7. Come mettere all'angolo un satiro
«È uno scherzo, vero?»
Il mezzelfo non riuscì a trattenere un leggero risolino all'udire quella domanda. Nel corso delle ultime ore lui stesso se l'era porsa almeno una decina di volte. Peccato solo che, dopo averci riflettuto più e più volte, era giunto all'amara conclusione che, per quanto fosse assurdo, si trattasse proprio della verità.
Scosse mestamente il capo, sotto lo sguardo sempre più incredulo dell'amica.
«Assurdo.» Mormorò Lillian. «Cioè, dopo quello che è successo ieri sera avevo intuito che dovesse esserci qualcosa di strano sotto, ma che si trattasse di un'assurdità del genere... Ma poi... Svein? Sul serio? È il ragazzo più timido e silenzioso che io conosca, non riuscirebbe a fare del male a una mosca. Sii serio, non può avere davvero qualcosa a che fare con questa storia!»
Kenneth si strinse nelle spalle, mentre il licantropo continuava ad osservarlo allibito.
Si trovavano in un piccolo parco situato a solo due isolati di distanza dal Elven Inn, seduti su una delle panchine di legno e intenti a calciare distrattamente i ciottoli che costituivano lo stretto sentiero che serpeggiava davanti a loro.
Il mezzelfo aveva trascinato lì il licantropo non appena aveva finito di dare a Svein e Linn le ultime novità riguardo i progetti del loro gruppo del Russ.
Non sapeva se fosse stata la cosa migliore da fare parlarne con lei, ma le scoperte fatte nel corso delle ultime ventiquattr'ore lo avevano scombussolato a tal punto che se non ne avesse parlato al più presto con qualcuno, temeva che sarebbe impazzito.
«Senti, Ken.» Sospirò pochi istanti dopo la diciannovenne, voltandosi verso l'amico e rivolgendogli un mezzo sorriso. «Secondo me non vale la pena preoccuparsi per questa faccenda.»
Il maggiore sussultò.
«Ma non hai sentito che...»
«Certo che ho sentito.» Lo interruppe lei alzando lo sguardo al cielo. «Un gruppo di pazzi, tra i quali sono compresi anche Svein e la tua crush, si sta riunendo in una casetta nel bosco per discutere di come distruggere l'umanità... E allora?»
Kenneth strabuzzò gli occhi.
«Come sarebbe a dire "e allora"?»
«Andiamo, rifletti.» Sbuffò Lillian, quasi spazientita. «Nel mondo, contando sia esseri umani che magici, siamo in dieci miliardi, undici contando anche le colonie di spiritelli e folletti che vivono nei boschi. Loro invece quanti sono? Quattro? Magari cinque? Dieci se vogliamo abbondare?»
«Sì, però...»
«Ascolta. Che le loro aure siano gialle, arancioni o addirittura rosse, dubito fortemente che costituiscano una vera minaccia per il resto della popolazione. Probabilmente non sono altro che un manipolo di reietti misantropi che si riunisce per lamentarsi a vanvera e battersi le mani a vicenda.»
«E con Svein cosa farai?»
«Finchè è tranquillo, proprio niente. Ma se per caso un giorno dovesse iniziare a comportarsi in modo strano, lo caccerò via dal gruppo senza pensarci due volte, ovviamente. Tanto non sono certo a corto di membri.»
«Senti, capisco perfettamente quello che vuoi dire, ma comunque non credo che fare finta di nulla sia la cosa giusta da fare. Forse dovremmo avvertire qualcuno o...»
Lillian gli rivolse un rapido sguardo e, nel vedere il suo volto preoccupato, sollevò un angolo delle labbra in un ghigno divertito.
«Oh, giusto. Come ho fatto a non capirlo prima? Il problema qui non è il genocidio di massa, vero? Quello che ti sconvolge tanto è l'aver scoperto che il tipo per cui ti sei preso una sbandata in realtà è uno svitato.»
«Non è vero! Io temo davvero che loro...»
«Non hai nulla di cui vergognarti, Ken. Prima o poi ci siamo passati tutti, sai?» Sospirò la ragazza, stravaccandosi contro lo schienale della panchina e portandosi le braccia dietro il capo, rivolgendo lo sguardo verso il cielo plumbeo. «Devo forse ricordarti di Eva? Tu lo sai quanto io odi i vampiri, eppure per lei ero disposta a passarci sopra. Non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, no? C'è sempre un'eccezione alla regola, giusto? Ne sono ancora convinta, ma dopo essere stata con lei ho capito che per quanto riguarda quelle sanguisughe non c'è storia. Sono tutte egoiste, avare ed egocentriche fino alla nausea. E dire che lo sapevo già fin troppo bene, ma, come si suoi dire, l'amore rende ciechi. Altrimenti che dire di Thomas? Due mesi di relazione passati con la convinzione che fosse il ragazzo migliore del mondo e poi cosa scopro? Che gli piace la pizza con l'ananas e mette il ketchup sulla pasta... Quello che sto cercando di dirti è che a volte le prime impressioni ingannano, Ken. So che è dura, ma prima te ne farai una ragione, meglio sarà per tutti.»
Concluse, posandogli una mano sulla spalla con un ennesimo sospiro.
Kenneth la osservò allibito, senza riuscire a capacitarsi del fatto che avesse lasciato quel povero ragazzo per un motivo del genere -era sempre stato convinto che il motivo fosse stato un tradimento o una semplice perdita di interesse da parte dell'amica-. Poi però, riscuotendosi dalle ultime scoperte fatte sulle vecchie relazioni del licantropo, tornò a concentrarsi sull'argomento principale della loro conversazione.
«Senti Lillian, ho capito che idea ti sei fatta di questa situazione, ma ti assicuro che non è così. Io sono stato in quella casa e anche se nessuno apparte Svein ha fatto nulla di strano, ho visto le loro aure. Erano spaventose, dire che siano pericolosi è dire poco. Se tu sei proprio convinta che siano innocui, ovviamente non posso costringerti a credermi, ma io non posso ignorare quello che hanno in mente di... Perché stai sorridendo?»
Lillian si mise una mano davanti al volto, scuotendo leggermente il capo come a chiedergli di scusarla.
«Mi dispiace, è solo che non ti ho mai visto così determinato. Hai ragione, non credo che quei tizi siano una minaccia, ma non significa mica che ti volterò le spalle. A dirla tutta ho già un piano in mente.»
«Un piano?» Replicò Kenneth strabuzzando gli occhi. «Non è nulla di avventato, vero? In realtà quello che avevo in mente di fare io era semplicemente di provare a raccogliere qualche prova da presentare alla polizia, così che se ne occupino loro.»
«Oh, tranquillo. Con il piano che ho in mente io, di prove ne raccoglieremo più che a sufficienza.» Quindi, iniziando a frugare nelle tasche del suo giacchetto: «Adesso, se non ti dispiace, avrei una telefonata da fare. È indispensabile per dare inizio al mio piano.»
Il mezzelfo annuì con fare leggermente titubante mentre dentro di sè, nel vedere il sorriso che comparve sulle labbra del licantropo mentre prendeva tra le mani il proprio cellulare, si ritrovò a deglutire e a chiedersi se dopotutto coinvolgerla fosse stata la scelta migliore.
«Pronto?» Disse Lillian al ricevitore, sotto lo sguardo attento del maggiore. «Come? No, tranquillo, non si tratta di quello. Piuttosto, ricordati di venire dopodomani, alle sette e mezza di sera da Ingrid, mi raccomando! ...Eh? Ah, sì, giusto. Quello che volevo chiederti è se per caso possiamo vederci questa sera, intorno alle sei, magari in quel bar vicino scuola, hai presente, no? Sì, esatto... Come? Oh, ecco, hai presente Kenneth? Sì, esatto, quello che ti ho presentato oggi. Vedi, proprio poco fa lui mi ha raccontato un paio di cose e... Insomma, il punto è che siamo entrambi interessati... Non fare il finto tonto, Svein, lo sai benissimo di cosa sto parlando. In questo momento non c'è nessuno lì vicino a te, giusto? ...Bene, allora posso dirlo: vogliamo unirci a voi. Anche noi vogliamo distruggere l'umanità.»
Pochi secondi dopo, Lillian mise fine alla telefonata e si voltò con un ghigno soddisfatto verso Kenneth, il quale la stava osservando con uno sguardo talmente allucinato che per un istante lei quasi temette di esserselo definitivamente giocato.
«Ma... Che cos'hai fatto?»
«Ho messo in moto il mio piano.» Rispose lei stringendosi brevemente nelle spalle. «La polizia non potrebbe fare nulla per noi, probabilmente si limiterebbero a fare un controllo e, non trovando nulla di particolare, li lascerebbero in pace. D'altronde non hanno mica ucciso qualcuno. Non ancora, almeno. Inoltre, non sappiamo neanche dove si trovi con esattezza questa casa... Sì, il mio piano è senza alcuna ombra di dubbio il migliore.» Concluse, annuendo con decisione.
«Ma io non posso farlo.» Mormorò il mezzelfo, senza ancora riuscire a capacitarsi di ciò che l'altra aveva appena fatto. «La sera devo lavorare alla locanda e ho l'università la mattina, proprio non posso...»
«Oh, sei un tale secchione che se manchi qualche giorno non ti succede niente.» Replicò il licantropo. «Invece, per quanto riguarda questa sera, il tuo datore di lavoro è tuo padre, diamine! Approfittane per una volta e chiedigli la sera libera. Per il resto, mi pare di aver capito che hai solo mattina e sera impegnate, quindi il pomeriggio è libero, no?» A quel punto tornò ad abbandonarsi contro lo schienale della panchina, con un sorriso sornione sulle labbra. «Beh, mi pare di aver risolto tutto, che ne dici?»
Kenneth la osservò in silenzio per alcuni istanti con gli occhi in fuori dalle orbite per lo sbigottimento, completamente frastornato da quell'inarrestabile tornado che era la sua migliore amica. Quindi, seguendo il suo esempio, si lasciò andare contro lo schienale e annuì lentamente con il capo. Lo sguardo perso nel vuoto, che seguiva distrattamente il lento volteggiare nell'aria di una foglia verde smeraldo, che terminò la sua breve odissea proprio ai suoi piedi.
Ancora non poteva saperlo con certezza, ma già allora iniziava ad intuire che con quella telefonata, anzi, a partire dal momento stesso in cui Ragnar aveva messo piede nel Elven Inn per la prima volta, la sua vita da comparsa fosse finalmente giunta al termine.
~
Gli occhietti scuri del satiro correvano freneticamente dall'uno all'altra, mentre il suo zoccolo caprino scandiva i secondo battendo ritmicamente, ma abbastanza piano da non farsi cacciare dalla barista, sul pavimento di assi di legno.
«Giusto per essere chiari.»
Proruppe dopo cinque minuti di un silenzio estenuante, durante i quali Kenneth e Lillian non avevano fatto altro che sorseggiare in tutta calma le rispettive cioccolate calde.
«Sì?»
Gli chiese il licantropo, alzando lentamente i suoi occhi ambrati su di lui.
E sarà stato per il fatto che lei era in parte lupo e lui in parte capra se Svein, nel vedersi puntare contro quello sguardo da predatore, si sentì rizzare tutti i peli del corpo e balzò sull'attenti.
«I-Il motivo per cui so-sono venuto...» Iniziò, per poi, nell'accorgersi di quanto la sua voce si stesse affievolendo, spostare lo sguardo sul mezzelfo, capendo di non essere in grado di sostenere quello della ragazza. «Mi sono solo incuriosito. Quello che mi hai detto al telefono... Non aveva alcun senso. Sono venuto qui solo per capire.»
«Ottimo. Allora ti aiuto io a capire.» Rispose il licantropo, costringendo l'altro a voltarsi nuovamente nella sua direzione. «Sappiamo cosa state combinando e vogliamo partecipare. Puoi metterci in contatto con i piani alti per chiedere di poterci unire a voi?»
«Pi-piani alti?»
Balbettò il satiro, strabuzzando gli occhi.
«Esatto. Immagino che questo piano sia partito da qualcuno e che sia questa persona a dirigere tutto. E immagino anche che questa persona non sia tu.»
Il ragazzo chinò lo sguardo sul proprio the verde, mordendosi leggermente il labbro inferiore. Il battito dei suoi zoccoli sul pavimento si fece più rapido, quasi nervoso.
A Kenneth faceva quasi pena, capiva la sua difficoltà. Nessuna persona dotata di un minimo di buon senso avrebbe mai fatto partecipare due completi sconosciuti ad un progetto di quella portata senza pensarci almeno due volte, soprattutto considerando il fatto che uno dei due aveva già fatto un giro nel loro covo e non ne era uscito esattamente nel migliore dei modi. Tuttavia, era anche vero che una persona che progettava di compiere un genocidio mondiale di buon senso doveva averne ben poco.
«Ecco, io... Dovrei sentire quello che ne pensa-... Che ne pensano gli altri.»
E si interruppe giusto un istante prima di tradirsi pronunciando quel nome.
Lillian però continuava a tenere gli occhi puntati contro di lui, al punto che Svein si ritrovò a inarcare le sopracciglia perplesso, chiedendole con lo sguardo cosa volesse ancora.
«Avanti.» Lo esortò il licantropo con un breve cenno del capo. «Chiama adesso. Noi ti aspettiamo.»
Svein ebbe alcuni istanti di esitazione, ma alla fine cedette e prese il suo cellulare.
Per ogni cifra che digitava -che non avesse salvato il numero in rubrica come precauzione?- sollevava lo sguardo prima verso uno e poi verso l'altra, come a chiedere loro un ulteriore conferma.
Non appena il telefono smise di squillare, calò il silenzio.
«Pronto?» Disse Svein in un filo di voce, rivolgendo un'ultima occhiata di sottecchi ai due. «Sì, è sempre per la stessa cosa. Sono qui con me in questo momento, a quanto pare sono proprio decisi. Cosa devo fare? ...Come? Oh, giusto, prima mi sono dimenticato di dirtelo. Si tratta di una mia compagna di classe, Lillian Mírdóttir. No, non me ne aveva mai parlato prima, oggi è stata la prima volta... Come? L'altro, dici? Si tratta del ragazzo di questa mattina... Sì, lui. Quindi cosa gli devo dire? ...Eh? Aspetta, ma sei proprio sicu-... Su-sul serio? Ok, ora... Ora glielo dico... Sì, a domani.»
Interruppe la chiamata e lentamente sollevò il capo verso i due, rivolgendo un lungo sguardo carico di sospetto in direzione del mezzelfo.
Nel vedersi quello sguardo grave puntato contro, Kenneth temette che il piano della sua amica fosse andato in fumo ancora prima di iniziare, quando il satiro, dopo aver fatto un respiro profondo, comunicò loro l'inaspettato verdetto:
«Siete dei nostri.»
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