Capitolo 7 - Parole e Ricordi
Principato di Monaco.
Monte-Carlo.
Il telefono stava squillando per l'ennesima volta, ma lei lo ignorava. Non aveva risposto ai messaggi che le erano arrivati precedentemente e tanto meno lo avrebbe fatto con le chiamate. Parlare era l'ultima cosa di cui aveva voglia. Eppure, sembrava essere l'unica di quell'idea.
Skye entrò in camera quasi in punta dei piedi, come se non fosse casa sua, osservando l'amica stesa a pancia in su sul letto, con i piedi poggiati però a terra. «Jourdan» la richiamò, per poi avvicinarsi subito a lei. Le porse semplicemente il suo cellulare, non aggiungendo una parola di più.
La ragazza tentennò, rimuginando sul da farsi, prima di cedere e afferrarlo svogliatamente. «Cosa vuoi?» rispose subito, non aveva avuto bisogno di guardare chi fosse.
«È da tre giorni che non ti vedo e non ti sento, santo Dio, Jourdan, ma cosa ti dice la testa?» domandò retoricamente Max, dall'altro capo.
Lei alzò gli occhi al cielo. «Finiscila. So benissimo che Skye ti ha avvisato nell'esatto momento in cui mi sono presentata da lei» lo smascherò.
«Questo comunque non cambia il fatto che sei sparita» rimbeccò, passandosi nervosamente una mano nei capelli chiari.
«Dopo Miami mi serviva una pausa» ammise, cercando in tutti i modi di non far ripotare la sua mente indietro a quel weekend. O meglio, a quella domenica.
Max sospirò, nemmeno lui voleva ricordare. Eppure, nessuno dei due riuscì a comandare i propri pensieri, che, in totale autonomia, riportarono tutto alla memoria. Le parole di Jos rimbombavano ancora nella testa di entrambi.
Dopo che Jourdan aveva lasciato quella stanza d'hotel, suo padre non aveva perso nemmeno un secondo per tirare fuori l'errore che aveva commesso in gara, perdendo due posizioni e così anche la possibilità di vittoria. E lui non aveva fatto altro, se non ascoltare le sue accuse assurde e provare, di tanto in tanto, a ribattere, sempre invano.
Non era cambiato nulla nel corso degli anni. Jos lo trattava duramente, allo stesso modo in cui faceva quando era un bambino. Solo che ora aveva ormai venticinque anni, due campionati del mondo alle spalle e ancora parecchia carriera davanti. Nonostante ciò, Max non riusciva comunque a contrastarlo. Tutto quel timore che gli aveva scaturito nei suoi confronti, negli anni della sua infanzia, non era svanito. In più, c'era questa strana convinzione nella sua mente, per la quale, tutto quello che Jos aveva fatto, comprese le urla, le minacce e le scenate, erano servite per farlo diventare il pilota che era.
Una convinzione che lui stesso aveva scelto di inculcarsi. Perché era più semplice credere che ogni cosa che aveva subito e sopportato durante la sua crescita, almeno era servita per portarlo dov'era. Eppure, in un angolino della sua mente, sapeva bene che avrebbe raggiunto lo stesso i suoi obbiettivi, anche con accanto un genitore più flessibile. Lo sapeva perché lo vedeva nei suoi compagni di griglia, quelli che avevano sempre avuto il proprio padre come mentore. Dei padri amorevoli e gentili.
Lo vedeva nel suo compagno di squadra, ogni qual volta in cui il papà si presentava a delle gare e lo sosteneva con tutto se stesso. Non importava in che posizione sarebbe arrivato, lui era lì a fare il tifo, dall'inizio alla fine. Una cosa che non faceva solo per suo figlio, ma era felice e incoraggiava anche lui, mentre Jos stentava anche solo a fare un sorriso durante una gara, le poche volte in cui decideva di farsi vivo. E se non saliva sul primo gradino del podio, era sempre e comunque una delusione.
Il papà di Checo faceva il tifo e incitava persino Lewis, anche se correva per il team che più di tutti si trovava in lotta con quello per il quale lavorava suo figlio. Lo faceva perché nella famiglia Perez, il pilota inglese era sempre stato il loro prediletto e Checo, alle volte, scherzava anche sul fatto che preferissero più Hamilton a lui.
Inoltre, Lewis stesso poteva contare non solo sul supporto del papà del suo teammate, ma anche su quello del suo stesso padre, il quale aveva dato tutto se stesso per poterlo far correre. Che, ogni qualvolta in cui poteva, non si perdeva nemmeno una gara ed era sempre pronto ad offrire a suo figlio una spalla sulla quale appoggiarsi. Questo, anche se per qualche anno il loro rapporto si fosse decisamente raffreddato.
Ed espandendo lo sguardo a tutta la griglia, vedeva i padri di ogni pilota sempre pronti a tifare per loro ed essere felici di ciò che facevano. Lui restava quindi il solo a non avere un papà su cui contare. Il solo a sentire sempre quello sguardo severo addosso e quelle parole dure. E se lo chiedeva spesso cosa si provasse ad avere al proprio fianco dei genitori premurosi ed amorevoli. Purtroppo però, non avrebbe mai saputo la risposta. E lo stesso valeva per sua sorella.
«Mi dispiace per come sono andate le cose. Non avevo idea che sarebbe venuto alla gara» e diceva la verità. Jos non l'aveva avvisato della sua presenza. Quando Max, giorni prima gli aveva chiesto se ci sarebbe stato, lui aveva risposto di no, che sarebbe stato in vacanza con la sua nuova fidanzata. Ma poi, evidentemente aveva cambiato idea, facendo ad entrambi quella sorpresa poco gradita.
Jourdan sorrise amaramente, stupita che ancora non avesse capito qualche fosse il reale problema in tutta quella situazione. «Max, tu non hai detto niente» decise allora di illuminarlo. «Non hai detto una sola cazzo di parola, mentre Jos mi accusava e mi diceva di andarmene, come se non fossi nessuno» proseguì, sentendo una morsa alla gola. «E sapevo di non essere nessuno per lui. Ma, non pensavo che, alla fine, anche per te fosse lo stesso» strinse maggiormente il cellulare nella mano, fino a farsi sbiancare le nocche.
«Non dirlo, Jourdan. Sai che non è così» si mise subito sulla difensiva. Infondo, lei lo sapeva il bene che le voleva. Eppure, sarebbe stato più semplice crederci se durante quei sedici anni di distanza lui avesse provato, anche solo una volta, a cercarla. D'altronde però, nemmeno lei aveva mai fatto quel primo passo. Entrambi i genitori, poi, avevano sempre cercato di impedirlo e tutto quel tempo perso, ora non glielo avrebbe restituito nessuno. «Comunque, io ci ho provato a ribattere, però lui-» la ragazza lo stoppò prima che potesse proseguire.
«Ci hai provato?!» si tirò a sedere di scatto, alzando decisamene il tono di voce e facendo sussultare Skye, che nel frattempo si era seduta alla sua scrivania, mentre fingeva di riordinare delle penne. «Hai balbettato qualcosa e quando ti ha zittito non hai più proferito parola, come se fossi la sua cazzo di marionetta!» esclamò.
Max sapeva che sua sorella era dalla parte della ragione. Ormai aveva perso il conto delle volte durante le quali avrebbe voluto rispondere al padre e zittirlo del tutto. Il punto era che non ci riusciva, non ci era mai riuscito ancora, perché il timore che provava nei suoi confronti, per via di come l'aveva cresciuto, glielo impediva. Era come se avesse un immaginario blocco interiore che non gli permetteva di contrastarlo.
«Lo sto facendo per te, Max. È per te che sto evitando di dire la verità sul fatto che siamo fratelli. E alla fine, come vedi, ci sto andando di mezzo solo io» gli fece notare. «Quello che non sopporto è che tu non vuoi smentire quella cazzo di voce solo per proteggere Jos» perché le sarebbe anche andato bene prendersi la colpa ed essere additata, se questo fosse stato per evitare di mettere in mezzo suo fratello. Lei tanto era abituata a stare al centro dei gossip, poteva sacrificarsi anche quella volta. Ma non per suo padre. Per lui non avrebbe fatto nulla, tanto meno coprirgli le spalle.
«Lo sto facendo per proteggere la nostra famiglia» anche lui sapeva che le cose non stavano affatto così. Non voleva dire la verità principalmente per paura di far arrabbiare Jos.
«Cazzate!» esclamò lei. «Lo stai facendo solo per lui» ribadì.
Max si lascò ricadere sul divano del salotto di casa sua, passandosi una mano sul volto e sospirando in modo frustrato. Non sapeva cosa fare, era difronte ad un bivio e prendere una decisione non era affatto semplice. Da una parte voleva dire la verità, per mettere a tacere quelle voci sulla loro falsa relazione e per evitare che Jourdan venisse perseguitata con speculazioni sulla sua vita sentimentale. Ma, dall'altra, non voleva che il mondo sapesse tutta quella particolare situazione che riguardava la sua famiglia.
Rivelandola, era consapevole del fatto che comunque i giornalisti avrebbero continuato a perseguitarli ancora per un po', non concentrandosi più solo su Jourdan, andando a cercare anche lui e soprattutto Jos. E magari sarebbero risaliti anche a sua madre, che non vedeva dal giorno in cui era andata in America con la sorella. Non era pronto a tutto ciò, era una situazione che non aveva la più pallida idea di come affrontare. Come avrebbe potuto gestire le domande invadenti, la miriade di articoli di giornale, la rabbia di Jos, l'eventuale dichiarazione di Agnes. Era tutto molto più grande di lui. Più grande di loro.
«Max» la sorella lo richiamò dall'altro capo del telefono, facendolo smettere di rimuginare. «Nessuno sta arrivando per salvarti» gli disse, come se, senza nemmeno vederlo, avesse intuito che si stesse facendo aggrovigliare il cervello dai pensieri. «Alle volte, il passo più spaventoso, quello che sembra più difficile, è la soluzione. L'unica soluzione» dopo tali parole, Jourdan sentì come un vuoto nello stomaco, ricordando un frammento della sua breve infanzia passata assieme al fratello. «La paura non è necessariamente una cosa negativa, ma tu devi comunque essere sempre pronto a guardarla in faccia e affrontarla.»
Il ragazzo bloccò ogni suo movimento, stoppò persino il suo respiro per qualche secondo, mentre viaggiava indietro nei ricordi e rivedeva davanti ai suoi occhi quella scena che avevano vissuto da bambini.
Max, quando era piccolo, per un periodo aveva avuto paura del buio, come spesso capita a quell'età. Alla sorella invece, ciò sembrava non creare alcun problema. Le camerette dei due si trovavano ai lati opposti del corridoio del secondo piano, divise da qualche metro, che però, da percorrere senza nemmeno una minima luce ad illuminare la strada, a lui sembravano chilometri. Quindi, rifugiarsi da lei non poteva essere una delle sue opzioni.
Faceva molta fatica ad addormentarsi e spesso gli capitava di avere degli incubi, che lo facevano svegliare nel mezzo della notte. Di questo, a suo padre non aveva mai parlato, perché lui gli ripeteva sempre che doveva essere forte, impassibile davanti ad ogni cosa, per evitare che gli avversari in pista potessero percepire i suoi punti deboli. Ed erano cose che gli ripeteva sin da quando aveva iniziato a muovere i primi passi, da ancora prima che salisse su un kart e provasse a guidarlo. Ecco perché parlarne con lui era escluso a priori.
Allora aveva provato a dirlo a sua madre, non appena si era presentata l'occasione che Jos partisse per prendere parte a delle gare, lasciandogli campo libero. E lei gli aveva procurato una piccola lucina dal colore caldo, da infilare nella presa accanto al letto, che illuminava tutta la sua stanza, quel tanto che bastava per permettergli di osservare chiaramente ogni cosa che lo circondava. I suoi problemi sembravano essere spariti, riusciva ad addormentarsi subito e quasi mai si risvegliava durante la notte.
Peccato però, che quella soluzione durò poco, perché un giorno Jos entrò in camera sua, andando a chiamarlo per la cena e i suoi occhi ricaddero subito su quella piccola lucina, che lui si era dimenticato di nascondere dentro il suo armadio. Si arrabbiò con il bambino e con la moglie, come se avesse trovato l'arma di un delitto, sostenendo che suo figlio non aveva alcun bisogno di una: "stupida lucetta per bambini paurosi".
Jourdan, tramite quella discussione avvenuta proprio al tavolo della cucina, venne a scoprire della paura del fratello. E quella stessa notte, assicurandosi di non essere vista o sentita da nessuno, uscì dalla sua stanza, camminando furtivamente lungo il corridoio buio ed entrando poi nella cameretta di Max.
Come già si aspettava, lo aveva trovato sveglio e il sussulto che aveva avuto, nel momento in cui la porta si era aperta, l'aveva portata a rassicurarlo subito sul fatto che fosse lei. Avvicinatasi al suo letto, si sedette accanto ad esso e lui si voltò su di un fianco. Non riuscivano a vedersi, perché la camera era completamente avvolta dalla notte, complice quella tapparella che non lasciava filtrare nemmeno un flebile raggio di luna. Così, lei allungò una mano, che Max non stentò a prendere. E fu in quell'occasione che gli disse quelle parole.
«Tante volte, il passo più spaventoso è la soluzione. La paura non è per forza una cosa negativa, come invece dice papà» lui le aveva stretto maggiormente la mano, come per ringraziarla senza però bisogno di proferire parola. «La paura fa paura, ma se la affronti poi magari ti rendi conto che era tutto nella tua testa» e con quella frase un po' abbozzata, frutto del ragionamento acuto di una bambina che però ancora non conosceva i migliori modi per esprimersi a parole, lo fece sorridere.
Jourdan rimase lì, fino a che lui si addormentò. E da quella volta, ogni sera sgattaiolava nella camera di suo fratello, per assicurarsi che riposasse sereno. Fino a quando, una notte di una settimana dopo, entrando nella stanza, lo trovò già perso nel mondo dei sogni e lo stesso fu per i successivi giorni. Fino a quando non ci fu più alcun bisogno che lei passasse a controllarlo, perché Max, alla fine, aveva sconfitto la sua paura. E lo aveva fatto grazie a lei.
Quel ricordò sembrò quasi pugnalarlo nel petto. Per tutto quel tempo aveva evitato di ripensare alla sua infanzia, ai momenti passati con la sorella. Aveva scelto di dimenticarli, così come aveva fatto anche lei. Perché fingere che nulla fosse mai esistito era più semplice, faceva meno male. Eppure, entrambi si erano resi conto, in quel momento, che in realtà non avevano scordato un bel niente. I ricordi erano ancora lì, nascosti in una remota parte delle loro menti, vividi come non mai.
«Perché la paura fa paura, ma se la affronti poi magari ti rendi conto che era tutto nella tua testa» Max ripetè quella frase, citando le testuali parole che lei gli aveva detto, ormai così tanti anni prima, facendola sorridere. Ed entrambi si resero conto di quanto tempo avevano perso e di quanto ne stessero perdendo, continuando a litigare e a mettersi l'uno contro l'altra.
«In questo caso, non è solo nella tua testa. È reale. Ma l'unico modo per uscirne resta comunque quello di affrontarla» Jourdan non si stava riferendo più solo alla voce che stava girando su di loro, si stava riferendo soprattutto alla paura che Max provava nei confronti di Jos, suggerendogli di affrontarlo.
«Gli parlerò, cercherò di farlo ragionare» era davvero convinto delle sue parole, un po' meno del fatto che sarebbe poi effettivamente riuscito a fargli cambiare idea. «Tu, però, puoi evitare di fare mosse avventate?» chiese, sapendo bene cosa avesse detto al padre, sostenendo che avrebbe rivelato lei stessa tutta la verità sulla loro famiglia.
Jourdan soppesò quella richiesta. «Non dirò niente, per il momento» puntualizzò, decisa a dargli quella possibilità e vedere come sarebbe andata.
«E... puoi tornare a casa questa sera?» aggiunse, attendendo una sua risposta, che ci stava mettendo decisamente più del previsto ad arrivare.
La ragazza lanciò un'occhiata all'amica, che essendo a pochi metri da lei aveva sentito tutta la conversazione, anche se stava fingendo che non fosse così. Skye annuì, suggerendole ciò che avrebbe dovuto dire. «Non lo so, vediamo» furono queste le parole che alla fine uscirono dalla bocca di Jourdan.
Entrambi si erano resi conto che litigare tra loro era inutile e portava solo più problemi a quelli che già avevano. Ciò però non annullava le parole che Max le aveva rivolto a Melbourne e il suo silenzio a Miami. Era brava nel dimenticare a memoria qualcosa, fingendo che non fosse mai successa, ma le ci voleva del tempo. Non poteva essere un processo immediato.
Chiuse quella telefonata, per poi sospirare e gettare la testa all'indietro. Skye, che fino ad allora aveva evitato di proferire parola, pose finalmente fine al suo silenzio. «Indipendentemente da quello che deciderai di fare questa sera, credo che oggi dovremmo uscire» le disse, facendole voltare la testa verso di lei. «È una bella giornata, fa caldo e l'hotel appena qui sotto ha una spiaggia privata dove potremmo passare il pomeriggio» propose, sapendo che distrarsi sarebbe stata la cosa migliore per lei. «Ma, se preferisci restartene chiusa in camera mia, a fissare il soffitto...» lasciò in sospeso quella frase, osservandola con un sopracciglio alzato.
Jourdan valutò quell'offerta. Restare in casa, a rimuginare su tutti i suoi problemi, non era decisamente la cosa migliore da fare. Dopo tre giorni chiusa lì dentro e soprattutto, dopo quella conversazione con suo fratello, era decisamente propensa ad uscire un po'. «Dovrai prestarmi un costume» proclamò, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la cabina armadio della sua amica. Skye sorrise, per poi scattare in piedi dalla sedia e seguirla.
Dopo decisamente più tempo del previsto, per cambiarsi e organizzarsi, le due riuscirono finalmente ad uscire di casa. Il complesso dove abitava Skye era di qualche livello sopraelevato rispetto al mare. Fortunatamente, nella strada sottostante al suo palazzo, vi era un ascensore che portava direttamente allo spiazzo dal quale poi si accedeva alla spiaggia, senza che dovessero fare chilometri e altrettante scale.
Si diressero all'interno di quell'hotel, dove lei era solita recarsi per usufruire della spiaggia privata che possedeva. «Signorina Harris, è un piacere rivederla» L'accolse subito il receptionist, uscendo dal retro del bancone e andandole incontro con un enorme sorriso stampato sulle labbra.
«Ciao, Stephan» lo salutò gentilmente. «Io e la mia amica avremmo proprio bisogno di rilassarci in riva al mare» confessò il motivo della sua visita.
«Non dica altro» rispose, alzando una mano e richiamando due ragazzi giovani che se ne stavano davanti alla larga scala. «Portate le ragazze alla spiaggia, fatele scegliere i lettini che preferiscono e accontentate ogni loro richiesta» si raccomandò quell'uomo, facendo intuire subito il trattamento speciale che riservava nei confronti della famiglia di Skye. Così come praticamente chiunque in quella città.
La ragazza sorrise, scuotendo la testa. «Sei il migliore» gli disse, per poi iniziare a seguire gli altri due, assieme alla sua amica. Presto si ritrovarono a poggiare i piedi sulla sabbia tiepida, scaldata dal sole, davanti a loro, una piccola insenatura creata artificialmente con degli scogli delimitava quella spiaggia. Si sistemarono sotto un ombrellone in riva al mare, spostato rispetto a tutti gli altri, per avere ancora più privacy nel caso in cui qualche altro cliente dell'hotel fosse sceso per usufruire di tale servizio.
Alcuni lettini erano già occupati, ma l'albergo in cui si trovavano era molto rinomato, in più, essendo nel Principato, le persone erano consapevoli di quella regola non scritta per la quale ognuno era bene che si facesse gli affari propri. La gente che popolava quella città era tutta abbiente, ognuno aveva i propri segreti e il proprio desiderio di privacy, ecco perché nessuno sembrava mai fare caso agli altri.
I due ragazzi stesero le asciugamani sui materassini di quelle sdraio e presero l'ordinazioni delle bevande fresche che gli stavano chiedendo, per poi tornare velocemente all'interno di quella struttura. «Non so se hai notato, ma in questi tre giorni in cui sei stata da me, ho evitato di chiederti dove fossi sparita durante la premiazione di Miami« Skye intavolò quel discorso, facendola da subito sospirare. «E, soprattutto, di domandarti il perché nella tua valigia ci fosse un cappellino della Mercedes» rivelò, stendendosi sul lettino con nonchalance.
Jourdan spalancò la bocca. «Hai frugato nella mia valigia?» chiese, togliendosi gli occhiali da sole e poggiando gli avambracci sulle cosce, fermandosi prima di sdraiarsi a sua volta.
«Non ho frugato» puntualizzò, fingendosi offesa. «Quando, martedì, mi hai chiesto di passarti il pigiama, l'ho semplicemente visto» spiegò, facendo aleggiare una mano, per poi proseguire subito, senza darle modo di ribattere. «Allora? La mia curiosità non merita un piccolo premio per essere stata così discreta e paziente?» si voltò verso di lei, guardandola come se fosse una bambina che cercava di convincere i genitori a comprarle un gelato.
L'amica scosse la testa quasi incredula. «Sono andata dietro al podio, perché avevo visto una donna fissarmi con insistenza e temevo fosse una giornalista» la bionda la stoppò prima che potesse proseguire.
«Sì, sì, e il cappellino della Mercedes come ci è finito nella tua valigia?» tagliò corto.
«Oh mio Dio, Skye. Dovresti smetterla di essere ossessionata dalla mia vita sentimentale e pensare un po' di più alla tua» l'ammonì, fissandola con occhi sgranati.
La bionda si tirò leggermente su, poggiando il peso sugli avambracci. «Lo farei, se solo ne avessi una» sbuffò.
«Dovrei iniziare a farti io da Cupido personale. Ma, visti i miei precedenti in fatto di scelta di partner, ti farei finire con persone dalle quali era meglio stare alla larga» fu a quel punto che si stese anche lei sul lettino. «E se deve andare così, tanto vale che ti ci metti da sola in questa situazione, provandoci con mio fratello» scherzò, trattenendo un sorriso.
«Sei proprio stronza» rispose l'amica, non riuscendo però a nascondere il suo divertimento per la battuta appena fatta.
Il tempo passò velocemente, tra un discorso e l'altro. Mentre Skye se ne stava stesa sotto il sole, Jourdan preferiva il riparo dell'ombrellone. Ordinarono anche il pranzo, decidendo di fermarsi su quella spiaggia ancora per un po'. Tutto attorno a loro sembrava tranquillo, la spiaggia si era svuotata anche di quelle poche persone prima presenti e il rumore delle onde sembrava quasi una ninnananna, animata di tanto in tanto dallo stridio dei gabbiani.
Era rilassante stare stesa su quel lettino, ascoltando i suoni di ciò che la circondava. Contrariamente a come si aspettava, quella situazione priva di distrazioni, non le dava modo di farsi sopraffare dai suoi pensieri. Anzi, le stava tenendo la mente libera, come se le uniche cose importanti fossero le rare nuvole che sporcavano il cielo blu, che stava osservando ormai da qualche minuto.
Un tipo di relax capace però di farla annoiare in pochi minuti. E così, nell'attesa dell'arrivo del loro pranzo, decise di alzarsi. «Vado a fare un bagno» avvisò l'amica. Skye non aprì gli occhi, continuando a prendere il sole e alzando un pollice, per farle capire di averla sentita.
Jourdan si avviò verso l'acqua, testandone dapprima la temperatura con i piedi. Era ancora fredda, quel sole di maggio non bastava per scaldarla a dovere e sapeva che se avesse voluto entrare avrebbe dovuto farlo lentamente. Mosse qualche passo in avanti, addentrandosi sempre di più, mentre sprofondava leggermente nella sabbia bagnata sotto di sé. Ma prima che potesse avanzare ancora, degli schizzi la colpirono, cogliendola del tutto di sorpresa.
Inarcò leggermente la schiena, quando la pelle venne a contatto con l'acqua fredda e si voltò quasi immediatamente, già pronta a prendersela con il responsabile. Non trovandosi davanti nessuno, abbassò lo sguardo e fu allora che i suoi occhi notarono il bulldog inglese che la stava fissando con la bocca mezza aperta e una parte di lingua di fuori.
Si lasciò andare ad un sorriso, davanti a quel cane dall'espressione buffa, per poi ritornare completamente verso la riva, avvicinandosi a lui. Piegò le ginocchia, abbassandosi alla sua altezza. «E tu chi sei?» domandò, nonostante sapesse benissimo che non avrebbe potuto avere alcuna risposta. Il cane continuò a fissarla, piegando leggermente la testa su di un lato, facendola sorridere di nuovo. Jourdan allungò una mano, accarezzandolo leggermente sul dorso. La sensazione del pelo morbido, nonostante fosse raso, sotto i polpastrelli era piacevole, in più, i colori di quel cane, che vedevano un alternarsi di marrone chiaro e bianco, le piacevano parecchio.
Il bulldog si avvicinò ulteriormente a lei, schiacciandosi contro la sua gamba e facendole intuire che quelle carezze gli piacessero. Non aveva mai avuto un cane, ma le sarebbe sempre piaciuto. E mentre rifletteva su ciò, un'ombra arrivò d'improvviso, stagliandosi accanto alla sua figura. «Roscoe, cosa combini?» quella domanda retorica la portò ad alzare lo sguardo, incrociandolo subito con quello di Lewis.
«Oh, è il tuo cane?» chiese, restando piegata in quella posizione, continuando ad accarezzarlo. Non aveva più visto il pilota sin dal loro ultimo incontro al bar dell'hotel. Durante il quale lui era sempre stato gentile e lei invece lo aveva ripagato con una specie di scenata, mettendolo in mezzo a problemi che non lo riguardavano minimamente, trattandolo come se quasi fosse colpa sua.
Lewis annuì. «Sì. Scusa se è venuto a disturbarti, ma ama così tanto la spiaggia e l'acqua che non riesce a trattenersi dal correre qua e là» le disse, abbassandosi a sua volta per dare anche lui una carezza al cane, che subito gli prestò tutte le sue attenzioni.
«Non... non preoccuparti» tentennò un po', indecisa se dire o meno ciò che in realtà stava pensando. Il pilota le rivolse un mezzo sorriso, facendo rendere conto ad entrambi della vicinanza dei loro volti, che quella posizione li aveva portati ad avere.
Si guardarono negli occhi per qualche secondo e fu lui ad interrompere quel contatto, ricordandosi di come fosse finito il loro incontro di tre giorni prima. Era stata decisamente scortese, lui aveva solo provato ad essere gentile e lei gli si era scagliata contro. Non le avrebbe dato altro peso. Restava sempre attratto da lei fisicamente, perché non poteva negare la bellezza di quella ragazza. E ancora di più, la curiosità nei suoi confronti rimaneva sempre massima. Ma non avrebbe fatto un'altra mossa, non con tali premesse.
Quello che decisamente non si aspettava, era che fosse lei invece a compierla. «Volevo...» si stoppò, spostandosi una ciocca di capelli dal volto. «Sì, insomma...» proseguì ancora, senza però articolare una frase completa, come se non trovasse le parole giuste. «Volevo chiederti scusa per l'altra sera» buttò fuori tutto d'un tratto, alzandosi in piedi velocemente.
Lewis aggrottò le sopracciglia, abbassando la testa e trattenendo un sorriso, evitando di mostrarle la sua espressione compiaciuta. «Me la sono presa con te per qualcosa che non ti riguarda. Ma era stata una giornata davvero pesante» si grattò leggermente la nuca, non sapendo dove guardare. Non era abituata a scusarsi o ammettere le sue colpe ad alta voce e non era nemmeno certa del perché lo avesse fatto in quel momento. Eppure, per qualche strana ragione, il suo cervello l'aveva portata a pensare che fosse semplicemente la cosa giusta.
Forse era stato il sorriso gentile del pilota, o il breve incontro con il suo cane. O forse ancora, la telefonava avuta prima con suo fratello, a farla ammorbidire un po'. In ogni caso, ora se ne stava lì, indecisa sul da farsi, mentre attendeva una sua qualsiasi risposta.
«Non preoccuparti, abbiamo tutti giornate no» parlò lui, dopo secondi che sembrarono ore intere. Si tirò in piedi a sua volta, portandosi una mano davanti agli occhi, per proteggersi dal sole.
Jourdan non capiva perché dovesse essere sempre tanto gentile. Durante la sua vita non aveva mai incontrato una persona così, sempre pronta a regalarti un sorriso, vestita di quell'apparente calma e razionalità. Ed era proprio questo che la confondeva, le era impossibile capire se il suo comportamento fosse solo una maschera o la realtà dei fatti.
I suoi pensieri e quel pesante silenzio che si era creato, vennero spezzati dal bulldog, che tornò ad avvicinarsi a lei. Con il muso le toccò il polpaccio, per poi dargli una piccola leccata. «Roscoe» lo richiamò Lewis. «Ama ricevere attenzioni» le disse poi, scuotendo leggermente la testa.
«Tranquillo, io adoro i cani» commentò, per poi abbassarsi ancora leggermente e lasciargli un'altra carezza sul capo.
«Sembri piacere molto anche a lui» constatò l'altro, parlando con un tono di voce più basso, come se quello in realtà fosse stato solo un pensiero nella sua mente, che poi invece aveva preso forma attraverso le parole.
Jourdan tornò con la schiena perfettamente dritta, lasciando che i suoi occhi lo osservassero per qualche secondo di troppo. Indossava dei pantaloncini della tuta e una semplice t-shirt, esattamente come al loro primo incontro sulla spiaggia. Niente cappellino quella volta però, solo le treccine, che restavano sempre ordinatamente tirate all'indietro e legate. Non aveva niente di nuovo, fatta eccezione per quel piccolo piercing che ora decorava la sua narice sinistra e brillava a contatto con la luce del sole. Solitamente non amava quel tipo di accessori, ma era incredibile come ogni cosa sembrasse fatta apposta per stargli perfettamente addosso.
«Comunque, ancora una volta sembri essere nel posto giusto al momento giusto» gli fece notare, riprendendo quella conversazione che avevano avuto nel bagno dell'hotel a Miami.
Lewis sorrise divertito. «A dire il vero, se dovessi fare come hai fatto tu e puntarti il dito contro, sosterrei che ora sei te quella che sembra seguirmi» alzò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto e notando la sua espressione confusa. «Prima ti ritrovo sotto il podio al circuito e ora qua, sotto casa mia» spiegò, prima ancora per potesse chiedergli delucidazioni riguardo la sua precedente affermazione.
La ragazza strabuzzò gli occhi, non aspettandosi minimamente quell'informazione. «Abiti qui?» chiese.
«Proprio lassù» indicò uno dei balconi ai piani più alti del palazzo dietro di loro. Un palazzo che sembrava condividere quella spiaggia privata con l'hotel proprio accanto ad esso.
Jourdan si morse l'interno guancia, trattenendo qualsiasi espressione sorpresa. «Okay, Hamilton, ho imparato la lezione. Mai puntare il dito, se non sei sicuro che gli altri non possano poi farlo anche con te» ammise, lasciandosi ricadere le braccia lungo i fianchi. Il pilota seguì quel movimento con gli occhi, fermandosi ad ammirare il suo corpo per qualche secondo di troppo.
Aveva indosso un costume dalla fantasia maculata, il pezzo sotto, caratterizzato da una vita alta, era decisamente sgambato, il che metteva in risalto le ossa più sporgenti dei fianchi e le cosce invece più tonde e carnose. Risalì con gli occhi sulla pancia piatta, notando poi la parte superiore di quell'indumento, composta da un reggiseno a balconcino, che contribuiva a marcare il seno, comunque non prosperoso. E, preso completamente dalla bellezza che quel corpo rappresentava per lui, si lasciò andare a porle una domanda che nemmeno lui si sarebbe aspettato. «Ci sarai a Imola settimana prossima?»
Lei ci rifletté su per qualche secondo, presa alla sprovvista, prima di ricordarsi quali sarebbero stati i suoi programmi. «Molto probabilmente sì» rispose. «Sabato sarà il compleanno della mia amica» si voltò verso di lei, facendo portare anche lo sguardo di Lewis in quella direzione. Skye li stava scrutando in modo discreto e quando si accorse della loro attenzione, rivolse un cenno del capo al pilota, seguito poi da un piccolo saluto con la mano. «So che per l'occasione voleva organizzare qualcosa lì da qualche parte in Italia. Perciò credo proprio che poi mi trascinerà anche al circuito» fece spallucce, concludendo quel discorso.
«Addirittura, ti trascinerà» citò le sue parole, virgolettandole con le dita. «Mi era sembrato che la gara di domenica scorsa ti fosse piaciuta invece» le rivolse un sorrisetto furbo, mostrandole in parte i denti perfettamente bianchi.
«Ti ho fatto i complimenti per il sorpasso e per la vittoria, non emozionarti troppo, Hamilton» lo prese in giro, stuzzicandolo e continuando a chiamarlo per cognome, cosa con la quale le sembrava di tenere comunque un certo distacco tra loro, nonostante i discorsi nei quali si addentravano.
Lewis si ritrovò ancora una volta a stare al gioco. «Chissà che magari non dovrai ripeterti anche dopo questa gara» le fece l'occhiolino, accennando un sorriso sornione.
«Questo dipenderà da te» si avvicinò di qualche passo a lui. «E da quanto sarai bravo a contrastare i tuoi rivali in pista. Rivali che, come tu stesso hai ammesso, non sono da sottovalutare» proseguì, quasi sussurrando quella frase, a pochi centimetri dalle sue labbra.
E prima ancora che se ne rendessero conto, si ritrovarono intrappolati in un intenso contatto visivo. Occhi negli occhi, quelle iridi dai colori completamente opposti ma dallo stesso sguardo intenso, intriso di furbizia.
Lewis pensò a quando sarebbe stato il momento giusto per dirle che ormai era a conoscenza anche lui del fatto che Max fosse in realtà suo fratello. Ma poi capì che non era decisamente quella la situazione adatta per farlo. «Potrei quindi ritrovarti sotto al podio» constatò allora, portando i suoi pensieri avanti nel tempo, focalizzandosi già sulla domenica di gara.
«Stai già sperando in un altro nostro incontro? Ti avevo detto di non emozionarti troppo» ribadì, portandosi la lingua ad inumidire il labbro inferiore, mentre l'indice andava a picchiettargli lo sterno, quasi a volerlo schernire.
Ma, prima che lui potesse rispondere a quell'ennesima provocazione, la suoneria del suo cellulare ruppe quella specie di bolla nella quale entrambi avevano scelto di rinchiudersi assieme. Lewis chiuse per un secondo gli occhi, smettendo di seguire il movimento del suo dito con lo sguardo, maledicendo il tempismo di quella telefonata, per poi recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloncini e leggere il nome sullo schermo. «Scusa, devo rispondere» le disse, muovendo qualche passo indietro e riportando una debita distanza tra i loro corpi.
«Hai finito di fare il playboy?» la voce di Toto gli risuonò nelle orecchie, portandolo subito a girarsi. Incontrò la sua figura, se ne stava fuori casa, nel giardino, vestito di tutto punto. Era in quei momenti che rimpiangeva il fatto di aver comprato un appartamento così vicino a quello del suo team principal. «Ti sto aspettando per pranzo e soprattutto per parlare degli aggiornamenti che porteremo in vista di Imola» specificò poi. Non riusciva a vedere la sua espressione da quella distanza, ma era sicuro che fosse alquanto divertito.
«Arrivo» rispose semplicemente, per poi porre fine a quella telefonata. Tornò a prestare attenzione alla ragazza che aveva davanti. «Devo andare» la informò.
Lei annuì, lanciando poi un'occhiata nella direzione di quell'uomo che ancora li stava osservando da lontano. «Ci vediamo questo weekend, forse» lo salutò così, marcando quell'ultima parola, per poi voltarsi e tornare verso il suo ombrellone. Lewis, la osservò allontanarsi per qualche secondo, non riuscendo a far sparire quel sorrisetto che gli stava increspando le labbra. Per poi richiamare Roscoe, che subito iniziò a seguirlo, mentre camminava in direzione del suo palazzo.
Jourdan raggiunse nuovamente la sua amica e Skye non perse occasione per commentare quanto appena visto. «No, perché avete smesso, io mi stavo divertendo a guardarvi» si portò gli occhiali da sole sopra la testa, tirandosi a sedere.
«Non cominciare» l'ammonì subito, puntando un dito nella sua direzione, ma lei sembrò non ascoltarla.
«Sembra proprio che finalmente abbia trovato una risposta al perché avevi un cappellino della Mercedes in valigia» gongolò, fissandola con un'espressione esaltata.
L'altra alzò gli occhi al cielo. «Skye, metti un freno a tutti i film mentali che ti stai già facendo» le mise una mano davanti al volto. «L'ho visto dopo la gara, mentre cercavo mio fratello e ora abbiamo solo parlato. Non c'è niente di più e non mi interessa nemmeno che ci sia qualcosa di più con lui» disse convinta, annuendo con la testa, come per dare ancora più sostegno alle sue parole.
Forse però, la sua mente la pensava in modo diverso. E anche lo sguardo che Skye le stava rivolgendo faceva intuire che nemmeno lei credesse a quelle parole.
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Non dimenticatevi di lasciare una stellina 🙏🏻
Pare che Max e Jourdan abbiano deciso di porre una tregua ai loro litigi. Quanto durerà?
I drammi sono sempre dietro l'angolo, ormai lo sapete, e potrebbero essere causati da molteplici fattori👀
Nel frattempo, Lewis ha accettato le scuse della ragazza e nessuno dei due ha lasciato perdere l'occasione per punzecchiarsi ancora un po'😏
Ora la domanda è: il circuito di Imola vedrà un altro loro incontro? E potrebbe essere proprio quello il luogo in cui scatterà la scintilla che accenderà la miccia della loro attrazione reciproca?
Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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