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1. Come (non) essere il protagonista

Lo scoppio di una fragorosa risata attirò subito lo sguardo della maggior parte degli avventori della locanda sulla porta d'ingresso, dalla quale stava entrando in quel momento un chiassoso gruppo di amici.

I presenti si sarebbero potuti sorprendere alla vista della vivace mutaforma dalla distintiva carnagione violetta che era stata l'origine di quella risata così esagerata, come anche della giovane maga dalla lunga chioma verdastra che teneva appeso al collo un vistoso medaglione di rubini, che le rimbalzava ritmicamente sul petto, o forse sarebbero potuti rimanere colpiti da quell'espansivo fauno che camminava al suo fianco, dal giovane e maldestro centauro, i cui zoccoli producevano un sordo ticchettio sulle travi in legno del pavimento, e dal burbero gnomo dall'ispida barbetta scura che li precedeva, facendosi largo con un'inaspettata destrezza tra i tavoli e i camerieri che circolavano per la sala... Sì, sarebbero potuti benissimo rimanere sorpresi dall'arrivo di creature del genere, ma non andò così.

Infatti lo sguardo dei clienti non si soffermò sui nuovi arrivati che per un istante, per poi passare oltre e tornare a dedicarsi alle rispettive cene.
Sarà stato perchè avevano cose più importanti a cui pensare, perché molti di loro erano già leggermente alticci o forse semplicemente perchè all'interno del Elven Inn, piccola locanda a conduzione familiare di Bergen, in Norvegia, sparsi tra una decina di umani, erano già presenti anche due streghe, un chiassoso gruppo di quattro folletti, un goblin e perfino una giovane licantropo.
Insomma, l'ingresso di quell'esuberante comitiva non rappresentava nulla di così fuori dall'ordinario da meritare più di un secondo della loro attenzione.

Solo una persona all'interno del locale rimase ad osservarli ancora per diverso tempo, finchè non si furono accomodati a uno dei tavoli e un cameriere non li ebbe raggiunti, porgendo loro due menù ed esponendo rapidamente le specialità del giorno.

Si trattava del cassiere, nonchè figlio maggiore del proprietario della locanda, Kenneth Nilsen.

Il giovane teneva gli occhi dalle iridi color cobalto leggermente assottigliati, con le pupille - di un'insolita sfumatura violacea, ma così scura da poter facilmente passare per nera - puntate sui cinque nuovi avventori.

Una leggera nebbiolina verde prato circondava la vivace mutaforma, così come il fauno. Il centauro invece ne emanava una di un intenso verde oliva, mentre quella verde scuro che avvolgeva la maga era di una sfumatura così simile a quella dei suoi capelli da sembrare quasi che fossero essi stessi ad emanarla. L'unico ad essere circondato da un'aura di un colore diverso era il vecchio gnomo, che ne possedeva una di un delicato giallo zafferano.

Il ventunenne disolse lo sguardo dal gruppo, facendo un un lieve cenno del capo in direzione del cameriere: segno che nessuno dei nuovi arrivati rappresentava una minaccia.

Kenneth infatti era l'unica persona in grado di vedere quelle aure.
Si trattava di un potere che possedeva fin dalla nascita e che, pur non essendo sicuramente altrettanto impressionante di quelli che aveva ereditato Linn, sua sorella minore, era comunque di grande utilità per il locale.
Le nebbioline che circondavano i cinque compagni, così come tutti gli altri esseri viventi presenti - husky e cocker compresi -, non erano esattamente delle aure, o almeno non lo erano così come si è soliti intenderle. Non si trattava esattamente della manifestazione fisica delle loro anime, ma solo del loro "grado di potenziale pericolosità".
Il colore di quelle nebbioline soffuse poteva andare solo dal verde al rosso, passando per tutte le sfumature di giallo e arancione. Più si avvicinava al verde, più l'essere in questione era innocuo, viceversa più era vicina al rosso, più c'era da mettersi in guardia.

Solitamente il colore dell'aura di un qualsiasi animale si manteneva costante per tutto il corso della sua vita. Diversamente avveniva per quanto riguardava quegli animali che erano dotati di una coscienza, ma anche in quel caso era molto raro che ci fossero cambiamenti troppo rapidi ed estremi, poteva avvenire giusto a causa di repentini sbalzi d'umore. Un verde prato poteva diventare verde bosco durante un periodo particolarmente stressante e un verde scuro poteva diventare giallo grano per merito di un bicchierino di troppo, ma nulla di più.
Era raro vedere aure arancioni, ma solitamente non duravano a lungo, giusto il tempo di farsi passare un'arrabbiatura particolarmente pesante.
Invece in tutta la sua vita a Kenneth era capitato solo un paio di volte di vedere un'aura rossa e, pur avendola vista al telegiornale, quindi attraverso lo schermo del proprio televisore, al sicuro tra le mura domestiche, in quelle occasioni si era sentito contorcere le viscere dal terrore e aveva subito dovuto cambiare canale.

Se c'era una cosa in cui Kenneth era bravo era proprio tenersi alla larga dei guai. Infatti non accadeva di rado che, camminando per strada e scorgendo in lontananza una nebbiolina color ocra o arancio mandarino, lui si ritrovasse a svoltare repentinamente in una strada secondaria, disposto a camminare cinque minuti in più del previsto piuttosto che passare accanto al possessore di quell'aura.

Qualche volta, alla vista di allegre comitive come quella appena entrata nella locanda, si sentiva stringere il petto da una strana forma di malinconia, di quel tipo che fa provare nostalgia nei confronti di qualcosa che non si è mai posseduto.
Di tanto in tanto, nel vedere quei gruppi così affiatati e quegli esseri dai poteri tanto strabilianti, non poteva fare a meno di chiedersi se non si trovasse all'interno di un epico film d'avventura, in cui il cliente di turno recitava la parte del protagonista e lui quella della comparsa, alla quale il più delle volte non veniva riservata neanche una battuta nell'intero copione, ma che serviva solo per fare scena, lì in silenzio sullo sfondo.

Con il suo metro e ottantadue di altezza, la sua carnagione color fuliggine, i suoi lisci capelli biondo cenere, le sue orecchie a punta e i suoi occhi dall'iride cobalto e la pupilla violetta, Kenneth non era di certo un ragazzo che in condizioni normali sarebbe passato inosservato. Tuttavia il suo atteggiamento schivo e il suo essere una persona di poche parole, in qualche modo andava a contrastare il suo aspetto appariscente, permettendogli di confondersi facilmente tra la folla.

Non si poteva dire che il mezzelfo non fosse minimamente dispiaciuto di recitare da sempre quel ruolo da comparsa e di non avere una vita particolarmente emozionante, ma sicuramente non se ne lamentava.
Anche se di tanto in tanto poteva capitargli di sentire il desiderio di buttarsi nella mischia e correre qualche rischio, la sua mentalità strettamente razionale glielo impediva, preferendo la sicurezza e banalità della routine al brivido di eccitazione dell'ignoto.

«Tutto in ordine, sceriffo?»

Ringhiò una diciannovenne dalla chioma corta e indomita, sedendosi con nonchalance su una delle sedie del bancone, dietro il quale Kenneth era impegnato a fingersi occupato e a mascherare la noia a suon di bicchieri e strofinacci.

«Come sempre. » Rispose lui, sbuffando leggermente all'udire l'appellativo con il quale l'amica gli si era rivolta. «Dovremmo stare attenti che lo gnomo non alzi troppo il gomito, ma per il resto non c'è nulla da temere.»

«Sai, è esilarante quanto prendi seriamente il tuo lavoro.» Commentò la ragazza, abbandonando la guancia contro il palmo della mano. «Ormai è da un anno che frequento abitualmente questo posto, eppure non ti ho mai sentito gridare "al lupo".»

Concluse, sollevando un'angolo delle labbra fino a mettere in mostra uno dei suoi lunghi canini acuminati.

«Se mi dovessi mettere a gridare tutte le volte che ti vedo, mi si strapperebbero le corde vocali.»

Replicò seccamente lui, mentre il licantropo scoppiava in una breve risata.

«Oh, ma la prima volta che mi hai visto, hai gridato eccome.»

«Solo perchè in quel momento stavi litigando con quel vampiro! La tua aura era diventata di un'arancione così scuro che stavo per andare a chiamare i rinforzi.»

«Da quando chiami "rinforzi" tua madre?»

Il ragazzo assottigliò lo sguardo, ma non ribattè, più infastidito dal tono strafottente con il quale l'amica aveva pronunciato quelle parole, piuttosto che dalla loro veridicità.
Anche se non si sarebbe mai sognato di mettersi a discuterne con lei, sinceramente non credeva che ci fosse nulla di cui vergognarsi nel fatto che nei momenti di pericolo il suo primo pensiero corresse alla madre. D'altronde lei era un Drow, un elfo oscuro. La sua era l'unica aura che avesse mai visto ad essere in grado di passare dal verde prato all'arancione scuro in un battito di ciglia e questo bastava per fargli capire quanto lei fosse potente, benché non l'avesse mai vista lottare seriamente contro qualcuno.

«Dannazione, anche se ho appena finito, mi è già tornato il buco allo stomaco.» Sospirò la ragazza, accasciandosi sfinita sul bancone. «Per caso vi è rimasto un po' di agnello?»

«Credo di sì. Comunque se stai qui puoi prendere solo da bere, lo sai. Torna al tuo tavolo, che ora ti mando un cameriere.»

«Ma da laggiù mi sarà impossibile continuare a prenderti in giro!»

Si lamentò lei, rivolgendo all'amico un ultimo ghigno, che lui ricambiò alzando lo sguardo al cielo.

Proprio in quel momento la porta d'ingresso della locanda si aprì, facendo entrare - insieme al nuovo avventore - una gelida ventata d'aria, che andò a scuotere i cappotti appesi all'appendiabiti e quasi tutte le piante presenti nella sala, che agitarono freneticamente le loro sottili fronde facendo tintinnare i graziosi vasi di ceramica nei quali erano contenute.
Questa volta non ci fu nessuna fragorosa risata ad attirare gli sguardi dei clienti, nè un qualsiasi altro tipo di suono degno di nota, oltre al debole e breve ululato del vento.
Lo stesso Kenneth non avrebbe fatto caso a quel nuovo arrivo se Lillian, grazie al suo udito finissimo, non si fosse voltata di scatto in quella direzione, per poi - nel riconoscere il cliente - allargare mostruosamente le labbra in un sorriso tutto denti che aveva quasi del grottesco.

«Guarda un po' chi si vede.» Commentò, senza distogliere lo sguardo dal nuovo arrivato. «Devo tornarmene al mio tavolo, Ken? O resto qui a darti manforte? Non ti assicuro nulla, però. Se accetterai il mio aiuto, sii consapevole che sarà a tuo rischio e pericolo.»

Per comprendere il senso delle sue parole sarebbe necessario tornare a quella sera di due mesi prima, quando Ragnar Hagen aveva fatto il suo ingresso nel Elven Inn per la prima volta.
Quell'aura verde smeraldo aveva catturato all'istante l'attenzione del mezzelfo, infondendogli un senso tale di calma e serenità, che non era riuscito a distogliere lo sguardo da lui per tutto il corso dei trentasette minuti durante i quali l'umano era rimasto seduto al bancone.
Bisognerebbe parlare poi dei loro incontri successivi, durante i quali era perfino riuscito a rivolgergli parole come: "buongiorno", "buonasera" e "arrivederci" - qualche volta era stato tentato di salutarlo con un "spero di rivederla presto", ma gli era sembrato troppo audace e così se l'era tenuto per sè -, per non parlare poi di quelle volte in cui era riuscito a sfiorargli la mano nell'atto di porgergli lo scontrino. Kenneth sarebbe stato in grado di scrivere un intero romanzo su ciò che era successo nel corso di quei loro tredici incontri (oltre ad uno speciale, chiaramente più lungo dell'originale, riguardante invece ciò che sarebbe potuto accadere, ma che di fatto era avvenuto solo nella sua mente). Lillian invece, che aveva assistito alla maggior parte di questi eventi e possedeva il dono della sintesi, avrebbe potuto riassumere il tutto in una sola parola: sbandata. Di quelle potenti.
E per quanto il licantropo dubitasse fortemente che questa cotta potesse evolversi in alcun modo, data l'estrema timidezza del mezzelfo, continuava comunque ad essere una grande fonte di intrattenimento per lei vedere come, al solo ingresso di quell'umano dall'aria tanto anonima, quel pezzo di ghiaccio del suo migliore amico si sciogliesse in una pozza di gioia, dolcezza e imbarazzo.

«Allora?» Chiese Lillian, non sentendo alcuna risposta da parte dell'altro. «Vuoi che resti o me ne torni a...»

Ma la ragazza non riuscì a mettere fine a quella frase, tanta fu la sua sorpresa nel momento in cui, voltatasi in direzione dell'amico, lo vide con gli occhi sbarrati dal terrore e la mano sinistra che tremava così irrefrenabilmente da farle temere che avrebbe lasciato cadere da un momento all'altro il bicchiere di vetro che stava stringendo.

«Ehi?» Gli chiese, mentre un sudore freddo le scorreva giù per la schiena, portandola a drizzarsi sull'attenti. «Cosa significa quella faccia?»

Kenneth non le rispose e, al contrario, strinse le labbra nel sentirsi porgere quella domanda.
Perché se non l'avesse fatto, alla vista di quella nube rosso sangue, era certo che non sarebbe riuscito a fare nulla di meglio che mettersi a gridare: "al lupo!".

• ~ •

Con questa conclusione tanto gioiosa, vi do il benvenuto nella mia nuova storia!
Come avrete notato questa volta il genere è una sorta di urban fantasy, in cui la storia è ambientata in un mondo tale e quale al nostro (e anche nella stessa epoca), con l'unica differenza che qui da sempre è perfettamente normale per gli esseri umani vivere insieme ad ogni tipo di creatura fantastica (dato che ogni luogo ha le sue leggende e i suoi mostri, in base a dove ci si trova alcuni sono più diffusi di altri).
Tutti quelli che sono dotati di una coscienza e hanno sembianze quasi umane (tipo fate, elfi, goblin, centauri, sirene, vampiri, licantropi etc.) sono considerati alla pari degli umani, mentre gli altri (unicorni, draghi, fenici, Nessie(?), ippogrifi, grifoni etc.) alla pari dei nostri normali animali.

Riguardo il potere di Kenneth, ammetto di essermelo inventato di sana pianta. È inutile fare ricerche su internet, teoricamente nessun mezzelfo (nè elfo, nè qualasiaso altro tipo di creatura) ne dovrebbe essere in possesso.

Invece per quanto riguardo il nome della locanda, ovvero Elven Inn, non è altro che la traduzione in norvegese di "la locanda dell'elfo" (molto originale, lo so).

Credo di aver detto tutto per ora.
Al prossimo capitolo,
Bye Bii!!!

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