillole rosse che mi calmano. Anche mio padre le vede, e con la mano ne afferra due, porgendomele.
«Io non so più di chi fidarmi.»
Gli occhi di Cornelius mi fissano con intensità. Un'intensità mai provata prima d'ora. All'interno delle sue iridi chiare ci scorgo un fulmineo riflesso rosso. «Fidati di me, Abby. Insieme possiamo farcela.»
Per un attimo il suo sguardo mi confonde, così come le sue parole. Alla fine annuisco, incapace di ribattere o elaborare qualsiasi altra domanda. All'improvviso mi sento tremendamente stanca: di disobbedire, di chiedere, di controbattere. Siamo solo io, mio padre e le sue volontà. E mi chiedo quanto valga la pena remare in continuazione controcorrente.
Afferro con riluttanza le due pillole e senza pensarci due volte le infilo in bocca, sospirando.
Anche Cornelius emette un respiro rilassato. Lo vedo da come abbassa le spalle. Tutt'un tratto sembra spossato anche lui. Come se avesse finito di utilizzare l'ultimo briciolo di pazienza che aveva nei miei confronti. «Bene. Adesso riposati. L'ultima prova che dovrai affrontare sarà di una difficoltà dilaniante.»
Angolo dell'autrice.
Eccomi tornata, mi scuso per l'assenza prolungata e grazie per la pazienza infinita! Come state, spero tutto bene.
Bene, Abby ha finalmente incontrato l'altro inquilino del rifugio... Cosa ne pensate di Aaron? Affidabile o porta guai?
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo! Il prossimo vedrà ancora come protagonista Abby, e sarà molto, molto importante! ;))
Buonanotte!!
ps. vi lascio due fan art di Abby fatte da una ragazza davvero brava! Nei prossimi capitoli ne seguiranno altre
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