4. Come (non) farsi rapire da una fata
La prima cosa che Kenneth sentì al suo risveglio fu l'odore intenso e pungente dell'incenso, che gli fece storcere il naso ed emettere un leggero colpo di tosse.
Per diverso tempo rimase immobile, con gli occhi ancora socchiusi e il corpo abbandonato contro un materasso troppo morbido e ampio per essere il suo.
Sentiva un dolore lancinante al capo, come se, mentre stava dormendo, qualcuno gli avesse aperto la testa per prendergli il cervello, lo avesse messo in un frullatore e poi lo avesse rimesso a posto.
Ci mise alcuni minuti per ricordare quali fossero stati gli ultimi avvenimenti che avevano preceduto quella sua perdita di conoscenza.
Ricordò quella luce pulsante color lavanda puntata contro i suoi occhi e le parole "temo di non avere altra scelta che cancellarti la memoria".
Pensò che alla fine non avesse funzionato poi così bene. Infatti riusciva ancora a ricordare tutti gli avvenimenti di quella sera, dall'aura rossa di Ragnar, alla sua conversazione con Lillian, all'arrivo di quella strega, Vilde, mentre stava buttando la spazzatura sul retro.
Una cosa però non riusciva a capirla: dove si trovava?
Finalmente aprì gli occhi e, con leggero sconcerto, la prima cosa che si ritrovò davanti fu nientemeno che la "notte stellata" di Van Gogh, dipinta con incredibile precisione sull'intero soffitto di quella camera da letto.
Si tirò su a sedere, guardandosi intorno mentre si massaggiava le tempie doloranti.
Quella stanza era il caos più assoluto.
Intorno a lui, sparsi disordinatamente ai piedi di quel grande letto a due piazze, c'erano una miriade di vestiti di ogni tipo, dalle gonne ai giacconi invernali, oltre a barattoli mezzi vuoti di vernice, tele sfondate, pennelli incrostati di pittura e cartacce di merendine da distributore.
E poi, abbandonate disordinatamente sulla superficie di una cassettiera, una fila di candele usate e bastoncini d'incenso. Solo due erano accesi, ma a quanto pareva erano più che sufficienti per appestare l'intera stanza.
La luce del mattino filtrava attraverso le tapparelle tirate giù solo per metà di una grande porta finestra.
Improvvisamente il mezzelfo si accorse di avere un disperato bisogno di aria fresca, così si alzò in piedi e, dopo aver constatato di avere addosso gli stessi vestiti di quella sera, iniziò a muoversi in direzione della luce, facendosi spazio tra tutte le cianfrusaglie sparse per terra.
Una volta arrivato davanti alla porta finestra, tirò su le serrande e la spalancò.
Si affacciava su un piccolo balcone, la cui ringhiera era completamente coperta da un intrico di rampicanti, edera e fiori di ogni tipo, ma ciò che lo lasciò davvero senza fiato fu ciò che poteva scorgere al di là di essa.
Perché si trovava nel bel mezzo di un bosco?
Il mal di testa si fece improvvisamente più forte e a quello andò a sommarsi anche un leggero senso di nausea, che lo costrinse a poggiare un fianco contro la parete per non perdere l'equilibrio.
Sentì il suo battito cardiaco accelerare e, mentre un brivido gelido gli percorreva la spina dorsale, si impose di non lasciarsi sopraffare dal panico.
Ma come poteva rimanere calmo in una situazione del genere?
Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse o come avesse fatto ad arrivarci e i suoi ultimi ricordi riguardavano una strega dall'aura arancione.
D'un tratto sentì la serratura scattare e si voltò in direzione della porta.
Era pronto a vedersi comparire davanti i riccioli biondi di Vilde o perfino gli occhi verde smeraldo di Ragnar, invece si ritrovò davanti una completa.sconosciuta, dai lunghi e lisci capelli verde prato e i grandi occhi spiritati, dall'iride rossa.
Era molto bassa e dal fisico snello, sicuramente non superava il metro e cinquanta, tuttavia dai lineamenti del suo viso Kenneth capì che doveva essere un po' più grande di lui, forse sui ventitrè anni. Indossava una lunga vestaglia bianca, sporca in più punti di schizzi di pittura, e camminava a piedi scalzi.
Inoltre era circondata da un'aura di un arancione così intenso da rasentare quasi il rosso.
«Finalmente ti sei svegliato.»
Sorrise la ragazza facendosi avanti di un paio di passi, perfettamente a proprio agio in mezzo a tutta quella confusione.
Ma il suo era un sorriso storto, che mise subito una grande agitazione al mezzelfo. Quegli occhi folli, quei capelli verdi, quei lineamenti delicati e dalla pelle così bianca, liscia e perfetta da sembrare di porcellana... Non c'erano dubbi: quella ragazza era una fata.
«Chi sei?»
«Yvette Gauthier.» Rispose, senza riuscire a mascherare, nel pronunciare il proprio nome, il suo lieve -per quanto evidente- accento francese. «Che succede? Perchè hai quell'aria spaventata?»
Kenneth aveva almeno cinque buone ragioni per cui in quel momento avrebbe dovuto provare paura, ma in realtà in quel momento era solo una quella che lo stava facendo impazzire: Yvette -probabilmente la stessa alla quale Vilde aveva accennato quando era entrata nella locanda per chiamare Ragnar- era una fata.
E se c'era una cosa per la quale le fate erano note era sicuramente la loro elevata suscettibilità, che combinata alla loro immaturità, al loro egocentrismo e alla loro isteria, le rendeva una delle specie più imprevedibili in assoluto, nonchè una delle più pericolose.
«Cosa ci faccio qui?»
Riuscì a chiedere il mezzelfo, mandando giù il groppo che gli si era formato in gola.
«Questa sì che è una buona domanda!» Esclamò Yvette, sorridendo così tanto da mostrare i piccoli denti, bianchi e lucenti come delle perle. «Peccato solo che io sia la persona sbagliata a cui porgerla. Non ne ho la più pallida idea, dico sul serio. Vilde mi ha promesso che me l'avrebbe spiegato questa mattina, ma ancora non si è svegliata. Tutto ciò che mi ha detto ieri è stato di occuparmi di te. Credo che si sia di nuovo confusa e abbia scagliato l'incatesimo sbagliato... Ma stai tranquillo, qualunque cosa ti abbia fatto, ora che ti ho curato non dovrebbero rimanerti effetti collaterali. Forse giusto un po' di nausea, ma vedrai che finirà presto.»
«Perchè mi ha portato qui?»
«Credo che, nell'accorgersi di averti fatto l'incantestimo sbagliato, Vilde sia semplicemente andata nel panico. Le accade spesso, sai? Non poteva certo abbandonarti in quelle condizioni, mentre portarti all'ospedale avrebbe comportato troppe complicazioni. E così... Eccoci qua.»
«Questa è casa tua?»
«Mia, di Vilde e di Ragnar.»
Il mezzelfo sussultò all'udire quel nome e senza quasi rendersene conto si ritrovò a sollevare gli angoli delle labbra in un lieve sorriso.
Ma all'inevitabile sollievo che aveva provato nello scoprire che il corvino si trovasse lì, andarono subito a scontrarsi i ricordi della sera precedente. E se il colore della sua aura non fosse ancora tornato alla normalità?
Non appena ebbe formulato questo pensiero, Kenneth riuscì finalmente a realizzare in che razza di situazione si fosse ritrovato: bloccato in una casa nel bel mezzo del bosco in compagnia di una fata e di una strega dalle aure arancioni e di un ragazzo che invece ce l'aveva addirittura rossa.
«Dove avete messo le mie scarpe?»
«All'ingresso.» Rispose Yvette, per poi assottigliare lo sguardo e inclinare leggermente il capo verso destra. «Perchè?»
«Non mi sembra il caso di mettermi a camminare scalzo per il bosco.»
Rispose il mezzelfo, cercando di ostentare una calma e sicurezza che sicuramente non gli appartenevano, o almeno non in quel momento.
«Non puoi ancora andare via.» Replicò la fata, appoggiandosi con la schiena contro la porta e incrociando le braccia al petto. «Prima Vilde deve spiegarmi per quale motivo ti ha portato qui e, se è proprio indispensabile, deve farti per bene l'incantestimo che ieri non le è riuscito, di qualunque cosa si trattasse.»
«Ma è assurdo!» Replicò lui strabuzzando gli occhi. «Questo è sequestro di persona!»
Yvette alzò le spalle, affatto impressionata.
Kenneth si guardò intorno, cercando di valutare la situazione quanto più razionalmente gli fosse possibile in quelle condizioni: quella ragazza era così bassa e minuta, che non ci avrebbe messo nulla a farla spostare da lì per liberarsi una via di fuga, peccato solo che non fosse solo una ragazza, ma anche una fata.
Non sapeva esattamente quali fossero i suoi poteri, ma non ci teneva a scoprirlo provandoli sulla sua pelle, soprattutto considerando quale fosse il colore della sua aura.
Inoltre non c'era solo lei, ma anche quella strega e probabilmente pure Ragnar.
No, sicuramente non aveva alcuna speranza contro di loro, inoltre quella stanza si trovava al secondo piano, quindi anche scappare buttandosi dal balcone era fuori discussione.
Per quanto fosse frustrante, non aveva altra scelta che aspettare l'arrivo di Vilde, così che gli facesse quell'incantesimo per fargli perdere la memoria e lo rispedisse a casa.
«Vuoi venire a fare colazione?»
«Eh?»
Replicò il mezzelfo, preso in contropiede.
«Insomma, dal tuo punto di vista potrà anche non sembrare, ma dal mio tu sei più simile ad un ospite piuttosto che a un prigioniero. Quindi... Hai fame o no?»
«Ehm... Sì, grazie. Ma prima mi puoi dire dov'è il bagno?»
«Conosco questo trucco, sai?» Replicò lei, continuando a tenere le labbra piegate in quel sorriso indecifrabile, da Gioconda. «Prima che tu ti faccia strane idee, sappi che la finestra del bagno è troppo alta e troppo stretta per te. Ma se proprio di scappa, allora dai, seguimi.»
E detto ciò, Yvette aprì la porta, incamminandosi per lo stretto corridoio con Kenneth al seguito.
Tutte le porte che incontrarono durante il tragitto erano chiuse, ad eccezione delle due più in fondo.
Il bagno era proprio la penultima porta sulla sinistra e questo diede al mezzelfo la possibilità di dare un'occhiata al volo ad entrambe.
Quella sulla destra era completamente buia e non riuscì a vedere nulla, l'altra invece aveva le tapparelle abbassate solo in parte, permettendogli così di scorgere un grande letto matrimoniale a baldacchino, sopra il quale si trovava un gruppo informe di coperte bianche. Probabilmente lì sotto c'era Vilde, ancora addormentata.
Se quella era la sua camera da letto, allora era possibile che quella completamente in ombra appartenesse a Ragnar?
Aveva appena formulato questo pensiero, quando Yvette spalancò la porta del bagno, invitandolo ad entrare con un cenno del capo.
Una volta dentro, il mezzelfo dovette constatare che effettivamente la finestra fosse fuori dalla sua portata. Non che avesse davvero considerato l'idea di scappare passando di lì. Ormai si era rassegnato all'idea di assecondare quei pazzi, dato che sembrava l'unico modo che aveva per tornare alla normalità.
Una volta che fu tornato in corridoio, notò con una certa sorpresa che Yvette non fosse lì ad aspettarlo.
Si guardò intorno, chiedendosi se fosse il caso di aspettarla o cercare una via di fuga.
Dei bassi mormorii provenienti dalla stanza accanto, però, mandarono subito in frantumi le sue speranze di fuga.
Yvette doveva essere entrata un attimo nella stanza di Vilde e da quello che sentiva, pareva che ora anche la strega fosse sveglia.
Non sapendo cosa fare, alla fine decise di affacciarsi, pensando che prima avesse messo fine a quella storia, meglio sarebbe stato per tutti.
Avrebbe dovuto semplicemente dire a Vilde di essere pronto, farsi fare quell'incantesimo e poi, al suo risveglio, ecco che si sarebbe ritrovato all'interno del Elven Inn.
Non appena si fu sporso per guardare all'interno della camera da letto, però, le parole gli morirono in gola.
Non aveva idea del perchè Vilde, Yvette e Ragnar vivessero insieme, ma ormai una cosa gli era chiara: se in quella casa c'era un terzo in comodo, si trattava sicuramente del corvino.
«Quel tipo è ancora qui?»
Stava mormorando Vilde stropicciandosi gli occhi.
«Certo, e dove sennò? Per caso speravi che il problema sarebbe sparito dormendoci su?» Replicò Yvette, accucciata ai piedi del letto. «Dai, adesso me lo vuoi dire cosa ci fa qui?»
«Dammi un momento.» Sbadigliò la strega, per poi girarsi su un fianco, così da avere l'altra davanti. «Devo ancora capire se sono sveglia o sto ancora sognando.»
«Vuoi un pizzicotto?»
«Meglio di no, ci tengo alla mia incolumità. Conoscendoti, mi resterebbe il segno per giorni. Piuttosto...» Aggiunse, allungando una mano fino a raggiungere il volto della fata, accarezzandole delicatamente la guancia per poi proseguire e far scorrere lentamente le dita tra i suoi capelli. «Me lo dai un...»
Ma Vilde non ebbe il tempo di finire la frase, che Yvette si era sporsa verso di lei, lasciandole un lungo bacio sulle labbra.
In quel momento esatto Kenneth si sentì picchiettare sulla spalla e la sorpresa fu tale che quasi si lasciò sfuggire un urlo.
Si ritirò di scatto, voltandosi alle sue spalle.
Anche se ovviamente già sapeva di chi si trattava, non potè fare altro che sussultare dalla sorpresa nel ritrovarsi tutto d'un tratto davanti quelle iridi color smeraldo. Riusciva a distinguere ognuna delle piccole vene che attraversavano le sclere e le sue lunghe ciglia scure. Poteva vedere il proprio viso incredulo riflesso in quelle pupille.
Non lo aveva mai visto così da vicino.
Troppo vicino.
«Sai, non penso sia il caso di rimanere qui.»
Disse Ragnar, affacciandosi per un istante oltre la spalla di Kenneth, per poi allungarsi e afferrare la maniglia per socchiudere la porta.
Kenneth si irrigidì. Strabuzzò gli occhi, senza riuscire a credere a ciò che stava vedendo.
«La tua aura...»
«Eh?»
Replicò il corvino, aggrottando la fronte.
«No... Niente...»
Mormorò con un filo di voce.
«Andiamo di là a fare colazione? Credo che quelle due ci metteranno ancora un po'.»
Propose Ragnar e Kenneth si ritrovò ad annuire leggermente con il capo, seguendolo poi per i corridoi in assoluto silenzio, senza riuscire a dire una sola parola.
Era così assurdo che quasi credette di stare sognando. Eppure era la verità: non riusciva più a vedere la sua aura.
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