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10. Una Nuova Alba


Abby

Mi tiro su dal letto con un movimento spasmodico e annaspo una boccata d'aria urgente, con le mani chiuse a pugno sulle lenzuola del mio letto e la fronte madida di sudore freddo. «Devi ricordare», ansimo, come se fossi senza fiato dopo una corsa estenuante.

Quando realizzo di essere sveglia e che questa è solo l'inizio di una nuova alba, mi tranquillizzo un po', lasciando la presa sul letto. Mi guardo attorno, con una strana sensazione di confusione aggrappata al mio corpo, ma vedo solo la solita stanza nella quale sono rinchiusa da settimane.

Devi ricordare.

Queste due semplici parole continuano a ronzarmi per la testa in modo confusionario, come se durante la notte non avessi fatto altro che ripeterle in continuazione. Ma davvero le ho pronunciate pochi secondi fa? O è stato soltanto il frutto di una fervida immaginazione? E, soprattutto, che cosa dovrei ricordare?

Provo a chiudere per un attimo gli occhi, con la speranza che un piccolo barlume di chiarezza rischiari il buio totale in cui sto brancolando, ma davanti a me non percepisco nulla: ci sono solo io, seduta sul letto e con una fortissima emicrania che parte dalle tempie.

«Che cosa ho sognato, stanotte?», mormoro tra me e me, mentre con gli indici mi massaggio la fronte, dolente. Quando allontano le mani dal volto, mi accorgo che stanno tremando, come attraversate da una lieve e continua scossa. Corrugo le sopracciglia e le poggio sulle lenzuola, prendendo un breve respiro.

Perché sto tremando?

Scuoto la testa, tornando in me. «Avrò sicuramente fatto un incubo che mi ha turbata. Dev'essere così.»

Devi ricordare!

Di nuovo, un pensiero prende vita nella mia testa ad alta voce, come se qualcuno me lo avesse urlato nelle orecchie a un volume esorbitante. Non so chi sia stato, o come sia possibile una cosa del genere, ma la mia reazione è repentina e corrisponde a una fitta lancinante alle tempie, che mi fa alzare di scatto dal letto e raggiungere la parete di fronte in un attimo, per poi poggiarci i palmi delle mani sopra.

Inizio a sentire un senso di nausea increscente partire dallo stomaco e arrampicarsi fino alla gola, mentre la vista mi si annebbia per qualche e secondo e le braccia formicolano.

Non mi sento affatto bene e ho la sensazione che potrei svenire da un momento all'altro, se non vengo soccorsa da qualcuno.

Provo a spostarmi verso la scrivania in legno, per raggiungere la sedia, ma un giramento di testa improvviso mi fa mancare goffamente il bersaglio, facendo scivolare a terra una lampada di vetro che si frantuma a pochi centimetri da me.

«C'è qualcuno?», ansimo con la voce rotta, mentre passo la mano sopra agli occhi e tento di respirare piano. «Ho bisogno di aiuto! Non mi sento... Non sto bene.»

Nel giro di pochi minuti, la porta della mia stanza si spalanca e Russell entra spaventato. «Cos'era quel rumore?», domanda, e gli occhi gli vanno subito a finire su di me, piegata a metà sulla scrivania. «Non ti saresti dovuta alzare da sola. Te lo avevamo detto», mi rimprovera, infuriato.

«Io... non ricordo.»

«Questo non è importante.»

«Che cosa mi sta succedendo? Mi sento esausta.»

Russell mi fissa inespressivo e si avvicina a me, afferrandomi per un gomito e aiutandomi a rialzarmi in posizione eretta. «Avresti dovuto continuare a riposare. Non hai recuperato ancora le forze.»

«Cosa mi è successo, Russell? Perché non riesco a ricordare niente?», chiedo ancora, con la voce debole ed esausta.

«Niente di cui ti debba preoccupare», risponde sbrigativo lui, mentre con una piccola spinta mi indirizza verso l'uscita della mia stanza. «Adesso andiamo. Ti porto da tuo padre. Sicuramente, vorrà vederti.»

«Ma non dovevo riposare ancora?»

«Se sei riuscita ad alzarti autonomamente, vuol dire che hai recuperato abbastanza forze.» Russell scrolla le spalle, sbrigativo, e mi guida lentamente per i corridoi scuri. «Onestamente, ti avevo sottovalutata, ragazzina.»

Lo fulmino con lo sguardo per la sua reticenza e continuo a camminare. «Perché stiamo andando da mio padre? Ho la testa che mi scoppia e non ho voglia di vedere nessuno.»

«Perché dovrà farti alcune domande e verificare qualche tua risposta, prima di procedere.»

«Procedere con che cosa?»

Russell si ferma di fronte alla doppia porta della stanza di Cornelius e mi fissa in tralice, mentre mi sorride serafico e alza le spalle. Con una mano afferra la maniglia e la tira giù, aprendo piano un piccolo spiraglio di luce. «Be', questo sarà lui a dirtelo. E, credimi, se ti dico che non vede l'ora di farlo.»

La stanza di mio padre è avvolta da un denso strato di penombra, rischiarato soltanto da una lampada da giorno posizionata nell'angolo più lontano, proprio tra la libreria e la scrivania. È proprio lì che si trova Cornelius, seduto sulla sua poltrona imbottita e intento ad accarezzare la gamba di una persona seduta proprio sulla scrivania, di fronte a lui.

«Non avevo detto "avanti"», esordisce infatti, senza nemmeno chiedere chi ci fosse dietro la porta.

Russell avvampa e reprime un colpo di tosse carico di imbarazzo. «Mio signore, mi dispiace...», borbotta. «Avrei dovuto prima chiedere il permesso. Non volevo disturbarla. Noi possiamo-»

«Entrate.» Cornelius scansa la sedia su cui è seduto e si alza in piedi, senza smettere di sfiorare la donna che ha accanto, un'attraente rossa dai tratti marcati.

Io entro poco dopo Russell, in silenzio e ancora frastornata dalla realtà che mi circonda. Lascio scandagliare gli occhi su tutta la stanza, soffermandomi poi sulla nuova ospite: il suo aspetto fisico lascia sicuramente intendere che la donna sia giovane e affascinante, stretta in un tubino nero aderente, che le mette in risalto i capelli cremisi. Non appena ci vede entrare, ci mostra il suo profilo perfetto e sorride, poggiando la sua mano sopra quella di Cornelius, ancora sulla sua coscia.

Ho già visto questa persona.

Non appena formulo il pensiero, una fitta dolorosa mi stringe la testa, obbligandomi a chiudere gli occhi per non destare troppo la loro attenzione.

«Abby», Cornelius si schiarisce la voce e sorride, «sono davvero felice di vederti già in piedi. Ti trovo in splendida forma.»

«Chi è questa donna?», domando subito, sospettosa. Osservo Russell di sottecchi, ma il suo volto è una maschera illeggibile.

«Quante domande, bambina mia. Troppe.» Mio padre ride a bassa voce, seguito poco dopo dalla donna rossa, che si accoda a lui come un eco sordo. «Come ti senti?»

Stringo gli occhi, ancora attenta a captare ogni piccolo dettaglio attorno a me, poi sospiro e sposto lo sguardo a terra, quando capisco che tutti i miei sforzi sono vani. «Spossata e con una grande emicrania. Ho come dei... vuoti.»

Cornelius lancia un'occhiata sbrigativa a Russell e trattiene a stento un sorrisetto, che trasforma in poco in una smorfia interessata. «È tutto nella norma, Abby. Non devi preoccuparti... Sono comuni effetti collaterali, ma a breve inizierai a non accorgertene più.»

Mi spingo gli indici sulle tempie e prendo un respiro carico di nervosismo, prima di tornare a guardare mio padre. «Perché all'improvviso mi sento così male? Si può sapere cosa sta succedendo?», alzo il tono di voce il necessario per farmi travolgere da un'altra scossa nella testa. Mugolo per il dolore e poggio un braccio sulla sedia che ho accanto, per sorreggermi.

«Russell», lo avverte Cornelius, esortandolo con gli occhi di venirmi in aiuto.

Il suo tirapiedi infatti scatta in avanti e mi poggia un braccio attorno alle spalle. «Glielo avevo detto che era troppo presto per alzarsi, mio signore. Ha di nuovo fatto di testa propria».

«Non mi stupisce. Ma teniamola sotto controllo. Se il suo dolore dovesse aumentare ancora di più, somministrale un antidolorifico. La voglio affabile, non inutile.»

Le parole di mio padre mi provocano come prima reazione una sana dose di stupore, ma il mio corpo lo realizza in ritardo e non riesco a reagire prontamente, così rimango a fissarli in silenzio, confusa e irritata.

«Chi è questa donna?», ritento, con la voce carica di nervosismo. Inizio a stringere le dita attorno alla sedia con più forza e con una scrollata mi levo di torno Russell, che indietreggia all'istante. «Io mi ricordo di lei.»

A questo punto, vedo l'ospite silenziosa scansare la mano di Cornelius dal suo corpo e scendere dalla scrivania, voltandosi verso di me con un sorriso inquietante: il suo volto ha qualcosa di assurdamente rivisto, ma seppure mi sforzi, non riesco davvero a ricordare quando l'ho incontrata.

Quei capelli... E quel sorriso tagliente.

«Caro, forse dovresti presentarmi a tua...-»

«Cosa ti ricordi?» Cornelius la interrompe bruscamente, il viso tirato in un'espressione seria e nervosa.

«Io... non lo so di preciso. Ma ho la sensazione che ci siamo già incontrate.»

Lui sospira e china leggermente il volto verso terra, come sollevato. «D'accordo... Ascolta, non è importante che ti sforzi di ricordare, adesso. Ho solo bisogno che tu mi risponda ad alcune domande, dopodiché sarò lieto di aiutarti a colmare alcuni dei tuoi vuoti. Sei d'accordo?»

«Ho mai avuto scelta, finora?»

Cornelius sorride e mi fa cenno di venire avanti, come se fossi improvvisamente sotto inchiesta. Eseguo il suo ordine senza nemmeno rendermene conto e mi posiziono davanti alla scrivania, proprio di fronte a lui. «Sai che ti siamo aiutando a prendere maggiore consapevolezza con la tua vera natura, Abby, come sai anche ti stiamo accompagnando in un percorso intenso e pieno di ostacoli», mi dice, fissandomi negli occhi. «Ho bisogno della tua massima collaborazione per capire al meglio quali sono le tue sensazioni. Anche la più insignificante emozione ci può essere d'aiuto, soprattutto in queste fasi iniziali di cambiamento.»

«Voi mi avete fatto qualcosa», mormoro, sovrappensiero. Dei piccoli flash elettrici mi sfarfallano davanti agli occhi, ma sono troppo veloci per poterli mettere a fuoco. So solo che sono tanti, e fanno male.

«Sì, ma per il tuo bene, Abby.» Adesso la voce di mio padre è di nuovo affabile e familiare. «Adesso, dimmi, quali emozioni stai provando in questi attimi? Quale dei tanti sta prevalendo, dentro di te?» Mi fissa, sinceramente incuriosito. Anche gli altri due mi guardano, presi.

Prendo tre respiri veloci prima di rispondere, gli occhi fissi a sostenere quelli di mio padre. «Confusione. Nervosismo. Rabbia.»

«Rabbia...», ripete lui, gustandosi la parola tra le labbra, come se avesse un sapore. Come se riuscisse a sentirselo tra i denti. «E se ti dicessi di pensare ai tuoi amici Celesti – o meglio – quelli che tu consideravi amici, cambierebbe qualcosa?»

«Loro non sono miei amici.» Di nuovo, una fitta fortissima mi fa pulsare le tempie e mi costringe a serrare la mascella, tramutando la mia faccia in una maschera di dolore.

Russell ridacchia sottovoce e anche la donna reclina un po' il volto all'indietro, divertita.

Cornelius sorride entusiasta e circumnaviga la scrivania per raggiungermi e mettersi proprio di fronte a me. Occhi di fronte a occhi. «E se ti chiedessi di Jared Evans, invece? Che cosa proveresti, Abby, per Jared?»

Le scariche alla testa continuano a mettermi sotto torchio, al punto e che devo afferrarmela tra le mani per provare a placarle, senza ottenere però alcun risultato. «Smettila, ti prego...»

«Rispondi alla domanda e il dolore cesserà.»

Digrigno ancora i denti e provo a resistere al senso di frastornamento. «Io lo odio!», mi lascio andare alla fine, gridando. «Lo odio, perché è colpa sua se adesso sto così!»

Cornelius sorride e mi fissa mentre inizio a riprendere fiato, leggermente sollevata dallo sfogo. «Abby...», mi chiama di nuovo, stavolta con un tono di voce basso e suadente. «Saresti disposta a uccidere, se farlo ti facesse diventare più forte? Saresti disposta a uccidere per vendetta

Sento il cuore martellarmi nel petto all'improvviso, come se fosse attratto in maniera inconscia alle parole di mio padre. Il mio respiro si fa più veloce e sento le orecchie ovattate, mentre la mente fa difficoltà a ragionare lucidamente e con logica. Anche dopo averlo sentito parlare, infatti, le uniche parole che risuono nella mia mente sono sempre le stesse, gelide e lugubri: uccidere e vendetta.

«Sì. Sì, lo sarei.» Le parole mi escono dalla bocca senza che nemmeno me ne renda conto, al punto da farmi sussultare l'attimo dopo.

Sono stata davvero io a pronunciarle?

Cornelius batte le mani e sfoggia un sorriso radioso. «Ma è fantastico, Abby! Lo vedi, Russell?», dice poi al suo scagnozzo. «Te lo avevo detto che con un piccolo aiutino esterno la nostra ragazza avrebbe fatto dei progressi.»

«È vero, signore. Sembra completamente un'altra persona», asserisce lui, allo stesso modo entusiasta. «Come vogliamo procedere adesso?»

«Continuiamo a tenerla sotto controllo, e se dovesse avere delle crisi più accentuate, portiamola di nuovo nella stanza 2 a rinfrescarle un po' la memoria. Per quanto riguarda le pillole, invece, diminuiamo le dosi ancora un po'. Tra poco inizieremo l'addestramento speciale, quindi la voglio mentalmente attiva.»

«Ma di cosa state parlando?», m'intrometto, interrompendo il loro scambio di battute.

Mio padre sposta di nuovo lo sguardo su di me e fa un gesto elusivo con la mano. «È ora che torni a riposarti, Abby... Mangia, lavati e mettiti a dormire. Dai prossimi giorni inizieranno una serie di allenamenti per rimetterti in forma, sia mentale che fisica. Ho così tante cose da insegnarti sul mondo demoniaco che a me non è permesso mettere in atto... Nemmeno te le immagini.»

«E sarai sorpresa quando scoprirai il pezzo forte!», esclama la donna accanto a lui, infilandosi prepotentemente nella discussione. Si porta una mano davanti alla bocca e scoppia in una risata agghiacciante.

Cornelius le lancia un'occhiataccia e taglia subito il discorso, richiamando Russell. «Accompagna Abby nella sua stanza e assicurati che abbia tutto il necessario per la notte. Io adesso devo tornare ai miei affari... di carne», sussurra malizioso, stringendo la coscia della donna in modo famelico.

Russell si sbriga ad afferrarmi per un braccio e a trascinarmi fino alla porta. Dopo aver salutato mio padre e la sua donna di compagnia, usciamo nel corridoio, che percorro in silenzio e assorta nella mia nube di pensieri confusi e contorti.

Prima che il mio accompagnatore mi lasci dentro la camera, mi volto verso di lui e gli regalo il mio primo sorriso sincero. «Russell?»

«Che c'è?»

«Grazie per quello che state facendo per me.» 

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