31. Come disintossicare qualcuno
Con un tuffo il ragazzo si immerse in acqua, iniziando a scendere verso il fondale marino a grandi bracciate, facendosi spazio a fatica tra le centinaia, forse migliaia di carcasse di pesci e crostacei che lo circondavano.
Inizialmente si sforzò di trattenere il fiato, preoccupato che i calcoli di Ragnar si rivelassero errati. E invece ancora una volta l'intuizione del corvino si dimostrò corretta. Nel momento in cui dalle sue labbra si liberarono le ultime bollicine, scoprì che i suoi polmoni non reclamavano una nuova boccata d'aria. Forse non ne avevano mai avuto bisogno.
Circa dieci minuti dopo incontrò una barriera che gli impediva di proseguire verso il fondale.
La tastò a tentoni, cercando di capire di cosa si trattasse. Era sceso così in profondità che la luce del Sole non arrivava a illuminarla, ma grazie alla sua visione notturna -l'unica abilità da drow che aveva ereditato dalla madre-, riusciva a vedere nitidamente tutto ciò che gli stava intorno.
E quella parete che sentiva con il tatto, non c'era, o almeno, non riusciva a vederla.
Davanti a sè aveva la sabbia del fondale marino, circa cinque metri più in profondità, eppure c'era qualcosa che gli impediva di raggiungerlo, una sorta di barriera invisibile.
Una superficie liscia e solida, stranamente viscida.
Ritrasse le mani di scatto nel momento in cui realizzò di cosa si trattasse.
Aveva sentito le leggende che circolavano sul Miðgarðsormr -questo enorme serpente che giaceva sul fondale marino, così lungo da riuscire a cingere il mondo come un anello, prendendosi la coda con la bocca-, ma non pensava che andassero prese alla lettera. E invece a quanto pareva quel mostro era davvero grande come narravano i racconti dei marinai.
Kenneth iniziò a spostarsi tenendo sempre una mano sul dorso del serpente, così da non rischiare di perderlo. Ragnar gli aveva detto che per svegliarlo avrebbe dovuto nuotare fino a raggiungere il suo muso e lì strappargli la coda dalle fauci. Ancora non aveva ben chiaro come eseguire l'ultima fase del piano, ma per il momento decise di limitarsi alla prima.
Stava nuotando già da diverso tempo, però, quando una figura indistinta in lontananza attirò la sua attenzione.
Non poteva trattarsi di un animale: erano tutti morti a causa del veleno che Yvette e Vilde avevano versato in mare. Eppure si trattava sicuramente di un essere vivente e anche di grandi dimensioni, che si stava facendo sempre più vicino a lui correndo lungo il dorso del Miðgarðsormr.
Per un attimo Kenneth fu tentato di scappare o di risalire in superficie prima che lo raggiungesse, ma poi ricordò che, di qualunque cosa si fosse trattato, non avrebbe potuto nuocergli in alcun modo. Ancora faticava ad abituarsi a questa verità, eppure era così e, anche se fino a due giorni prima non ne era ancora a conoscenza, in realtà lo era sempre stato. Il solo fatto che in quel momento si trovasse in fondo al mare senza risentire minimamente del veleno con cui era stato contaminato e per di più senza alcuna bombola dell'ossigeno ne era la prova: era immortale, nel vero senso del termine. Qualunque cosa gli fosse successa, non sarebbe potuto morire.
Pur sapendo perfettamente tutto ciò, non potè fare a meno di tremare nel momento in cui sentì un forte ululato provenire dalla figura in avvicinamento e improvvisamente si ricordò di ciò che gli aveva rivelato la sorella quella notte, riguardo la spedizione all'isola di Fenrir. Anche se Ragnar li aveva incaricati di compiere un semplice sopralluogo per accertarsi che fosse lì, in realtà avevano finito con lo risvegliarlo. Lo avevano sconfitto facendolo cadere in mare con le zampe legate per impedirgli di nuotare in superficie, ma sapevano bene di non averlo messo fuori gioco definitivamente. E adesso il ragazzo aveva davanti a sè la prova che in effetti, nonostante tutto, il grande lupo demoniaco se la passava abbastanza bene.
Nel momento in cui Fenrir lo raggiunse, Kenneth non mosse un muscolo. In parte perchè paralizzato da quell'aura di forza e solennità che lo circondava, ma anche perchè, non appena si fermò di fronte a lui, il lupo non mostrò alcun segno di aggressività nei suoi confronti. Al contrario, si mise seduto e abbassò lo sguardo su di lui, guardandolo come un normale cane da compagnia potrebbe guardare il proprio padrone mentre è in attesa che gli lanci la pallina.
«Hai bisogno di aiuto a risvegliare mio fratello?»
Chiese dopo aver trascorso in silenzio il minuto più lungo della vita di Kenneth.
Di fronte a quella proposta, il ragazzo non potè che annuire leggermente con il capo, guardandolo come imbambolato con il naso all'insù.
Inizialmente provò un attimo di disorientamento nel sentirgli dire "fratello", ma poi ricordò che, Fenrir e Miðgarðsormr erano entrambi figli del dio Loki e della gigantessa Angrboða, i quali oltre a loro due avevano avuto anche una figlia, niente di meno che Hel, la regina degli Inferi.
«Sali.» Latrò Fenrir accuattandosi. «Così arriveremo in un attimo.»
Dopo un attimo di incertezza, il ragazzo riuscì a convincersi che dopotutto quella non fosse una trappola e con due bracciate riuscì a montargli sul dorso, aggrappandosi con forza a due ciuffi di pelo.
«Perchè... » Mormorò, chiedendosi se le sue parole sarebbero giunte alle orecchie del lupo anche se, trovandosi sott'acqua, lui per primo non riusciva a sentire la propria voce. «Perchè mi stai aiutando?»
«Mi sembra il minimo!» Rispose prontamente Fenrir, facendolo sobbalzare dalla sorpresa. «Se mia sorella scoprisse che non ti ho neanche offerto il mio aiuto per fare una cosa del genere, ce l'avrebbe con me per il resto dell'eternità! Ma poi, che razza di zio sarei se mi rifiutassi di dare una zampa a mio nipote?» Concluse scoppiando in una fragorosa risata.
E senza aggiungere altro iniziò a correre. Quando raggiunsero la coda del Miðgarðsormr, anche se non ci volle più di un minuto, la testa di Kenneth ormai si era riempita di così tante domande e dubbi che temette potesse esplodergli.
~
«Prova ancora.»
Suggerì il vampiro, ma, dato che l'altro non faceva nulla, stava per premere lui stesso il campanello, quando si vide passare davanti al naso nientemeno che il pugno del doppelgänger, che senza un solo attimo di esitazione andò ad infrangere la superficie di vetro della porta d'ingresso del condominio, infilandosi poi nel varco per aprire la porta dall'interno.
«Ma sei impazzito!?» Lo rimproverò Florian, guardandolo incredulo i cocci di vetro sparsi ai suoi piedi. «Bastava avere giusto un po' di pazienza che qualcuno sentisse il campanello e ci aprisse. Questa è una denuncia assicurata!»
«Una in più... Una in meno... Sai quanta differenza fa per me.»
Rispose Elias con una scrollata di spalle mentre gli sfilava davanti, entrando nell'edificio come se nulla fosse.
L'ascensore era fuori uso, così dovettero fare a piedi le tre rampe di scale, arrivando all'ultimo piano.
«Con questa che vuoi farci?» Borbottò Florian osservando la porta in legno davanti alla quale Elias si era piazzato. «Adesso mi prendi alla mo' di una testa d'ariete e mi usi per abbatterla?»
«Non sarebbe una cattiva idea.» Ammise il doppelgänger. «Ma questa volta andremo sul tradizionale.»
E così dicendo sollevò una mano.
In un primo momento il vampiro quasi temette che volesse buttarla giù a mani due, per cui rimase piuttosto sorpreso quando, invece, il ragazzo si limitò a bussarci su. Un colpo, una breve pausa, quattro colpi rapidi e poi altri due ben scanditi.
Non dovettero aspettare che un istante prima di sentire un rapido scalpiccio provenire dall'interno dell'appartamento. Al suono di quei passetti, seguì poi il rumore di una serie di catenacci e serrature che venivano aperte, finché finalmente la porta si aprì di uno spiraglio, mostrando il visino lentigginoso e rigato dalle lacrime di una bambina di otto anni, con gli occhi tutti arrossati per il piano.
«Gideon?» Mormorò lei, osservando confusa il volto del doppelgänger, per poi capire e sgranare gli occhi dalla sorpresa, distendendo le piccole labbra rosse in un largo sorriso. «Eli!»
«Ehi! Ciao, Anne.» La salutò il ragazzo accarezzandola dolcemente sul capo. «Perchè piangi? Dove sono gli altri?»
«Non li vedo da ieri.» Confessò lei tirando su con il naso. «Sono usciti di sera per fare una passeggiata al mare, ma poi non sono più tornati. Io sono rimasta qui per non lasciare da solo Gideon.»
«E lui come sta?»
La bambina lo osservò in silenzio per qualche istante e poi, nel notare tutti i lividi che lo ricoprivano, sorrise debolmente e, mentre so faceva da parte per lasciarli entrare, mormorò:
«Lo sai già.»
Stringendo le labbra in una linea sottile, il doppelgänger entrò nell'appartamento, percorrendo di filato il corto corridoio per poi entrare senza alcuna esitazione nella stanza sulla destra.
Florian lo seguì con calma, guardandosi intorno incuriosito.
La cucina pareva un campo da guerra, mentre i giochi sparsi un po' ovunque rivelavano la presenza di molti bambini, ma dalle foto sulle credenze si poteva vedere che c'erano anche diversi adolescenti. C'erano ragazzi diversi in ogni foto, ma la donna che li affiancava era sempre uguale.
Una casa famiglia.
«Sei un amico di Eli?»
Chiese Anne.
Florian sussultò. Non l'aveva sentita avvicinarsi.
«Ecco... Sì. Diciamo di sì.»
«Allora salvalo.» Disse lei afferrandogli la mano e stringendogliela tra le sue con forza. «Non voglio perdere anche lui.»
Pur non riuscendo a comprendere il vero significato di quelle parole, Florian annuì, per poi districare delicatamente la propria mano da quelle della bambina e raggiungere il doppelgänger nella camera in fondo al corridoio.
Nel vedere il volto scarno e livido del ragazzo disteso sul letto e riconoscendo nei tratti del suo viso, gli stessi di Elias, ebbe un sussulto. Spostando lo sguardo, notò poi il doppelgänger, intento a strappare dal ragazzo il piccolo ago che lo teneva collegato ad una flebo ormai vuota.
«Ancora non ti ha stufato il mio look?»
Ridacchiava debolmente il ragazzo disteso, mentre Elias alzava gli occhi al cielo, dirigendosi verso un mobiletto per prendere un medicinale.
«No. Infatti è per questo che sono qui: lo devo sistemare.»
E nel mentre continuava a frugare tra le varie boccette e confezioni di pasticche.
«A furia di indossare sempre gli stessi vestiti, finirai con il rovinarli. Ogni tanto c'è bisogno di rinnovare il guardaroba.»
«Senti, Gideon.» Sospirò Elias chiudendo le ante del mobile per poi rialzarsi e voltarsi verso di lui. Per un attimo lo sguardo gli cadde sul vampiro, fermo all'ingresso della stanza, ma poi tornò a concentrarsi sull'altro. «Che cosa stai cercando di dirmi?»
«Sto solo provando a far capire a quel cocciuto del mio fratellino che non c'è più bisogno che continui ad assumere il mio aspetto per controllare giorno e notte in che condizioni sono.»
«Lo sai che non è quello l'unico motivo. Ma poi, perché non sarebbe più necessario?»
Lentamente Gideon si tirò su a sedere, lasciandosi andare contro la tastiera del letto mentre continuava a tenere lo sguardo puntato in quello del fratello.
«Io sto morendo, Elias.»
«Non dire sciocchezze. Ti sei fatto qualche livido perché nessuno ha cambiato la flebo, ma ora te ne metto una nuova e-»
«Non è dell'emofilia che sto parlando. Ieri sera ho perso conoscenza e Anne, che in quei casi ha sempre visto Nora mettermi dell'acqua nella flebo per farmi restare idratato, dato che gli altri non tornavano, ha deciso di farlo lei stessa.»
«E dov'è il problema?»
«Ha usato l'acqua del rubinetto.»
«È potabile.»
«C'era del veleno dentro. Non so come ci sia potuto finire e ce n'era solo una piccola quantità, ma lo sento che circola dentro di me. Non penso che mi resti molto tempo.»
Elias continuò a guardarlo in silenzio per diverso tempo, come se stesse cercando senza successo di assimilare le sue parole.
Dischiuse le labbra, pur non sapendo lui per primo cosa stesse per dire, quando...
«Posso aiutarlo io.» Proruppe Florian, attirando subito su di sè l'attenzione dei due fratelli. Quindi, rivolgendosi a Gideon: «Io sono un vampiro. Posso succhiare il sangue infetto.»
«Ma potresti essere costretto a succhiarne parecchio prima di trovare quello avvelenato.» Replicò il ragazzo. «Ho sentito dire che i vampiri, quando bevono troppo sangue, rischiano di perdere il controllo e dissanguare completamente la loro vittima.»
«Non ti mentirò, quello che hai sentito dire è assolutamente vero, superato un litro nel novantanove per cento dei casi si impazzisce.» Ammise il vampiro chinando il capo. «È il motivo per cui ho deciso di essere astemio. È proprio così che mio padre uccise mia madre, una semplice umana. Tuttavia, io non ho intenzione di bere il tuo sangue. Ne sputerò ogni sorso. Non so se così eviterò di andare fuori controllo, ma penso che valga la pena provare. Alla fine, cos'hai da perdere?»
«Ma non puoi farlo!» Si intromise Elias. «E se succhiando il sangue infetto, venissi avvelenato tu?»
«Ho già detto che ne sputerò ogni sorso. Nè io, nè Gideon dovremmo correre rischi. Piuttosto, in caso mi ritrovassi costretto a succhiare molto sangue, poi avremmo modo di fargli una trasfusione?»
«Abbiamo lo stesso gruppo sanguigno.»
Mormorò il doppelgänger.
«Ottimo. Allora perché adesso non vai da Anne ad avvertirla che non deve assolutamente bere l'acqua del rubinetto? E magari poi resta un po' con lei, finchè non finiamo.»
«Ma, e se... No, d'accordo.» Si arrese Elias. Passando accanto a Florian, gli prese per un attimo la mano, intrecciando le dita con le sue. «Grazie.» Quindi uscì dalla camera da letto.
Non appena se ne fu andato, il vampiro chiuse la porta, quindi, accogliendo l'invito di Gideon, si andò a sedere sul bordo del letto.
Il solo guardare quella pelle candida e sentire l'odore del sangue che scorreva nella vena pulsante che aveva davanti, gli mandò in subbuglio lo stomaco. I canini d'un tratto gli sembrarono più affilati del solito, mentre la gola iniziò a bruciare. Con leggero sgomento notò che la bocca gli si stava riempiendo di saliva, gli era venuta l'acquolina.
«Ehi!» Esclamò Gideon, attirando la sua attenzione. «Non prendi una busta in cui sputare il sangue?»
Il vampiro non rispose.
«Come pensavo. Hai detto di essere astemio, giusto? Questo significa che non sei abituato. Una volta che inizierai, non riuscirai a fermarti, vero? Quindi è così che vuoi evitare di fare la fine di tuo padre? Quando avrai compiuto il tuo lavoro, sarà il veleno a impedirti di continuare? Sai, non penso che ad Elias possa piacere una soluzione del genere.»
Senza dire una parola, Florian tirò fuori il proprio cellulare dalla tasca dei pantaloni e mostrò a Gideon l'ultimo messaggio che gli era arrivato, risalente a poche ore prima.
«È uno scherzo?»
«Anche se è rompiscatole come pochi, sappi che non farei mai nulla che lo possa ferire.»
«Anche lui ha ricevuto questo messaggio?»
«Probabilmente sì. Ma non credo che abbia avuto il tempo di leggerlo. Saremo noi a fargli uno scherzo.»
«E la faccenda del "non farei mai nulla che lo possa ferire"?»
«È sempre valida, ovviamente. Ma un piccolo spavento di tanto in tanto non può fare che bene a un menefreghista come lui, non credi?»
Gideon sorrise, quindi sollevò il polso, lasciando che il vampiro affondasse i canini nella vena in cui gli era stato iniettato il veleno.
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