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2. Come (non) stalkerare la propria crush

«Ecco a lei.»

Mormorò il mezzelfo con un filo di voce, per poi, nell'accorgersi di quanto fosse suonato strano, mascherare il tutto con un leggero colpo di tosse.

Senza dare segno di averlo notato, il ventenne lo ringraziò e, sistemata la tazzina di fronte a sè, iniziò a rigirare il cucchiaino nel caffè di cui era stracolma.
Era strano che qualcuno chiedesse del caffè alle otto e mezza di sera, ma al momento Kenneth aveva sicuramente ben altro per la testa.

Cosa doveva fare?
Per quanto fosse proprio quello il suo vero lavoro, ossia assicurarsi che nel locale non circolasse gente malintenzionata, ora che stava accadendo, non aveva idea di come reagire.
E non solo perchè si trattava proprio del ragazzo per il quale si era preso una cotta, ma anchè perchè in quel momento Ragnar, benchè emanasse l'aura più terrificante che il mezzelfo avesse mai visto in tutta la sua vita, non sembrava affatto in procinto di fare qualcosa di male.

Si comportava nello stesso modo di sempre: stessa aria imperturbabile, stesso portamento calmo e controllato, stesso tono di voce basso ed educato e stesso sguardo attento e pacato al tempo stesso.
Non c'era assolutamente nulla che facesse sospettare che lui potesse costituire un qualsiasi tipo di minaccia per qualsiasi essere vivente che non fosse magari una zanzara.
Nulla tranne quell'aura dall'inconfondibile tonalità rosso sangue.

Neanche Herman, il cameriere che solitamente si voltava verso di lui all'arrivo di nuovi clienti, questa volta si era preoccupato di ricevere il segnale del mezzelfo prima di far accomodare il ventenne al bancone.
Dopotutto, al contrario ad esempio della chiassosa comitiva entrata poco prima, Ragnar Hagen era un semplice essere umano. Quale minaccia avrebbe mai potuto costituire per loro un ragazzo tranquillo e silenzioso come lui?

Kenneth non ne aveva alcuna idea, tuttavia non poteva certo ignorare il fatto che in quel momento davanti a lui, seduto al bancone del Elven Inn e intento a sorseggiare un caffè, ci fosse qualcuno dall'aura tanto minacciosa.

Rivolse un rapido sguardo verso Lillian e subito se lo vide ricambiare con uno altrettanto confuso.
Nel notare l'atteggiamento dell'amico, la ragazza aveva subito capito che ci fosse qualcosa di strano in quella situazione, tuttavia non riusciva proprio ad immaginare di cosa si trattasse.
Tutto ciò che sapeva era che per qualche motivo Kenneth sembrava a dir poco terrorizzato da quello che tecnicamente sarebbe dovuto essere l'oggetto della sua infatuazione e, di conseguenza, stare seduta proprio vicino a lui la stava mettendo incredibilmente a disagio. Senza neanche saperne la ragione, improvvisamente stava provando talmente tanta ansia che si era perfino trattenuta - cosa che non era assolutamente in linea con il suo carattere impulsivo - dal tirare una frecciatina a Kenneth, commentando il fatto che si fosse rivolto a Ragnar dandogli del "lei", nonostante fosse più piccolo di lui e quella fosse già la quattordicesima volta che si incontravano.

Ormai il licantropo e il mezzelfo stavano per soffocare da quanto l'aria si era fatta pesante, quando, passati cinque minuti esatti, il cellulare di Ragnar iniziò a squillare, sulle note di una tranquilla suoneria predefinita.
Fu come se quel trillo improvviso avesse ridestato i due da uno stato di trance, infrangendo quella cappa di ansia e tensione in cui si erano ritrovati imprigionati prima di rendersene conto.
Il corvino accettò la telefonata al terzo squillo e rispose brevemente in un paio di secchi monosillabi, ma a quel punto, nel sentire la risposta del suo interlocutore, sgranò leggermente gli occhi, per poi mormorare un "ok" e mettere fine alla chiamata.

Fatto ciò, chiese a Kenneth di fargli lo scontrino e nel mentre si affrettò a finire il proprio caffè in un solo sorso.

Preso in contropiede, il mezzelfo ebbe un lieve sussulto, ma subito si riscosse e annuì, porgendo solo pochi istanti dopo la ricevuta al ventenne, il quale lasciò sul bancone la cifra esatta e poi, rimettendosi il portafogli in tasca, si affrettò per uscire dalla locanda.

Kenneth e Lillian osservarono la porta chiudersi dietro di lui, mentre lentamente -come se fino a quel momento avessero avuto le orecchie tappate- tornavano a fare caso al baccano prodotto dagli altri clienti presenti nel locale.

Davvero era già finita?
In quel modo?
Senza alcuna complicazione?

Sembrava fin troppo bello per essere vero e Kenneth stava giusto per abbandonarsi ad un sospiro di sollievo, quando d'un tratto si accorse di un piccolo particolare: Ragnar aveva lasciato il suo zainetto appeso allo schienale della sedia.

Che se lo fosse semplicemente dimenticato o...?

"Che sciocchezza." Pensò scuotendo leggermente il capo, come per togliersi quel pensiero dalla testa. "Però..."

Era evidente che un essere umano da solo non avrebbe mai potuto costituire una vera minaccia per loro, considerando quanto fosse debole rispetto alla maggior parte degli esseri dotati di poteri magici presenti in quel locale. Ciò significava che l'unica spiegazione per quell'aura rossa era che Ragnar non fosse venuto lì disarmato.

«Lillian, passami quello zaino.»

«Eh?»

Replicò lei, notando solo in quel momento la presenza dell'oggetto.
In un primo momento esitò, ma poi, nel vedere lo sguardo allarmato dell'amico, intuì cosa gli stesse passando per la testa e fece come gli era stato detto.

Le mani di Kenneth tremavano leggermente mentre armeggiava con la lampo e intanto rivolse un paio di rapidi sguardi intorno a sè, sia per assicurarsi che nessuno lo avesse notato e sia per controllare se, nel caso lì dentro avesse trovato proprio ciò che temeva, ci fosse qualcuno in grado di aiutarlo.
Subito gli saltarono all'occhio la maga dai lunghi capelli verdastri e le due streghe sedute all'angolo. Una di loro tre doveva sicuramente conoscere un incantesimo per risolvere la situazione.

Con questa speranza fissa in mente, il mezzelfo spalancò lo zainetto e freneticamente iniziò a frugare al suo interno.
Delle cuffiette tutte attorcigliate, due pacchetti di fazzoletti ancora intatti, una confezione di mentine mezza vuota, una bottiglietta d'acqua, un astuccio e un quaderno.
Questo fu tutto ciò che trovò.
Inizialmente temette per l'astuccio, ma non dovette fare altro che aprirlo per constatare che dopotutto non avesse proprio strano di strano: conteneva solo due penne, una matita e una gomma.

Il sospiro di sollievo che gli proruppe dal petto in quel momento doveva contenere anche parte della sua anima da quanto fu profondo.
Era una fortuna che i mezzelfi fossero destinati a vivere in media cento ottant'anni, perché temeva di averne persi almeno trenta nel corso degli ultimi cinque minuti.

«Trovato nulla di sospetto?» Chiese Lillian, cercando di mascherare la sua evidente agitazione dietro un mezzo sorriso. «Una fata in barattolo, forse? Magari una bambolina voodoo? O si tratta semplicemente di una rivista di quelle un po'... Insomma, hai capito. Perché questa sì che sarebbe una notizia... bomba.»

Sarà stato per l'improvviso calo di adrenalina dovuto a quel sollievo da "scampato pericolo", ma Kenneth non riuscì proprio a trattenersi dallo scoppiare a ridere nel sentire come l'amica stesse cercando di chiedergli nel modo più vago possibile -sicuramente per non scatenare il panico in possibili ascoltatori- se quel ragazzo fosse una specie di terrorista.

«Come devo interpretare questa risata?» Chiese il licantropo, inarcando le sopracciglia interdetta. «È un attacco di isteria o...?»

Il mezzelfo scosse il capo e lei, alzato brevemente lo sguardo al cielo, si accasciò sul bancone con un sospiro di sollievo così lungo e profondo da sembrare quasi un ululato.

«Mi stavi facendo prendere un infarto.» Si lamentò. «Si può sapere che ti è preso? E sappi che se mi dirai che volevi solo frugare tra le sue cose, ti ritroverai questo pugno dritto sui denti, razza di stalker.»

«Ma che ti salta in mente? Figurati.» Sbuffò Kenneth alzando lo sguardo al cielo. «Pensavo davvero che ci fosse qualcosa di pericoloso qui dentro. A quanto pare però, non c'è assolutamente niente di strano.»

«E come mai l'hai pensato?» Replicò Lillian, assottigliando i suoi occhi dalle lunghe ciglia scure e le iridi ambrate. «Perchè hai iniziato a tremare molto prima di scoprire che Cenerentola si era lasciata dietro la scarpetta.»

«Riguarda la sua aura.» Rispose il maggiore, ignorando bellamente la strana metafora con la quale se n'era appena uscita l'amica. «Neanche io riesco ancora a crederci, ma... Era rossa. Non ci sono dubbi al riguardo.»

«Non è che sei daltonico?» Replicò lei, soffocando a stento una risata. «Sarebbe proprio il colmo, vero?»

Kenneth sbuffò e l'amica, capendo finalmente che forse quello non fosse il momento migliore per mettersi a scherzare, si scusò dandogli una leggera pacca sulla spalla.

«Beh, se quello che dici è vero, allora è proprio strano. Non stavi sempre a dire quanto ti piacesse la sua aura verde smeraldo?»

«Guarda che non ne parlo così spesso.» Borbottò lui, rivolgendole un'occhiata risentita. «Comunque hai ragione, è stranissimo... Deve essergli successo qualcosa di molto grave negli ultimi tempi, non vedo altre spiegazioni.»

«Qualunque cosa gli sia successa, sono felice che siamo ancora tutti interi.» Sospirò Lillian, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. «Dai, ora rimetti quello zaino a posto, prima che torni per riprenderselo.»

Kenneth stava per fare come suggeritogli dall'amica, quando però, nel momento in cui aveva iniziato a richiudere la cerniera, lo sguardo gli cadde nuovamente all'interno dello zaino.
Già prima aveva notato che lì dentro ci fosse anche un quaderno, ma ora che lo osservava meglio, non aveva più l'aria di un diario?
Certo, era strano che Ragnar tenesse un diario, ma d'altronde non era neanche così impossibile.
Ripensò a ciò che aveva detto prima a Lillian, ovvero al fatto che quell'aura rosso sangue fosse giustificabile solo dal fatto che di recente Ragnar avesse passato un brutto periodo.
Ovviamente non aveva la più pallida idea di cosa si potesse trattare, dopotutto non sapeva nulla di lui e sicuramente di quel passo le cose non sarebbero mai cambiate.
Ma allora, se tanto il rapporto tra loro sarebbe sempre rimasto quello tra cassiere e cliente, non avrebbe fatto male a nessuno se avesse dato solo una breve sbirciatina, no?

«Non riesco a credere ai miei occhi.» Commentò il licantropo, sollevando leggermente un angolo delle labbra. «E così sei davvero uno stalker, eh?»

«Non è vero!» Ribattè Kenneth, lasciandosi cadere il diario dalle mani per la sorpresa. «Volevo solo vedere di cosa si trattava... Un rapido sguardo e poi lo rimetto subito a posto.»

«Prima o poi gli voglio stringere la mano a questo tizio.» Commentò il licantropo, continuando a ghignare. «Senza fare assolutamente nulla, in soli due mesi è riuscito a farti fare una cosa del genere, quando invece io è da tre anni che provo a smuoverti e il massimo che sono riuscita a fare è stato trascinarti con me a fare bungee jumping.»

«Non me lo ricordare.»

Ribattè subito il mezzelfo, mentre la sua carnagione cinerea assumeva una lieve sfumatura verdastra al solo ricordo di quell'esperienza.

«Ad ogni modo, non appena ne avrò l'occasione, gli farò i miei più sinceri complimenti.»

Affermò lei, annuendo vigorosamente con il capo. Quindi si sporse sul bancone.

«Che vuoi?»

«Fai leggere anche a me.»

«Scordatelo!» Esclamò Kenneth senza un solo attimo di esitazione, mentre si chinava per riprendere il diario da terra. «Si tratterà sicuramente di cose private.»

«Appunto. Quindi esattamente cos'è che ti da più diritto di me di leggere quel diario?»

«In realtà non lo so neanche se è davvero un diario, potrebbe anche essere un semplice quaderno di scuola. Ma comunque, qualunque cosa sia, è inutile che insisti, non ti farò leggere nulla.»

Replicò il mezzelfo, per poi chinare il capo verso il pavimento e rivolgere uno sguardo accigliato alle pagine sulle quali il quaderno si era aperto durante la caduta.

«E va bene.» Stava sbuffando intanto Lillian in tono stizzito. «Se è così che la metti, allora adesso vado da Herman a dirgli di prepararmi quell'agnello e poi me ne torno al mio tavolo. Te lo scordi che resti qui a farti da palo. Mi rifarò viva non appena verrai scoperto.»

E detto ciò si alzò effettivamente dalla sedia per andare incontro al cameriere.
Kenneth però non fece caso a questo, nè alle ultime parole pronunciate dell'amica. Tutta la sua attenzione era stata assorbita da quel quaderno.
Non aveva paura di essere scoperto, dopotutto era ancora chino dietro il bancone. Lì era fuori dalla visuale di tutti. Al massimo sarebbe potuto passare uno dei camerieri a chiedergli cosa stesse combinando, ma al momento non se ne curò affatto.
Il tremito che lo aveva attraversato al momento dell'arrivo di Ragnar, tornò a farsi sentire, forse perfino più intenso di prima.

Il suo sguardo continuava a correre da un punto all'altro della pagina, in un misto di timore e sconcerto.
Cosa significava?
Era uno scherzo, vero?
Lo sfiorò il pensiero che forse Ragnar l'avesse lasciato lì apposta per ingannare qualcuno.
Tuttavia, anche se lo conosceva appena, non gli dava proprio l'idea di uno propenso a fare scherzi del genere.
Ma allora di cosa poteva trattarsi?
Magari era una storia?
Ma certo! Sicuramente lui era uno scrittore o forse uno sceneggiatore e quelli non erano altro che appunti necessari alla realizzazione della sua opera.
Non poteva esserci altra spiegazione possibile.

Eppure, per quanto stesse cercando di convincersi che non ci fosse nulla di strano o pericoloso in ciò che aveva davanti agli occhi, in qualche modo dentro di sé lo sapeva bene che non era affatto quella la verità.

Quella calligrafia fitta e precisa, che gli sembrava tanto appropriata ad un tipo tranquillo e controllato qual era Ragnar, aveva scritto su quelle pagine cose che Kenneth si sarebbe potuto aspettare giusto da qualche museo della tortura, ma neanche.

Cos'era quell'elenco di veleni evidentemente letali e dei loro relativi luoghi di origine? E quella specie di mappa incollata sulla pagina seguente? Vide scritta in un angolo la parola "fognature". Che fosse una mappa della rete idrica della città?
Ma cosa diamine aveva in mente di farci con quelle informazioni?
Era tutto così assurdo, fin troppo per essere vero.
Rapidamente Kenneth continuò a sfogliare il quaderno, fino ad arrivare alla prima pagina, che scoprì però ingombra di esercizi di fisica, così come quelle immediatamente successive. Ragnar aveva iniziato a scrivere quegli appunti solo a partire dalla trentesima pagina, forse per fare in modo che, nel caso in cui quel quaderno fosse finito per errore nelle mani di qualcuno e questi lo avesse iniziato a sfogliare, si sarebbe convinto del fatto che fosse un semplice quaderno di scuola.
Ma ad ogni modo sulla trentesima pagina, nella quale iniziava quello che Kenneth aveva erroneamente creduto il diario segreto di Ragnar Hagen, era scritto chiaro e tondo quale fosse lo scopo di quella raccolta di informazioni apparentemente senza senso.
E per quanto Kenneth avrebbe voluto crederlo uno scherzo, il ricordo di quell'aura rosso sangue non potè che farlo tremare dal terrore nel momento in cui, su quella "prima" pagina, lesse: "how to destroy humanity".

«Che peccato. A quanto pare sono arrivato troppo tardi.»

Commentò improvvisamente una voce, all'udire la quale Kenneth si sentì irrigidire.
Lentamente sollevò lo sguardo, incontrando nientemeno che gli impassibili occhi verdi di Ragnar Hagen.
Il ragazzo si era sporso sul bancone e ora, con il capo chino verso il basso, aveva ben chiaro quale fosse la situazione.

«Sai, ho almeno una decina di scuse pronte per casi del genere...» Disse in un sussurro. «Ma immagino che su di te non avrebbero effetto, vero? Ho sentito quello che si dice sul tuo conto, del fatto che puoi vedere le aure delle persone e capire in base al loro colore quanto siano pericolose. È davvero particolare come potere, sai?»

A quel punto allungò una mano, come per chiedergli di ridargli il quaderno. Senza dire una parola, Kenneth glielo consegnò.

«Senti...» Continuò solo pochi istanti dopo, mentre si stava sistemando lo zaino sulle spalle, sollevando improvvisamente i suoi occhi di smeraldo per incontrare quelli cobalto del mezzelfo. «Me lo sono sempre chiesto: di che colore è la mia anima?»

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