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Capitolo 5 - Ritorno a casa


Stati Uniti, Miami.
Middle Beach.

Mentre, seduta sul bordo del letto, infilava le scarpe, la consapevolezza di aver commesso un enorme errore cresceva sempre di più dentro di lei.
Non sarebbe dovuta andare.
Non avrebbe dovuto prendere quell'aereo.
Ma ormai era lì e non le restava altro che affrontare la realtà.

Osservò per l'ultima volta il vestito che indossava, un abito nero, monospalla, con una manica lunga e un leggero spacco sulla gamba sinistra. Messo in risalto da un collier di brillanti argento. Semplice, ma elegante. Adatto alla serata alla quale avrebbe preso parte. Ci aveva abbinato dei tacchi a stiletto, del medesimo colore dell'abito, con l'iconica suola rossa.

Per quanto avesse sempre odiato doversi agghindare per prendere parte agli eventi nel suo campo lavorativo, doveva ammettere che, farlo per partecipare ad una serata che non aveva nulla a che vedere con la moda, le metteva una strana carica addosso. Una carica frenata solo dalla paura dei paparazzi, degli occhi che si sarebbero posati su di lei, delle voci che avrebbero potuto iniziare a girare.

Perché era passato più di un anno, ma nessuno l'aveva minimamente dimenticata. Il volto e il nome di Jourdan Reed erano ancora noti in tutto il mondo e facevano scalpore, anche solo nominandoli.

Si alzò in piedi, portandosi una mano sulla pancia e lisciando il tessuto morbido del vestito. Le era mancato indossare quel tipo di abiti, questo doveva ammetterlo.
Le mancava vivere.
E più seguiva i suoi nuovi amici, più si faceva coinvolgere da loro, più se ne rendeva conto.

Ma, tornare a vivere per davvero avrebbe significato anche tornare a darsi in pasto alla stampa. C'erano pro e contro e lei non era ancora certa di averli valutati bene tutti.

Scosse la testa, smuovendo i lunghi capelli sulle spalle ed evitando cautamente di osservare il suo riflesso nello specchio che aveva davanti. «Jourdan, ci sei?» Skye entrò in quella parte della stanza, soffermandosi poi a guardarla. «Sapevo che questo vestito ti sarebbe stato divinamente» disse, battendo le mani assieme, fiera della scelta che aveva fatto per lei. «Sono già pronta a vedere tutto l'autocontrollo di Pierre svanire in un secondo» aggiunse, avvicinandosi a lei, facendo ondeggiare la piccola coda del suo abito verde scuro.

«Fai la brava, non siamo nemmeno uscite ancora» l'ammonì, scuotendo la testa con un sorriso. Recuperò poi la sua pochette ed insieme lasciarono quella stanza d'hotel. Davanti all'entrata dell'albergo, un'auto le stava attendendo, pronta a portarle nel locale dove si sarebbe svolto l'evento di quella sera.

«Insomma...» iniziò Skye, una volta che la macchina partì. L'altra si voltò verso di lei, attendendo che proseguisse. «Max ha portato qualcuno?» le chiese, guardando ovunque eccetto che verso di lei.

Jourdan alzò gli occhi al cielo. «Questa cotta per mio fratello, che ti fa sembrare una ragazzina al liceo, deve finire» rise divertita, alzando gli occhi al cielo.

«Non posso farci niente, okay? Non mi era mai interessato Max in quel senso, ma... ultimamente c'è qualcosa in lui che mi attrae» spiegò, sbuffando sulla fine della frase e poggiando completamente la schiena sul sedile.

«Nell'ultimo anno l'hai visto più maturato e determinato, sia in pista che fuori, complice l'ottima macchina che ha avuto. Lo hai visto vincere, con quell'aria da menefreghista e quella faccia da schiaffi che usa sempre come maschera. Ed è evidente che, come chiunque altra che non ci sia già passata, non riesci a resistere al fascino del -si fermò, iniziando a fare delle virgolette con le mani- cattivo ragazzo» fece spallucce, convinta della sua teoria.

Skye la guardò con occhi spalancati, pronta a scoppiare a ridere, prima di rendersi conto che, però, non fosse così fuori strada con quel ragionamento. E allora tornò seria, abbassando la testa. «Vorrei darti qualche consiglio in più su di lui. Insomma, sono sua sorella e potrei aiutarti. Ma, nonostante ciò, quasi non lo conosco» si morse l'interno guancia, con aria triste. «Abbiamo passato quasi tutta la nostra vita separati. E il Max che conoscevo io, adesso sembra non esserci più» aggiunse, ricordando i piccoli momenti felici della loro infanzia, prima che i genitori li dividessero, distruggendo ogni cosa.

L'amica le poggiò una mano sulla spalla, cercando di farle capire il suo sostegno. «Però, ascolta comunque una persona che nella vita ha sempre scelto i partner sbagliati. Max ha tanti conti in sospeso con il suo passato, esattamente come me. E finché non li avrà risolti, tu avrai solo alte probabilità di soffrire per cose che nemmeno ti riguardano» Skye adagiò la testa sulla sua spalla, sospirando. «Non sto dicendo che tu debba rinunciare a priori. Però, metti in conto queste cose.»

Non sopportava di sentire quei racconti tristi su ciò che aveva vissuto e che l'aveva segnata profondamente, la facevano stare male. Perché lei aveva sempre avuto un'infanzia felice, circondata da genitori amorevoli, e quasi si sentiva in colpa quando ascoltava le vicende che avevano visto Jourdan protagonista da bambina.

In quei momenti si chiedeva come sarebbe andata la sua vita se non l'avesse mai conosciuta.
Prima di lei passava gran parte del tempo dentro un'enorme casa troppo vuota. Skye, la tristezza e la solitudine, che avevano sempre caratterizzato la vita della sua amica, le aveva conosciute solo dopo essere cresciuta.
Non aveva mai creato un legame stabile con qualcuno, chiunque si fosse avvicinato a lei, lo aveva fatto per convenienza o si era poi dimostrato, come spesso capitava in quel mondo fatto di ricchezza spropositata, falso e spietato.

Le aveva sentite tutte le cattiverie che avevano detto sul conto di Jourdan, appena la voce del suo arrivo in città aveva iniziato a correre per le vie di Monaco. Aveva sentito i pregiudizi e le menzogne che le persone diffondevano, basandosi solo su ciò che la stampa aveva scelto di dire su di lei. Skye, però, aveva oltrepassato quelle apparenze, decidendo di parlarle, di conoscerla meglio. E aveva scoperto che dietro quei titoli di giornale c'era un intero mondo nascosto.

La stampa non conosceva tutta la sua storia, non poteva dare un perché ai suoi comportamenti sbagliati. Il suo passato non giustificava gli errori che aveva scelto di commettere, ma essere a conoscenza di quei dettagli aiutava a non sparare a zero su di lei.

Da quando c'era Jourdan, Skye poteva dire di aver trovato un'amica vera. Non se ne stava più in disparte, sentendosi a disagio per la posizione importante che la sua famiglia ricopriva, in quello sport e in quella città. Grazie a lei era riuscita finalmente a legare di più con alcuni piloti e la solitudine sembrava solo un brutto ricordo.

Si erano fatte bene a vicenda. Skye c'era stata per lei, quando aveva avuto bisogno di qualcuno che ascoltasse tutto quello che da troppi anni si stava tenendo dentro. E Jourdan c'era stata, quando l'altra aveva avuto bisogno di una persona sincera e leale.

L'auto si fermò davanti al locale. «Andrà tutto bene» la rassicurò l'amica. La modella annuì, ma nella sua testa i pensieri che aleggiavano erano del tutto diversi. «È una serata ad invito, niente paparazzi. Ci divertiremo tra di noi come abbiamo sempre fatto a Monaco» insistette, sorridendole in modo rassicurante.

La ragazza respirò profondamente, sperando che la sua ansia non le giocasse brutti scherzi. Non voleva venire sopraffatta dai pensieri deleteri, che ogni tanto dominavano la sua mente. Non le andava di cedere nuovamente ai suoi vizi, gli unici in grado di tenere a bada le sue ansie. «E per qualsiasi cosa, io sarò lì» concluse Skye, sorridendole in modo rassicurante.

«Okay» Jourdan trovò il coraggio di crederle. «Andiamo» disse poi. Scesero dalla macchina, trovando subito davanti all'entrata, Pierre, Charles e la sua ragazza, che li stavano aspettando da pochi minuti.

«Sei splendida» il francese sì avvicinò subito a lei, sussurrandole quella frase all'orecchio e attirandola verso di sé. La ragazza sorrise, per poi scambiarsi un'occhiata con l'altro pilota e salutare la sua fidanzata con un bacio sulla guancia. Si guardò attorno, riconoscendo immediatamente dove si trovassero. Erano a Middle Beach, davanti ad un rinomato hotel all'interno del quale vi era il locare dove si sarebbe svolto l'evento di quella sera. Non vi aveva mai soggiornato e fu grata di ciò, perché significava che c'erano meno probabilità che qualcuno la riconoscesse.

La strada dietro di loro era piena di gente, ma nessuno sembrava far caso a quello che li circondava, altra cosa per cui apprezzava Miami. Le persone andavamo lì per divertirsi, non per pensare alle vite altrui. Ricordato questo dettaglio, si rassicurò ulteriormente.

«Entriamo?» chiese Charles, ricevendo subito l'approvazione di tutti. Il braccio di Pierre le cinse la vita e assieme si avviarono verso le porte di quell'imponente hotel.

La ragazza si voltò per qualche secondo, sentendo qualcuno richiamare il nome della sua amica. Vide suo fratello, appena arrivato, affrettare il passo e affiancarsi a Skye. Sorrise, felice del fatto che potessero passare quella serata assieme e sperando davvero che non diventassero un problema l'uno per l'altra.

All'interno, il lusso di quel posto veniva ostentato ancor di più, ogni cosa era curata nel dettaglio e tutto il personale sembrava essere impeccabile.
Li accompagnarono nel locale, dando loro il benvenuto e lasciandoli procedere poi da soli. Quella serata era stata organizzata in comune accordo tra Liberty Media e la FIA, le due associazioni che gestivano la Formula 1. Il tutto aveva lo scopo di formare consensi attorno al loro mondo, puntando a rafforzare i legami con i vari sponsor già esistenti e crearne di nuovi.

La pubblicità, negli ultimi tempi, era diventata una dei punti principali di chi stava ai vertici di quelle associazioni. Volevano che la Formula 1 iniziasse ad essere sempre più seguita e il loro metodo, unito ad altri trucchetti, stava funzionando molto bene.

«Ripetimi cosa dobbiamo fare in questo posto per tutta la sera?» domandò Max a Skye.

La sorella si intromise, prima che l'altra potesse rispondere. «Devi solo startene qui, bere qualche cocktail, mangiare qualche costoso accompagnamento e tenere un falso sorriso sulle labbra per tutto il tempo» gli disse. «Sei capace a fingere di divertirti e di essere felice essere qua, per tutta la sera?» chiese, alzando un sopracciglio in segno di sfida.

«Non è difficile» rispose saccente.

«Oh, questo lo vedremo» si affiancò a lui. «Benvenuto nel mio mondo, fratellone» gli lasciò una pacca sulla spalla, per poi sorpassarlo e raggiungere Pierre al bancone del bar.

Skye osservò l'espressione infastidita dipinta sul volto di Max. «Credi che ce la farete a riappacificarvi entro l'inizio dell'estate?» lo stuzzicò.

«È testarda e orgogliosa, come me. Chiarirci non è mai semplice» scosse la testa. E lei lo sapeva bene, aveva perso il conto delle volte in cui aveva dovuto fare da mediatore per riuscire a farli parlare come due adulti. Ogni tanto era difficile stare dietro alle due persone più emotivamente incasinate che avesse mai conosciuto.

Nel frattempo, gli occhi di parecchi presenti si erano posati verso l'entrata di quel locale, dal quale aveva appena fatto il suo ingresso Lewis Hamilton.
Era solo, a differenza del suo compagno di squadra, arrivato dietro di lui, assieme alla fidanzata, Carmen.

Salutò alcune persone, fermandosi quasi subito a scambiare qualche parola con il capo della FIA. Lo faceva per cortesia, perché se avesse potuto gli avrebbe detto in faccia tutto quello che in realtà pensava di lui. E invece, ogni volta, doveva fingere un sorriso e dell'interesse per tutte le sue stronzate.

«Ah, Lewis!» la voce di Toto arrivò dritta alle sue orecchie, facendolo voltare, appena in tempo per vederlo corrergli incontro. «Sei arrivato» constatò, cingendogli le spalle con un braccio. «Scusa, Ben, purtroppo devo rubartelo, abbiamo una cosa molto importante di cui discutere, prima che inizi la presentazione» gli disse, sorridendogli.

«Ma certamente, non preoccupatevi. Avremo modo di vederci ancora durante la serata» rispose quell'uomo, facendogli cenno di andare.

«Grazie, ci stavo dialogando da due minuti e già era riuscito ad urtarmi in ogni modo possibile» ammise Lewis, parlando a bassa voce e facendo ridere sommessamente l'altro.

Toto proseguì la camminata assieme a lui, fino a raggiungere il loro tavolo. «L'avevo intuito dalla tua espressione e sono venuto a salvarti» rivelò, prendendo posto. Il team principal intavolò poi una conversazione con le altre persone presenti a quel tavolo e il pilota restò ad ascoltare le loro parole.

Almeno fino a quando la sua attenzione venne attirata da qualcos'altro. O per meglio dire, qualcun altro.
Gli occhi di Lewis si erano posati sulla figura di quella ragazza, la stessa dalla quale non riuscivano a staccarsi sin da quel breve incontro avvenuto in Bahrein. Osservò il suo vestito ed il modo in cui le fasciasse perfettamente il corpo, mettendo in risalto ogni curva. Lo lasciava quasi senza fiato.

Jourdan prese posto ad un tavolo, assieme a Pierre. Iniziò proprio a pensare che quei giornalisti si sbagliassero alla grande. Se la modella stava avendo una relazione con qualche pilota, quello non era di certo Max, bensì Pierre. Era già la terza volta che li vedeva assieme, in situazioni e atteggiamenti anche intimi, nonostante non si fossero mai sbilanciati troppo.

Non era a conoscenza della verità. Non sapeva che, in realtà, la cosa che legava lei e Max fosse il loro legame di sangue, dato dal fatto che fossero fratelli. Non lo sapeva, perché in quegli ultimi due anni aveva frequentato davvero poco Monaco e nessuno, in ogni caso, gli aveva mai parlato di ciò.
Ecco perché trovava strano che vivesse da Max e nel frattempo frequentasse Pierre. C'era qualcosa che non gli tornava in tutta quella situazione. Sapeva di non essere a conoscenza di qualche dettaglio importante. E la sua curiosità voleva portarlo sempre di più a scoprire cosa ci fosse sotto.

«Lei è nuova» il commento di George richiamò la sua attenzione. Il ragazzo non l'aveva detto esplicitamente, ma con quella frase si riferiva all'abitudine di Pierre di intrattenersi molto spesso con ragazze diverse. Quindi non si stupiva se quella sera avesse compagnia.

«Non proprio» gli rispose. «A dire il vero è da un po' che la vedo frequentare luoghi vicini al nostro lavoro» aggiunse.

Il suo compagno di squadra si portò una mano sul volto. «È vero, non è la stessa ragazza che era finita su quel giornale assieme a Max?» chiese conferma e Lewis annuì. «La conosci?» domandò poi.

«È una modella, l'ho vista qualche volta a delle sfilate o a degli eventi ai quali ero stato invitato» confessò, sforzandosi per distogliere lo sguardo da lei e portarlo sul ragazzo con il quale stava parlando.

«Tu sapevi chi era?» si rivolse poi anche a Carmen.

«Non la conosco, ma so chi è. È molto famosa, davvero non l'avevi mai vista prima?» gli rispose lei, lanciandole un'occhiata veloce.

George scosse la testa. «Non me ne intendo molto di quel mondo» si giustificò. Anche lui era un altro dei pochissimi non a conoscenza del fatto che lei e Max avessero un legame di parentela.

«Se vuoi cambiare tavolo, dimmelo» scherzò Toto, facendo ridere anche George e Carmen, mentre coglieva Lewis con lo sguardo ancora puntato su quella ragazza.

«Cosa? No. Perché dici così?» parlò velocemente, voltandosi e cercando di essere disinvolto.

Toto sorrise ancora. «Perché sembra che ci sia qualcosa che ti interessa molto al tavolo dell'AlphaTauri» spiegò, anche se sapeva benissimo che già avesse capito a cosa si stava riferendo.

«Non è come pensi. L'ho incontrata più volte in passato e mi stavo solo chiedendo che cosa ci facesse qui» ed era vero. O meglio, era parte della verità. Se lo chiedeva per davvero cosa ci facesse lì, ma continuava a guardarla perché, inspiegabilmente, il suo corpo sembrava essere sempre più attratto da lei.

«Sarà» rispose semplicemente l'altro, poco convinto, tornando poi a concentrarsi sulla sua cena. Nel frattempo, con la coda dell'occhio, Jourdan stava osservando velocemente Lewis, avendo avvertito i suoi occhi addosso.

Apprezzava il suo abbigliamento, era elegante e si distingueva da tutti gli altri. Aveva scelto anche lui un look total black, smorzato solo dagli anelli argento e con alcune pietre colorate che portava alle dita delle mani. Teneva i capelli sempre ordinati, in quelle treccine dal disegno geometrico, tirate tutte indietro, così da lasciargli libero il volto dai lineamenti definiti e completamente privo di una qualsiasi imperfezione.

Negli anni passati, in cui lo aveva visto, si era sempre accorta della sua bellezza, perché non era qualcosa che passava inosservato, condita anche dal suo gran senso dello stile. Però, non si era mai effettivamente soffermata ad osservarlo bene, scrutando ogni particolare del suo viso o del suo corpo, perché la sua percezione era sempre stata troppo alterata dall'alcol o da qualche altra sostanza stupefacente che assumeva.

Ora, invece, era pulita. Lo era sin dal momento in cui aveva messo piede in casa di Max, ed era quindi in grado di notare molti più dettagli.
L'unico vizio che non riusciva a togliersi del tutto, era quello del fumo. Le capitava ancora di bere dell'alcol, ma cercava di farlo sempre con responsabilità, non esagerando e assumendolo solo a qualche festa. Ecco perché era l'unica a quel tavolo ad avere il bicchiere riempito di acqua e non di champagne.

Distolse lo sguardo da Lewis, proseguendo la sua cena, fino a quando il capo della FIA salì sul piccolo palco che era stato costruito apposta per l'occasione, iniziando a ringraziare tutti i presenti e facendo un lungo discorso in cui elogiava i principali sponsor di quello sport. Terminando con un brindisi ai presenti.

Mentre Pierre era impegnato a parlare con il suo compagno di squadra, Jourdan lasciava quel tavolo, andando a salutare i genitori di Skye e poi dirigendosi verso il bagno. Lì, a differenza della sala, era molto tranquillo, non vi era praticamente nessuno.

Non aveva per davvero bisogno della toilette, voleva solo staccare un attimo da tutto e da tutti.
A quell'evento, per i presenti, lei non era nessuno. Non era la modella Jourdan Reed, abbonata agli scandali. Era semplicemente: "la ragazza con cui è venuto Pierre."
Questo perché alle persone presenti non interessava conoscere gli invitati, a meno che non facessero parte degli sponsor. E fu grata di ciò, di poter passare una serata senza occhi addosso. Eppure, aveva avvertito comunque il bisogno di allontanarsi per qualche minuto.

Per quanto per tutta la sua vita avesse desiderato essere solo una delle tante persone che popolavano la terra e non la più famosa modella di quegli anni, alla quale era stato tolto ogni bricio di privacy, per un attimo, messa in quella situazione si era sentita a disagio. Perché, purtroppo, le parole di Max non riusciva a togliersele dalla testa. Lei non apparteneva a quel mondo, non c'entrava nulla lì e il modo in cui nessuno l'avesse minimamente calcolata, identificandola solo come qualcuno con cui Pierre aveva deciso di accompagnarsi, le avevano dato conferma del fatto che il fratello avesse ragione.

Ma se non si sentiva a suo agio nel suo mondo e non poteva appartenere a quello di Max, allora, forse, un posto per lei non c'era. Forse, il problema di tutti i suoi problemi non erano stati Jos, Agnes, i manager, gli stilisti, la stampa o i riflettori. Era stata solo lei.

Ed eccoli lì, immancabili come sempre, i suoi pensieri cancerogeni che le invadevano la mente, facendole immaginare cose che nemmeno esistevano. Provocandole ansie che mai avrebbe immaginato di avere.

Improvvisamente le sembrò tutto troppo stretto, come se l'aria fosse diventata rarefatta e quell'alto collier a girocollo che portava, le stesse impedendo di respirare. Poggiò la pochette sul bordo in marmo chiaro dei lavabi, togliendosi velocemente la collana e cercando di riprendere a respirare normalmente.

Odiava quando veniva sopraffatta da quei piccoli attacchi di panico. Non sapeva come evitarli, la sua mente iniziava a macinare e loro arrivavano come un fulmine a ciel sereno. In quei casi non le restava altro che fare del suo meglio per controllarsi, da sola. Perché prima, per evitare che quegli episodi si verificassero e per tenerli a bada, utilizzava l'alcol o qualche pasticca dai colori sgargianti.

Si passò una mano sul volto, ricambiando con disprezzo lo sguardo che lei stessa si stava dando nello specchio davanti a sé. Non sopportava il suo riflesso, da molti anni ormai, ogni qual volta in cui poteva, infatti, evitava di osservarlo. Aprì la sua pochette, estraendo il rossetto color carne e passandoselo delicatamente sulle labbra.

In quel bagno non vi era nessuno oltre a lei, la porta principale, però, si era scordata di chiudersela alle spalle e spalancata com'era permise a chi stava passando da fuori in quel momento di notarla.
E due occhi non persero tempo per posarsi su di lei.

Ritirò il rossetto nella pochette, chiudendola accuratamente e poi recuperando anche la sua collana. Tentò di rimettersela, armeggiando per qualche secondo con la chiusura, che continuava a scivolarle dalle dita, per il nervosismo non ancora del tutto smaltito. «Fanculo» imprecò, quando il collier le cadde a terra.

Si chinò per raccoglierlo, ma prima che potesse afferrarlo, una voce arrivò dritta alle sue orecchie. «Vuoi una mano?»

Jourdan si voltò di scatto, incontrando subito la figura di Lewis, che se ne stava fermo sulla porta di quel bagno. Rimase china, con quella collana tra le mani, mentre lo osservava confusa. «Potrei iniziare a pensare che tu mi stia seguendo. Perché, guarda caso, sei sempre nel posto giusto, al momento giusto» parlò lei, tirandosi poi nuovamente in piedi.

L'inglese sorrise. «Avrò semplicemente un buon tempismo» rispose, facendo spallucce.

«Tempismo» ripetè lei, assumendo un'espressione pensierosa. «Non sapevo che fosse questo il sinonimo di: "faccio il finto tonto e seguo qualcuno cercando di scoprire quante più cose possibili sul suo conto."» lo prese in giro.

«Ancora con questa storia?» domandò. «Ti ho già chiesto scusa per quel caffè al bar» ribadì, incrociando le braccia al petto. «E per quella mattina in spiaggia, è stato un caso incontrarti lì. Come in questo momento, stavo uscendo dal bagno e ti ho vista mentre cercavi invano di allacciarti quella collana» spiegò, dicendo la verità. Entrambe le volte nessuno dei due aveva programmato quegli incontri. «Ho pensato avessi bisogno di una mano. Tutto qui. Ma è chiaro ormai che non apprezzi la gentilezza» concluse, accennando qualche passo verso la sala, pronto ad andarsene.

Jourdan alzò gli occhi al cielo. «Aspetta» lo richiamò. «Sì... un aiuto con questa mi farebbe comodo» ammise. Per quanto fosse una persona diffidente, le parole di Lewis le sembravano sincere, così come il suo sguardo mentre le diceva. E per un attimo le era dispiaciuto trattarlo in quel modo, respingendolo a priori, senza alcuna prova alle paranoie nella sua testa. Non sopportava i pregiudizi che le persone avevano su di lei e si era resa conto che stava facendo lo stesso con lui, sulla base del nulla.

Il pilota tornò indietro, entrando poi in quel bagno. Allungò una mano verso la ragazza, con il palmo rivoltò all'insù e Jourdan poggiò la collana sopra di essa. Si voltò, spostandosi i lunghi capelli su di un lato, permettendo a Lewis di farle passare quel collier di brillanti chiari attorno al collo. Le sue dita le sfiorarono la pelle sensibile, provocandole un brivido inaspettato lungo tutta la spina dorsale, che però cercò di mascherare sin da subito.

Si trovava appena dietro di lei, non la stava sfiorando, se non con i polpastrelli, mentre cercava di allacciarle la collana. Eppure, per qualche strana ragione, le sembrava come se la stesse toccando. O forse era semplicemente quello che avrebbe voluto succedesse, perché la pungente sensazione che stava avvertendo nel basso ventre non suggeriva altro.

«Non è un po' stretta?» le domandò, con un tono di voce improvvisamente più basso. Jourdan incrociò i suoi occhi scuri nel riflesso dello specchio e si dimenticò di ciò che le aveva appena chiesto.

«C-come?» balbettò, prima di schiarirsi la voce e maledirsi mentalmente per quell'improvvisa perdita di controllo da parte del suo corpo e della sua mente.

Lewis sospirò, solleticandole il collo con il suo respiro caldo. «La collana, non è un po' troppo stretta?» disse nuovamente, facendo passare un dito sopra il bordo di quel gioiello e accarezzandole la pelle chiara, per dimostrarle che, una volta allacciato, il collier non faceva avanzare nemmeno qualche millimetro di spazio.

Jourdan deglutì, cercando con tutta se stessa di ignorare le sensazioni che quella vicinanza con lui le stava provocando. Ma le sembrava impossibile, soprattutto quando lui decise di far scorrere all'indietro l'indice, tracciando nuovamente la stessa linea e fermandosi proprio sul retro del collo.

Lewis avrebbe voluto staccare gli occhi dai suoi, abbandonare quel contatto visivo che si era creato nel riflesso dello specchio, eppure non ci riusciva. Osservava quelle iridi azzurre, dalle pupille leggermente dilatate, messe in risalto dal trucco scuro che adornava i suoi occhi. Al contatto delle dita con il suo collo, Jourdan si era inumidita le labbra, schiudendole. E quel piccolo gesto gli aveva scaturito in testa una gran quantità di irrazionali pensieri poco casti.

«Ho indossato cose decisamente più scomode. Ci sono abituata ormai» rispose lei, facendogli rendere conto come, ormai, stessero mantenendo quella vicinanza da decisamente più tempo del dovuto.

Lewis riprese il suo autocontrollo, abbassando lo sguardo. «Comunque, ho fatto» l'avvisò, muovendo un passo indietro.
Mai aveva dato troppo peso alla modella, non riusciva a spiegarsi come, ora, fosse nata in lui tutta quella curiosità nei suoi confronti. Come il suo corpo stesse rispondendo in quel modo, per il semplice fatto che fossero più vicini del solito.

«Grazie» gli disse, quasi in un sussurro, per poi sistemarsi nuovamente i capelli sulle spalle e recuperare velocemente la sua pochette.

Gli rivolse un semplice sorriso, quasi timido, prima di uscire a passo svelto da quel bagno, lasciandolo lì. Spaventata dalle sensazioni provate, sensazioni che non sperimentava ormai da tanto tempo, aveva dovuto allontanarsi da lui. Tornò nel salone, avvicinandosi subito a Pierre e intromettendosi nella conversazione che lui e il suo amico monegasco stavano avendo, per evitare di perdersi, anche solo per un secondo di più, a ripensare a quello che poco prima aveva provato con Lewis.

Dal canto suo, l'inglese scosse la testa, lasciando anche lui in sospeso quella situazione e riprendendo la sua serata come se niente fosse successo.

Qualche ora dopo, Pierre, assieme ad altre persone andò a richiedere le loro auto al parcheggiatore e gli altri ne approfittarono per salutare velocemente e uscire da quell'hotel. La serata era finalmente giunta al termine e lei poteva tirare un sospiro di sollievo, perché ogni cosa sembrava essere andata per il meglio.

Fuori, il paesaggio era illuminato dalle luci degli altri edifici che costellavano quella lingua di terra fronte mare e abbellito da una luna piena che si rifletteva nell'acqua scura dell'oceano. Ricordò le molteplici volte in cui si era ritrovata in quella città, le feste alle quali aveva preso parte, i bagni fatti di notte, le mattine in cui si era svegliata non capendo dove fosse. Ricordò gli impegni di lavoro che aveva avuto lì, sfilate, photo shootings, riprese per pubblicità di profumi e non solo. E si rese conto a tutti gli effetti, solo in quel momento, di essere tornata a casa. Era lì, in America, per la prima volta dopo quell'ultimo scandalo che l'aveva costretta a lasciare ogni cosa e tutto stava andando fin troppo bene.

Le loro auto arrivarono, Pierre non perse tempo, infilandosi in quella decappottabile e mettendosi subito al volante.

«Domani ci sono le prove libere, non fate troppo tardi» si raccomandò Charles, mentre anche Jourdan saliva a bordo.

«Sì, papà» scherzò lei, facendogli poi l'occhiolino.

Il monegasco scosse la testa, ma prima che potesse dire altro, la Mercedes di Lewis si accodò alle loro macchine e il pilota li sorpassò, recuperando le chiavi dall'uomo in divisa che gliele stava porgendo. «Tornate in hotel?» domandò, guardando però solo Charles.

Il ragazzo annuì. «Ci godremo Miami domenica sera, dopo la gara» rispose.

«La festa non vi ha fatto divertire abbastanza?» si finse sorpreso, accennando un sorriso.

Pierre si intromise nella conversazione. «Ad un certo punto ho pensato di addormentarmi» confessò, facendo ridere gli altri due.

«Sì, ti capisco» annuì Lewis. «Allora, ci vediamo domani nel paddock» lasciò che il suo sguardo ricadesse su Jourdan, seduta sul sedile del passeggero di quella macchina. Cercando nei suoi occhi una risposta a quella sua affermazione.

Una risposta che però arrivò solo da parte di Charles. «Sì» confermò. «Buonanotte» gli disse poi, tendendogli una mano e attirandolo in un mezzo abbraccio.

«Buonanotte» rispose lui, salutando Pierre con un cenno del capo, ma evitando di rivolgere un solo sguardo in più alla ragazza al suo fianco, che lo stava completamente ignorando.

Ciò che più di ogni cosa lo infastidiva, era il fatto che, in ogni caso, non riuscisse a smettere di interrogarsi su di lei. Perché continuava ad affliggersi con quelle domande? Come aveva fatto a rubare così tanto la sua attenzione senza nemmeno impegnarsi?
Non avevano mai avuto rapporti, fino a quella sera in hotel non avevano nemmeno mai parlato. Eppure, era bastata un'unica occhiata per fargli installare in testa il volto e il nome di Jourdan Reed.

«Sogni d'oro, Hamilton» la voce della ragazza attirò tutta la sua attenzione, quando lo salutò, rivolgendogli quelle parole, seguite da un'occhiolino, prima che Pierre mettesse in moto l'auto e partisse, lasciandolo a fissare il retro di quella macchina decappottabile con uno sguardo confuso. Lo aveva completamente ignorato fino a quel momento e ora gli rivolgeva quel saluto con tanto di sguardo ammiccate.

C'era un secondo fine in tutto ciò?
O si stava solo divertendo a prenderlo in giro?
Lewis sospettava che fosse proprio la seconda ipotesi.

«Eccoti» Sebastian lo affiancò, distraendolo dai suoi pensieri. «Ti stavo aspettando dentro» indicò la porta dietro di loro.

«Sì, scusa. Ho visto che la macchina era arrivata e ho fatto che uscire» spiegò, indicando l'auto davanti a lui.

L'amico annuì, avviandosi poi verso la Mercedes ed entrando al suo interno. Lewis fece lo stesso, mettendosi al volante. «Come è andata la serata? Ti ho visto parlare spesso con Mike» gli lanciò un'occhiata veloce, confessandogli che, tutte le serrate conversazioni che il suo amico aveva avuto con il team principal dell'Aston Martin, non erano passate inosservate.

Sebastian ci mise qualche secondo di troppo prima di rispondere. «Sì, avevamo delle cose da chiarire in vista della gara di domenica» nemmeno lui era molto convinto delle sue parole e il sospetto che stava nascendo nella testa di Lewis iniziò ad accentuarsi ancora di più.

«La macchina non sta rispondendo come vi aspettavate?» chiese, attraversando una delle strade principali di Miami e ritrovandosi bloccato nel traffico.

Il tedesco scosse la testa. «Per niente. Dicono di avere in mente un grande progetto per la prossima stagione, ma...» si fermò per qualche secondo. «Il punto è che non sono certo ne valga la pena» ed ecco la conferma ai suoi timori.

Da qualche anno ormai, Sebastian sembrava dubbioso riguardo il proseguimento della sua carriera in Formula 1. Era uno dei suoi migliori amici e spesso si era ritrovato a parlare con lui riguardo il lavoro che facevano. Erano parte della vecchia generazione di piloti, dei pochi che ancora erano rimasti in griglia, e interrogarsi sul loro futuro in quello sport era ormai inevitabile per loro.

Sebastian, tra le righe, più volte gli aveva fatto intuire un pensiero che ormai da un po' aleggiava nella sua mente: quello di attaccare il casco al chiodo e fare ciò che fino a quel momento aveva dovuto mettere alquanto da parte per il suo lavoro, ovvero il marito e soprattutto il padre per le sue figlie.

A Lewis erano sembrati dubbi legittimi, la vita di Seb, a differenza della sua, aveva altre priorità al di sopra della della Formula 1. Ma, mai prima di quel momento, aveva iniziato a pensare al fatto che il ritiro del suo amico fosse solo una questione di tempo, poco tempo.

Vedendo l'espressione preoccupata dell'inglese e non avendo nemmeno ancora lui preso una vera e propria decisione, Sebastian decise di cambiare in fretta discorso. «Lasciamo stare queste cose. Non è il momento adesso» fece aleggiare una mano, rivolgendogli un sorriso. «A te come è andata la serata?» gli chiese.

«Noiosa, come mi aspettavo. Se non fosse per lo strano incontro che ho avuto fuori dal bagno con la ragazza di Pierre» confessò, imboccando una curva e uscendo finalmente dal traffico.

Sebastian lo guardò confuso. «Chi?» domandò, cercando di fare mente locale e di ricordarsi le facce dei presenti. «La sorella di Max?» disse poi, sovvenendosi con chi fosse arrivato Gasly.

Lewis si voltò di scatto verso di lui, ricordandosi subito di star guidando e riportando l'attenzione sulla strada. «Come scusa?» non potè comunque fare a meno di domandargli.

«La ragazza, Jourdan, è la sorella di Max» si spiegò, guardandolo con un'espressione ovvia dipinta in volto. «Non lo sapevi?» sospettò, notando il suo sguardo confuso.

«Io... no» ammise. «Pensavo fosse la sua ragazza, dopo le notizie uscite sui giornali. Ma poi, vedendola sempre assieme a Pierre, ho capito che non poteva essere così» dopo quell'informazione, tutto nella sua testa iniziava ad avere un senso.

Sebastian si lasciò andare ad una risata. «Non ho idea se stia o meno assieme a Pierre. Però so per certo che le voci sui giornali erano totalmente false. Jourdan è la sorella di Max, lo sanno praticamente tutti sin da quando è andata a vivere da lui a Monte-Carlo» gli fece presente.

«Io non ci sono mai stato lì in questi ultimi due anni» puntualizzò.

«Nemmeno io. Vivo in Svizzera, non nel Principato. Eppure lo sapevo» rise ancora, divertito dal fatto che avesse creduto potesse essere la ragazza di Max.

«E tu come l'hai saputo?»

«Parlando con Charles, questo inverno, per puro caso è venuta fuori questa cosa. Ma non ci ho dato il minimo peso, a differenza tua» lo stuzzicò.

Lewis gli tirò un leggero pugnetto sulla spalla. «Fanculo, Seb» gli disse, lasciandosi andare anche lui ad una risata.

«Tra l'altro, visto che sei così in vena di gossip riguardante il tuo rivale e siccome mi sento particolarmente buono, ti dirò di più» attirò tutta la sua attenzione, mentre imboccavano il viale dell'hotel dove alloggiavano per quel weekend. «A Melbourne, ho sentito un giornalista dire a Max di smetterla di mentire e rivelare la verità sulla sua famiglia» confessò.

L'inglese aggrottò le sopracciglia. «La verità?» ragionò nella sua mente. «In effetti, nessuno dei due ha mai smentito quella notizia che li vedeva impegnati in una relazione» finalmente nella sua testa, tutte le domande senza risposta stavano iniziando a prendere un senso. «Perché?» peccato però, che al loro posto ora ne arrivassero altrettante. Sembrava non esserci fine a quella spirale di dubbi e mistero che avvolgeva la ragazza.

«Credo che fosse proprio questo che voleva sapere quel giornalista» gli fece presente.

E Lewis prese consapevolezza del fatto che, ormai, la sua curiosità verso quella ragazza non sarebbe più riuscita a fermarsi. Se quello sarebbe stato un bene o un male, era ancora troppo presto per dirlo.

🌟🌟🌟

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Ringraziamo Sebastian che finalmente ha messo al corrente Lewis del fatto che Jourdan è la sorella di Max. Così, almeno su questo, può mettersi l'anima in pace😂

Come vi avevo detto, il capitolo precedente segnava l'effettivo inizio di quella che sarà la vera e propria conoscenza tra i due protagonisti. E questo piccolo incontro nel bagno del locale ha palesato a tutti gli effetti l'attrazione fisica che provano l'uno per l'altra.

Intanto, la serata sembra essere andata per davvero nel verso giusto. Niente drammi.
Ma ne siamo davvero sicuri? Io non ci giurerei👀

Credete che anche Jourdan si presenterà nel paddock per la gara di domenica?
E se sì, cosa pensate che potrà accadere?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a contattarmi.

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XOXO, Allison💕

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