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...not bad, Outlander

La nebbia quel pomeriggio aleggiava sulla vallata, mescolandosi al fumo acre che si sollevava dai resti carbonizzati delle macchine. Il cielo, di un grigio opaco, si apriva in rare fenditure di luce, che facevano scintillare l'acciaio spezzato e le frecce conficcate nel terreno, mentre lui, con il fiato corto e la mano destra stretta tenacemente intorno al manico della lancia, osservava gli occhi di quella macchina infernale, rossi come carboni ardenti.

Il terreno sotto i piedi di Kotallo tremava ad ogni passo di quel furioso Divoratuono e lui si trovava a dover reagire rapidamente per non finire travolto dalle zampe del mostro di metallo, e, al contempo, cercava di mantenere l'equilibrio sul suolo sconnesso. La sua mente era lucida, i movimenti precisi, ma la mancanza del braccio sinistro lo rendeva più vulnerabile di quanto volesse. Ogni schivata era più difficile del previsto e ogni colpo assestato alla macchina sembrava richiedere il doppio dello sforzo.

Un guerriero come lui, un Tenakth, non avrebbe mai ammesso la fatica, ma il moncherino del braccio mozzato pulsava con dolore, come un costante promemoria del suo limite.

Un ringhio basso si levò dalla bestia, le mandibole si spalancarono, rivelando denti metallici pronti a strappare e distruggere. Kotallo non si scompose: fece un passo avanti, preparando il colpo, ma il Divoratuono fu più veloce. La bestia caricò di nuovo, le sue massicce zampe artigliate scattarono, sollevando detriti e terra, il peso della macchina era un'ombra incombente che lo sovrastava.

Il guerriero fece una rapida schivata, evitando per un pelo la coda seghettata, che si abbatté violentemente a terra, ma la fatica cominciava a farsi sentire: il fiato era corto, e, nonostante l'orgoglio, si accorse che la bestia stava avendo il sopravvento.
Un colpo più preciso e sarebbe stato fatto a pezzi.

Poi, prima che potesse realizzare pienamente cosa stesse succedendo, un sibilo tagliente attraversò l'aria. Un cavo avvolse la testa della macchina, tirandola di lato con una forza improvvisa. Kotallo vacillò e per un istante rimase a osservare mentre la sagoma agile di Aloy si muoveva come un fulmine. La sua freccia esplosiva colpì con precisione dietro il collo del Divoratuono, in uno dei suoi punti deboli, provocando una scarica di scintille.

La ragazza si muoveva con un'agilità impressionante, un fluire naturale che sembrava quasi in contrasto con la violenza di quel momento.

Kotallo si ritrovò, contro ogni logica, a osservare la sua grazia nel combattimento: ciascun movimento sembrava calcolato, preciso, eppure così fluido da sembrare quasi improvvisato.
Saltava agilmente sugli artigli della macchina, sfruttando ogni punto debole, le frecce che si conficcavano con precisione nelle giunture e nei componenti vitali.

Dove Kotallo era forza bruta, Aloy era leggerezza e velocità, un turbine di azioni rapide e letali.

Per un istante, il guerriero si sentì quasi incantato da quella danza. Non era solo la sua abilità a colpirlo, ma il contrasto tra loro due: lui, tutto controllo e potenza, e lei, tutta agilità e istinto.
E anche se il suo orgoglio era stato ferito da quel salvataggio improvviso, non poté fare a meno di ammirare la destrezza di quella giovane donna.

La ragazza riusciva ad aggirare la bestia di metallo in modi che a lui sarebbero stati impossibili, soprattutto senza il braccio sinistro. Con un colpo ben piazzato, lei atterrò su un lato della bestia, la sua lancia che affondava con precisione chirurgica in un punto critico. La macchina emise uno stridio acuto, come se percepisse che la fine era vicina. Kotallo, alzandosi da terra e riprendendo fiato, approfittò di quel momento per colpire con tutta la sua forza il Divoratuono, mentre Aloy completava l'opera con un altro attacco, rapido e deciso, facendo crollare la macchina con un ultimo tremito di potenza in fase di affievolimento, mentre i suoi circuiti si spegnevano per sempre.

Aloy atterrò accanto al guerriero, il respiro affannato ma lo sguardo concentrato. «Sei intero?», chiese, con quel tono che combinava il suo spirito pratico, quasi come se stesse chiedendo un rapporto sul campo, e una velata preoccupazione.

Kotallo si raddrizzò, il fiato ancora corto, ma il sollievo che riempiva il suo animo per il pericolo ormai alle spalle.
I suoi occhi si posarono su Aloy, che si avviava con agilità verso il Divoratuono, senza un graffio evidente. Lei si voltò verso di lui, una calma serena nel suo sguardo, come se abbattere quella macchina fosse stata una questione di ordinaria amministrazione.

Lui la fissò, ancora intrappolato tra l'irritazione per essere stato salvato e una sorta di fascino nascosto che non riusciva a scacciare: aveva visto innumerevoli guerrieri dare battaglia, aveva combattuto al fianco dei migliori del suo clan, ma nessuno si muoveva come lei.

«Avrei potuto farcela da solo.», ribatté, il solito tono tagliente che le riservava. Quella ragazzina aveva il talento di fargli sentire la mancanza del braccio come un'ombra costante sulla sua forza, come se non fosse più l'invincibile guerriero Tenakth che era un tempo. Ma la verità era un'altra, una che Kotallo non avrebbe mai ammesso apertamente: senza il suo intervento, il Divoratuono lo avrebbe probabilmente fatto a pezzi.

Aloy, con quella calma innata, si chinò sul cadavere meccanico della macchina, le dita abili che esaminavano il metallo con uno sguardo analitico. Per lei, sembrava tutto così naturale, quasi come se l'atto di salvare qualcuno fosse solo un'altra azione tra mille, priva di peso. Ma per Kotallo, quel momento bruciava di una frustrazione profonda. Lui non aveva bisogno di essere salvato! Non voleva esserlo.

«Lo so.», disse lei senza neppure guardarlo, con quella serenità che lo irritava.

Kotallo la osservò di sottecchi: la ragazza, con i suoi capelli rosso fuoco che spiccavano contro il grigio dell'orizzonte, gli era sempre sembrata fuori luogo tra i guerrieri Tenakth, tra le macchine che cacciavano per sopravvivere. Eppure, c'era una forza in lei, una determinazione che andava oltre ogni tribù o macchina. Lei agiva come se ogni battaglia fosse solo un passo verso qualcosa di più grande.

I suoi occhi scuri erano carichi di una tensione che non riusciva a trattenere e si ritrovò ad osservarla ancora, a notare la fronte imperlata di sudore, la mascella stretta e lo sguardo concentrato.

I suoi occhi, di un azzurro profondo, riflettevano la luce fioca del sole che si faceva largo tra le nuvole grigie, e per un istante si trovò a fissarla più a lungo del necessario.

C'era qualcosa di magnetico in quella ragazza, una determinazione che sfidava il mondo e le sue regole, come se non appartenesse a nulla, eppure fosse al centro di tutto.

C'era qualcosa di incredibilmente disarmante nel modo in cui affrontava la vita. Lei non cercava di mostrare superiorità, né di mettere in evidenza le debolezze altrui. Eppure, era sempre un passo avanti, pronta a fare ciò che doveva essere fatto, senza mai un'esitazione. Non era una guerriera nel senso tradizionale, ma possedeva una forza che non si vedeva solo nei muscoli o nell'abilità con le armi.

Le braci ardenti del suo fastidio si spensero, sostituite da un'altra sensazione, più difficile da identificare. Un rispetto silenzioso, un sentimento di gratitudine che non riusciva a tradurre in parole.

Non era abituato a sentirsi grato. E certamente non era abituato a sentirsi vulnerabile.

«In ogni caso...», iniziò Kotallo, cercando di ricomporsi e modulare la voce su toni meno duri. «Ti sei mossa bene.».

L'ammissione gli uscì dalle labbra a denti stretti, ma le parole, una volta pronunciate, lo fecero sentire più calmo. Abbassò lo sguardo per un attimo, osservando il suolo irregolare, le impronte lasciate dal loro scontro. Il peso della sconfitta personale, non contro la macchina, ma contro se stesso, gli gravava sulle spalle.

Non voleva sembrare debole, né voleva quel senso di dipendenza che stava crescendo in lui ogni volta che la vedeva combattere al suo fianco.

Ma c'era anche qualcosa di nuovo, una sensazione che non riusciva a ignorare. Un affetto che, pur mescolato alla frustrazione, cresceva silenzioso.

Aloy si girò appena, un accenno di sorriso sulle labbra, ma non disse nulla. Forse aveva capito più di quanto Kotallo fosse pronto ad ammettere.

Il vento soffiò tra i resti della battaglia, portando con sé l'odore del metallo e del fumo. Kotallo strinse più forte l'impugnatura della sua lancia, il battito del suo cuore si era ormai calmato.

Forse non era solo l'orgoglio a pesare su di lui. Forse, per davvero e per la prima volta, non gli dispiaceva così tanto essere stato salvato.

Ma non lo avrebbe mai detto ad alta voce.

Attese che lei riempisse la bisaccia con i pezzi di metallo raccolti e si rimisero in cammino verso l'accampamento.

La fierezza con cui affrontava ogni battaglia, la solitudine che sembrava portarsi dietro come un manto invisibile... Aloy non era come gli altri, e lui lo aveva capito fin dal primo momento in cui l'aveva vista.

Era come una tempesta silenziosa, capace di abbattere le macchine più potenti, ma con un cuore che sembrava sempre troppo distante da tutto ciò che la circondava.

Con una smorfia che mescolava frustrazione e un rispetto riluttante, Kotallo le camminò accanto e, senza preavviso, lasciò che una frase gli scivolasse dalle labbra. «C'è qualcosa di affascinante, devo ammetterlo, nel modo in cui combatti. Strano... ma efficace.»

Le guance della ragazza si tinsero di un lieve rossore, mentre lo fissava, evidentemente sorpresa da quella mezza ammissione. Si fermò, incerta su come rispondere, per una volta senza l'abituale prontezza: non era un vero complimento, almeno non nel senso tradizionale, ma proveniva da Kotallo, e ciò rendeva la cosa ancora più inaspettata.

Lo osservò allontanarsi di qualche passo. Il Maresciallo Tenakth sembrava non badare minimamente all'effetto che quelle parole avevano avuto su di lei.

Aloy pensò che forse quella era stata una distrazione, forse lui aveva parlato senza effettivamente pensare. Eppure, quel commento la lasciava lievemente imbarazzata, ma in un modo che non avrebbe mai ammesso a voce alta.

«Non aspettarti che succeda di nuovo.», aggiunse lui, ad alta voce, cercando di recuperare quel distacco che di solito usava con lei. «Posso combattere anche con un solo braccio.»

«Ne sono sicura...», mormorò la giovane, semplicemente, sperando che lui non la udisse mentre sorrideva lievemente.
Aveva compreso che qualcosa era cambiato, non solo in lui, ma anche nel modo in cui lui la vedeva.

Non erano solo compagni d'armi. Sembrava fossero più di questo, anche se non riusciva ancora a dare un nome a quella sensazione.

Mentre si sforzava di tornare a una qualche forma di controllo, vide Kotallo girare appena la testa, gli occhi scuri che si posarono su di lei con una calma consapevolezza. «Ti muovi, straniera

Aloy lo fissò per un attimo, poi scosse la testa, divertita e ancora vagamente imbarazzata. «A-Arrivo!», mormorò, affrettando il passo per raggiungerlo, consapevole che quel piccolo scambio aveva aggiunto qualcosa di nuovo al loro complicato rapporto.

Il silenzio tra loro durò qualche istante, spezzato solo dal vento che faceva stridere le carcasse metalliche delle macchine e il crepitio delle braci ancora ardenti in lontananza, fischiando fastidiosamente nelle loro orecchie.

Kotallo, rigido, fece un passo avanti, affondando la lancia nel terreno per sostenersi meglio mentre iniziava a camminare. Il suo sguardo si posava avanti, oltre il campo di battaglia, ma di tanto in tanto scivolava su Aloy, che lo seguiva con la solita andatura sicura.

Mentre si allontanavano insieme, lui non riuscì a trattenere un commento che, anche se sarcastico, nascondeva una curiosità sincera. «Quindi è così che i Nora affrontano le loro battaglie? Saltando addosso alle macchine per rubare la gloria ai guerrieri già impegnati?»

Aloy sollevò lo sguardo, sorridendo debolmente. «Pensavo che i Tenakth preferissero rimanere interi dopo una battaglia, non fatti a pezzi dalle macchine.».
Il tono era leggero, ma nella sua voce c'era un'ombra di sfida, accompagnata da uno sguardo eloquente al braccio sinistro mancante del Maresciallo.

Kotallo alzò un sopracciglio, senza rallentare il passo. «Interi? Non mi sembra che avere due braccia sia necessario per abbattere una macchina. Forse i Nora sono solo... più delicati.», e fece un cenno verso di lei con la testa, quasi provocandola. Il tono era volutamente pungente, un tentativo di distogliere la sua attenzione dal fatto che, in fondo, le era ancora profondamente grato per averlo aiutato.

La giovane ridacchiò, scuotendo la testa. «Delicati, eh? Non è quello che pensava quel Divoratuono, credo! Ma sai, se vuoi la prossima volta posso lasciarti fare. Sono curiosa di vedere come te la cavi da solo...»

Kotallo scosse la testa, e un mezzo sorriso, rapido e amaro, gli attraversò il volto. «Non serve la tua curiosità. Né i tuoi commenti da Cacciatrice Nora. Avrei risolto la questione comunque, solo un po'... più lentamente.».

Lei si girò verso di lui, un lampo ironico negli occhi. «Sì, lentamente fino al punto in cui avresti avuto la testa tra le mascelle di quella cosa?»

Kotallo emise un breve grugnito, a metà tra il fastidio e una risata soffocata. «Non sarebbe la prima volta che qualcosa cerca di divorarmi la testa. Ma grazie per aver avuto tanta premura, Cacciatrice

Aloy lo guardò di sbieco, cercando di trattenere un sorriso divertito mentre si aggiustava la faretra sulla schiena. «Sì, be', qualcuno deve pur pensarci. Non che sembri particolarmente grato per averti dato una mano...»

Kotallo fermò il passo per un istante, girando la testa verso di lei con un'espressione sarcastica. «Grato? A te?», e fece una pausa teatrale, come se stesse ponderando seriamente la questione. «Non mi sembra di avere molto per cui ringraziare chi si diverte a saltare nel bel mezzo delle mie battaglie!».

«Ah, certo!», rispose Aloy con una finta serietà: «Come dimenticare la leggendaria abilità dei Tenakth nel farsi quasi smembrare!», e fece una breve pausa, poi con un tono più dolce aggiunse: «Non avresti dovuto essere qui da solo, Kotallo. Lo sai.»

Il suo tono era cambiato, più sincero, e Kotallo percepì il peso dietro quelle parole. Ma non voleva mostrarsi vulnerabile, non adesso, e non con lei.

Tornò a camminare, lasciando che il rumore dei loro passi coprisse quel breve silenzio.

«Il tuo popolo vive tra gli alberi e si nasconde dietro tronchi e foglie.», riprese Kotallo, cercando di riprendere anche il controllo della conversazione. «Non posso biasimarti se non capisci l'onore di affrontare una macchina faccia a faccia, senza... imboscate.»

Aloy rise piano, un suono che si disperse nel vento. «Beh, sai, tra tutti i Nora, io sono probabilmente l'ultima che si nasconderebbe dietro a un albero!», disse con un sorriso ironico, consapevole del suo stesso destino, lontano dalla tribù che l'aveva cresciuta.

Kotallo sbuffò, ma questa volta il suo tono aveva perso il consueto taglio affilato. «Forse. Ma resta il fatto che tu non capirai mai completamente cosa significa essere un Tenakth. Combattere con onore... anche a costo della vita.»

Aloy rallentò il passo, la sua espressione si fece più seria e lo guardò con intensità, come se volesse scavare oltre la sua corazza, cercando il vero significato di quelle parole. «Non capisco che cosa, Maresciallo? Il dolore per aver perso una parte di sé? O il dover provare il tuo valore più e più volte solo perché il destino ti ha colpito più duramente degli altri?». La sua voce era calma, ma ogni parola che pronunciavano sembrava trasportare il peso delle loro esperienze passate, un eco di qualcosa di comune, di condiviso, che vibrava tra di loro creando una sottile tensione. Era un terreno familiare per entrambi, quello della lotta e della sopravvivenza, ma che assumeva forme diverse nella cultura di ciascuno.

Kotallo si voltò leggermente verso di lei, il suo sguardo più penetrante, ma meno duro. «Non è solo questione di perdere una parte di sé.», mormorò, la voce bassa ma decisa. «È l'accettazione del fatto che non importa quanto combatti, quanto ti sforzi... per i Tenakth, il risultato è sempre quello che conta. Non importa quante battaglie hai vinto: è il momento in cui fallisci che ti definisce agli occhi degli altri.», e fece una pausa, lasciando che le parole si depositassero nell'aria. «E quando perdi qualcosa di importante - come un braccio - la fatica è doppia. Anche per riacquistare il proprio onore.».

La ragazza lo ascoltò attentamente, lasciando che le sue parole la toccassero più a fondo. Per quanto diversi fossero i loro percorsi, c'era qualcosa in quella lotta per il riconoscimento e il valore che risuonava anche in lei. «Credi davvero che non sappia cosa significhi? Che ciò che ho vissuto io sia tanto diverso?», disse lei, la voce più morbida, ma altrettanto ferma. «Certo, non sono una Tenakth. Ma sono cresciuta anche io sotto il peso del giudizio altrui. Gli altri mi hanno sempre vista come un'estranea, una senza Madre, senza un passato e probabilmente senza un futuro... Ho dovuto dimostrare il mio valore più volte di quante ne possa ricordare. Ogni vittoria, ogni errore... tutto era passato in un setaccio a maglie sottili. E sai una cosa?», fece una pausa, lasciando che le sue parole crescessero in lei e trovassero forza per uscire. «A volte non è mai abbastanza quello che fai. Non importa mai quanto combatti, non importa mai quante battaglie vinci, perché ci sarà sempre chi vedrà solo le tue sconfitte.»

Kotallo rimase in silenzio per un momento, il volto in ombra ora che si stava facendo più buio e il sole pian piano scompariva oltre le montagne. Poi annuì lentamente, come se finalmente riconoscesse qualcosa che forse aveva evitato di vedere. «Magari è vero.», ammise a bassa voce. «Magari, alla fine, non siamo poi tanto diversi. Ma c'è una cosa che distingue i Tenakth: per noi, il fallimento è definitivo. Una macchia che rimane. Un guerriero senza un braccio... non è visto come un sopravvissuto. È visto come qualcuno che ha perso il suo scopo.» Si fermò, scrutando l'orizzonte, dove già si intravedevano le palizzate della recinzione dell'accampamento, come se cercasse una risposta che non poteva trovare. «Ma continuo a combattere. Non per loro, ma perché il mio onore non dipende da ciò che dicono gli altri. Lo decido io qual'è il mio valore.»

Aloy lo guardò, una scintilla di ammirazione nascosta nei suoi occhi. «E questa è la differenza più grande...», disse piano. «Non lasci che siano gli altri a definire chi sei.»

Kotallo sollevò lo sguardo, incontrando il suo. «Non posso permetterlo.», rispose, una fermezza inflessibile nelle sue parole, ma con una nuova luce nei suoi occhi, come se finalmente avesse trovato qualcuno che comprendesse davvero, perché c'era del vero in quelle parole, più di quanto volesse ammettere. Per un momento, abbassò lo sguardo, permettendo ai propri pensieri di vagare oltre la corazza di orgoglio che si era costruito. Aloy non era solo una Cacciatrice Nora. Era una combattente solitaria, esiliata dalla propria tribù e poi ripresa, investita di un ruolo che si era guadagnata col sudore e col sangue, e forse, in qualche modo, capiva davvero cosa significava essere costantemente messi alla prova.

«Sai...», riprese il guerriero, con una vena di sarcasmo che cercava di mascherare la sincerità: «Se continui a parlare così, potrei quasi cominciare a credere che tu stia cercando di guadagnarti un posto tra i Tenakth. Non che ci sia bisogno di un'altra rossa testarda tra noi!»

Aloy lo guardò di lato, sollevando un sopracciglio. «Io? Testarda? Allora dev'essere per questo che andiamo così d'accordo!»

Kotallo scosse la testa, un sorrisetto tirato che gli attraversava le labbra. «Non esagerare, Nora. Ma... sì, forse c'è qualcosa di più simile tra le nostre tribù di quanto pensassi.»

«Qualcosa di più, eh?», replicò Aloy, riprendendo il passo accanto a lui. «Non sei poi così diverso da me, Maresciallo.»

Il guerriero Tenakth tacque per un momento, lasciando che quelle parole gli risuonassero nella mente. Entrambi lottavano per trovare un posto nel mondo, ognuno a suo modo. Ma Kotallo, pur con il suo orgoglio in parte scalfito, si scoprì meno infastidito dal pensiero.

Il guerriero continuava a camminare con passo deciso, il vento fresco della sera che ora sferzava le distese rocciose intorno a loro. Aloy lo seguiva, ma percepiva che qualcosa era cambiato in quell'ultimo scambio di battute che si erano rivolti. La tensione che di solito si respirava tra di loro sembrava essersi dissolta, lasciando spazio a un silenzio più leggero, quasi... confidenziale.

Dopo qualche istante, Kotallo parlò di nuovo, ma questa volta il suo tono era diverso: meno pungente, più riflessivo. «Devo ammettere una cosa, Aloy...» disse senza guardarla, il suo sguardo sempre fisso avanti a sé, il portamento fiero del guerriero vissuto. «C'è davvero del valore nel modo in cui combatti. Diverso dal nostro, ma... non meno degno.»

Aloy sollevò lo sguardo verso di lui, sorpresa da quelle parole. Non era solo il complimento, che già di per sé era raro da parte di Kotallo, ma il modo in cui l'aveva detto, con un accenno di sincero rispetto. Si aspettava l'ennesima battuta tagliente, e invece quelle parole, vagamente gentili, l'avevano colta di sorpresa.

Lui non si fermò, continuando a camminare con quella sicurezza tipica dei Tenakth, come se nulla fosse. Ma Aloy rimase indietro ancora una volta per un istante, rallentando il passo, interdetta. Non era abituata a ricevere complimenti, specialmente da qualcuno come Kotallo, sempre così rigido e orgoglioso. E averne due nel giro di un'unica giornata, beh...

Un lieve imbarazzo le fece abbassare lo sguardo per un attimo, mentre rifletteva su quella strana apertura.

La osservò avanzare, la figura solida del guerriero che sembrava allontanarsi più rapidamente del previsto. Forse c'era davvero qualcosa in lui che stava cambiando. Forse, come lei, anche Kotallo stava imparando ad abbattere le sue barriere, pezzo per pezzo.

Aloy lo fissò per un attimo, ancora leggermente sorpresa. Poi scosse la testa e, con un piccolo sorriso, si affrettò a raggiungerlo. «Non è che ti stai ammorbidendo, vero?».

Lui sbuffò, senza voltarsi, regalandole solo uno sguardo sfuggente: «Non sperarci troppo.»

Il cielo stava lasciando l'arancio e il viola, che si riflettevano sui prati e sulle pareti dei monti, al blu cupo della sera.

Mentre Kotallo camminava avanzato di qualche passo, la sua figura imponente contro l'orizzonte, Aloy lo seguiva da vicino, mantenendo il passo, ma con uno sguardo che tradiva un pizzico di malizia.

Era cresciuta in fretta e aveva già combattuto molte battaglie ormai, ma ogni tanto le piaceva ricordare a se stessa che, nonostante tutto, era ancora giovane rispetto a lui. E c'era qualcosa nell'aria quel giorno, una leggerezza che sembrava aver spezzato, anche solo per un istante, la rigida formalità tra loro. Forse il modo in cui Kotallo l'aveva guardata, forse quei rari complimenti... qualunque cosa fosse, Aloy non poté fare a meno di sorridere, sentendo riaffiorare una scintilla infantile.

Senza pensarci troppo, accelerò l'andatura, superandolo di qualche passo e poi rallentò fino a trovarsi al suo fianco, osservandolo di lato. L'uomo, concentrato sul cammino, sembrava non accorgersi del suo piano. Con una mossa rapida e leggera, la ragazza allungò il piede e gli fece un piccolo sgambetto, niente di troppo forte, ma sufficiente a fargli perdere momentaneamente l'equilibrio.

Kotallo vacillò per un istante, il piede destro che cercava di trovare nuovamente stabilità. Si fermò di colpo, girando la testa verso di lei, gli occhi scuri che lampeggiavano in una miscela di sorpresa e incredulità, perché noni sarebbe mai aspettato un comportamento del genere da lei, soprattutto non in quel momento. Per un secondo, sembrò quasi troppo sorpreso per reagire.

Aloy tratteneva a stento una risata, lo sguardo innocente, ma con una scintilla di malizia ben evidente. «Ops!», disse, con un tono volutamente finto, un sorriso che le attraversava le labbra mentre cercava di non scoppiare a ridere del tutto. «Ti stai forse stancando, Kotallo? Forse hai bisogno di una pausa!».

Il guerriero la fissò, e per un attimo sembrò che potesse reagire con uno dei suoi soliti commenti taglienti. Ma poi, a sorpresa, un'espressione inaspettata attraversò il suo volto: un mezzo sorriso, quasi impercettibile, gli sollevò l'angolo delle labbra.

«Ah! Così combattono i Nora, eh?», replicò, con una punta di sarcasmo, ma c'era qualcosa di più rilassato nel suo tono, come se, per una volta, lasciasse cadere le sue difese.

Aloy lo osservò, divertita e soddisfatta per aver ottenuto una reazione, anche se piccola. «Sì, e funziona sempre!», rispose, cercando di mantenere un tono serio, ma fallendo miseramente. «Magari dovresti provarlo anche tu. Potrebbe darti un vantaggio contro le macchine... o, almeno, contro di me

Kotallo scosse la testa, facendo un passo avanti per riprendere il cammino, ma stavolta il suo sguardo era più morbido, e quel raro sorriso sembrava aver sciolto per un attimo la sua solita rigidità. «Non preoccuparti, Nora. Vedrai che quando avrò bisogno di lezioni di scherzi infantili, saprò a chi rivolgermi.»

Aloy ridacchiò e lo seguì, sentendosi più leggera. Per un attimo, i loro ruoli sembravano capovolti rispetto al solito e c'era qualcosa di confortante nel vedere che, sotto quella corazza di guerriero, vi era in realtà un uomo capace di rilassarsi, anche se solo per un istante.

Quando ormai si era allontanato di qualche passo, Kotallo si girò appena verso di lei, con uno sguardo che era tornato serio, ma ancora con quell'ombra di divertimento che non poteva nascondere del tutto. «Attenta, Aloy. Potresti pentirti di avermi fatto perdere l'equilibrio. Ricorda, anche con un solo braccio, sono sempre un Tenakth!»

Aloy lo guardò, una luce di sfida nei suoi occhi. «Ci conto, sai! Voglio proprio vedere cosa sei capace di fare.»

Sorridendo tra sé e sé, continuò a seguirlo mentre il tramonto tingeva di rosso cupo l'ultima striscia di terra, illuminando la loro strada verso l'accampamento Tenakth e, quando vi giunsero, il sole era ormai calato del tutto.

Le torce gettavano lunghe ombre sui volti dei guerrieri, che li osservavano passare con rispetto. L'aria notturna era fresca e pungente, e il crepitio dei fuochi si mescolava al sussurro del vento che accarezzava le fronde degli alberi circostanti.

Aloy, finalmente con una ciotola di cibo alla mano e lo stomaco sottosopra per la fame, si guardò intorno, cercando un punto in cui potersi riposare, ma per un attimo rallentò il passo, lasciando che Kotallo la superasse di qualche metro. Lui avanzava con la solita sicurezza, anche dopo una giornata così estenuante, ma c'era un'aria più rilassata intorno a lui, come se il peso dei combattimenti e del viaggio fosse finalmente scivolato via dalle sue spalle.

Mentre si avvicinavano a uno dei fuochi principali, l'uomo si fermò all'improvviso, voltandosi verso di lei, una ciotola piena di cibo fumante anche nella sua mano.

La ragazza rimase sorpresa dalla sua espressione. Non c'era la solita severità nel suo sguardo, né quella riservatezza che lo caratterizzava, perché c'era qualcosa di diverso, una specie di quieta riflessione.

Così lo fissò, leggermente confusa. «Che c'è?», chiese, inclinando la testa di lato.

Kotallo la studiò per un momento in silenzio, poi, con una calma che la prese alla sprovvista, mormorò: «Sai, straniera... ci sono poche persone che riescono a sopportare il mio silenzio. E ancor meno che riescono a darmi una tregua... senza far pesare la loro presenza.». Il suo sguardo si addolcì appena, ma era chiaro che quelle parole gli venivano da un luogo sincero e profondo. «Tu lo fai. Ed è una cosa rara.»

Aloy rimase senza parole per qualche secondo.

Era la prima volta che Kotallo si esponeva in quel modo, ed era una confessione che non si sarebbe mai aspettata. E questa cosa la colpì nel profondo, più dei complimenti sinceri che gli erano usciti quel pomeriggio.

C'era qualcosa di dolce, di quasi tenero, nel modo in cui l'aveva detto e, per un uomo del suo calibro, tanto abituato alla disciplina e alla solitudine, ammettere una cosa simile significava molto.

Un piccolo sorriso le sfiorò le labbra. «Non sono brava a fare grandi discorsi... ma credo di potermi abituare a stare in silenzio, se serve.», disse lei, con un tono più morbido, cercando di rispondere a quella strana vulnerabilità senza metterlo a disagio.

Kotallo non rispose subito, ma gli angoli della sua bocca si sollevarono appena, accennando un sorriso raro. «Forse...», disse infine, con quella sua calma caratteristica, «Forse è perché sei diversa da tutti gli altri, Aloy. In modi che nemmeno tu vedi.»

Aloy sentì una leggera fitta al petto, non di dolore, ma di sorpresa. Quella frase semplice, quasi casuale, la colpì più di quanto avrebbe mai immaginato. Lo guardò in quei suoi occhi scuri, provando a capire cosa stesse cercando di dirle davvero, ma tutto quello che trovò fu una sincerità disarmante, una dolcezza nascosta dietro la dura apparenza da guerriero indomito.

Non sapeva come rispondere.

Non era abituata a quel genere di parole, non certo da qualcuno come lui. Sentì il calore del fuoco sul viso, e, per un attimo, desiderò che le fiamme che le danzavano accanto potessero nascondere il rossore che le stava salendo alle guance.

Kotallo si voltò di nuovo verso il fuoco, rompendo quel momento con una naturalezza quasi studiata. «Qui c'è posto. Vieni.», e si sedette su uno dei tronchi usati come sedili accanto al perimetro del falò.

Aloy annuì, ancora un po' scossa dalla piega inaspettata della conversazione, sedendosi accanto a lui, che stava già affondando il mestolo nella mistura di carne e verdura cotta che aveva preso.

Lei lo richiamò, con un tono più leggero, la voce lieve, quasi spezzettata dall'imbarazzo. «Kotallo...»

Lui si fermò, guardandola sopra la spalla. «Mh?»

Aloy sorrise, stavolta con più sicurezza. «Anche tu sei... diverso. In modi che nemmeno tu vedi.»

L'uomo la fissò per un momento, poi, senza dire nulla, le fece un cenno di assenso e riprese a mangiare, le guance sollevate da un debole sorriso anche mentre continuava a masticare.

E mentre Aloy lo osservava di sottecchi, mettendo in bocca un cucchiaio di cibo alla volta, si rese conto che quel guerriero taciturno e caustico, contro ogni aspettativa, le stava diventando sempre più caro.

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