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18. La Stanza del Bisogno.

Abby 

Sono piuttosto sicura che sia notte e che stia dormendo, quando mi rigiro di fianco nel letto, per quella che sembra essere la millesima volta. Mantengo gli occhi chiusi, un po' perché mi sento veramente stanca, un po' perché non ho le forze per tirare su le palpebre. Respiro piano, con il petto che si muove pigramente sotto la stoffa consunta della vestaglia da notte, e provo dolore a ogni respiro che prendo. Non riesco a discriminare se è un dolore fisico o mentale, ma nonostante sia certa di stare dormendo, mi sento cadere a pezzi in tutti i sensi.

Sospiro a lungo, la fronte si aggrotta in un'espressione veloce e infastidita, e la pelle tira, proprio dove sono comparse le prime scottature sulle tempie dovute alle terapie di elettroshock. Resisto all'impulso di aprire gli occhi e alzarmi per bere qualcosa di fresco, accompagnandolo magari da una dose extra di antidolorifico, e torno a concentrarmi sul mio riposo. Sposto lentamente il braccio da sopra al petto a vicino al viso ed è qui che mi accorgo che c'è qualcosa di diverso dal solito: la superficie sotto di me è dura, come se mi trovassi su un pavimento, piuttosto del solito materasso sgangherato della mia cella personale.

Avvolta da un sottile esordio di dubbio inizio a tastare l'area intorno a me, mentre mi sgranchisco dalla posizione fetale che ho assunto durante il sonno, ma dopo qualche tentativo fatto alla cieca con il braccio devo realizzare con stupore che questo non è il mio letto.

Deglutisco, timorosa di svegliarmi e scoprire dove diavolo sia finita adesso e quali altre angherie debba subire. Alla fine mi costringo ad aprire lentamente gli occhi, prima che sia qualcun altro a farlo al posto mio, magari tirandomi un calcio o schiaffeggiandomi il viso.

Ma con mia grande sorpresa mi accorgo di essere sola, ovunque mi trovi: per un primo momento rimango sdraiata, ancora accovacciata su me stessa, e realizzo con chiarezza che sono in un ambiente vuoto e oscuro... Forse una camera in disuso. La seconda cosa che noto è la totale assenza di rumori o movimenti: persino l'aria, qui dentro, sembra essere del tutto statica.

Con le braccia ancora tremanti per la debolezza mi tiro su, rizzandomi sulla schiena, poi mi spingo quasi ansimando in piedi e muovo dei passi incerti, senza una destinazione precisa.

Sono già stata in questo posto. Di questo ne sono assolutamente certa.

Mi guardo intorno in cerca di qualsiasi dettaglio che mi aiuti a ricondurre alla memoria la natura della camera, ma attorno a me vedo solo vuoto totale e buio.

Avanzo scalza sul pavimento lucido e gelido e a ogni passo che faccio sembra che infili i piedi dentro a delle pozzanghere marmorizzate. Spalanco gli occhi quando vedo le striature trasparenti formarsi attorno alla sagoma dei talloni e delle dita e mi chino a terra per sfiorare la superficie... che incredibilmente è dura e asciutta.

«Non è possibile...» sussurro, mentre le parole vengono inghiottite nel nulla poco dopo averle pronunciate.

Sbatto le palpebre, sconvolta da quello a cui sto assistendo, e mi convinco che sia di nuovo tutto un sogno, perché nella realtà quello che sto vivendo non potrebbe mai accadere davvero. Così continuo ad avanzare, diretta verso una zona della stanza che sembra schiarirsi sempre di più, virando da un nero totale e un grigio evanescente.

Forse laggiù c'è una porta. O un'uscita, magari.

Aumento il passo, con i piedi che continuano ad affondare dentro pozzanghere immaginarie di acqua, adesso sempre più chiara e trasparente. Abbasso lo sguardo di nuovo, ma non vedo nulla di tangibile sotto la superficie... Solo figure velate a cui non sarei in grado di conferire una forma o un colore realmente esistenti.

«È un sogno, Abby. Solo un altro sogno», mormoro tra me, autoconvincendomi delle mie stesse traballanti parole.

A mano a mano che mi avvicino verso la sorgente della luce sento una strana sensazione di calore sprigionarsi dal petto ed espandersi lungo le braccia, fino alle dita. Anche gli occhi mi bruciano, accecati dalla luce bianca che si irradia da ancora più lontano rispetto a dove mi trovo. Mi volto di spalle, puntando gli occhi verso la direzione da cui sono venuta proprio adesso, e realizzo che il buio in cui brancolavo poco fa è scomparso, trasformandosi in una zona completamente avvolta da un chiarore trasparente.

Sembra che stia per scomparire tutto da un momento all'altro, qui dentro.

Quando torno a voltarmi verso la luce più forte, ci manca poco che mi metto a gridare. Forse vorrei pure farlo, ma dalla bocca non mi esce nemmeno una parola... Di fronte a me, a poco più di due metri di distanza, ci sono delle sagome. Sei sagome di persone in carne e ossa. Sono tutte rivolte di spalle e stanno camminando nella direzione opposta alla mia, verso la luce più soffusa e lontana. I loro corpi non producono ombre, il che mi fa pensare che non siano per davvero reali, ma le loro conformazioni fisiche mi permettono di riconoscere chiaramente chi sono.

«Non è possibile...» Inizio a correre ansimando verso di loro, mentre una strana sensazione di angoscia inizia a stringermi la gola. La stanza, che negli incubi passati era nera, adesso è completamente avvolta da un chiarore svanente. «Ehi, voi! Voi! Fermatevi!» grido alle sagome, portandomi le mani attorno alla bocca.

L'eco delle mie parole ristagna in tutta la stanza in un fragore assordante e le persone di fronte a me si immobilizzano come d'incanto, bloccandosi dalla loro marcia verso nessuna destinazione. Lentamente si iniziano a voltare, mostrando le loro facce di persone che, già da lontano, avevo riconosciuto.

Davanti a me, a meno di un metro, si stanziano i corpi di David Clint, Gabriel, Nolan, Janise, Jared e una ragazza mai vista prima d'ora, dai contorni confusi e sfocati, come un'immagine messa male a fuoco. Si fermano di fronte a me con espressioni vacue e sorrisi spenti e non posso fare a meno di notare che alcune estremità del loro corpo stanno iniziando a svanire nel nulla, assumendo la stessa colorazione della stanza.

Sono talmente sconvolta dalla situazione del tutto surreale che rimango a fissarli con la bocca semiaperta: sono proprio come me li ricordavo l'ultima volta che li ho visti nella Caserma... Tutti, tranne la ragazza al fianco di Jared, una sagoma di donna dal volto nebuloso. Anche lei mi fissa, poi prende mano nella mano Jared.

Mi porto una mano sul petto, colta da un improvviso bruciore, e avverto un dolore pungente sul polso, proprio lì dove c'era il marchio del Vinculum Aeternum.

Faccio dei passi avanti lenti e tentennanti, spaventata dal fatto che la visione che mi si è presentata di fronte agli occhi possa svanire da un momento all'altro proprio nello stesso modo in cui è comparsa. Ma quando avanzo, le sagome di David, Nolan e Janise mi voltano di nuovo le spalle e tornano a camminare verso la luce, senza degnarmi nemmeno di una parola. Provo a fermarli, gridando loro di aspettare un momento, di fermarsi, ma loro non mi ascoltano più ormai, e dopo qualche metro svaniscono, trasformandosi in luce trasparente e striata. Adesso rimangono solo Gabriel, Jared e la ragazza dalla sagoma sgranata.

Decido allora di rimanere ferma nella mia posizione e alzo gli occhi su Jared: è vestito con gli stessi abiti di quando ci siamo lasciati e anche i suoi capelli sono completamente bagnati, probabilmente dallo stesso temporale di quel giorno, fuori dalla Caserma. Tiene per mano la ragazza accanto a sé ma non sembra nemmeno accorgersene, preso com'è a specchiarsi nei miei occhi pieni di confusione.

«Jared, aspetta! Ti prego, sai dirmi dove mi trovo? Perché... perché siete qui voi?» lo imploro, con la voce tremante. In questo momento vorrei correre verso di lui, infrangere le distanze e gettargli le braccia al collo, chiedendogli scusa per tutto e perdonandogli ogni errore, ma so che ogni mio passo falso potrebbe farlo scomparire nel nulla.

Jared sorride in modo aspro e la sua espressione rimane tirata. Sembra che mi stia prendendo in giro e la sensazione mi fa stringere il petto in una morsa d'acciaio. «Dovresti dirlo tu a noi, in realtà.»

«Non capisco... Io non so cosa devo fare. Non so nemmeno come uscire di qui! Dammi un aiuto.»

«Aiutarti? Aiutare te? Dopo quello che mi hai fatto, Abby?» Replica lui, indurendo lo sguardo.

«Ti prego. Io-Io sto per impazzire.» Sento le lacrime rigarmi le guance, ma quando provo a cancellarle via dal volto con la mano mi rendo conto che la pelle è completamente asciutta.

«Adesso è troppo tardi per chiedere un aiuto.» Jared distoglie gli occhi da me e fissa la ragazza al suo fianco. Non riesco a vedere la sua espressione, ma sono pronta a scommettere che stia sorridendo in questo momento.

«Chi è lei?»

«Il mio futuro. Sai, per un periodo ho pensato che ci fossi tu nel mio destino, a causa di quella dannatissima Iunctura. Ma poi hai pensato bene di spezzarla, Abs, e non sai che favore mi hai fatto!» Esclama, ridendo a gran voce. Il suo volto, bellissimo e sprezzante, adesso è una maschera di freddezza inaudita. «Sarebbe stata una piaga dover rimanere per il resto della vita legato a una come te... Un Demone con sangue umano. Adesso sto con lei, invece. Lei è come me, in tutto è per tutto. È migliore...» Le stringe la mano e la dà un piccolo scossone, per spronarla a camminare.

«No...» Sussurro, non appena li vedo ricominciare ad allontanarsi da me. «No, no! Jared! Fermati! Ho bisogno di te! Io ho bisogno di te!»

Ma lui si volta un'ultima volta, mostrandomi il profilo perfetto, e mi sorride, stavolta in modo quasi dolce e avvolto da una strana tristezza. «Ne dubito. Tu sei morta, Abby.» E dopo aver detto queste parole svanisce anche lui nel nulla, trascinandosi dietro anche l'altra silenziosa ragazza.

Rimango con la mano sospesa in aria, come a voler agguantare il nulla, e sento ancora le lacrime rigarmi le guance e le labbra. Non spreco nemmeno più del tempo a tentare di asciugarle, perché ormai ho capito che ogni sforzo sarebbe vano. Per qualche secondo non riesco a muovermi e le ultime parole di Jared ancora mi turbinano nella testa, senza darmi cenno di una tregua.

Tu sei morta.

Trattengo un singhiozzo rotto e muovo il primo passo verso l'ultima sagoma che è rimasta nella stanza quasi trasparente. «Gabriel...» sussurro, per paura che persino un tono di voce più alto e spaventato possa far scomparire la mia ultima speranza di capire. «Tu puoi aiutarmi? Lo hai sempre fatto.»

«Certo che posso», risponde lui, l'aria del tutto tranquilla e un sorriso enigmatico dipinto sul volto giovane. Il camice bianco quasi si confonde con il chiarore dell'intera stanza, e l'unico elemento che contribuisce a creare un contrasto col resto dell'ambiente è la sua capigliatura corta e scura.

Il mio cuore perde chiaramente un battito non appena sento le sue parole rassicuranti, e di riflesso faccio un passo avanti verso di lui, pentendomene però quasi all'istante: e se facessi scomparire anche lui? Ma fortunatamente non succede nulla, e il dottore rimane lì dov'è, in piedi in mezzo a una stanza che non proietta ombre, né ha vie di ingresso o di uscita.

«Gabriel, dove siamo? Cosa... cosa sta succedendo?»

«Siamo nella Stanza del Bisogno, Abby. Nella tua Stanza del Bisogno. Non sta succedendo nulla di più di un sogno, se vogliamo parlare di avvenimenti reali che si svolgono in una dimensione concreta», mi spiega lui, senza smettere di accennare un lieve sorriso sulle labbra sottili e amichevoli.

«La Stanza del Bisogno?» Mi passo una mano sulla fronte e sposto lo sguardo da lui all'ambiente che mi circonda, continuando a non capire.

«Questo posto è solo il frutto di una tua creazione mentale. Pensavo lo avessi capito che è qualcosa in più di un semplice incubo notturno ma meno di un evento reale. Non ti sei accorta delle stranezze surreali che ci sono qui dentro? Andiamo, siamo in una stanza senza ingressi, ombre, pavimenti o soffitti... Le persone che ci hai visto all'interno si sono tutte materializzate e dissolte come per magia

«Perché... perché l'hai chiamata Stanza del Bisogno?»

«Perché è una proiezione mentale nata dall'esigenza che hai di mantenere un legame tangibile con il tuo passato. Sai, per non dimenticare.»

«Jared... Mia madre.»

«Esatto. Coloro grazie ai quali ancora una piccola parte di te ricorda chi sei.»

Deglutisco e reprimo un'espressione contrita e confusa. «Perché le prime volte che mi sono svegliata qui dentro la stanza era completamente nera, mentre ora è così... trasparente?»

«È semplice. Si sta dissolvendo.» Gabriel si guarda attorno annuendo. «Sì, penso che questa sarà una delle ultime volte in cui riuscirai a crearla, lo sai? Sta letteralmente cadendo a pezzi.»

«Ma, Gabriel, io non lo so come sia riuscita a creare tutto ciò!» Sbotto, innervosita dalla sua infinita reticenza. «Perché all'improvviso sta svanendo, così come tutte le persone che c'erano all'interno?»

«Devi vedere la Stanza del Bisogno come un segnale di aiuto che stai lanciando a te stessa... Un appiglio onirico della tua parte umana che ti sta chiedendo di resistere, di non dimenticare chi sei. Ma evidentemente l'altra tua metà sta diventando forte al punto da annichilire i tuoi bisogni umani. Per questo la stanza si sta dissolvendo.» Il dottore mi scruta negli occhi con un'immensa profondità, come se mi volesse guardare dentro l'anima. «Spente le luci di questa realtà, Abby, puoi anche dire addio al bisogno di riallacciare un legame con il tuo passato.»

«Ma le persone che vedo qui dentro sono consapevoli di questa stanza o sono solo delle visioni della mia mente?» Gli domando, avvolta dalla strana paura di essere del tutto sola.

Ma il dottore scuote debolmente la testa. «È difficile che mantengano dei ricordi di quello che succede nella tua testa. Sarebbe come svegliarsi da un assurdo sogno condiviso. E personalmente, ne dubito. Dovrebbero avere davvero un profondo legame con te per riuscire a conservare dei barlumi confusi di ricordi.»

«Quindi cosa posso fare per farmi aiutare? Se è una Stanza del Bisogno, a cosa mi serve?»

«Deve servire a te stessa, capisci? Per resistere e combattere. Ma sappi che più commetterai azioni disumane e più tutto questo svanirà. Immagino che tu abbia già ucciso qualcuno, vero?»

Ripenso alla donna umana della stanza numero quattro, a come ho posto una fine alla sua vita, con le lacrime agli occhi e la freddezza nel cuore. Ricordo tutto con un singulto, una morsa nelle viscere, e per un attimo spero che la realtà sia quella di questa stanza, e non quella che mi attende di fuori. Annuisco senza aggiungere altro. Qualsiasi altra parole probabilmente mi farebbe cadere in un pianto isterico.

«Ci avrei scommesso, altrimenti il processo di dissolvimento non sarebbe stato così rapido.» Gabriel borbotta piano e guarda ancora una volta le pareti dell'ambiente. «Ascoltami bene, Abby. Se tutto questo dovesse finire dopo stavolta, devi sapere una cosa importante che ti permetterà di avere un contatto reale con chi vuoi.»

«Ma di cosa parli?»

«La Stanza del Bisogno è una proiezione mentale che riesci a creare grazie a una particolare abilità Demoniaca che possiedi. Sto parlando della Coniuctio Mentis, e ti assicuro che è una delle abilità più potenti e impegnative che un Demone potrebbe mai apprendere, con un'elevata dose di allenamento mentale», spiega Gabriel con calma. La sua espressione non è più sorridente come prima, ma seria e quasi lugubre. «La connessione della mente consiste nel collegare un obiettivo fisico nella propria testa, con lo scopo di visualizzarlo precisamente nel presente. Sarebbe come se la tua mente si smaterializzasse dal corpo e si teletrasportasse nella realtà della persona visualizzata. Ovviamente quello di cui ti sto parlando comporta un grande, grandissimo, sforzo, nonché un'abilità elevata nel destreggiare il potere demoniaco. Perciò non mi aspetto che tu ci riesca, ma se dovessi averne bisogno, devi sapere che tutto quello che cerchi è scritto nel De Rerum Vetitae. Sono pronto a scommetterci tutto.»

Spalanco gli occhi e manifesto senza remore tutto il mio stupore. «Cosa? No, ti sbagli. Questo è impossibile. Mio padre non mi ha parlato di nulla di tutto ciò...»

Gabriel sorride di nuovo e si stringe nelle spalle, come se avessi appena rivelato la chiave del mistero più ovvio da risolvere. «E cosa ci avrebbe guadagnato a spiegarti i modi possibili con cui connetterti con qualcuno che hai perso? Non sarebbe stata una mossa molto saggia da parte sua.»

«No... Tutto questo è assurdo», continuo a negare, scansandomi con violenza una ciocca di capelli ramati dal volto.

«L'unica cosa assurda è che tu non voglia crederci, Abby. Devo dedurne che stia facendo davvero un bel lavoretto, con te», borbotta assorto il dottore. «Ascolta, come pensi che abbia fatto tuo padre a mettersi in contatto con te quando eri ancora nella Caserma? Come pensi si sia intrufolato nella tua testa e abbia addirittura parlato con te?»

Dischiudo le labbra, in una mossa confusa e sempre più stupita. Vorrei ribattere a tono, ma le parole mi vengono a mancare, sostituite da un denso sentore di paralisi mentale. In un attimo - forse con la stessa velocità di un battito di ciglia - realizzo che il dottore si sta riferendo ai miei primi incubi avuti nella Caserma, quando ancora non conoscevo quasi nulla del mondo demoniaco e non sapevo bene chi fosse Cornelius Morton. In effetti, in una delle sue prime comparse, si era manifestato nella penombra di una stanza nera e fredda e mi aveva sussurrato parole di monito nella mente, mettendomi in guardia dalle persone che mi avevano accolta. E, proprio poco prima di svanire dalla stanza, mi aveva persino lasciato un segno tangibile della sua presenza: un graffio dietro al collo, per farmi capire che non era solo un sogno, quello, e che lui non era solo il frutto di un brutto incubo.

«Pensi... Tu credi che stesse utilizzando la Coniuctio Mentis?» Domando con la voce tremante e gli occhi lucidi di paura. Fisso Gabriel e mi accorgo che le sue mani stanno iniziando a svanire, trasformandosi in luce screziata trasparente. Anche lui se ne accorge e si guarda preoccupato le braccia, prima di spostare lo sguardo velocemente su di me.

«Ne sono convinto, Abby, anche se tuo padre non poteva vantare di una grande forza demoniaca, quando l'ha usata su di te, come immagino possa fare tuttora. Era debole e il suo potere circoscritto. Tu invece sei una sorgente in piena attività. Devi trovare il modo di leggere qualcosa sull'argomento sul De Rerum Vetitae, perché io non posso aiutarti più di così e non potrei farlo nemmeno se non stessi per svanire.»

Allungo il braccio come per fermarlo e mi blocco, allarmata. «No, aspetta! Come faccio a leggere un libro che è costantemente tenuto sotto controllo?»

«Devi ingegnarti. Vorrei poter restare ancora, ma credo sia arrivata la mia ora.» Gabriel continua a guardarsi le braccia scomparire con estrema tranquillità, come se si aspettava che sarebbe successo da un momento all'altro. Però all'improvviso il volto gli si illumina come se avesse appena avuto un'intuizione geniale o si fosse ricordato di qualcosa di estremamente importante. «Ah, prima che mi dimentichi! Dovresti appuntarti da qualche parte della Coniuctio Mentis... Sai, nel caso in cui non dovessimo più vederci e non ti ricordassi più nulla di quello che ci siamo detti.»

«Appuntarlo? E dove? Qui dentro non ci sta nulla», sbotto, guardandomi attorno irritata.

Il dottore trattiene un sospiro carico di pazienza. «Sei nella tua Stanza del Bisogno», mi fa presente con veemenza. «Dovresti guardare ai tuoi piedi.»

Abbasso meccanicamente lo sguardo ed è lì che noto la presenza di un foglietto di carta bianca tutto stropicciato e una penna nera, proprio abbandonati accanto alle mie gambe. Sussulto stupita e mi chino a raccoglierli, con le mani tremanti per lo stupore. Appoggio il foglio sul palmo della mano e calco le due parole con tratto sconnesso, per poi lasciare cadere di nuovo la penna a terra e appallottolare il piccolo pezzo di carta, chiudendolo all'interno della mano.

«Brava... Ritrovarlo nella realtà ti aiuterà nel processo del ricordo. Ma, ricordati, non sarà affatto facile», mi mette in guardia Gabriel. «Quando ti sveglierai, sarà come se non ti ricordassi di aver mai messo piede qui dentro. Hai capito quello che devi fare, Abby? Leggi il libro, apprendi quello che c'è da sapere e trova il modo per metterti in contatto con noi. Solo così potremo salvarti.»

Annuisco piano, mentre i miei occhi scandagliano continuamente sul corpo sempre più evanescente del dottore. Sta svanendo anche lui. Alla fine riesco a vedere solo il suo busto e la sua testa sospesi nel nulla.

«Perché sta succedendo questo, Gabriel?»  Balbetto, con le lacrime agli occhi e una sensazione di filo spinato che mi infilza il cervello.

«Perché è la tua ultima speranza prima di ricadere nell'oblio più totale.»

Apro gli occhi all'improvviso, scattando in piedi sul letto come una molla. Ho il respiro mozzato e la testa è in procinto di esplodermi, contratta in un mal di testa pauroso e senza eguali. Mi afferro il volto tra le mani e punto i gomiti sulle gambe, incrociate sopra il materasso umido di sudore, e provo a modulare il respiro nel migliore dei modi.

Un altro incubo. Dev'essere stato un altro incubo.

Mi slancio verso il comodino e afferro tre pillole disposte ordinatamente sulla superficie bianca e fredda, e le inghiotto senza nemmeno bere un po' d'acqua.

Russell è stato chiaro con le medicine: una pasticca per tenere a bada l'ansia e i comportamenti agitati, due per calmare i mal di testa, e tre per creare uno stordimento psicofisico conciliante il sonno.

Mi butto con la schiena contro la testiera del letto, le tempie che mi martellano incessantemente, e intravedo le lancette della sveglia poggiata sul comodino: segnano le sei e quaranta del mattino. È quasi giorno, nonostante nella stanza non trapeli un filo di luce.

È quasi giorno e io ho riposato di nuovo male, sognando chissà chi o cosa.

Chiudo gli occhi, mentre sento l'effetto del sedativo e dell'analgesico cominciare a fare effetto, distribuendosi all'interno del circolo sanguigno. Con le palpebre abbassate riesco finalmente a modulare il respiro, placare i battiti del cuore e distendere le dita delle mani sul materasso. La mente si svuota, riesco così a riposare bene ancora per un po', almeno fino alle otto, quando qualcuno bussa alla mia porta con insistenza e mi sveglia di nuovo, stavolta senza farmi scattare di soprassalto.

È Russell, che mi chiama per il nuovo allenamento. Quello di oggi sarà di sicuro più impegnativo e non potrò più fallire. Né vorrò farlo, chiaramente.

Mi alzo dal letto come nuova, con un sorriso rigido teso sulle labbra e il battito del cuore regolare. Il mal di testa è solo un brutto ricordo ormai.

«Buongiorno, mocciosa. Sei pronta per oggi?» Mi saluta con arroganza, con la mano che tamburella sullo stipite della porta e gli occhi fissi oltre le mie spalle. «Vedo che hai già preso le tue pillole magiche stamattina. Brava, ragazza. Vogliamo andare? Oggi ti aspettano diverse cavie che muoiono proprio dalla voglia di vederti. Ti senti pronta per far soffrire qualcuno sul serio?»

Lo seguo fuori dalla porta della mia stanza con un sorriso ampio disteso sul volto. Proprio poco prima di richiudermi la porta alle spalle lascio indugiare per un attimo di troppo gli occhi sulla stanza, vagando dal letto disfatto al comodino, per poi passare alle pareti chiare in pietra e al pavimento. Corrugo le sopracciglia e rimango ferma a osservare la scena, come se all'improvviso mi fosse balzata nella testa la strana sensazione di essermi dimenticata qualcosa. Ma poi scuoto la testa e torno con i piedi per terra, convincendomi che sono ancora sotto l'effetto stupefacente delle pillole, così mi affretto a chiudere la porta e raggiungere lungo il corridoio Russell, diretto come al solito verso la stanza numero 4.

«Certo che sono pronta, Russell. Anzi, oggi credo proprio che avrò voglia di uccidere qualcuno», gli rispondo, poi scoppio in una risata gelida e cupa, che mi fa reclinare un po' la testa all'indietro. «Sì, non vedo proprio l'ora.»  

Angolo dell'autrice.

Be'... c'è poco da dire, lascio a voi i commenti! Vi piace questa realtà "onirica" della storia? Stiamo sbloccando a mano a mano sempre più abilità demoniache e  non!! 
ma tenetevi forti, che anche Jared nei prossimi capitoli ci porterà delle importanti novità!
Lasciate tanti commenti! Un bacio, A.

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