8. Come giocare ad acchiapparello con un sasso
Seduti l'uno accanto all'altra sulle scomode sedie della funivia, Lillian e Kenneth si rivolgevano fugaci occhiate di sottecchi, sempre più frequenti mano a mano che la cabina proseguiva la sua lenta ascesa verso la sommità del Fløyen, il più famoso e frequentato dei sette monti che circondavano la città di Bergen.
Non avevano ben capito per quale motivo si stessero recando proprio lì, fatto sta che quella mattina Svein aveva mandato un messaggio al licantropo, in cui aveva scritto che, se erano ancora decisi ad unirsi a loro, si sarebbero dovuti trovare lì per le nove in punto.
«Pensi che abbiano preso sul serio la nostra richiesta?»
Chiese Lillian, quando si trovavano circa a metà del tragitto.
«Se non fosse così, Svein non ti avrebbe mandato quel messaggio, non credi?»
«Eppure è stato fin troppo facile...» Replicò lei, prendendo a torturarsi il labbro inferiore con due dei suoi canini. «Quando Svein ha chiamato il suo boss, gli è bastato dire chi siamo, che ha acconsentito subito. E ora ci chiede di incontrarci in uno dei luoghi più frequentati della città... C'è sicuramente qualcosa che non va. Dove sono finite le prove di iniziazione? E i messaggi criptati? E i giuramenti con il sangue al chiaro di luna? Che cavoli, possibile che i gruppi cospirazionisti d'oggi siano così sprovveduti? Ho trovato molte più difficoltà a iscrivermi al sito ufficiale dei pokèmon, piuttosto che a entrare nel loro circolo super top secret!»
«Scusa, ma... Non è meglio così?»
Replicò Kenneth, non riuscendo a capire per quale motivo fosse così turbata da quell'assenza di complicazioni.
«Affatto.» Replicò lei, rivolgendogli uno sguardo quasi compassionevole, come se tra i due fosse lui quello più giovane, a cui bisognava spiegare ancora tutto della vita. «Quando qualcosa che dovrebbe essere complicata al contrario fila fin troppo liscia, significa che c'è qualcosa sotto. Di solito si tratta di una fregatura. Di questo passo temo che scopriremo sul serio che il loro non è altro che un gruppo di giocatori di ruolo.»
Il mezzelfo a quel punto avrebbe voluto chiederle secondo quale logica una scoperta del genere avrebbe dovuto rappresentare un dispiacere per loro, ma non fece in tempo ad aprire bocca che la funivia si fermò e le porte automatiche si aprirono sulla breve rampa di scale che li avrebbe rapidamente condotti all'area panoramica, dalla quale era possibile osservare l'intera città e accedere ai numerosi sentieri di cui il Fløyen era disseminato, come quello che conduceva al lago, quella che permetteva di percorrere a piedi l'intero monte fino a tornare in citta e il breve tratto di strada che conduceva alla collina dei troll, un tempo abitata da una vera colonia di mostri di pietra, ma ormai disseminata da semplici -e piuttosto inquietanti- sculture di legno realizzate a loro immagine.
«E adesso?»
Chiese Kenneth, mentre si guardava intorno alla ricerca del satiro. Peccato solo che a causa di tutta quella gente -perlopiù gruppi di turisti-, se anche Svein si fosse trovato lì, non sarebbe stato affatto facile per loro individuarlo.
«Sono le nove e cinque minuti.» Lo informò Lillian, alzando lo sguardo dal suo cellulare. «Dici che per colpa di questi cinque minuti di ritardo ci siamo giocati tutto?»
«Sper- Temo che potrebbe essere così.»
Rispose il mezzelfo, correggendosi appena in tempo, ma comunque non abbastanza perchè il licantropo non si accorgesse della sua gaffe.
«Magari si è seduto da qualche parte qui nei dintorni e ci sta aspettando.» Replicò la ragazza, senza lasciarsi scoraggiare. «Dopotutto con questa folla dovrebbe essere difficile anche per lui individuarci, no? Secondo me si è messo in disparte, per trovarci più facilmente. Magari con questa scusa possiamo anche dirgli di essere arrivati qui alle nove in punto, ma di aver perso tempo a trovarlo.»
Concluse sollevando un angolo delle labbra in uno dei suoi soliti ghigni.
Ma fece appena in tempo a compiere quel semplice gesto, che un debole mormorio alle sue spalle catturò la sua attenzione, portando sia lei che il maggiore a voltarsi in quella direzione.
Tutto ciò che videro, però, fu una piccola aiuola, priva di una qualsiasi forma di vita, erba e fiori compresi.
Entrambi pensarono di esserselo immaginato o forse di aver semplicemente sentito la voce di una delle persone che li circondavano, ma proprio quando stavano per distogliere lo sguardo e tornare sulle tracce del satiro, sentirono nuovamente quel brontolio, questa volta accompagnato dall'inspiegabile fremito della roccia di circa mezzo metro d'altezza che si trovava al centro esatto dell'aiuola in questione.
Il mezzelfo sgranò gli occhi dalla sorpresa e per istinto indietreggiò di un passo, invece quelli del licantropo si assottigliarono, mentre lentamente, con un passo da predatore, si faceva più vicina a quel cumulo di sassi.
«Cos'hai detto?»
Chiese Lillian, affatto preoccupata che le persone intorno a lei la potessero prendere per una svitata nel vederla intenta a dialogare con un sasso.
Lo stesso però non valse per Kenneth, che subito si sporse verso l'amica, intenzionato a tirarla via di lì prima di attirare l'attenzione di tutti i presenti.
Proprio nel momento in cui aveva posato le mani sulle sue spalle, nel volgere lo sguardo al di sopra di queste, in direzione dell'aiuola, notò che quella pietra aveva iniziato nuovamente ad agitarsi. Ma non si limitò a questo, presto infatti, con uno scatto si dissotterrò dal terreno di buoni dieci centimetri e iniziò a rotolare per terra, facendosi sempre più rapida mano a mano che proseguiva, zigzagando tra i piedi della gente senza che nessuno oltre ai due ragazzi si accorgesse della sua presenza.
«Sbrigati, Ken! Altrimenti la perdiamo!»
Esclamò Lillian, afferrando l'amico per il polso e iniziando a trascinarlo all'inseguimento di quel sasso, facendosi spazio a spintoni tra la folla e suscitando nel mentre un discreto numero di proteste e imprecazioni varie, nelle lingue più svariate.
Kenneth aveva almeno cinque buone ragioni per cui riteneva che non fosse una grande idea mettersi a rincorrere una roccia, ma sapeva che erano tutte vane di fronte alla determinazione e alla testardaggine del licantropo, così neanche provò a protestare e si limitò ad affrettare il passo.
Anche se fermarla era impossibile, almeno una domanda ritenne di avere tutto il diritto di porgergliela, o meglio, annaspargliela:
«Perchè stiamo inseguendo quel sasso?»
Senza voltarsi, ma anzi aumentando ancora il passo, la ragazza ridacchiò e, con un tono di voce privo del benchè minimo affanno, rispose:
«"Non fare la furba, ho visto benissimo che siete arrivati adesso! Per questa volta ve la faccio passare liscia, ma che non si ripeta più un ritardo del genere!"» Esclamò Lillian e, di fronte al silenzio perplesso dell'altro, aggiunse: «È quello che stava borbottando prima quel sasso.»
Se non avesse visto con i suoi stessi occhi come quel cumulo di roccia avesse improvvisamente preso vita, probabilmente a quell'uscita il mezzelfo avrebbe temuto di aver definitivamente perso la sanità mentale della sua migliore amica.
I due si fermarono solo tre minuti dopo, quando, imboccato il percorso che conduceva al lago, il sasso ebbe una brusca frenata sul limitare del sentiero, in prossimità di un dirupo, non eccessivamente ripido, ma comunque di quelli dai quali era meglio stare alla larga.
Kenneth lo osservò intensamente, pregando con tutto sè stesso che non stesse davvero per... Troppo tardi. Ancora prima di completare quel pensiero, la loro strana guida lo aveva fatto: si era gettata giù per il dirupo, riuscendo -nonostante la sua velocità allucinante- a non scontrarsi contro un singolo albero e perdendosi rapidamente tra il fitto della vegetazione.
«Perchè non chiami Svein e la facciamo finita?» Chiese Kenneth, piegandosi sulle ginocchia per prendere fiato. «Direi che a questo punto non abbiamo altra scelta, non cre-»
La fine della sua frase si confuse in uno strano squittio strozzato, mentre il licantropo, agguantato il migliore amico alla mo' di un koala con il suo albero di bambù, si gettò nel vuoto, rotolando giù per il dirupo allo stesso modo del sasso.
E proprio come era successo alla loro guida, in qualche modo neanche loro andarono a scontrarsi contro un tronco o rimasero impigliati in qualche cespuglio di roveri.
La loro discesa proseguì liscia come l'olio e, al contrario di quanto temuto da Kenneth, non si concluse con uno schianto, ma con una semplice decelerazione, dovuta al fatto che, percorso l'intero dirupo, erano andati a finire in una sorta di valle pianeggiante.
Il mezzelfo, completamente frastornato e allibito dall'imprudenza dell'amica, si rialzò in piedi tutto traballante, con il mondo che gli girava intorno come una trottola.
Non appena avesse ripreso il controllo del suo corpo -in particolar modo delle sue corde vocali- le avrebbe inveito contro come mai aveva fatto prima di allora, ma qualcuno lo precedette.
«Cavoli amica, ma tu sei fuori di testa!»
Esclamò una voce leggermente gutturale, mentre il sasso che avevano inseguito fin lì si avvicinava lentamente a loro.
«Non è quello che volevi?» Replicò il licantropo. «Che ti seguissimo, intendo.»
«Sì, certo che è quello che volevo e come avrai notato durante la discesa, tutti quegli alberi e arbusti non sono altro che delle illusioni. Tuttavia, tu non potevi averne la certezza... E buttarsi da quel dirupo in un modo così avventato solo per inseguire una roccia... Tu, ragazza, devi avere qualche rotella fuori posto... Mi piace!»
E con quest'ultima esclamazione, il sasso spiccò un breve salto, mentre dalla sua superficie venivano fuori in un solo colpo cinque piccole protuberanze, che dopo lo sbalordimento iniziale, Kenneth realizzò essere nient'altro che un paio di braccia, un paio di gambe e una testa, sormontata da un intrico di capelli neri come la pece, così aggrovigliati e noncuranti delle leggi della fisica, che avrebbero portato qualsiasi parrucchiere a strapparsi i propri dalla disperazione.
«Tove Engelbretsdatter Nygårdshaug.» Si presentò la troll, sollevando il mento con fierezza, ma subito dopo, nel vedere i loro sguardi vacui: «Chiamatemi Tove.»
A quel punto fece un breve cenno con il capo per far capire loro di seguirla ancora per un po'.
«È stato Svein a mandarti a prenderci?»
Chiese Lillian, affrettandosi per stare al suo passo -a dispetto dei suoi settanta centimetri scarsi di altezza, era molto rapida-.
«Svein?» Ripetè la troll in una sorta di risolino strozzato. «Come no! Dovrà passarne di acqua sotto i ponti prima che io mi faccia dare un ordine da quello svitato!»
Continuò a borbottare qualcosa tra sè e sè ancora per alcuni istanti, scuotendo di tanto in tanto il capo, come a sottolineare l'assurdità della cosa.
«Ma allora... Chi è stato a mandarti?»
Questa volta a porgere la domanda era stato Kenneth, rivelandosi finalmente in possesso del dono della parola.
«Sono stata io a mandarmi a prendervi, ecco chi!» Rispose Tove, voltandosi brevemente nella sua direzione per poi affrettare il passo. «Il posto in cui volete andare è una tana di pazzoidi. Ce ne fosse uno con qualche rotella al posto giusto! Uno!» Esclamò, sollevando l'indice destro per enfatizzare il concetto. «No no e ancora no. Non c'era modo che vi lasciassi accompagnare lì da quel cretino solo per poi essere circondati da ancora più cretini. Non avrei avuto la coscienza a posto se l'avessi permesso, capite?» Dai loro sguardi intuì che non avessero capito affatto, ma ciò non la frenò dal continuare: «Ecco perchè ho deciso di scortarvi io. Così se a un certo punto ci ripensate e volete tornare a casa, non dovete fare altro che farmi un cenno e ci penso io a tirarvi fuori da quella gabbia di matti.»
Concluse, tirandosi su delle maniche invisibili.
«Un momento...» Mormorò il licantropo, affiaccandosi a lei. «Ma questo significa che... Tu non fai parte del gruppo?»
«Io!? Fare parte di quel circolo di svitati!?» Esclamò Tove, voltandosi verso di lei e rivolgendole uno sguardo così grave che sembrava le avesse appena rivolto il peggior insulto esistente. «Se mai dovessi unirmi a loro, allora chiama subito l'ospedale psichiatrico, mi raccomando. Piuttosto... Com'è che voi due ci volete entrare? Mi sembrate dei tipi a posto. Certo, tu un po' fuori di zucca ci sei... Ma quel colosso là dietro è più tenero di un agnellino!»
Nel sentirsi tirare in ballo, Kenneth sobbalzò, ma non fece in tempo a replicare, che Lillian riprese, senza neanche pensarci a smentire quanto detto dall'altra.
«Abbiamo le nostre ragioni.»
Tove le rivolse un'occhiata di sbieco, ma alla fine, decidendo che fosse meglio non insistere, tornò a puntare lo sguardo di fronte a sè.
L'aveva appena fatto, però, che si fermò di scatto, inchiodando i piedi per terra con una frenata così brusca che quasi rischiò che Kenneth le finisse addosso.
«Perché ti sei fermata?»
Le chiese il mezzelfo guardandosi intorno.
Si trovavano ancora nel bel mezzo del bosco, o meglio, in una radura, priva di alcun tipo di albero -vero o illusorio-, ma anche di qualsiasi genere di abitazione.
«Siamo arrivati.»
Rispose la troll, sorprendendo entrambi.
Il licantropo stava per chiederle cosa volesse dire, quando Tove, messi indice e medio in bocca, tirò un fischio così acuto da stordire entrambi per alcuni istanti.
Quando il mal di testa di Kenneth si placò e lui potè sollevare lo sguardo di fronte a sè, quasi non credette ai suoi occhi nel ritrovarsi di fronte una villetta a due piani dal tetto spiovente, con le pareti color verde smeraldo e circondate dall'edera.
Notando l'assenza di porte, stava per chiedere a Tove come intendesse entrare, ma alla troll bastò suonare il campanello una singola volta perchè una maniglia si materializzasse di fronte a lei.
«Dopo di voi.»
Disse la troll accennando un mezzo sorriso, tenendo spalancata per loro la porta di quella gabbia di matti.
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