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Capitolo 6.1 - Non sfidarmi


Stati Uniti, Miami.
Miami International Autodrome.

Gli capitava spesso di perdersi nei suoi pensieri. Ogni tanto era del tutto involontario, altre volte, invece, era il suo modo di concentrarsi. Si estraniava da tutto e da tutti, concentrandosi solo su ciò che la sua mente gli diceva.

Lo faceva sempre prima di una gara, si ritagliava del tempo per ascoltare solo se stesso. Quel giorno però, la cosa gli risultava alquanto difficile. I giornalisti affollavano il paddock e parecchi fotografi, mischiati ai paparazzi, si aggiravano attenti, pronti a catturare ogni singolo istante saliente di quella domenica di gara. Lo aveva già sperimentato durante il resto dei giorni in cui si era ritrovato all'interno dell'autodromo, ma in quel momento tutto sembrava moltiplicato.

Era abituato a stare a contatto con tali persone, ad ogni evento pubblico a cui partecipava erano sempre smaniosi di scattargli foto o di fargli rilasciare interviste. E durante i weekend di gara non era diverso. Quando, quella mattina, era entrato nel paddock, una schiera di fotografi lo stava aspettando al di là dei tornelli, pronti ad immortalare il suo look di quel giorno. Non era un segreto il fatto che amasse la moda e i vestiti che sceglieva per presentarsi ai circuiti esprimevano appieno quella passione. Il suo abbigliamento faceva spesso parlare, in bene e in male, ecco perché i fotografi non vedevano l'ora di scoprire cosa avrebbe indossato giorno per giorno.

Aveva poi camminato, affiancato da Angela, verso il motorhome della Mercedes, fermandosi di tanto in tanto a fare foto con alcuni fan e sorridendo cordialmente ai giornalisti, che speravano di ricevere quanto prima possibile qualche informazione da lui su ciò che si aspettava dalla gara di quel giorno. Interviste che non avrebbe rilasciato. Preferiva evitarle e la maggior parte della volte ci riusciva anche, perché non gli piaceva parlare prima di correre, fare supposizioni e valutare ipotesi astratte. Lui voleva far parlare i fatti in pista e poi riflettere su ogni cosa a fine corsa.

In quel momento, dopo essersi confrontato con i membri del suo team, se ne stava sulla terrazza del motorhome, con gli avambracci poggiati al parapetto e lo sguardo che esaminava curioso le persone che camminavano sotto di lui. Stava quasi per prendersi il suo tempo per lasciarsi finalmente trasportare dai pensieri, quando però, la sua attenzione venne attirata da altro.

Una grossa calca di paparazzi era accorsa verso l'entrata del paddock, tutti con le loro macchine fotografiche strette tra le mani. Li riconoscevi subito i paparazzi, perché, a differenza di giornalisti e fotografi, a loro non interessava minimamente l'evento che quella pista avrebbe ospitato. L'unica cosa alla quale prestavano attenzione erano i movimenti dei piloti o di qualunque altra persona rilevante a livello pubblico dentro quell'autodromo. Erano insistenti con le domande, quasi sempre sconvenienti, e con la quantità spropositata di foto che scattavano. Cercavano sempre di ascoltare ogni conversazione, controllare ogni movimento, per poter pubblicare uno scoop, la maggior parte delle volte estrapolato dal contesto.

Aggrottò le sopracciglia, aguzzando la vista e cercando di capire cosa stesse succedendo. Erano a Miami, il fatto che a quel Gran Premio fossero presenti delle celebrità non era affatto una novità. Lewis si disse che probabilmente doveva essere arrivato qualcuno di parecchio famoso. E, presto, si rese conto di aver ragione.

«Cazzo» queste erano state le parole uscite dalla bocca di Skye, nell'esatto momento in cui si erano avvicinate all'entrata principale di quell'autodromo.

Jourdan le lanciò un'occhiata veloce. «Io te l'avevo detto. Qui i paparazzi sono estremamente determinati e fastidiosi» commentò, sistemandosi meglio i grossi occhiali da sole sul naso. Non aveva fatto sapere della sua presenza a quella gara, eppure quei due giorni passati in città erano bastati per spargere la voce che si trovasse lì e loro avevano fiutato abbondantemente la possibilità che potesse essere anche presente a quel Gran Premio.

«Sì, ma non mi aspettavo...» lasciò in sospeso quella frase, vedendo l'amica muovere qualche passo in avanti. «Sei sicura di farcela?» le chiese, guardandola di sottecchi. Skye non aveva idea di quanto davvero tutto ciò la facesse sentire oppressa, quanto le scatenasse uno enorme senso di panico interiore, che le faceva venire solo voglia di scappare. Jourdan non glielo aveva mai confessato, ma non era stato comunque difficile comprendere che tali eventi fossero alquanto complicati da affrontare per lei.

Aveva passato quasi un anno intero chiusa dentro casa, le poche volte in cui era uscita, trascorreva gran parte del tempo a guardarsi attorno, ispezionando ogni angolo che la circondava e assicurandosi che non vi fosse nessuno che la stava osservando. Tale atteggiamento, poi, con il tempo, si era affievolito, ma non era mai scomparso del tutto. Ogni tanto le capitava ancora di far scattare lo sguardo nei dintorni e assicurarsi di non essere al centro dell'attenzione di qualche fotografo. Questo, a Skye era bastato per intuire quanto, situazioni come quella alla quale stavano andando incontro, potessero essere complicate da gestire per la sua amica.

«Non preoccuparti, è tutta la vita che sono circondata da macchine fotografiche. Lo odio, ma so come affrontarlo» negli anni aveva imparato a convivere con tutta quell'attenzione mediatica e gestire il senso di panico che essa le poteva scaturire. Solitamente, non era brava a controllarsi, le riusciva solo in tali occasioni, perché, con il tempo, si era sviluppato come un vero e proprio istinto di sopravvivenza quello di dover convivere circondata da paparazzi e giornalisti. La sua mente l'aveva portata a pensare: "O lo affronto o affondo." E così aveva scelto di fingere che quegli obbiettivi, quei flash e quelle domande invadenti, non fossero un problema.

Le sue emozioni erano un casino, lei lo era. Ma aveva imparato a non crollare mai davanti agli occhi degli altri. Si arrabbiava, litigava, esagerava, rideva, urlava, ma non crollava mai. Quegli obbiettivi l'avevano catturata in quasi tutti i momenti della sua vita, mai però erano riusciti a vederla crollare. Non una lacrima, un'espressione di sconforto, di tristezza, nulla che facesse capire il suo reale e perenne stato d'animo. Poteva anche star vivendo la sua giornata peggiore, il momento più difficile, eppure, solo quanto sarebbe arrivata a casa, tra mura sicure, lontano da qualsiasi sguardo, si sarebbe lasciata andare. Avrebbe fatto fuoriuscire quelle emozioni e dato libero sfogo all'enorme tristezza e infelicità che si portava dentro.

E questo, purtroppo, era l'unico insegnamento che suo padre le avesse mai dato durante quei pochi anni passati con lui, che lei aveva scelto inconsciamente di mettere in pratica. Lo stesso insegnamento che aveva condiviso anche con suo fratello, creando così due bambini incapaci di esprimere il proprio malessere in modo sano o persino di riconoscerlo per poterlo affrontare. Una condizione che entrambi si erano portati avanti anche crescendo e con la quale dovevano ora convivere.

«Andiamo» disse all'amica, incitandola a seguirla, rivolgendole un piccolo sorriso rassicurante. Camminarono fino a raggiungere i tornelli, una volta lì, allungarono il pass che avevano al collo, scansionandolo. Entrarono nel paddock e nessuno di quei paparazzi sembrò deciso a darle un minimo di respiro, accerchiando lei e Skye sin da subito.

I suoi occhi lo inquadrarono immediatamente. Fu la prima persona sui quali si posarono, come se l'istinto le avesse suggerito di guardare proprio nella sua direzione. Quell'uomo, quel giornalista, lo stesso che aveva intimato a Max di dire la verità sulla sua famiglia, lo stesso che per primo aveva reso pubblico il suo più grande scandalo, era lì.

«Oh, Rob, da quanto tempo» parlò Jourdan, osservandolo attraverso le lenti scure. «Scommetto che ti ero mancata» aggiunse, abbassandosi di poco gli occhiali.

«Sei uscita dall'ombra quindi?» rispose con un'altra domanda e un'espressione gongolante del viso.

Jourdan continuò a camminare, affiancata dalla sua amica e circondata dai fotografi. «Non ti esaltare troppo» lo ammonì, provando un profondo senso di fastidio nei suoi confronti.

Altri giornalisti iniziarono a chiamare il suo nome, smaniosi di ricevere la sua attenzione e avere delle risposte alle loro domande. «Jourdan, come mai sei qui oggi?» chiese una donna, allungando il registratore. «Sei venuta per vedere la gara di Max?» aggiunse poi, facendole alzare gli occhi al cielo.

«State assieme?» domandò un altro uomo, convincendola sempre di più a non rispondere.

«O forse sei qui per Pierre?» i suoi passi si stopparono e gli occhi di Skye si sgranarono. Nessuna delle due si aspettava tale domanda. Nella su lei e il ragazzo era mai uscito, nessuno al di fuori dei suoi amici era a conoscenza del fatto che andasse a letto con lui. Era decisa ad ignorare anche quelle parole, fingendo di non averle nemmeno sentite, non dando loro la minima importanza, quando però la sua amica decise di rompere il silenzio.

«Jourdan...» lasciò in sospeso la frase, non iniziandola nemmeno, limitandosi a mostrarle lo schermo del suo cellulare. Una foto la ritraeva assieme a Pierre, lui aveva un braccio attorno alle sue spalle e stavano ridendo, mentre si guardavano. Era stata scattata prima che entrassero all'evento in quell'hotel di Miami. Sopra di essa campeggiava la scritta:

"Jourdan ha una nuova passione: i piloti."

La ragazza sentì l'aria mancarle per qualche secondo, prima di trovare il coraggio di scorrere con quelle foto, che, in sequenza, li vedevano entrare dentro l'albergo.

"La modella sembra essersi già stancata del due volte campione del mondo, Max Verstappen. Il francese, Pierre Gasly, ha attirato la sua attenzione adesso. Nascerà una nuova storia? O tutto finirà in pochi giorni, attenendosi al modus operandi per il quale i due sono famosi?"

Chi aveva scattato quelle foto e scritto tale articolo, aveva completamente omesso la presenza di Max, che al momento dell'ingresso in hotel si trovava qualche metro dietro di loro, affiancato da Skye. Non lo avevano citato, non avevano costruito la storia su di lui, sottolineando come fosse accompagnato da un'altra ragazza. Avevano messo in mezzo solo lei, come sempre succedeva.

Prese un profondo respiro, cercando di calmare i suoi pensieri e il battito cardiaco che stava accelerando. Fu come se si fosse resa conto solo in quel momento di essere circondata da parecchie persone, da registratori e macchine fotografiche con fastidiosi flash. La realtà le piombò addosso e il senso di panico iniziò a chiuderle la gola. Doveva andare via da lì, lontano da quei giornalisti, in un luogo dove nessuno le avrebbe posto domande o scattato fastidiose fotografie. Non poteva permettersi di crollare davanti a tutti, non avrebbe dato loro quella soddisfazione.

Chiunque fosse l'autore di quelle foto, oltre ad essere sfuggito alla sua attenzione, aveva anche aspettato prima di pubblicarle. Aveva atteso il momento più adatto, quello che avrebbe portato a fare più scalpore possibile. La sua presenza a Miami aveva iniziato a far girare la voce che potesse presentarsi alla gara, data la falsa notizia che stava girando sulla sua possibile storia con Max. Ed ecco che, nell'esatto momento in cui lei aveva messo piede dentro il circuito, quel qualcuno aveva deciso che fosse arrivato il momento perfetto per diffondere le fotografie che la ritraevano in compagnia di un altro pilota, cucendoci sopra un nuovo gossip.

Adesso le gente pensava che avesse una storia con Pierre e che essa fosse il motivo per cui la sua frequentazione con Max fosse terminata. Il che, dati i suoi precedenti, i quali l'avevano vista parecchie volte protagonista di relazioni che duravano solo pochi giorni, lo rendeva tranquillamente possibile. Altri, invece, pensavano che stesse frequentando entrambi, magari anche a loro insaputa. E anche questa teoria veniva avvalorata dal suo passato, in quanto, era capitato che fosse stata beccata a vedersi con due ragazzi diversi. E senza la presenza di un fattore certo che confermava o smentiva tali pensieri, essi avevano campo libero per proliferare nelle menti delle persone.

Voltò la testa, prima a destra e poi a sinistra, cercando una possibile via di fuga, che però non trovò. L'unica cosa che scorse fu nuovamente il volto di quel giornalista. Rob si era fatto più da parte, aveva lasciato penzolare al collo la macchina fotografica, ora teneva in mano il suo telefono e la guardava con un'espressione sorniona. Non le servì altro per capire chi avesse prodotto quegli scatti e chi avesse deciso di diffonderli proprio in quel momento.

Rob era sempre stato in prima linea quando si trattava di parlare della modella, perché le notizie su Jourdan, di qualsiasi genere fossero, facevano vendere più di chiunque altro. E non aveva mancato di farle sapere che, non importava per quanto tempo si fosse nascosta, lui non si era dimenticato di lei.
Lo fissò ancora per qualche secondo, prima che lui alzasse le mani e mimasse un "Ops" con le labbra. Fu a quel punto che la ragazza serrò la mandibola, per poi rivolgergli un dito medio e riprendere a camminare velocemente, avviandosi sempre di più all'interno di quel paddock, passando tra i vari motorhome.

Per tutto quel tempo tempo aveva tenuto lo sguardo puntato verso l'asfalto, percependo accanto a sé la presenza della sua amica, che non aveva potuto essere nulla di più che uno spettatore passivo di quella vicenda. Quando si decise ad alzarlo, incontrò subito due occhi azzurri, glaciali, che le fecero pentire subito di averlo fatto e ancor di più di essere lì.

Le iridi di suo padre l'avevano inchiodata ancora prima che potesse salire quei pochi gradini che la separavano dall'entrata del motorhome della Red Bull. La fissava in modo severo, con un'espressione arrabbiata e le braccia incrociate al petto. Jourdan non aveva la minima idea del fatto che ci sarebbe stato anche lui presente a quella gara, altrimenti ci avrebbe pensato su più di una volta, prima di presentarsi su quel circuito, o addirittura di partire per andare a Miami anche lei.

Intanto, Lewis, dall'alto della sua terrazza, aveva osservato tutta la scena. Per quanto ci avesse provato, non era riuscito ad evitare di ripensare a quel loro piccolo incontro nel bagno dell'hotel. Al modo in cui il corpo di lei aveva avuto un fremito quando le sue dita le avevano sfiorato il collo. Ai pensieri irrazionali che avevano invaso la sua mente. Ecco perché, dal momento in cui l'aveva vista in lontananza, i suoi occhi si erano ancorati alla figura della ragazza, seguendola in ogni movimento.

Ne aveva scrutato i vestiti, indossava un paio di pantaloni beige, dal taglio elegante, con sopra un top bianco dal profondo scollo a V e le maniche tagliate a canotta, messe in risalto da spalline leggermente sporgenti, che riportavano allo stile degli anni '70. Gli occhiali da sole erano grossi, tanto da coprirle gran parte del viso e ciò gli impediva di osservare e capire le sue espressioni. I capelli, nonostante il caldo, erano sciolti e le ricadevano morbidamente sulle spalle scoperte.

L'aveva vista scambiarsi alcune parole con uno dei paparazzi, l'aveva vista camminare e accennare qualche sorriso. E poi l'aveva vista fermarsi di scatto, mentre la sua amica le mostrava lo schermo del telefono. Le labbra si erano chiuse in una linea dritta, eliminando qualsiasi alone del sorriso che precedentemente le dominava e le sue mani si erano serrate in due pugni. Aveva visto il gesto rivolto a quel giornalista, lo stesso con cui prima stava parlando, per poi riprendere a camminare con un passo decisamente più sostenuto, fino a scomparire dal suo raggio visivo.

Curioso di capire cosa fosse successo per farle cambiare in modo così repentino l'umore, provò a recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Cercò il nome della ragazza su internet, venendo subito travolto dalla quantità di foto e articoli che erano usciti negli ultimi minuti. La ritraevano tutti assieme a Pierre Gasly, mentre erano intenti a ridere e stavano facendo il loro ingresso all'evento che la FIA aveva organizzato.

Non era una novità per lui, li aveva visti assieme durante quella sera, seduti allo stesso tavolo e poi nell'auto che li avrebbe riportati all'hotel dove tutti loro alloggiavano. Ciò che gli fece alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa, furono tutti i pettegolezzi che quegli articoli riportavano. Voci infondate, volte solo a creare scalpore e diffondere la notizia, fatte apposta per far parlare e portare più numeri alle loro riviste. Senza però pensare minimamente che dall'altro lato vi erano una o più persone che ci avrebbero rimesso. Conosceva bene come funzionava quella parte infima del giornalismo, perché lui stesso era stato, molteplici volte, protagonista di gossip.

Qualche volta, alcune voci che uscivano potevano anche avere ragione, celare dietro un minimo di verità, mentre altre volte erano del tutto false e infondate. Quello che accomunava ogni gossip, però, era il fatto di non avere mai un contesto preciso e dettagli a sufficienza per permettere di diffonderli o di giudicarli. Ma questo alle persone non importava.

«Lewis» la voce di Angela lo riportò alla realtà, costringendolo a voltarsi nella sua direzione. «Tra poco inizia la parata» lo informò. Si rese conto di essere rimasto su quella terrazza decisamente di più di quello che si era prefissato. Assieme alla donna, scese le scale, tornando direttamente e poggiare i piedi sull'asfalto della strada sottostante. «Tieni, prima non l'hai bevuto» gli porse il suo termos con dentro la bevanda energetica di origine naturale che era solito bere prima di una gara.

«Grazie, Angie. Se non ci fossi tu» rispose, sorridendole genuinamente.

«Sì, esatto» scherzò lei, lasciandogli una leggera pacca sulla spalla.

Raggiunse la pista, salutandola e dicendole che, come sempre, si sarebbero visti dopo. Camminò velocemente, fino all'auto che quel giorno li avrebbe portati a fare il giro del circuito, per farsi vedere da tutti i tifosi presenti sugli spalti. Salutò anche gli altri piloti con i quali incrociò lo sguardo, attraverso gli occhiali da sole che portava e sorrise cordialmente ad alcuni giornalisti sportivi che si trovavano tra le varie macchine, intenti a strappare qualche veloce intervista prima che la parata partisse.

Si accorse solo all'ultimo del fatto che il suo teammate gli stesse facendo un video con il cellulare. «Cosa combini?» gli chiese, fermandosi vicino alla sua auto, regalandogli un ottimo primo piano.

«Controlla le notifiche» disse semplicemente George. Lewis recuperò ancora una volta il telefono, per poi aprire Instagram e visualizzare la storia in cui il ragazzo lo aveva appena menzionato.

"Sempre in ritardo."
Recitava la scritta posta sopra al video che prima riprendeva il resto dei piloti, già posizionati sulle loro macchine e poi si concentrava su di lui, che entrava in pista, camminando velocemente, fino a un primo piano sorridente.

«Simpatico» scosse la testa, trattenendo una risata. «Però hai ragione» confermò poi, rendendosi conto anche da solo che gli capitava davvero molto spesso di essere in ritardo per qualsiasi evento che lo concerneva.

«Lo so» rispose l'altro, sorridendo divertito.

Lewis si sbrigò poi a raggiungere la macchina che gli era stata assegnata. Salutò l'autista che quel giorno avrebbe guidato per lui e poi finalmente saltò sul sedile del passeggero, sistemandosi con i piedi sulla seduta e il resto del corpo che sporgeva dal tettuccio aperto.
Il fatto che ognuno di loro fosse in una macchina diversa, gli dava finalmente la possibilità di potersi prendere del tempo per riflettere come piaceva a lui. Recuperò le cuffiette dalla tasca dei larghi pantaloni rosa fluo che indossava e le infilò nelle orecchie, facendo subito partire uno dei suoi pezzi preferiti. Ascoltare la musica e lasciare che la mente si svuotasse, concentrandosi solo sulle melodie, lo rilassava parecchio.

Nel frattempo, la giornata di Jourdan non stava andando affatto come si era immaginata. Dal momento in cui era entrata all'interno del motorhome della Red Bull, suo fratello era uscito per poter prendere parte alla parata, mentre il padre non le aveva rivolto nemmeno una parola, limitandosi a fissarla con sdegno, da lontano. «Vuoi andare nei box per seguire la gara?» le chiese Skye, seduta sul divano in pelle nera di quella stanzetta privata, mentre sorseggiava un caffè preso qualche secondo prima.

Jourdan scosse la testa. «No, stare lì significherebbe solo farsi riprendere dalle telecamere. Non voglio altri problemi» rispose, cercando di riflettere. Ci teneva a vedere la gara di suo fratello, a vederla bene dal vivo per la prima volta in vita sua. Ma voleva davvero evitare di attirare ancora l'attenzione su di sé e soprattuto di portare possibili distrazioni o fastidi per le persone che stavano lavorando ai box.

«Andiamo sopra la pit-lane, ci sono delle stanze private in cui seguire la gara. Basta stare lontano dalla terrazza e nessuna telecamera potrà raggiungerti» saltò su Skye, tirandosi in piedi di scatto e lanciando una veloce occhiata all'orologio appeso alla parete difronte a lei. «Faccio una telefonata a mio padre e gli dico di avvisare che stiamo arrivando, così ci lasceranno una stanza solo per noi due» proseguì, cercando di decifrare l'espressione dell'amica, per capire se fosse d'accordo con quell'idea.

La modella ci rifletté su per qualche secondo, prima di annuire decisa. E, mentre Skye chiamava suo padre, lei provvedeva a recuperare un cappellino e una maglia del team Red Bull da uno degli armadietti. Il tragitto dal motorhome all'edificio che ospitava i box, passava nel bel mezzo del paddock e doveva trovare un modo per percorrerlo senza attirare l'attenzione di giornalisti o fan. Indossò la t-shirt sopra il suo stesso top e si legò i capelli in uno chignon basso, mettendo poi quel cappellino. Recuperò infine gli occhiali da sole, soddisfatta di quella specie di camuffamento.

La gara sarebbe iniziata da lì a pochi minuti, uscite dal motorhome, entrambe si resero conto che ormai, di persone in giro per il paddock ne erano rimaste davvero poche. Tutti avevano raggiunto i propri posti in tribuna o nel luogo a loro riservato, pronti per seguire gli eventi di quella domenica. Ciò rese molto più semplice il loro spostamento furtivo. Camminarono velocemente, Skye un po' più avanti rispetto a lei e Jourdan con la testa bassa. La fortuna girò dalla loro parte, perché nessuno la riconobbe o fece caso a lei.

Salirono velocemente gli scalini che portavano alla terrazza sopra la pit-lane, prendendo una seconda entrata per fare ingresso nello stabile. La ragazza seguì l'amica, che sapeva esattamente quale stanza il padre le aveva detto di utilizzare. Pochi minuti dopo, finalmente raggiunsero la loro meta, richiudendosi la porta alle spalle e tirando un sospiro di sollievo. «Ho sperimentato una nuova ansia oggi» commentò Skye, chiedendosi sempre di più come facesse l'altra a vivere in quel modo, sempre in fuga dai fotografi e con gli occhi puntati addosso in quasi ogni momento della sua vita.

Jourdan si tolse il cappellino, slegandosi i capelli e liberandosi poi anche della maglia. «Chi disegna e progetta questo merch dovrebbe davvero avere un po' più di gusto» sdrammatizzò la situazione, osservando divertita quella t-shirt dal colore blu scuro, con stampati sopra il logo del team e quello di alcuni sponsor.

«Sì, diciamo che non tutti dispongono di grandi stilisti che disegnano per loro, a differenza tua» le fece presente, trattenendo una risata.

La ragazza si guardò attorno, notando un tavolo rettangolare con delle sedie in vetro a circondarlo, una televisione spenta posta davanti ad esso e una grossa finestra dai vetri esterni oscurati, che dava sulla pista sottostante. Intuì che dovesse trattarsi di una specie di sala riunioni.

Smise di prestare attenzione a cose ormai futili, avvicinandosi a passi veloci a quelle vetrate. Osservò le venti macchine che erano state posizionate sulla griglia di partenza, ognuna attorniata da meccanici, ingegneri e team principal. I piloti si trovavano tutti accanto o nei pressi delle loro monoposto ed erano impegnati in varie operazioni pre gara.

Con gli occhi cercò il fratello. Da quando era arrivata dentro quell'autodormo non aveva nemmeno avuto occasione di parlargli. Vide Charles, scambiarsi qualche battuta con Carlos, il suo compagno di squadra. Non aveva avuto il tempo di salutarlo. Così come non aveva potuto farlo con Pierre, che in quel momento era impegnato con il suo coach ad allenare i riflessi, prima di sedersi sulla sua monoposto.

La macchina di Max non fu difficile da trovare, era parcheggiata nella seconda posizione di quella griglia e lui era intento a sorseggiare da una lunga cannuccia un drink contenuto in una borraccia con il logo Red Bull, mentre ascoltava le parole che il suo team principal gli stava rivolgendo.

Aveva il volto concentrato, ma non riuscì a notare altri dettagli, perché qualcun altro catturò subito il suo sguardo. Lewis era appena arrivato sulla quella griglia di partenza, con passo veloce, seguito dalla stessa donna bionda con la quale lo aveva visto la prima volta in hotel, si era avvicinato subito alla sua auto, posizionata al primo posto.

Si tolse le cuffiette dalle orecchie, porgendole ad Angela. Per poi fare lo stesso con gli occhiali da sole, che lei ritirò con cura in una delle due borse che aveva poggiato accanto a lei. Gli disse qualcosa, ponendogli una mano sulla spalla, facendolo annuire e poi sorridere divertito. Lewis si voltò, cercando qualcuno e trovandolo non molto distante da lui, intento a rilasciare una veloce intervista. Toto gli fece un cenno con il capo, per poi rivolgergli uno sguardo serio, che lui ricambiò allo stesso modo. Come se in quei pochi gesti loro si fossero scambiati un intero discorso.

Jourdan continuò ad osservare affascinata ogni movimento di quel pilota, che, sia per presenza che per modi di fare, sembrava unico e risaltava in mezzo alla moltitudine di persone che invadevano quel tratto di pista. La maglia nera aderiva perfettamente al suo fisico allenato, mettendo in risalto la schiena e le spalle. Si infilò la parte superiore della tuta, chiudendola, sotto lo sguardo attento di Angela, che poi gli passò il casco. E mentre Lewis sistemava il supporto che si poggiava alla base del collo, lei provvedeva a tirargli indietro le treccine, non lasciandone nemmeno una fuori posto.

La ragazza si rese conto solo in quel momento di provare un forte senso di curiosità verso quel pilota. Cosa che nei giorni precedenti mai aveva sperimentato. Quello smanioso di scoprire quanto più possibile sul suo conto sembrava solo lui. Eppure, in quel momento, la sua testa si ritrovava piena di domande, tutte riguardanti lui.

Lewis infilò la balaclava e infine il casco, dai colori che viravano dal giallo fluorescente al viola scuro e si abbinavano perfettamente non solo con la tuta che indossava ma anche con la sua auto, l'unica, assieme a quella del suo compagno di squadra, ad essere completamente nera. Gli unici dettagli di colore erano dati dal suo numero di gara, da una linea verde acqua che seguiva le pance e da una piccola stella rossa sul lato alto della vettura.

«Ti sei incantata?» il tono acuto di Skye la riportò in modo brusco alla realtà. Quella sottile bolla nella quale si era rinchiusa, senza nemmeno accorgersene, scoppiò in meno di un secondo.

Si voltò verso l'amica, scuotendo leggermente la testa, cercando di ritrovare la concentrazione. «No, è solo che, è così affascinante vedere tutto ciò dal vivo» rispose e non sapeva nemmeno lei se si stava riferendo alla situazione generale o solo a Lewis.

«Parli delle auto? O di qualcun altro?» la punzecchiò, voltandosi e dirigendosi verso la bottiglia di champagne che era conservata nel piccolo frigobar accanto all'entrata.

«Ancora? Ti ho detto che tra me e Pierre non c'è nulla» ribadì quel concetto, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.

Skye stappò la bottiglia, con un schiocco che rimbombò in quella piccola sala. «Oh, ma io non mi riferivo a Pierre questa volta» le sorrise furbamente, versando lo champagne in due bicchieri alti.

Jourdan la fissò confusa, fingendo di non capire cosa stesse dicendo. «Sembra che qualcun altro abbia attirato la tua attenzione. Un certo Lewis Hamilton, mi è parso» cinguettò, porgendole un bicchiere e facendole l'occhiolino.

Avrebbe voluto negare subito, però, quelle parole contenevano un fondo di verità. Perché era così, Lewis aveva attirato la sua attenzione, era riuscito a stuzzicare la sua curiosità, senza nemmeno che lei se ne rendesse conto.

Non la conosceva, eppure trovava sempre il modo per regalarle piccole attenzioni, come quella mattina sulla spiaggia o quella sera in bagno.
Ciò che la faceva stare in allerta, era il fatto di non capire il perché lo facesse. Aveva forse un secondo fine? Come quasi chiunque altro si fosse avvicinato a lei durante la sua vita.

Jourdan fece aleggiare una mano, sminuendo l'affermazione di Skye e decidendo di non darle più alcun peso. Perché lei stessa aveva deciso di non dare più attenzione a quell'argomento e all'uomo che ne era protagonista. Non poteva e non voleva permettersi debolezze. Per un anno intero aveva sperimentato cosa significava vivere tranquillamente e le due ricadute con quei titoli scandalistici sarebbero dovute essere le uniche. Non ne avrebbe permessa un'altra.

E ci credeva davvero a questo pensiero. Peccato però che molte cose fossero più grandi di lei e della sua capacità di poterle gestire.
Se ne sarebbe resa conto molto presto.

Giù in pista, i piloti erano entrati nelle loro monoposto, in attesa che quei semafori sancissero il via della gara. Un'attesa che non si protrasse per molto. Fu una partenza pulita, senza contatti, durante la quale qualcuno riuscì già da subito a recuperare qualche posizione.
Alla testa di quella coda ancora abbastanza compattata di macchine, c'era Lewis. L'inglese era totalmente concentrato sulla strada che aveva davanti a sé, facendosi accompagnare, di tanto in tanto, dallo voce di Bono, che gli comunicava alcuni dati.

Max, dal canto suo, era deciso a conquistare quella prima posizione. Suo padre era presente al Gran Premio e sapeva che non avrebbe accettato nulla, se non un primo posto. Questa cosa non era cambiata affatto, era così quando era solo un bambino che correva sui kart e lo era ancora adesso, che era un adulto, pilota di Formula 1 e già due volte campione del mondo. Eppure, tutto ciò a Jos comunque sembrava non bastare. Lo voleva sempre in cima, sulla punta di qualsiasi vetta.

«Max, cerca di prendere meno i cordoli quando esci dalla chicane» gli comunicò il suo ingegnere di pista, ricordandogli che i troppi sbalzi e le botte improvvise non avrebbero fatto bene al fondo della vettura.

«Okay» rispose semplicemente, rendendosi conto della maniera nervosa con cui stava guidando. Vedeva Leclerc dietro di sé, gli sembrava che ad ogni giro fosse sempre più vicino a lui, anche se nessuno gli aveva comunicato nulla a riguardo ancora. Davanti, più lontano del previsto, si trovava invece Lewis. Sapeva che se non fosse riuscito a superarlo subito avrebbe dovuto contare tutto sulla strategia delle gomme. Non aveva idea di quale fosse quella pensata dalla Mercedes, ma sperava di poterlo scoprire prima di decidere se mantenere la loro o cambiarla di conseguenza.

I giri calavano e dopo il primo pit stop, alcuni equilibri in pista si ribaltarono. Sainz passò primo, seguito da Russell e Norris. Avendo scelto di ritardare il più possibile la prima sosta, Lewis si ritrovava così sesto e avrebbe dovuto rimontare. Ma la cosa non gli dispiaceva, la parte che più preferiva durante quelle gare era proprio il poter mettersi in gioco e sorpassare per conquistare posizioni.

E mentre Leclerc e Verstappen avevano già iniziato la loro risalita verso l'alto, lui si riprese una posizione, sorpassando Perez con ampia facilità sul rettilineo del secondo settore. Era terzo, quando Bono si aprì nuovamente via radio con lui. «Facciamo l'opposto di prima» gli disse. vedendo alcune macchine iniziare ad animare la pit lane.

«Posso tenere le gomme ancora per qualche giro» lo informò, non volendo fermarsi subito.

«Lo so. Ma dobbiamo optare per la soluzione secondaria per questi ultimi giri» lo comunicò in codice, di modo che solo lui potesse comprendere per davvero a cosa si stava riferendo. Inizialmente avevano pensato di utilizzare le gomme soft per finire la gara, erano le più veloci ma anche le più soggette a deterioramento. La temperatura dell'asfalto si era alzata qualche grado più del previsto e questo li portava a pensare che il piano migliore fosse di cambiare le gomme attuali prima, per montarne altre dalla mescola media.

Era una via sicura, che gli avrebbe garantito il podio. Ma Lewis non voleva andare sul sicuro, amava il rischio e soprattuto puntava sempre al primo posto, non a gradini inferiori. «Rimaniamo sulla prima soluzione. Fidati di me, Bono» parlò, convinto delle sue parole.

Ci furono alcuni secondi di silenzio, durante i quali l'ingegnere lanciò un'occhiata a Toto, che gli sedeva vicino. Il team principal annuì semplicemente, sapendo di aver fatto la scelta giusta a fidarsi delle sensazioni e delle capacità del suo pilota di punta, ma sperando comunque che le cose andassero per il meglio. «Okay, Lewis. Confermiamo la prima soluzione» gli comunicò.

A dodici giri dalla fine, l'inglese uscì dalla pit lane, facendo nuovamente il suo ingresso in pista. Aveva quattro macchine davanti a lui, delle gomme alquanto fragili e poco tempo. L'auto che lo precedeva era quella del suo compagno di squadra, che, a differenza sua, aveva seguito gli ordini del suo ingegnere, passando alla seconda soluzione.

Toto si avvicinò a Bono, pronunciando poche ma chiare parole, che lui si affrettò a riportare. «Non ci saranno ordini di scuderia» Lewis udì la voce tramite gli auricolari, lasciandosi scappare un sorriso furbo.

«Ricevuto» rispose semplicemente, prima di premere sull'acceleratore. Affrontò ogni curva con precisione, evitando di deteriorare le gomme più di quanto già non facessero le alte temperature dell'asfalto. Si avvicinò notevolmente a George, per poi non esitare nemmeno un secondo prima di sorpassarlo in curva tre.

Toto aveva lo sguardo fisso sul monitor davanti a sé, teneva le braccia incrociate, mentre guardava con attenzione ciò che stava succedendo in pista. Quando Lewis chiuse il sorpasso, le sue labbra si incresparono in un sorriso furbo. Non si lasciò prendere da alcun entusiasmo però, c'erano ancora due macchine davanti e aveva acconsentito ad usare quella strategia, che li metteva in una posizione pericolosa, solo a patto che la gara si chiudesse con una vittoria.

In poco tempo riuscì a superare anche Charles, ritrovandosi solo con Max a dividerlo dal più alto gradino del podio. Non aveva staccato di molto il monegasco, mentre la macchina dell'olandese si trovava a pochi secondi di distanza da lui. Lanciò un'occhiata veloce nello specchietto retrovisore, piegando leggermente la testa, osservando la Ferrari che aveva dietro. Affrontò la serie di quelle sei curve ravvicinate, seguendone la traiettoria nel modo più preciso possibile, così da non perdere tempo.

Leclerc, dietro, sembrava non voler mollare. Sul rettilineo del terzo settore, Lewis si trovava in zona DRS rispetto a Max, una situazione nella quale era anche Charles con lui.

"Adesso o mai più."

Pensò Hamilton, per poi spalancare l'ala posteriore, decidendo di spostarsi verso l'interno. Gli occhi del suo rivale saettarono nello specchietto retrovisore, compiendo la stessa mossa, cercando di chiudergli la strada. Ma, proprio in quel momento, Lewis girò di poco il volante spostandosi verso sinistra e passandogli velocemente accanto.

Charles colse quell'opportunità al volo, avendo osservato con estrema attenzione ogni minima mossa compiuta dall'inglese. Seguì la sua Mercedes, sorpassando la Red Bull di Verstappen, che con quella piccola correzione aveva perso del tempo prezioso, appena prima che lui potesse chiuderlo e impedirgli di passare. «Porca puttana» imprecò Max, arrabbiato con se stesso per il modo in cui si era fatto imbrogliare da quel sorpasso di Lewis, perdendo così non una, ma due posizioni.

Serrò la mandibola, provando a recuperare terreno, purtroppo però mancavano solamente due giri alla fine e sapeva che non avrebbe più potuto riprendersi la testa di quella gara ormai. Nel frattempo, Charles stava ancora tentando di sorpassare Lewis, cosa che non riuscì a fare, perché l'altro aveva tenuto le gomme in un modo quasi impeccabile e quella mescola che aveva scelto rendeva la sua auto più veloce, rispetto a quella del monegasco, equipaggiata con gomme medie.

La Mercedes di Lewis tagliò il traguardo, vincendo il Gran Premio. E mentre lui sorrideva soddisfatto e si prendeva i complimenti da parte di Toto, Max pensava già alle parole dure che avrebbe ricevuto, di lì a poco, dal padre. Era la prima gara di quella stagione alla quale era presente e non solo non l'aveva visto vincere, ma l'aveva anche visto commettere un errore di valutazione che gli era costato ben due posizioni. Sapeva che quella che lo aspettava sarebbe stata una lunghissima serata, soprattutto se a ciò si aggiungeva il fatto che Jos fosse già arrabbiato di suo per le notizie che erano uscite su Jourdan e che avevano riguardato anche Max.

In quella stanza sopra alla pit lane, la modella aveva osservato tutta la gara, alternando il suo sguardo tra la pista e lo schermo che la sua amica aveva acceso, dove essa veniva trasmessa in diretta. Sapeva che suo fratello non fosse contento di quella posizione e le era dispiaciuto vederlo mentre veniva superato a pochissimi giri dalla fine. Ma non poteva negare la bravura degli altri due piloti, soprattutto per quanto riguardava Lewis, che era stato così scaltro da attuare quella finta a destra sul sorpasso.

Skye spense il televisore. «Vieni, andiamo sotto il podio, vedere la premiazione da lì è una delle parti migliori» le afferrò un polso, trascinandola dietro di sé, ancora prima che lei potesse ribattere. La ragazza riuscì ad afferrare solo quel cappellino della Red Bull, che prima si era messa per evitare di essere riconosciuta, così da indossarlo di nuovo.

Scesero le scale di fretta e con loro sorpresa si scontrarono con Jos. «Dove stai andando?» si rivolse a sua figlia, guardandola in modo estremamente serio, mentre Skye indietreggiava di qualche passo, non volendo intromettersi tra loro due e avendo anche un certo timore verso quell'uomo.

«Sotto il podio a vedere la premiazione» rispose con tono ovvio, non comprendendo nemmeno il senso di quella domanda.

Jos scosse la testa. «È pieno di giornalisti e non penso proprio sia il caso di attirare l'attenzione su di te» alzò un sopracciglio. «Non credi?» le domandò.

Jourdan cercò di mantenere la calma. «Sono lì per documentare il podio, c'è un sacco di gente, nessuno farà caso a me» puntualizzò, provando ad oltrepassarlo, ma lui glielo impedì.

«Ci sono molti fotografi, pensi che non faranno degli scatti anche a te lì sotto? Vuoi far continuare a far girare quella schifezza di voce secondo la quale tu e Max avete una relazione?!» il tono di voce si era decisamente alzato e dopo essersene reso conto, Jos si guardò attorno, per assicurarsi che nessuno stesse facendo caso a loro.

«Io non voglio far girare quel gossip, non l'ho mai voluto» si avvicinò a lui, fissandolo con rabbia. «E adesso, scusami, ma siamo in ritardo» gli diede una leggera spinta sulla spalla, riuscendo finalmente a passare oltre la sua figura e facendo scattare Skye verso di lei, pronta a seguirla.

«Jourdan!» esclamò il suo nome, ma la figlia sembrò fare finta di niente. «Non sfidarmi» l'avvisò, mentre continuava a dargli le spalle camminando.

La ragazza chiuse per un secondo gli occhi, cercando di scacciare dalla sua testa tutti i brutti ricordi della sua infanzia, che il solo vederlo le riportava alla memoria. «Vaffanculo, papà» sussurrò a mezza bocca, sentendo un nodo alla gola, che però deglutì in fretta. Skye, accanto a lei, aveva udito bene quella frase, ma preferì non intervenire, perché sapeva quanto fosse delicata la situazione che riguardava lei e suo padre. In più, era a conoscenza del modo in cui odiasse la compassione da parte di qualcuno. Dicendo qualcosa in quel momento avrebbe solo rischiato di farla arrabbiare più di quanto già fosse.

Raggiunsero il podio, posizionandosi dietro alcuni meccanici del team Red Bull, confondendosi con la folla. E mentre Skye aveva il naso puntato all'insù, concentrata sui piloti che stavano salendo su quei tre gradini, Jourdan faceva saettare lo sguardo attorno a lei. Di suo padre pareva non esserci traccia, al contrario, come lui aveva predetto, era pieno di fotografi.

Sembravano tutti concentrati su ciò che stava avvenendo sul podio, ma, quando una donna, non molto lontano da lei, le posò gli occhi addosso, osservandola con curiosità, la ragazza si sentì pervadere da uno strano senso di ansia. Sgattaiolò via da quella folla, muovendo qualche passo all'indietro e trovando rifugio sul retro della struttura che ospitava il palco, dove non vi era praticamente nessuno in quel momento.

La cerimonia di premiazione terminò e i piloti si accinsero a scendere dal podio. Skye voltò la testa, convinta di incontrare gli occhi della sua amica e presto si rese conto che dietro di lei non c'era più nessuno. Iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di Jourdan, che sembrava come essersi volatilizzata nel nulla.

Max fu il primo a discendere le scale per andare via dal podio, la ragazza, trovandosi proprio nel punto dal quale sarebbero passati i piloti per tornare nei loro motorhome, vide subito il fratello. Gli andò incontro, per complimentarsi con lui della gara e decisa anche a parlargli riguardo quel nuovo articolo di giornale e la conversazione che aveva avuto pochi minuti prima con il padre.

«Max» lo richiamò, facendolo voltare, dal momento in cui non si era accorto della sua presenza. La verità era che il ragazzo aveva tutt'altro per la testa e quando Jourdan incontrò i suoi occhi azzurri, dalle sfumature tormentate come i suoi pensieri, capì che non ci sarebbe stata alcuna possibilità che l'avesse ascoltata.

«Non adesso» ringhiò, afferrando il suo casco in modo brusco e poi dirigendosi verso Jos, che lo stava aspettando sulla strada che portava al motorhome Red Bull.

La ragazza scrollò le spalle, prendendo un profondo respiro. Poteva starne certa, le discussioni con suo fratello, che stavano andando avanti da quella gara in Bahrein, non sarebbero finite. Anzi, con tutta probabilità, ad esse avrebbe preso parte anche il padre.

«E tu cosa ci fai qui sotto?» quella domanda la distrasse dai suoi pensieri, facendola girare di scatto. Incontrò i grandi occhi scuri di Lewis, che la fissavano enigmatici, mentre con un'asciugamano si tamponava il volto, asciugandolo dallo champagne che prima avevano spruzzato sul podio.

Jourdan piegò leggermente la testa, cercando una qualsiasi risposta sensata alla sua domanda. «Io... ehm... io mi sono persa» disse infine, annuendo come per sostenere le sue stesse parole e cercare di convincere anche lui.

L'inglese fece scorrere i suoi occhi dalla testa ai piedi della ragazza. Sapeva che stava mentendo, probabilmente era andata lì sotto per suo fratello. Ma lei, del fatto che ora anche lui fosse al corrente di quella notizia, non ne aveva idea.

«Come no» commentò, afferrando la sua borraccia e bevendo un sorso d'acqua. «Niente collane oggi?» le chiese poi, con un sorriso furbo ad increspargli le labbra, mostrandole i denti bianchi e quel leggero diastema che caratterizzava i due incisivi, un dettaglio che qualcuno considerava come un difetto ma che sembrava essere così perfetto su di lui.

Jourdan inclinò leggermente la testa su di un lato, stuzzicata dalla piega che stava prendendo quella conversazione. «Niente che tu possa aiutarmi a riallacciare» gli fece notare. E Lewis colse al volo il sottile significato di quella frase, quando non riuscì a fermarsi in tempo, prima di far ricadere il suo sguardo sul seno della ragazza. Dove il top, con quella profonda scollatura a V, metteva in risalto il fatto che non portasse alcun reggiseno sotto di esso. «Comunque -fece schioccare la lingua sul palato, portandolo a distogliere lo sguardo- complimenti per la vittoria» gli disse, incrociando le braccia al petto.

La ragazza scorse Charles, appena dietro di loro, osservarli incuriosito, mentre se ne stava poggiato con la schiena al muro. Prima che potesse dargli altra importanza, notò la donna dai capelli platino attirare l'attenzione di Lewis. Il pilota le rispose alzando la mano, con un gesto che le diceva di aspettare qualche secondo. Tornò poi a guardarla, tenendo gli occhi dapprima nei suoi e poi fissandoli sul cappellino della Red Bull che aveva in testa.

«Mi piace molto come sei vestita» parlò lui. «Ma quel cappellino non ti dona per niente» confessò, avvicinandosi di poco a lei con il volto. Si voltò nuovamente verso Angela, indicandole il cappello nero, con il logo Mercedes cucito sopra, che stava tenendo tra le mani. La donna lo indicò a sua volta, per essere certa di aver compreso cosa le volesse dire e lui annuì. A quel punto lei glielo lanciò, dimostrando di avere un'ottima mira e Lewis lo prese al volo.

Mosse qualche passo verso Jourdan, facendole mettere ogni muscolo sull'attenti, mentre annullava quasi del tutto la distanza tra di loro. Le tolse il cappellino della Red Bull, mettendole l'altro che sarebbe stato destinato a lui, per cambiarsi quello ufficiale della premiazione. «Ecco, adesso è decisamente meglio» le fece l'occhiolino, per poi voltarsi, recuperare il suo casco e abbandonare su quella panca il cappello che lei prima stava indossando. Se ne andò via così, senza darle nemmeno la possibilità di dire altro, lasciandola lì con un'espressione alquanto confusa. Ripagandola nello stesso modo in cui lei aveva concluso il loro incontro, breve ma decisamente più intenso del previsto, nel bagno dell'hotel.

Gli occhi di Jourdan non riuscivano a staccarsi dalla schiena di Lewis, osservandolo mentre andava via, camminando al fianco di quella donna. Non si staccarono subito nemmeno quando Charles le si avvicinò a passo svelto e con gli occhi sgranati.

«A cosa ho appena assistito?» le chiese con un sopracciglio alzato, cercando di tenere a freno tutta la sua curiosità.

La ragazza finalmente distolse lo sguardo dalla figura dell'inglese, spostandolo su quella del suo amico. «Non chiederlo a me» rispose, scuotendo leggermente la testa. Perché davvero non sapeva rispondere a quella domanda.

Si era detta di stare quanto più lontano possibile da quell'uomo, perché aveva appurato di provare una certa attrazione fisica nei suoi confronti e soprattuto si era accorta di non potersi fidare di se stessa. Come mai aveva potuto fare in quelle situazioni, perché quando c'era di mezzo la tensione sessuale, la sua parte razionale sembrava spegnersi completamente. E con lui, tutto ciò pareva ancora più accentuato, perché era bastato un semplice momento di vicinanza per farle perdere il controllo dei suoi pensieri. Eppure, quando lui l'aveva stuzzicata con quella battutina, lei non era riuscita a resistere, rispondendo a sua volta e addirittura cercando di provocarlo.

«E a chi dovrei chiederlo? A lui?» scherzò, dandole un colpetto sulla visiera del cappellino. Jourdan sorrise, lasciandogli una leggera sberla sul petto. «Dai, andiamo. Stasera si festeggia» la incitò, mettendole un braccio attorno alle spalle e iniziando a muovere qualche passo in avanti.

Lei però si scansò, allontanandosi di poco e guardandosi velocemente intorno. «Che fai?» domandò confuso.

«Non vorrei che uscissero altre foto in cui qualcuno sostiene che ho una relazione anche con te» spiegò, abbassando la testa. «Ho già messo in mezzo Pierre» aggiunse.

Charles sospirò. «Prima vi decidete a dire la verità sul fatto che tu e Max siete fratelli e prima tutta questa speculazione sulla tua vita sentimentale finirà» lo sapeva bene anche lei, peccato però che quello non fosse lo stesso pensiero dell'altro ragazzo, che ancora non si era deciso sul da farsi. «E poi, stai tranquilla che a Pierre non frega nulla di quegli articoli che hanno fatto uscire su di voi» puntualizzò. «È abituato a venire paparazzato in compagnia di qualsiasi tipo di ragazza. E in ogni caso, nessun gossip potrà mai eguagliare quello che l'ha visto protagonista qualche anno fa» Jourdan trattenne una risata, ricordando le storie che il monegasco le aveva raccontato sul suo migliore amico e il modo in cui il francese aveva cercato invano di farlo stare zitto.

«E sì, mi riferisco proprio al casino che ha combinato quando stava insieme alla sua ex ragazza» citò lui, facendola definitivamente scoppiare a ridere.

«Oh, intendi la ex ragazza della quale finge che non gli interessi più nulla, ma che, nonostante siano passati ben tre anni, non riesce a togliersi dalla testa?» domandò retoricamente, mentre continuavano la loro camminata nel paddock.

«Proprio lei» confermò. Charles e Jourdan andarono avanti a ridere e chiacchierare, fino a che raggiunsero le loro mete. E per quei pochi minuti, la ragazza si sentì lontana da tutti i suoi problemi.
Peccato che quella fosse solo una sensazione e quando fece il suo ingresso nel motorhome della Red Bull, la realtà tornò ad investirla.

Una realtà che come primo ostacolo da affrontare aveva i glaciali occhi di suo padre.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Il capitolo è già alquanto corposo, quindi non mi dilungherò troppo con questo spazio autrice.
Le uniche cose che voglio dire sono...

Piaciuta la sorpresa della presenza di Jos?🫣
E vogliamo parlare invece di quel Rob, il giornalista? Quanti problemi credete che potrà portare?
Ma, soprattuto, quell'ultima conversazione tra Lewis e Jourdan? Sembra proprio che i due ci stiano prendendo la mano a stuzzicarsi, no?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

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XOXO, Allison💕

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