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21. Kathleen Lorelaine


Jared.

Proseguo verso la palazzina sul fondo della strada, decelerando di fronte a una famiglia umana che sta attraversando la carreggiata, e parcheggio la macchina al lato di un marciapiedi, a pochi metri dal portone d'ingresso del palazzo grigio.

Madison si sgancia la cintura e afferra la borsetta dal sedile, da cui tira fuori tre distintivi della polizia di Henver. Ce ne passa due a noi, poi si appunta il terzo sulla maglietta. «Metteteli.»

Mi giro tra le mani la targhetta dorata e assolutamente realistica e fisso Madison con le sopracciglia sollevate. «E queste?»

«Sarebbe sospetto che degli sconosciuti entrino in casa di una donna per interrogarla. A Danville abbiamo i nostri mezzi.»

«Sono sempre più stupito dalle armi che sfoderi, agente», mi congratulo, uscendo dalla macchina con un sorriso appena accennato.

Poco dopo siamo tutti e tre di fronte all'ingresso della palazzina, vestiti in abiti informali e con delle riproduzioni fedelissime dei distintivi della polizia locale appuntati sul petto. Madison cerca il cognome lungo la sfilza infinita di pulsantini grigi del citofono e non appena trova quello giusto, suona.

«Chi è?» Domanda la voce metallica e un po' frastornata di Kathleen dopo qualche secondo. «Se siete giornalisti, andatevene. Ho già detto tutto quello che dovevo dire.»

«Signora Lorelaine, è la polizia. Dovremmo farle qualche domanda per la sua sicurezza.»

«La polizia? Oh, d'accordo, salite pure. Ma voglio vedere i distintivi dallo spioncino della porta, prima di aprire. Non mi fido più di nessuno. No, proprio di nessuno.» Il portone si apre di scatto e la voce della donna smette di parlare.

Ci guardiamo per un breve attimo di assenso, prima di aprirla e prendere l'ascensore, diretti al piano dell'appartamento della signora Lorelaine. Rimaniamo in silenzio durante tutto il tempo della salita, ognuno perso nelle proprie congetture: Nolan si fissa i piedi in silenzio, lo sguardo stranamente cupo e le ciocche di capelli che gli coprono un'espressione a dir poco funerea; Madison, con le braccia strette a morire sul petto e il piede che non smette di picchiettare il pavimento dell'ascensore... E poi io, con le mani ficcate in tasca di peso, le spalle poggiate alla parete posteriore fatta di specchi e la testa piena zeppa di preoccupazioni.

Quando finalmente usciamo da quel piccolo metro quadro di oppressione, Madison si appresta a suonare il citofono dell'appartamento, portandosi in prima linea. Dopo nemmeno due secondi, proprio come se fosse appostata lì dietro, la signora Lorelaine si fa sentire, con la bocca schiacciata sulla porta e gli occhi piantati nello spioncino. «I distintivi. Non vi faccio entrare se non me li fate vedere.»

L'agente mostra la spilla appuntata sul petto e poi si scosta dallo spioncino, permettendo a Kathleen di vedere anche i nostri contorni sfocati. «Sono con altri due colleghi, signora. Se vuole le mostro anche i loro, di distintivi.»

Kathleen pare rifletterci per qualche secondo, ma poi fa scattare diverse serrature sulla porta e apre uno spiraglio così piccolo da farci passare quasi solo di profilo. «No. No, va bene. Entrare, forza... Fate veloci. Qualcuno potrebbe sentirci o vederci. Ci sono occhi ovunque

Madison entra per prima, chiedendo educatamente permesso. S'infila in silenzio nel salotto buio e aspetta con impazienza che entriamo anche noi.

Io fisso Nolan con eloquenza e lo spingo oltre lo zerbino, spronandolo a raggiungere le due donne all'ingresso della casa. Non appena entro, mi richiudo la porta dietro alle spalle, facendo piombare la stanza in una strana e inquietante penombra. Sì, perché la prima cosa che non posso fare a meno di notare rispetto all'ultima volta in cui sono stato dentro questa casa con Abby è che adesso è totalmente cupa e priva di spiragli di luce: le persiane di ogni stanza sono serrate, così come tutte le finestre. Anche le luci appese al soffitto sono spente, lasciando spazio solo a una piccola lampada da tavolino accesa accanto al divano. La televisione è staccata e i fili dell'antenna penzolano a terra, in disuso da chissà quanto tempo. In compenso, il pavimento è pieno di cartacce di cibi in scatola, involucri di biscotti preconfezionati, pezzi di carta straccia appallottolati e libri aperti buttati qua e là in ogni dove. La stessa casa di qualche tempo fa adesso sembra essersi trasformata in un tumulto di confusione e perdita.

Ma più dell'immagine quasi spettrale della casa, a farmi rimanere di sasso è la figura stessa di Kathleen Lorelaine... Probabilmente in televisione la sua stanchezza e il suo dolore non bucavano così tanto bene lo schermo, perché adesso, dal vivo, posso davvero notare la condizione fisica e psicologica in cui sta riversando: il volto smunto, privo di colore e di espressione, inizia a essere solcato da rughe profonde. Le occhiaie sono quasi nere e in pochi secondi sbatte le palpebre un numero di volte compatibile con quello di un tic nervoso. Le dita delle mani si muovono a scatti, così come anche ogni parte del suo corpo. Sembra di continuo sull'attenti, sussultando persino per ogni respiro fatto in modo più rumoroso. Anche i capelli sono una matassa di ciocche rosse sfibrate e spente, raccolte in una crocchia disordinata e veloce.

Kathleen Lorelaine è il ritratto di una donna che sta cadendo a pezzi per la paura e per la sofferenza. Ma non so quale delle due stia avendo la meglio su di lei.

Mi guardo ancora una volta attorno, sconvolto dal caos spaventoso che regna sovrano nel salotto, oltre all'odore di marcio che proviene dalla cucina.

Nolan strizza gli occhi e prova a cancellare dal viso una smorfia disgustata.

«Signora Lorelaine... Lei sta bene?» Domanda Madison impacciata. Anche lei non può fare a meno di guardarsi attorno con fare preoccupato.

«Sedetevi, sedetevi! Posso offrirvi qualcosa? Posso fare del tè... Ho anche dei cioccolatini, se volete. Non posso non darvi nulla da mangiare. Sarebbe così scortese. Mia madre lo diceva sempre...»

«Non possiamo accettare nulla in orario di lavoro, signora», le risponde con pacatezza Madison. «Però ci siederemo. E dovrebbe farlo anche lei. Sembra davvero agitata.»

«Kathleen... Signora Lorelaine volevo dire, cos'è successo in casa?» Mi lascio sfuggire senza riuscire a trattenermi. La mia domanda è talmente priva di tatto che l'agente mi lancia un'occhiataccia.

Kathleen si siede sulla poltrona del salotto, calpestando una lattina di birra vuota, e mi guarda sorridendo come se avessi parlato in un'altra lingua. «In che senso, ragazzo?»

«La casa. È un po' in... soqquadro

«Oh, a quello ti riferisci...» Lei ride ad alta voce, così forte che spaventa tutti quanti. È una risata decisamente priva di controllo. «Be', non ho avuto tempo di fare le pulizie. Sai, con tutte le cose che ho dovuto fare... La vita è andata avanti anche per me, anche se sono una donna single di mezza età. Avrò tempo di rimettere a posto. Ma non ora. Adesso ho ben altre cose a cui pensare. Cose più grandi», dice, spalancando gli occhi quasi spiritati.

Nolan, seduto in mezzo a me e Madison sul divano impolverato, deglutisce e continua a guardarsi attorno preoccupato. È come se ci trovassimo all'improvviso dentro a una location di un film horror dal budget economico e Kathleen Lorelaine fosse la padrona di casa fuori di testa.

Madison tira fuori dalla borsetta un taccuino striminzito e una biro nera e se li appoggia sulle gambe. Anche il suo sguardo emana una certa sensazione di disagio. «Kathleen, avremmo il piacere di farle qualche domanda in più sul suo agguato... Chiaramente è libera di rispondere a quello che vuole, ma sappia che più ci dirà e più ci aiuterà a costruire un quadro dettagliato. Inoltre, se avesse bisogno di un aiuto... ecco, di qualsiasi genere», aggiunge, spostando per un attimo gli occhi con fare critico nell'ambiente circostante, «può sempre contare sui servizi sociali della città.»

«Oh, cara, ma io ho tutto sotto controllo. Tutto sotto controllo. Tutto.»

«È evidente», replica Nolan, fissandola spaventato.

Gli tiro una gomitata sul costato e lui soffoca un gemito in silenzio.

«Chi l'ha attaccata stamattina, fuori casa, signora? Può dirci qualcosa di più di quanto detto alla televisione?» Le domanda Madison. La penna è stretta attorno alle dita e la fissa con occhi attenti.

«Oh, no, signorina. Ho detto davvero tutto a quella giornalista. L'uomo che mi ha attaccata doveva conoscere i miei spostamenti, perché sapeva bene a che ora sarei uscita per gettare la spazzatura. Sapeva davvero tutto, si era appostato a posta per attaccarmi, ma ha fallito. Eccome se lo ha fatto. Sono riuscita a scappare e a rinchiudermi nell'atrio del palazzo. Una gran fortuna. Una gran fortuna», ripete, snocciolando le parole con frenesia. Si guarda di nuovo attorno, come se si sentisse osservata, poi torna a sbattere velocemente le palpebre.

Il suo nervosismo continuo mette in allerta anche me, facendomi gravare sulle spalle la strana sensazione che ci possa essere appostato qualcuno nella casa. Ma attorno a noi c'è solo un silenzio rotto dai deliri di una donna sola, sotto shock evidente.

«Signora Kathleen, vorrei sapere con tutta onestà se sua nipote Abby è mai venuta a trovarla durante questo periodo. Anche solo di sfuggita.»

Lo sguardo della donna per un attimo si illumina, e per pochi secondi mi sembra di scorgere ancora i contorni indefiniti di una signora più felice e meno sofferente. Ma poi quella luce solitaria le si spegne negli occhi come una fioca fiammella di candela, e i suoi occhi tornano a brillare di luce cupa. «Mia nipote non è più a Henver. La mia dolce nipotina è in salvo da questa città pericolosa. Non la farei mai tornare qui, per nessun motivo al mondo.»

Una piccola speranza si smorza anche nel mio petto. Non so per quale assurdo motivo mi aspettavo nel profondo del cuore che Kathleen ammettesse un possibile ritorno a casa di Abby. Ma per quanto l'idea fosse assurda, negarla in modo così schietto mi fa comunque provare una leggera fitta allo stomaco.

Illuso.

Nemmeno Madison pare soddisfatta. Infatti sbarra una frase appena scritta sul taccuino e sospira. «In televisione ha rilasciato delle accuse molto forti contro la nostra città, Kathleen. Ha parlato di forze misteriose e di... corvi. Perché?»

La donna si spinge col busto in avanti verso di noi, pungolando i gomiti sulle ginocchia. Ci sorride senza accenno di divertimento e mostra i denti bianchi. «Perché è la verità. Ho le prove per dirlo. Me lo hanno scritto per filo e per segno nelle lettere.»

All'improvviso, come se Kathleen avesse appena detto qualcosa spaventosamente avulso dal contesto, tutti ci blocchiamo. Smettiamo persino di respirare per un attimo. Io dischiudo le labbra e la fisso, trattenendo l'aria nei polmoni; Nolan smette di torturarsi le mani e aggrotta lo sguardo; Madison lascia cadere la penna sul taccuino con un piccolo rumore secco.

«Quali lettere?» Domanda piano.

Kathleen sostiene il sorrisetto impostato mentre ci fissa a uno a uno. «Quelle che ho iniziato a ricevere diverse settimane fa, quasi tutti i giorni. Le lettere che mi hanno fatto davvero aprire gli occhi su Henver e sul suo pericolo reale. Mi chiedo perché non le pubblichino su tutti i giornali. Dovrebbero leggerle tutti quanti.»

«Ha un amico di penna?» Chiede Nolan di getto, tappandosi la bocca subito dopo con la mano.

Ma né io né Madison lo rimproveriamo con lo sguardo. Anzi, rimaniamo in attesa di una risposta.

«Ma no, quelle sono scemenze, ai tempi del telefono e delle comunicazioni. Le mie lettere sono diverse. Ormai scendo tutte le mattine all'ingresso del palazzo per vedere se qualcuno me ne ha lasciata una nuova. E se la trovo nella mia cassetta postale, salgo subito in casa a leggerla, perché così c'era scritto nella prima che ho ricevuto diverso tempo fa...» Ci spiega allegramente. «La prima che mi hanno inviato diceva che ero pronta a sapere alcune verità su Henver, su quello che succede in questa città. La persona che l'ha scritta mi ha detto di tenere la bocca chiusa, di leggere il contenuto solo al sicuro dentro casa, e di non parlarne con nessuno. Mi ha detto che solo io e poche altre persone prescelte potevamo capire la situazione reale di quello che sta succedendo in città. Ovviamente all'inizio ho stracciato la prima lettera subito dopo averla letta. Pensavo che fosse una pessima trovata pubblicitaria per adescare in modo innovativo nuovi consumatori di qualche strana trovata o... non lo so, degli adepti di qualche partito politico nuovo. Ma poi il giorno dopo ne ho trovata un'altra, identica alla prima, sempre intestata a me. C'era scritto il mio nome e cognome sopra. E c'era anche scritto che buttare via le lettere non sarebbe servito a nulla, che la verità sarebbe comunque stata fatta emergere in qualche modo. Così ho iniziato a seguire le istruzioni... Ogni mattina scendevo nell'atrio del palazzo, aprivo la cassetta postale e rientravo in casa con la lettera quotidiana stretta tra le mani. Mi sedevo in salotto, accendevo la luce e leggevo. E dopo che avevo finito di leggerla, la rigiravo per minuti tra le dita e poi la rileggevo ancora. Ho passato ore intere a non fare altro.»

Rimaniamo in silenzio ad ascoltare il racconto della donna, che parla fissando il tavolino. La sua voce è quasi meccanica, e le parole le escono come in un jubox in cui è stata infilata una moneta per riprodurre la canzone scelta.

«Chi era il mittente delle lettere, signora?» Le domanda Madison. Ormai il suo taccuino è abbandonato sulle cosce, come se scrivere anche una sola parola la deconcentrasse dall'ascoltare.

«Oh, non l'ho mai saputo. Non c'erano nomi, nelle lettere. Erano quasi impersonali... Qualcuno descriveva Henver con un'ottica completamente diversa dalla mia e un'inquadratura schietta e crudele. Assassinii, sparizioni, agguati... Sono stati tutti presi in considerazione nelle lettere che ho ricevuto successivamente, e ognuno di questi mi è stato descritto con un'angolazione diversa, tanto assurda quanto vera. All'inizio pensavo fossero tutte panzane, sapete... Le solite esagerazioni che si dicono per spaventare la gente. Ma poi, dopo un po' di tempo che leggevo quelle parole così dirette e chiare ho iniziato a crederci e pensare che in fondo a Henver ci siano davvero delle forze strane che gravitano intorno a noi.»

«E quali sono?» Chiedo io, così piano che la mia voce pare quasi un sospiro.

«Mostri... Creature abominevoli... Esseri demoniaci», risponde Kathleen. Il suo sorriso si è improvvisamente spento sul volto.

Nolan deglutisce in modo rumoroso e io mi schiarisco la voce, lanciando uno sguardo allarmato a Madison.

Come può sapere queste cose? Come può anche solo concepirle mentalmente senza impazzire?

Anche l'agente tituba prima di riprendere in mano l'interrogatorio. «Quindi lei ci crede, signora? Crede a quello che uno sconosciuto le scrive tutti i giorni per lettera?»

«Certo che sì. Ho sempre pensato che Henver fosse una città malvagia, ma adesso che so che c'è qualcuno che la pensa come me e che conferma le mie teorie, ne sono sempre più convinta.»

«E... qual è la soluzione che le propone questo fantomatico guru?» Chiede scettica lei, con un velo di secchezza nella voce.

«Il pentimento, chiaramente. Il sacrificio delle libertà quotidiane.» Kathleen torna a sorridere serafica. «Henver si sta riducendo così, a morti e sangue, perché l'essere umano sta cedendo alle tentazioni diaboliche. L'unica soluzione è tornare ad avere una vita semplice, pregando che qualcuno di superiore a noi intervenga per ripulire le strade dalla malvagità... Pregare per l'intervento dei Corvi. Perché solo loro ci salveranno.»

«Anche dei Corvi le hanno parlato nelle lettere?» La voce di Madison si fa sottilissima.

La donna annuisce e squittisce un sì di risposta.

«Signora, so che è una grande richiesta, ma posso vedere le lettere che ha ricevuto finora?»

«Oh, le tengo in una scatola dentro l'armadio della mia camera. A primo impatto hanno un odore sgradevole, ma poi ci si fa l'abitudine. Devono aver preso un po' di umidità. Comunque certo che posso, se insiste. Sono dell'idea che la verità debba raggiungere tutti, prima o poi. Gliele vado a prendere subito», annuncia, alzandosi come una molla dal divano. «Sicuri che non volete nulla da mangiare dalla cucina?»

L'odore di marcio che pervade l'aria dalla stanza adiacente a quella del salotto ci fa scuotere vigorosamente la testa, declinando l'offerta con foga.

«Be', torno subito», dice Kathleen, prima di trascinarsi verso il corridoio lungo che porta alle stanze.

«Questa storia mi puzza...» mormora piano l'agente, fissando la donna di spalle che si allontana da noi.

«Già, e non solo questa storia.» Nolan si tappa il naso disgustato. «Pare che ci sia un procione morto dentro quella cucina.»

«Cosa pensi voglia dire la faccenda delle lettere?» Le domando serio.

«Non lo so. Sembra che qualcuno stia giocando a far uscire di senno questa donna. Con ottimi risultati anche.» Madison sposta gli occhi su Nolan e su di me. «Mentre do un'occhiata a quelle lettere voglio che facciate un giro in casa. Controllate la cucina, la sala, la camera da letto... Magari troviamo qualcosa di utile.»

Io e Nolan ci alziamo con piacere dal divano, lui diretto a malincuore verso la cucina e io intento a studiare ogni angolo del salotto. Mi avvicino alla libreria all'angolo della stanza e inizio a guardare ogni ripiano, scorrendo gli occhi sui libri, i soprammobili e le foto. Mentre prendo in mano una piccola cornice in legno bianco, che ritrae una foto di famiglia con Kathleen, più giovane e sorridente di adesso, e una bambina dagli occhi azzurri e i capelli mossi color rame, la signora Lorelaine torna nella stanza con un pacco di lettere in mano, tenute insieme da uno spago. Le porge rapidamente a Madison e si accorge della mia presenza di fronte alla libreria.

Faccio per posare di scatto la foto di Abby da bambina al proprio posto, colto sul fatto, ma lei mi fa un cenno disinteressato con la mano. «Se devi perlustrare la casa, fa' pure. Tanto non ho niente da nascondere, io.»

«Signora, Lorelaine, ehm... precisamente, da quanto tempo non utilizza la roba in frigorifero?» La voce disgustata di Nolan risuona squillante nel salone, attraversando la cucina e il corridoio.

Mentre Kathleen si puntella l'indice sulle labbra, vedo chiaramente l'espressione di Madison mutare nel giro di pochi secondi. Precisamente dal momento in cui prende in mano le prime lettere, le sfila dalla bustina bianca e se le porta di fronte al viso. La velocità con cui muta la smorfia facciale è talmente rapida che mi fa pensare che possa aver letto qualcosa di sconvolgente.

Rimango a studiarla con la coda dell'occhio, mentre nel frattempo faccio finta di indagare ancora sui segreti che possono essere nascosti in una comunissima libreria di casa. Afferro un libro con nonchalance e mi volto appena un po' verso di lei, il minimo necessario per vederla intavolare una conversazione di circostanza e priva di ogni interesse con Kathleen e rigirarsi continuamente i fogli tra le mani, inspirandone persino l'odore e saggiando la ruvidezza della carta tra le dita. Per qualche attimo la vedo anche osservarsi attentamente il pollice e l'indice, assottigliando lo sguardo, quasi spaventata. Alla fine, dopo aver letto il contenuto solo delle prime lettere, le restituisce alla donna, sorridendole in modo assolutamente strano e nervoso. «Okay, mi sono fatta un'idea. Può... le può rimettere via. Sarebbe meglio che le chiuda in una bella scatola isolante, signora. Questo odore... è terribile», le comunica piano, quasi vergognandosi. Poi si volta verso di me e si alza in piedi. «Jared, chiama Nolan. Credo proprio che abbiamo finito qui.»

Rimango di sasso di fronte alla sua reazione. «Ma abbiamo ancora diverse stanze da controllare.»

Madison ignora il mio sguardo, abbassandolo piuttosto a terra. «Be', allora fatelo velocemente. Dobbiamo rientrare.»

Nolan ricompare dalla cucina con il naso tappato e un'espressione schifata. «A parte la muffa e un po' di verdura marcia, di là è tutto a posto», comunica. «Qui cosa succede?»

Sostengo ancora per poco lo sguardo serio e improvvisamente allarmato dell'agente, poi fisso il mio amico e sospiro. «Nulla, stiamo per andarcene. Vado solo a dare un'occhiata al volo alle camere.» E prima che uno di loro possa rispondermi mi inoltro nel lungo e stretto corridoio di casa Lorelaine.

La camera di Abby è la prima che riconosco. Sarà perché ancora quando chiudo gli occhi visualizzo lei dentro questa stanza, con le lacrime incastrate tra le ciglia, una valigia piena zeppa di abiti e uno sguardo confuso e terrorizzato allo stesso tempo. I piccoli flash di immagini mi fanno pizzicare le tempie per il dolore, così stringo i denti e mi forzo a non entrarci nemmeno, lì dentro. Sono convinto che il dolore di quella stanza così sua e così vuota mi farebbe contorcere dal male.

Supero così la stanza di Abby ed entro in quella di Kathleen, disposta poco dopo la sua. Anche la camera da letto, così come il soggiorno e la cucina, è una piccola esplosione di caos: le coperte sono ammucchiate sul materasso, le lenzuola tutte stropicciate e a terra sono buttati alla rinfusa tanti abiti. Pure qui dentro le finestre sono sprangate, permettendo solo a piccole listarelle di luce di entrare, facendo vibrare nell'aria atomi di polvere annoiati e lenti. Accendo la luce e lascio che l'ambiente si rischiari in modo artificiale e passi dal caos in penombra, alla confusione limpida.

Cammino piano nella stanza, sentendomi quasi un invasore di un luogo così intimo e privato, e scavalco un pigiama di cotone ammucchiato sul parquet. Sfioro le ante ancora aperte dell'armadio, da cui Kathleen ha tirato fuori le lettere anonime, e mi dirigo verso il mobile più imponente della stanza: il grande comò rettangolare se ne sta immobile e in disparte, poggiato addosso al muro e protetto stranamente dal disordine che accomuna un po' tutta la casa. Al centro è fissato uno specchio limpido ovale, sotto al quale sono ordinate diverse spazzole per capelli e trucchi apparentemente inutilizzati da tempo. Sulla superficie liscia di legno laccato ci sono poggiate quattro cornici in legno: una che ritrae una foto di famiglia, una in bianco e nero dei genitori, una di lei e sua sorella Dorothy da ragazze, l'una in braccio all'altra in una posa affettuosa, e una di Abby in fasce, con gli occhi chiusi, la faccia serena e il pollice in bocca.

«Jared!» La voce di Madison sembra provenire da un universo parallelo e mi fa ritornare con i piedi per terra.

Scuoto la testa e distolgo gli occhi dai cimeli di famiglia di Kathleen, sospirando con pesantezza. Ma proprio quando sto per dare le spalle al mobile e tornare nel corridoio, mi accorgo di un piccolo dettaglio all'angolo del comò che attira la mia attenzione: quasi discostato da tutto il resto c'è un portagioie quadrato, con qualche paio di orecchini sparsi alla rinfusa e diverse collane d'oro. Tuttavia ad attirare la mia attenzione non è nulla dal colore dorato e dal valore elevato, ma un anello con una pietra perlacea perfettamente sferica appoggiato davanti al portagioie.

Mi blocco di scatto per la sorpresa, come se quel microscopico oggetto avesse appena richiamato la mia attenzione su di sé. Prendo l'anello in mano e me lo avvicino agli occhi, rigirandolo tra le dita con accurato interesse, convinto di aver appena trovato l'oggetto più interessante di tutta casa Lorelaine. «Un'altra Lacrima?» Mormoro esterrefatto, mentre nella mente mi ritornano le immagini della collana di Abby, con una pietra incastonata praticamente identica.

M'infilo l'anello in tasca senza dire nulla ed esco rapidamente dalla stanza, raggiungendo in pochi passi il salotto. Lì Madison e Nolan mi stanno aspettando con impazienza di fronte alla porta. Kathleen si è messa di nuovo seduta sulla sua poltrona e sfoglia distrattamente un giornale vecchio, mormorando parole sconnesse sul pentimento e sulla salvezza collettiva, senza essere davvero ascoltata da qualcuno.

«Ma quanto ci hai messo?» Domanda scocciata l'agente.

«Ho fatto. Andiamo», replico, spingendo più in fondo nella tasca l'anello. Ci manca solo che la zia di Abby si accorga che le abbia rubato qualcosa di suo di nascosto.

«Bene, signora Kathleen, grazie per l'ospitalità e per le risposte. Speriamo di trovare presto il colpevole del suo agguato. In ogni caso, la sicurezza sotto casa sua aumenterà già da stasera stessa. Non dovrà più avere paura», dice Madison rivolta alla donna, con un sorriso fintamente convincente. In realtà l'agitazione di prima di fronte alla visione delle lettere le ha fatto completamente crollare la facciata impostata e tranquilla che l'aveva fatta calare nella parte di agente di polizia.

«Grazie», replica lei con un sorriso, «ma se non lo farete voi, ci penseranno i Corvi. Nessuno dovrà più avere paura con loro, tantomeno io. Arrivederci, ragazzi, e buon lavoro!» Kathleen ci saluta con la mano e attende che ci richiudiamo la porta alle spalle, uscendo dal suo buio e disordinato appartamento.

Sarebbe passato diverso tempo prima di realizzare che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei rivisto Kathleen Lorelaine. Quantomeno, da viva. 



Angolo dell'autrice. 

Surpriiiise. Sempre viva, anche se poco presente su wattpad. Mi sono purtroppo di nuovo bloccata con la scrittura tra vacanze, lavoro e un trasloco da poco concluso. Scrivere in questo periodo non è mai stato così difficile ma proverò ad abbreviare i tempi. 

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo... Jared ha appena scoperto dell'esistenza di un'altra Lacrima , mentre Madison ha scoperto qualcosa di strano. Saranno dettagli  importanti, non scordatevelo ;) 

Prossimo capitolo, back to Abby. 

Baci, A. 

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