Capitolo 24 - Sola andata
Ungheria, Mogyoród.
Hungaroring.
Era una cosa buffa il sesto senso. Quella piccola vibrazione che sentivi dentro di te, che provava ad avvisarti che qualcosa, da lì a poco, sarebbe successo. Positiva o negativa che fosse, quella sensazione era sempre qualcosa di strano da avvertire. Compariva dal nulla, disturbava i tuoi pensieri e ti portava a farne altri che conducevano, senza ulteriori possibilità, allo sgomento.
Era lì, ti stava avvisando, eppure non sapevi mai dire riguardo cosa.
Voleva metterti in guardia? Prepararti ad affrontare un ostacolo? O semplicemente darti una delusione che, nel profondo, già ti aspettavi?
E da dove arrivava poi? Quale parte del corpo o del cervello avvertiva che qualcosa stava per succedere e sceglieva di mettere al corrente anche le restanti?
L'unica certezza che Jourdan aveva, riguardo quel sesto senso presente in ognuno di noi, era che, quando capitava a lei di avvertirlo, non si trattava mai di buone notizie. Quella mattina, di ormai sette giorni prima poi, non era stato altro se non l'ennesima conferma.
Si era rigirata per un po' tra le lenzuola, in dormiveglia, prima di decidersi ad abbandonare del tutto il sonno e aprire gli occhi, dando ascolto a quella sensazione che le consigliava di farlo già da tempo. Nel buio di quella stanza, creato dalle tende che solo Lewis poteva aver chiuso la notte prima, dato che lei non si ricordava minimamente di averlo fatto, si guardò attorno. Non udiva alcun rumore e non vedeva nulla che potesse attirare la sua attenzione. Si voltò su un fianco, allungando un braccio sul materasso, tastando con la mano solamente quest'ultimo.
Tirandosi a sedere, si rese conto di essere da sola, non solo in quel letto, ma nella camera.
Aggrottò le sopracciglia, rimembrando piano piano dove si trovasse. Le immagini della sera precedente le scorsero veloci nella testa, ricordandole di come fosse salita in auto con lui, del loro essere stati incapaci di trattenersi dal saltarsi addosso in ascensore e del modo in cui avevano fatto sesso, con quelle emozioni e sensazioni talmente amplificate che sembrava quasi fosse la prima volta per entrambi.
Si ricordò la frase di Lewis, in cui le diceva di restare se voleva, di non farlo se non se la sentiva. E lei non ci aveva nemmeno rimuginato su più di tanto, sopraffatta dal sonno e stordita da tutte le sensazioni provate, che ancora le rendevano i muscoli intorpiditi. Si era semplicemente addormentata, non accorgendosi più di nulla di quello che le succedeva attorno.
Lewis, comunque, in quel momento non c'era e lei ipotizzò dovesse essere uscito per andare a correre o magari prendere la colazione. Notò solo qualche secondo dopo che, oltre a lui, erano sparite anche tutte le sue cose. La sera prima non aveva fatto caso a nessun dettaglio di quella stanza, troppo presa dal momento, ma era certa di aver intravisto, con la coda dell'occhio, una valigia e un borsone adagiati sopra l'apposita panca accanto all'armadio. Quella mattina, invece, erano spariti.
Niente più vestiti a terra, i suoi erano stati spostati sulla sedia della scrivania, mente quelli di Lewis, volatilizzati, come i bagagli.
E allora Jourdan pensò che fosse già partito. La sera prima lo aveva stoppato quando lui le aveva chiesto se anche lei avrebbe lasciato l'Austria il giorno seguente, quindi poteva essere che il pilota avesse dovuto andare via di lì molto presto. Questo quindi sarebbe stato il motivo della sua mancanza.
Quello che la smentì, fu un semplice foglietto di carta. Lo notò sul comodino accanto a lei, quando stava per alzarsi per andare in bagno. Era accuratamente ripiegato in quattro ed era stato adagiato proprio accanto al suo cellulare. Non perse ulteriore tempo, aprendolo e iniziando a leggere ciò che vi era scritto.
"Sono dovuto andare via, mi dispiace.
Quando domani mattina ti sveglierai, usa pure questa stanza come se fosse tua, finché ti serve."
Due righe, ventidue parole e centosette lettere, che rilesse più di una volta, prima di realizzare che Lewis non fosse partito quella mattina presto, lasciandole tale bigliettino per avvisarla ed evitare di svegliarla. In realtà, in quel letto con lei, non ci aveva proprio mai dormito.
E tale momento, sette giorni dopo, nel paddock del circuito dell'Hungaroring, ritrovandoselo all'improvviso davanti, tutte le sensazioni provate dopo aver letto quel bigliettino, la colpirono nuovamente.
Si era sentita usata, come se fosse un semplice passatempo. Che le sarebbe anche andato bene, se solo quelle fossero state le intenzioni di entrambi. Ma la loro conoscenza si era sviluppata su una base diversa dal semplice: "Facciamo sesso per divertirci". Si erano conosciuti andando per gradi, prima mentalmente e poi aggiungendoci anche il contatto fisico. Si erano stuzzicati sin dall'inizio, creando così, a poco a poco, una specie di legame che li aveva portati a comportarsi come se quella conoscenza dovesse essere portata sempre alla fase successiva.
Ma, forse, quelli non erano altro che castelli di carte che lei stessa aveva creato nella sua mente, vedendo una realtà che invece non esisteva per davvero.
Non erano una coppia, non erano nemmeno innamorati, qualcosa però li legava. Un qualcosa che andava oltre la semplice attrazione fisica. Eppure, quel qualcosa sembrava esistere solo per lei.
C'erano comunque dei dubbi nella sua testa, riguardo i comportamenti di Lewis. L'aveva cercata più volte, era stato lui a compiere, quasi sempre, il primo passo tra loro, nelle varie situazioni in cui si erano ritrovati. L'aveva ascoltata e l'aveva fatta sentire libera di poter esprimersi a parole e attraverso i gesti. In più, quella stessa sera, prima che sparisse oltre la porta del bagno, le aveva detto che sarebbe potuta restare lì per la notte, se avesse voluto.
E allora poi perché, dopo tutti questi fatti, era stato lui ad andarsene?
Non riusciva a darsi una risposta logica, se non che l'avesse sempre e solo presa in giro, così come chiunque nel suo passato aveva fatto.
Poteva davvero aver finto per tutti quei mesi di avere un qualche interessamento verso di lei, regalandole gesti gentili, premure e sorrisi, solo per poi sparire quando aveva ottenuto ciò che voleva?
Si era trattato per davvero solo di qualche scopata per lui?
Un qualcosa bello sul momento ma di cui si era già stancato.
Una piccola parte della sua mente continuava ad urlarle che non poteva essere così, che lui era diverso, glielo aveva detto, glielo aveva dimostrato. D'altronde però, per quanto tempo aveva creduto che anche quell'uomo, che l'aveva tenuta in quella relazione tossica per anni, fosse diverso.
Sbagliarsi sulla persone, illudersi di vedere qualcosa di buono in esse, era sempre stata la sua specialità. E con Lewis, poteva solo aver preso l'ennesimo abbaglio.
«Ciao» le disse lui, provando a cercare un contatto visivo che lei gli negò. Jourdan stava camminando in quella via del paddock, diretta verso l'hosputality Ferrari, per vedere l'unico motivo per cui si trovava su quel circuito, quando Lewis le era quasi andato a sbattere addosso.
L'inglese, in ritardo per alcune interviste, stava correndo tra i vari motorhome, cercando di schivare quanto più abilmente possibile la moltitudine di persone che lo circondavano. Non riuscendo però a farlo del tutto, dal momento in cui si ritrovò davanti la figura di Jourdan e la sua mente andò in tilt per qualche secondo, portandoli a scontrarsi di poco.
«Ciao» rispose lei freddamente. Decidendo di oltrepassarlo nell'esatto momento in cui lo vide pronto per aggiungere altro, provando ad intavolare una conversazione.
Non voleva sentire nulla di quello che aveva da dirle.
Non voleva nemmeno andarci in Ungheria, sarebbe rimasta volentieri a casa, a Monte-Carlo. Charles però, aveva insistito tanto sul fatto che ci fosse anche lei. Era l'ultima gara prima della pausa estiva che sarebbe durata un mese e gli faceva piacere che la sua migliore amica fosse lì, dal momento in cui sarebbe stata l'unica persona a lui vicino, nel suo privato, ad essere presente. In più, non avevano ancora avuto occasione di parlare riguardo la recente scoperta fatta, che vedeva lei e Lewis andare a letto insieme.
La modella, quindi, alla fine aveva ceduto, salendo sull'aereo con lui, ma presentandosi su quel circuito solo la domenica.
Jourdan e il pilota on si erano più sentiti dopo quella notte in Austria, lui non le aveva scritto e lei nemmeno.
Voleva evitare di incontrarlo. Se le cose fossero davvero finite in quel modo, se tutta la loro conoscenza si fosse davvero interrotta in quella stanza d'hotel, allora voleva fare il possibile per non rivederlo. Ignorarlo del tutto, così come stava ignorando la situazione in cui si trovava, le creava meno dolore da gestire. Fingere che il problema non esistesse sembrava quindi l'opzione migliore.
In ogni caso, l'universo pareva essere di tutt'altra idea, dal momento in cui aveva deciso di farli sbattere l'uno addosso all'altra, praticamente qualche minuto dopo in cui la ragazza aveva fatto ingresso su quel circuito.
Lewis rimase fermo per qualche secondo, dimenticandosi di essere già in ritardo. Tenne lo sguardo fisso sulla schiena di lei, guardandola allontanarsi, sparendo tra la miriade di persone che affollavano il paddock. In quel momento, si rese davvero conto dell'errore che aveva commesso andandosene quella notte.
Jourdan raggiunse il motorhome Ferrari, in tutta fretta, quasi avesse paura che lui avesse deciso di seguirla. Si fiondò all'interno, cercando con lo sguardo il suo amico. Incontrò invece quello di Carlos. Attirò allora la sua attenzione con un gesto della mano, mentre stava parlando con alcuni ingegneri e con il labiale gli chiese dove fosse Charles. Lo spagnolo gli indicò il piano superiore, rivolgendole un sorriso gentile, che lei ricambiò, prima di salire velocemente quelle scale.
Trovò il pilota che stava uscendo dalla sua stanza, con in mano un bicchiere d'asporto, il cellulare, delle scarpe e un paio di guanti. «Eccoti» l'accolse subito, volendo abbracciarla, ma rendendosi presto conto che non avrebbe potuto farlo senza far cadere a terra tutto quello che stava tenendo. «Tutto bene?» domandò poi, notando l'espressione, un po' turbata, che aveva in volto.
«Sei impegnato?» chiese, non rispondendo alla sua domanda.
«Devo solo portare queste cose di sotto» le mostrò le scarpe e i guanti. «Poi ho due ore libere» aggiunse.
La ragazza sembrò tirare un sospiro di sollievo. «Ti aspetto in terrazza allora» lo avvisò. «Ah, portami un latte macchiato di soia, freddo. Già che vai giù dove c'è la caffetteria» ne approfittò.
Charles sorrise, scuotendo la testa. «Pilota di Formula 1 e nel tempo libero anche cameriere» scherzò, per poi dirigersi al piano terra. Jourdan raggiunse il terrazzo coperto, lasciandosi ricadere su uno dei divanetti bianchi.
La sua mente la riportò a quel breve incontro avuto, poco prima, con l'inglese. Aveva cercato di sembrare quanto più disinvolta e distaccata possibile, credeva di esserci del tutto riuscita. Ma, si era comunque riservata dei veloci e preziosi secondi per osservalo. Perché, per quanto volesse fingere che non le interessasse nulla di lui, il suo cervello l'aveva spinta a guardarlo di sottecchi, portando la sua attenzione da subito negli occhi scuri e così espressivi, incorniciati dalle ciglia lunghe.
Si era poi presa il suo tempo per notare il modo in cui era vestito. Un paio di jeans dal colore grigio scuro, con alcuni dettagli nel tessuto che li facevano sembrare quasi come se fossero rovinati. Sopra, indossava un gilet nero, che aderiva perfettamente al suo petto, mettendo in risalto i muscoli delle braccia scoperte. Si allacciava con dei semplici bottoni ed era caratterizzato da uno scollo a V non troppo profondo. Un orologio sul polso sinistro, un bracciale argento su quello destro, alcuni anelli ad adornagli le dita e tre collanine, che si abbinavano perfettamente con i due piercing sul naso e quegli orecchini luccicanti. Tra le mani teneva una maglietta, sempre dal colore nero, rappresentativa però del suo team, assieme a degli occhiali da sole del medesimo colore.
L'aveva guardata, per poi portare gli occhi sull'asfalto sotto di lui, decidendosi solo qualche secondo dopo di tornare a donarle la sua attenzione. Un accenno di sorriso, quel saluto imbarazzato e lo sguardo colpevole, quasi triste.
Se ne era andato, perché mai avrebbe dovuto leggere nelle sue iridi tristezza? Eppure, tramite quei grandi occhi marroni, così espressivi, era proprio ciò che trasparì.
Come poteva sempre finire per interessarsi alle persone sbagliate, proprio non riusciva a spiegarselo. O aveva una specie di calamita per attirare chi non andava bene per lei o era lei stessa che trasformava qualsiasi persona che le si avvicinasse, in quel modo più emotivo, in un emerito stronzo.
«Ecco qui il tuo latte macchiato di soia» Charles la strappò via a quel dilemma, raggiungendola e porgendole il bicchiere d'asporto che stava tenendo tra le mani.
«Grazie» gli sorrise lei, smettendo di dare adito alla sua mente di tormentarla.
Il monegasco si accomodò accanto a lei, lasciandosi ricadere pesantemente su quel divanetto. Era una giornata di sole, in piena estate e il caldo si faceva sentire, anche se quell'arietta che di tanto in tanto tirava, rendeva il tutto più piacevole. Si sistemò meglio il cappellino, marchiato dal logo del team e dal suo numero, sulla testa, per poi voltarsi e rivolgere uno sguardo alla sua amica. «È passata una settimana e tu ancora mi devi delle spiegazioni» le puntò il dito contro.
Jourdan aggrottò le sopracciglia, smettendo di sorseggiare la sua bevanda. Gli rivolse quello sguardo confuso, invitandolo ad andare avanti. «Tu, Hamilton, "probabilmente a scopare"» citò le parole che lei stessa aveva detto, la domenica precedente, sempre su quel terrazzo, in Austria però.
La ragazza roteò gli occhi verso il cielo. «Non c'è niente da spiegare» tagliò subito corto.
Ma lui era di tutt'altra idea su quell'argomento. «Non c'è niente da spiegare?» alzò di poco la voce, gesticolando con le braccia. «Ti scopi-» si interruppe, davanti al suo sguardo tagliente, capendo di dover abbassare il tono. «Ti scopi Hamilton e secondo te non ci sarebbe niente da spiegare?» sussurrò con gli occhi spalancati.
«Charles, sono certa che tu sappia come funziona quando due adulti vanno a letto insieme. Cosa dovrei dirti di più?» avrebbe avuto tante cose da dirgli in realtà, una miriade di cose delle quali quasi perdeva il conto. Il punto era, che non ne voleva parlare. Per come era finita quella notte, per il modo in cui si era sentita la mattina seguente, leggendo quel bigliettino, l'ultima cosa che voleva era proprio parlare di lui, rivivere in qualche modo ogni passo che l'aveva portata in quella situazione.
«Dovresti dirmi se, ad esempio, è una cosa seria. O se è per questo che tu e Pierre praticamente non vi parlate più. O, magari, se tuo fratello lo sa. Oppure, ancora meglio, come mai hai deciso di tenerlo nascosto al suo migliore amico» le mise davanti un susseguirsi di ipotesi che avrebbero potuto rispondere alla domanda che lei stessa aveva posto.
Jourdan sospirò, sapendo che non avrebbe mollato la presa, fino a quando non si fosse decisa a rivelargli qualcosa. In questo, era esattamente come Skye. «Non ti ho detto niente, perché non c'era bisogno di farlo. Non è mai stata una cosa seria, siamo andati a letto un paio di volte, è semplicemente capitato. Fine.»
Charles alzò un sopracciglio. «Solo un paio di volte?» la ragazza annuì. «Per caso?» lei confermò ancora con un cenno della testa. «Vi ho visti parlare il weekend scorso» disse allora lui.
«E allora?»
«Ho visto il modo in cui vi guardavate, come non riuscivi a toglierti il sorriso dalle labbra e quel gesto da parte di Lewis, di sfiorarti la mano, che voleva sembrare involontario, ma non lo era per niente» ricordò quel momento, in cui la frase di Sebastian gli aveva aperto gli occhi e gli aveva permesso di osservare quella scena da tutta un'altra prospettiva, captando quei gesti nascosti.
La ragazza abbassò lo sguardo, voltando di poco la testa. «Lui ti piace» aveva il tono di una domanda, anche se in realtà non lo era. «Intendo, ti piace sul serio» insistette.
«Non importa, Charles» rispose lei semplicemente, lasciandolo perplesso.
«Come non importa?» chiese spiegazioni.
Jourdan serrò la mandibola. «Non importa, perché non siamo le persone giuste. Non facciamo l'uno per l'altra. Abbiamo avuto più occasioni per scegliere cosa fare tra noi, se restare o meno, e nessuno dei due le ha mai colte. Le abbiamo semplicemente osservate scivolare via» non scese nei dettagli, ma si decise comunque a spiegare un po' più approfonditamente la situazione. Rendendosi per davvero conto, per la prima volta, di quanto quel rapporto con Lewis si fosse evoluto nel tempo e di quanto si fosse radicato nella sua mente. Nemmeno se ne era accorta mentre tutto ciò succedeva, era stato completamente naturale, graduale, diventando qualcosa ancora senza nome, ma che faceva stare bene entrambi.
O forse solo lei, dal momento in cui in quel letto si era risvegliata da sola.
Charles, solo in quel momento, si rese conto di quanto si era perso. Nonostante fosse stato sempre vicino a lei e in qualche modo anche a Lewis, non si era mai accorto di nulla. La sua migliore amica aveva iniziato una conoscenza con una persona che conosceva e lui era sempre stato cieco davanti a tutto. Come aveva fatto a non scorgere prima quegli sguardi, dentro i quali si nascondevano tutte le parole celate e i gesti trattenuti?
«Stai già tirando le somme di un qualcosa che ancora deve iniziare per davvero?» le chiese, scuotendo la testa. «Non fate l'uno per l'altra perché avete deciso che è più comodo così o perché è davvero così?»
La modella si morse l'interno guancia, iniziando a riflettere su quelle parole, obbligandosi però a smettere subito. «Ho detto che non importa!» esclamò, spazientita. Era stanca di ritrovarsi sempre a sbattere contro dei muri, stanca di provare a fidarsi delle persone solo per scoprire che sarebbe stato meglio farsi gli affari propri. Stanca che gli altri si approfittassero delle sue fragilità, stanca di essere lei stessa a permetterglielo. Lewis aveva scelto di andare via e lei non gli sarebbe di certo corsa dietro, aveva smesso di ricorrere cose e persone il quale unico scopo era trascinarla a fondo.
Charles intuì che in quella spiegazione data, mancasse un pezzo. Intuì anche che dovesse essere un qualcosa di ancora fresco, di cui lei non aveva alcuna voglia di parlare. E, spingerla a farlo, avrebbe solo portato a discussioni che lui voleva evitare, dal momento in cui sarebbero state inutili. Non voleva spingerla oltre, avrebbe atteso che qualsiasi ferita si dovesse rimarginare da sola, lo facesse, così che sarebbe stata pronta a rivelargli tutto, senza che lui dovesse cavarle le parole di bocca, con scarso successo.
«Okay, parliamo d'altro» chiuse quel discorso. «Pausa estiva» intavolò. «Cosa facciamo? Dove andiamo? Quanti siamo?» snocciolò quella serie di domande, sapendo che, finita quella giornata, per un mese intero non si sarebbe più dovuto preoccupare delle gare. «Io avevo pensato, domani torniamo a Monte-Carlo, valige veloci e la mattina dopo partiamo e andiamo in-» la ragazza lo interruppe prima che potesse finire la sua frase.
«Io vi raggiungerò dopo qualche giorno» rivelò, evitando il suo sguardo.
Sul volto del monegasco, per l'ennesima volta, si formò un'espressione confusa. «Perché?» chiese.
«Ho delle cose da sbrigare prima. Per lavoro» rimase volutamente vaga, lasciandogli intuire che sotto potesse esserci qualcosa di più di semplici impegni.
«Oh, okay. Vuoi compagnia?» domandò, sapendo quanto fosse complicato per lei gestire la sua vita lavorativa.
Jourdan scosse la testa. «No. Sarà una cosa veloce e poi vi raggiungerò ovunque siate» insistette
Charles e la modella, non erano i soli impegnati in una conversazione privata, quella mattina. Dopo aver terminato le interviste che gli spettavano, Lewis era ritornato nel motorhome Mercedes, chiudendosi nella sua stanza, trovandosi, proprio come lei, a riflettere sul breve incontro avuto prima e su come quella notte, di ormai una settimana fa, si fosse conclusa.
Ad interrompere i suoi soliloqui interiori, ci aveva pensato il trillo del telefono, che lo aveva fatto ritornare nel mondo reale. Rispose a quella videochiama da parte di Miles. «Ehi, amico» lo salutò subito.
«Ciao» ricambiò lui, notando poi che a quella conversazione si fosse appena aggiunto anche Spinz.
«Pausa estiva» aveva subito detto Miles, spiegando il motivo di quella videochiamata di gruppo. «Io fino a domani sono bloccato a Milano per delle gare, ma poi mi libero e non ho intenzione di perdere nemmeno un secondo di queste vacanze che, per grazia divina, quest'anno capitano per tutti e tre nello stesso periodo» sentenziò deciso, facendo ridere gli altri due. «Non mi interessa dove andiamo, non mi interessa chi portate, io voglio solo trovarmi, almeno, due ragazze con cui divertirmi per tutto il tempo e dimenticarmi anche come mi chiamo» aggiunse deciso.
Miles amava davvero tanto la pausa estiva, che il suo lavoro, come quello di Lewis, gli concedeva. Da sportivo, per tutto il resto dell'anno viveva seguendo una dieta, allenandosi, rispettando regole e mettendo sempre la scherma al primo posto. Ma, per quell'unico mese in cui era davvero libero, mandava al diavolo ogni cosa, per poi riprendere con la routine, al termine di quelle vacanze, come se nulla fosse. «A me basta non dovermi svegliare ancora con una tua chiamata in cui ci dici: "Mi sono perso. Venitemi a prendere" e come unico indizio ci suggerisci che, vedi la luna» sottolineò Spinz, ricordando un'episodio della vacanza fatta l'anno precedente.
«Concordo» si intromise Lewis, portando Miles ad alzare gli occhi al cielo, in modo divertito.
«E tu invece?» il pilota venne chiamato in causa da Spinz. «Pensi di venire con qualcuno?» il ragazzo alzò entrambe le sopracciglia, assumendo un'espressione furba.
«Esatto, Lew, sarà la volta buona in cui ci presenterai per bene questa Jourdan?» insistette Miles, utilizzando quell'abbreviazione vezzeggiativa del suo nome, prendendolo amichevolmente in giro.
Hamilton scosse la testa, portandosi una mano sul volto. «Non credo proprio che abbia alcuna voglia di rivedermi» ammise subito, senza girarci troppo intorno, avendo bisogno, più di ogni altra cosa, di un consiglio da parte dei suoi amici.
«Che intendi dire?» indagò Spinz, avvicinandosi di più allo schermo del telefono.
«Domenica scorsa siamo andati via dal circuito, assieme e siamo finiti nella mia stanza d'hotel» iniziò a raccontare. «Non scendo in alcun dettaglio» smorzò subito l'entusiasmo di Miles, che sbuffò leggermente. «Nel momento subito dopo mi sono sentito completamente calmo, lontano da ogni pensiero. Poi però, mentre ero sotto la doccia, i dubbi si sono fatti vivi e quando sono uscito dal bagno, vedendola ancora lì nel letto, già addormentata, mi è preso il panico» venne interrotto.
«Ecco che ci risiamo» commentò Spinz, scuotendo la testa con uno sguardo di rimprovero verso di lui.
Lewis cercò di non farci caso, proseguendo. «Insomma, mi è sembrato che le cose stessero diventando sempre più reali. In quel momento non la vedevo più come una divertente conoscenza che stuzzicava la mia mente e il mio corpo. La vedevo come un qualcosa che mi pesava addosso, quasi schiacciandomi del tutto» provò a spiegare a parole le sue paure riguardo quell'aprirsi per davvero e fino in fondo con una persona, al lasciarsi andare ai sentimenti.
«Ti prego, non mi dire che te ne sei andato via così, mollandola lì da sola, a dormire nella tua stanza d'hotel» Spinz si potrò le mani sugli occhi, immaginando già la possibile risposta.
«Le ho lasciato un bigliettino» saltò subito su lui.
Miles si intromise. «Le ha lasciato un bigliettino» ripetè sconcertato, nel caso l'altro non l'avesse capito. «Amico, lasciatelo dire, sei proprio un coglione» disse poi, guardandolo con biasimo.
"Sì, lo sei stato."
I suoi stessi pensieri lo zittirono, ancora prima che potesse trovare una frase con cui ribattere all'affermazione dell'amico. Ripensandoci a mente lucida, lontano da tutti i suoi timori, si rendeva conto di quanto quel gesto fosse stato sbagliato e da codardo. Codardo verso di lei e verso se stesso. Perché non riusciva ad affrontare quella paura? Correva su una macchina a più di trecento chilometri orari, camminava sul filo del rasoio per la maggior parte del tempo della sua vita, non aveva problemi a spingersi sempre al limite, a premere l'acceleratore, a provare adrenalina praticando un qualsiasi sport estremo. Eppure, la possibilità di essere messo faccia a faccia con quelle emozioni che aveva voluto dimenticare a memoria, lo terrorizzava.
Quando le aveva dato l'opzione di restare o andarsene, sperava che lei scegliesse la prima, anche se una parte del suo cervello era convita che mai lo avrebbe fatto. Quando poi si era reso conto di essersi sbagliato, che Jourdan aveva davvero deciso di rimanere tra quelle lenzuola, sentendosi così a suo agio da addormentarsi ancora prima che lui finisse la sua doccia, tutto aveva preso una sfumatura diversa. Era sempre stata lei quella restia a lasciarsi andare, lui la cercava e lei fingeva di non volerlo. Lei aveva sempre rimarcato dove e quale fosse il confine, alzato i paletti. In quel momento, invece, sembrava che tale ruolo non le appartenesse più. E allora, i pensieri nella mente di Lewis erano cambiati.
Se Jourdan aveva innalzato un ponte per permettergli di attraversare quei confini da lei stessa solcati, significava che, tutta quella loro conoscenza, stava prendendo una strada decisamente tortuosa e ricca di insidie nascoste. La sola strada che mai avrebbe desiderato percorrere. Quella che portava ai sentimenti, ai compromessi, alle liti, alla noia, alla scelta. Era più forte di lui, ogni volta in cui provava ad immaginare il corso di una relazione con qualcuno, nella sua testa, questa ripercorreva sempre le stesse tappe, partendo leggera, appesantendosi sempre di più nel corso del tempo, per poi finire con lo schiantarsi al suolo e distruggersi in mille pezzi impossibili da riparare.
Non c'erano altri possibili scenari nella sua mente, nessun altro possibile finale.
«Cazzo, io non so più come dirtelo: non sono tutte Nicole. Non tutte le relazioni devono finire così male» Miles si fece decisamente più serio. «Mi fai incazzare, ti giuro. Perché ti precludi ogni conoscenza nel momento in cui supera quella stupida linea immaginaria che hai deciso di tirare. Può essere anche la ragazza migliore del mondo, quella perfetta per te, tu la chiudi comunque fuori a prescindere» spiegò perfettamente il suo comportamento, dimostrando, ancora una volta, di conoscerlo meglio di chiunque altro. «Ringrazia che non sia lì, altrimenti ti avrei tirato un pugno» scherzò poi, accennando un sorriso.
«Da quant'è che non ti piaceva, per davvero, una ragazza?» domandò Spinz, sapendo perfettamente dove andare a colpire.
Lewis ci pensò su per qualche secondo, aggrottando la fronte. Prima che potesse rispondere, venne preceduto da Miles. «Te lo dico io. Dai primi anni con Nicole» e non aveva detto altro, se non la verità. Dopo quella donna, non aveva mai più provato tale sentimento per nessuna. Mai, prima di conoscere Jourdan, si era ritrovato a rendersi conto che qualcuna gli piacesse. E non si trattava di semplice attrazione fisica, non si era mai trattato solo di quella. Ad essa si accompagnava la curiosità della sua mente di scoprire sempre di più su di lei. Ed era proprio quest'ultima che, da dopo Nicole e prima di Jourdan, gli era sempre mancata con le altre.
Ecco che cosa lo spaventava, il sapere di star provando quella stessa sensazione che, agli inizi, aveva provato con quella donna. Una sensazione idilliaca, fino al momento in cui aveva deciso di trasformarsi in un incubo e stritolarlo tra le sue spire, come un serpente.
Perché con lei sarebbe dovuto essere diverso? Insomma, loro due già partivano con degli ostacoli sulla loro strada, Max, la fama, i gossip, i loro lavori. Andando avanti, come sarebbe potuto essere meglio?
«Corri questa gara. Corrila e vincila, se puoi. Festeggia su quel podio, prenditi gli applausi che ti meriti. Ma poi, muovi quel culo, vai a cercarla, chiedile scusa e dille che sei un coglione» Miles lo fissò serio, mostrandogli, attraverso quella frase, quanto tenesse a lui, alla loro amicizia e al fatto che prendesse sempre la scelta più giusta possibile.
«Ha ragione» dichiarò Spinz. «E sono rare le volte in cui lo dico» aggiunse, puntualizzando il suo pieno supporto a quel consiglio dell'altro amico.
Le gare sul circuito ungherese dell'Hungaroring, avevano quasi sempre regalato colpi di scena e spettacolo in generale. Il giorno precedente, Lewis si era impossessato della nona pole position su quel tracciato, rompendo un altro record, divenendo il pilota con il maggior numero di pole conquistate in uno stesso circuito. E quel giorno puntava ad acquistare un altro traguardo, quello di diventare il più vincente nella storia su tale pista. Lo era già diventato a Silverstone, con la sua vittoria di quell'anno, conquistandone nove, a casa sua, nella sua carriera. Adesso aveva l'opportunità di fare lo stesso anche in Ungheria e non se la sarebbe fatta scappare facilmente.
Ecco perché, nel momento in cui si era infilato il casco e aveva preso posto in auto, aveva messo in pausa ogni sua preoccupazione esterna, concentrandosi solo ed esclusivamente a portare a casa la vittoria. Non poteva e non voleva permettersi distrazioni, nulla che non avesse a che vedere con la guida e quella pista. I consigli degli amici, i problemi con Jourdan, il ritiro di Seb, niente di tutto questo avrebbe potuto bussare alle porte dei suoi pensieri, non in quel momento almeno.
Come di consuetudine, allo spegnimento di quei semafori, premette il piede sull'acceleratore, rendendosi partecipe di un'ottima partenza, che però non lo tolse del tutto dalla battaglia per quella prima posizione. Dietro di lui, Max aveva già cominciato ad attaccare per provare a superarlo. La gara era appena iniziata e si trovavano tutti molto vicini, avrebbe dovuto difendere quel primo posto, non lasciando alcun spiraglio. Protesse l'interno, impedendo al suo rivale di passare e non alzò il piede, riservandogli lo stesso trattamento che aveva ricevuto lui in Austria e in tanti altri circuiti.
Nel frattempo, anche l'olandese doveva pensare a difendere a sua volta il secondo posto. Dietro di lui, Leclerc sembrava decisamente affamato nel conquistarsi più di un semplice terzo gradino, a cui sembrava aver fatto l'abitudine da un po' di gare a quella parte. Ognuno di quei tre piloti in lotta per il mondiale, quel giorno, voleva vincere a tutti i costi, per portare a termine un loro obbiettivo. Lewis voleva vincere per conquistare l'ennesimo record a suo nome. Max voleva farlo per portarsi in testa alla classifica punti. E Charles, per mettere fine a quella striscia di terzi posti, che sembrava perseguitarlo. Solo uno di loro, però, avrebbe potuto uscirne vittorioso.
Oltre ai possibili sorpassi che avrebbero potuto compiere in pista, in gioco c'era anche la strategia che ognuno di loro aveva concordato con il proprio team per i due più-stop previsti. Date le temperature della pista e le condizioni, tutti e tre avevano deciso di partire con gomme medie, scegliendo di lasciare le più dure per i giri centrali, così da scongiurare il più possibile il degrado ed avere uno stint più lungo. La scelta finale sarebbe stata quella decisiva, tornare alle medie o scegliere le soft, stare sul sicuro su una gomma già testata nei primi giri o rischiare montandone una che avrebbe potuto rendere sì la macchina più veloce ma anche calare molto presto di prestazione, date le alte temperature dell'asfalto.
«Azzardiamo con le soft?» domandò Lewis via radio. «Come stanno reagendo su chi le ha già montate?» aggiunse, mentre scalava le marce per affrontare una delle tante curve presenti.
«Non un'ottima prestazione sull'Alpine di Ocon. Invece sono migliorati i tempi sulla McLaren di Ricciardo. Ma, anche quelli di Norris, che ha rimesso la media, sono buoni» gli rispose Bono, analizzando attentamente i monitor davanti ai suoi occhi, fornendogli le informazioni riguardati le macchine che per prime avevano effettuato quel secondo ed ultimo più-stop. «Sainz entra in pit-lane ora, gomma media anche per lui» parlò velocemente, notando quel particolare.
Lewis cercò di ragionare in fretta nella sua mente. «Non credo che l'assetto che stiamo usando per questa gara sia il più adatto per le soft, c'è il rischio che si degradino subito» parlò ancora Bono.
«Okay, restiamo sulle medie» si convinse anche lui, prendendo la stessa decisione di Verstappen, che le montò a sua volta.
Chi invece optò per una scelta diversa, fu proprio Leclerc. Dopo una lunga conversazione con il suo ingegnere di pista, lo convinse a correre quel rischio, sicuro del fatto che una gomma soft avrebbe aiutato la sua auto quel giorno, in quegli ultimi giri. Fu un azzardo, una scommessa che però si rivelò vincente. Effettuò il pit-stop dopo entrambi gli altri piloti, uscendo su quel tracciato con la gomma da lui voluta. Fece del suo meglio per metterla in temperatura, mantenendo la terza posizione, per poi provare ad attaccare.
Dapprima rientrò in zona DRS con Max, lottando per qualche giro, riuscendo però ad avere la meglio, in quanto, la sua monoposto, con quella gomma soft, risultava più veloce. Si trovava al secondo posto, non più al terzo, ma non si sarebbe accontentato, viste le ottime prestazioni dell'auto, avrebbe puntato a vincere quella gara. Appena ne ebbe la possibilità, attaccò anche Lewis, che subito si difese, rendendogli le cose difficili.
«Cazzo, Charles è più veloce con le soft» commentò via radio, informando Bono di un qualcosa che già era riuscito a vedere dai dati sui suoi monitor. L'ingegnere non si pentiva di avergli consigliato di rimettere quelle gomme medie, perché era certo del fatto che le altre non avrebbero funzionato sull'assetto scelto e il suo pilota avrebbe potuto trovarsi ad essere attaccato da entrambi i contendenti al titolo di campione del mondo, di quell'anno. In quel modo, invece, se anche Leclerc fosse riuscito a superarlo, lui comunque sarebbe stato in grado di mantenere la posizione su Verstappen, portando a casa un secondo posto, invece che un terzo, che invece sarebbe stato quasi certo con la scelta dell'altro tipo di pneumatici.
«Non preoccuparti, Lewis. Difendi la posizione finché puoi e stai attento a non commettere errori» lo rassicurò. L'inglese fece esattamente ciò che gli venne detto, continuando a proteggere in modo alternato l'interno e poi l'esterno. Non riuscendo però a farlo fino all'ultimo. Charles ebbe la meglio, guadagnandosi la testa della gara e tagliando il traguardo, vincendo, per la prima volta, lì in Ungheria. Ponendo anche così fine a quella striscia di podi in cui occupava sempre il terzo gradino.
Parcheggiate le auto, il monegasco scese di fretta, correndo verso le ringhiere, abbracciando i membri del suo team e festeggiando con loro. Nel mezzo di quella piccola folla, con sua sorpresa, vi scorse anche la figura di Jourdan. La modella aveva seguito tutta la gara e quando lo aveva visto vincere, si era detta che non importava di tutto il resto, sarebbe dovuta andare nel parc fermé e congratularsi con il suo migliore amico. Lui l'aveva voluta lì a tutti i costi, per avere supporto da una persona vicina nel suo privato, durante quella che era l'ultima gara prima della pausa estiva e lei, data la sua vittoria, non poteva tirarsi indietro dal presentarsi sotto quel podio.
Aveva quindi indossato i suoi occhiali da sole, sapendo che comunque non sarebbero riusciti a nascondere la sua identità dai fotografi, sperando però comunque di confondersi bene tra la folla di persone presenti sotto al podio. Charles, appena la vide, non perse tempo per abbracciarla, cercando di coprirla, quanto più possibile con il suo corpo. «Cosa ci fai qui?» le chiese, provando a sovrastare il resto delle voci.
«Festeggio con te la tua vittoria» rispose sorridendogli, mentre lui la stringeva ancora di più a sé. Erano davvero rare le occasioni in cui, sotto quel podio, vi fosse qualcun altro che non fossero i membri del suo team. Avere lì Jourdan, dopo quella vittoria, lo faceva sentire ancora più contento di quello che già era appena sceso dall'auto.
Qualche metro più in là, anche gli altri due piloti erano intenti a festeggiare con i rispettivi team. «Sembra che il tuo "non importa" ti stia osservando» Charles, toltosi il casco, si avvicinò all'orecchio della ragazza, sussurrandole quella frase, chiamando l'inglese con quell'affermazione che lei, prima, aveva usato.
Per quanto si stesse sforzando di non farlo, Jourdan non riuscì a trattenersi dal cercare a sua volta Lewis con lo sguardo. Trovò quasi subito quei grandi occhi marroni, che la stavano scrutando tramite la visiera alzata del casco. Esattamente come quella mattina, sembrava volerle comunicare qualcosa attraverso quelle iridi scure, ma era un qualcosa a cui lei non avrebbe dato retta. Se fino ad allora le aveva raccontato solo bugie, per arrivare a qualunque fosse il suo scopo, cosa gli impediva di farlo anche in quel momento, fingendo di essere dispiaciuto, addirittura triste.
Dietro all'inglese, comparve poi suo fratello, che subito la notò tra la piccola folla. Guardò prima lei e poi Lewis, cercando però di non far trasparire alcuna emozione. Li oltrepassò entrambi, facendo finta di niente, andando a pesarsi e poi ritirandosi dentro la cool down room. «Devo andare» le disse Charles, avvisandola. Jourdan annuì, per poi cogliere quell'occasione per dileguarsi anche lei tra la folla.
Non sarebbe rimasta, non avrebbe incrociato un'altra volta lo sguardo con Lewis.
Le celebrazioni sul podio si svolsero come di tradizione e ai piloti vennero dati i trofei caratterizzati da vasi tipici della cultura ungherese, realizzati e decorati a mano. I tre si diressero poi verso la sala riservata alle interviste, passando davanti anche al luogo riservato alle TV pen.
Sorprendentemente, Lewis non era in ritardo e stava così camminando assieme agli altri due. Sulla strada, incontrarono altri piloti, con i quali si salutarono e si augurarono buone vacanze, sapendo che quello sarebbe stato l'ultimo giorno in cui si sarebbero visti, almeno per un po'.
«Ciao ragazzi» li salutò Daniel, appena uscito da quella parte coperta del paddock, circondata da telecamere e microfoni delle varie emittenti televisive.
«Ehi, Danny» ricambiò subito Max, poggiandogli un braccio attorno alle spalle. Nel frattempo, anche gli altri due si scambiarono un saluto con l'australiano.
«Pronti per le vacanze?» domandò loro.
«Non vedo l'ora» rispose Charles, tirando un sospiro.
Lewis fece spallucce. «Io avrei continuato volentieri anche con qualche altra gara» confessò.
Daniel fece aleggiare una mano. «Eccolo, ovviamente, il solito stakanovista» scosse la testa. «La smetti di farci sembrare sempre degli scansafatiche?» domandò poi retorico, lasciandosi scappare una risata.
«Hai già deciso dove andare in vacanza?» gli chiese Max, mettendo fine a quell'interazione tra i due.
«Sarei dovuto andare con India, ma mi ha dato buca per continuare a lavorare» alzò gli occhi al cielo. «Dovresti conoscerla, Lewis. Andreste sicuramente molto d'accordo» gli diede un piccolo pugnetto sul braccio, facendogli notare come anche la sua migliore amica fosse sempre dietro a pensare al lavoro, mettendolo davanti ad ogni cosa.
«Vuoi venire con noi?» Max lo guardò, facendogli quella proposta. «Io, Lando, Nyck e alcuni altri amici andiamo per una settimana in Grecia» disse.
«Dopo il pacco di India, avrei preferito andare in vacanza con la dirigente del nuovo sponsor della McLaren, ma se proprio devo aggregarmi a questa combriccola di soli uomini, farò questo sforzo» lo prese in giro, guadagnandosi una leggera spinta.
Charles, come sempre in prima linea quando si trattava di gossip, non si lasciò scappare l'occasione. «La dirigente del nuovo sponsor? E chi sarebbe?» diede adito alla sua curiosità.
«Adalia Blevins, giusto?» saltò su Lewis.
«E te cosa ne sai, scusa?» gli chiese Charles, incrociando le braccia al petto e alzando entrambe le sopracciglia.
L'inglese roteò gli occhi al cielo, divertito. «La McLaren è stato il mio primo team, resto informato su di loro» rispose ovvio. «Comunque non è un segreto chi siano gli sponsor dei team e i loro dirigenti» aggiunse, puntualizzando come non fosse poi una cosa così strana il fatto che fosse a conoscenza di tale informazione.
Proseguirono quella conversazione ancora per qualche minuto, prima di rendersi conto che fossero leggermente in ritardo per la conferenza stampa post gara che li attendeva. Salutarono così l'australiano e poi proseguirono con i loro impegni.
Il tempo scorse per tutti e anche Jourdan, quando il sole stava ormai calando, si stava accingendo a lasciare quel paddock. Già quella mattina, si era premurata di farsi portare tutte le sue cose, sapendo che dopo avrebbe subito dovuto partire.
Era ormai arrivato il momento di mettere un punto tra lei e il suo passato, togliendosi definitivamente di mezzo Robert. Aveva avvisato Skye che non sarebbe tornata a Monaco con lei quella sera e non ci sarebbe andata nemmeno il giorno dopo. Aveva detto lo stesso anche a suo fratello, inventando, proprio come con Charles, che avesse un impegno di lavoro.
Stava per ritirare il cellulare nella borsetta, quando però iniziò a squillare e ricevere una decina di notifiche a raffica. Aggrottò la fronte, osservando dapprima il numero, non salvato in rubrica, che la stava chiamando. Decise lo stesso di rispondere, mentre continuava a camminare, tirandosi dietro la grossa valigia dal colore metallico.
«Buonasera, parlo con Jourdan Reed?» domandò quella voce femminile dall'altro capo del telefono.
«Sì, sono io» confermò.
«La chiamo per conto della X Model Management. Abbiamo visto la sua copertina di Vogue e il servizio fatto per Hermès» Jourdan bloccò i suoi passi, nel momento in cui raggiunse l'auto che la stava aspettando. Riordinò velocemente le idee, ricordandosi di quella giornata passata sul set a Saint-Tropez e delle foto che Pauline le aveva poi mandato, chiedendole se potesse utilizzarle. Lei aveva dato l'okay, ma non credeva che ne avesse scelta una sua per la copertina di quello che era il giornale più importante nel mondo della moda.
«Mi scusi, ma al momento sto per prendere un volo. La richiamerò io appena sarò libera» chiuse velocemente quella telefonata. Cercando di fare il possibile per tutte le altre notifiche che le stavano arrivando a raffica sul cellulare, andò sul sito di Vogue, notando in prima pagina il nuovo numero e la sua foto come copertina. «Cazzo» si lasciò sfuggire dalle labbra, totalmente sorpresa da quella scoperta. Insomma, per due anni non aveva praticamente lavorato come modella, sparendo e ricomparendo per caso in un mondo del tutto diverso, quello dei motori.
Eppure, Pauline aveva comunque scelto una sua foto da utilizzare come copertina, la cosa che ogni persona nota, la prima cosa che si guarda in un giornale. Ed era bastato questo per iniziare a dare nuovamente vita al suo nome nel campo della moda, date le mail e le chiamate che le stavano arrivando da qualsiasi tipo di agenzia o brand. A quanto pareva, quel numero di Vogue aveva fatto pensare alle persone che fosse tornata a lavorare, in tutto e per tutto, come modella, ricordando quindi che si ritrovava, un'altra volta, senza alcuna agenzia o manager. Esattamente come quando si era staccata in modo definitivo da Agnes.
L'ultima volta aveva agito d'impulso, senza minimamente riflettere, ritrovandosi imprigionata, di nuovo, in una vita decisa da altri. Ma ora non avrebbe fatto lo stesso errore. Spense il telefono, mettendo fine a tutte quelle notifiche. Non aveva tempo di pensare anche a quella situazione, aveva altre cose che doveva chiudere, prima di riflettere riguardo tutto ciò che quella copertina aveva appena scatenato. Si sarebbe presa il suo tempo, per capire cosa fare del suo lavoro, della sua vita e di qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto riguardarla.
Era pronta per salire su quell'auto e lasciare che l'autista la portasse in aeroporto, quando però sentì qualcuno chiamare il suo nome.
"Oh, ti prego, non adesso. Non tu."
Pensò nella sua mente, non sapendo come avrebbe fatto a relazionarsi e archiviare anche quel problema, insieme ai mille altri che già la perseguitavano. «Jourdan» la voce, ormai fin troppo famigliare, si fece più vicina e lei si costrinse a girarsi, ignorando quell'impulso che le diceva di salire in macchina e chiudersi lo sportello alle spalle, senza nemmeno guardarlo in faccia.
«Cosa vuoi, Hamilton?» gli chiese, con tono decisamente poco cortese.
Il pilota se ne stava lì davanti a lei, vestito esattamente come quella mattina, quando lo aveva visto per la prima volta dopo sette giorni. La fissava, non riuscendo però a mantenere il contatto visivo, mentre giocava con gli anelli che portava sulle mani, come modo per distrarsi. «Volevo solo parlarti» si decise a dire infine.
Jourdan incrociò le braccia al petto. «Non c'è nulla che dobbiamo dirci» rimbeccò lei, provando a voltarsi per aprire la portiera. La sua mano, però, la fermò, posandosi sull'avambraccio, coperto solo dalla manica leggera, dal colore marrone scuro, trasparente, così come il resto di quel golfino, sotto il quale indossava solo un reggiseno del medesimo colore.
«C'è invece» replicò deciso. «Mi sono comportato da coglione quella sera» ammise, senza girarci troppo attorno. «Non avrei dovuto andarmene via così. È stata davvero una mossa meschina e maleducata» proseguì, capendo di essere riuscito ad attirare la sua attenzione, ammettendo i propri errori. «L'ho fatto solo perché...» fu in quel momento che Lewis lasciò cedere tutto il suo discorso.
Sapeva benissimo perché lo aveva fatto, dirlo a lei, spiegarglielo, però gli risultava più difficile del previsto. Cosa avrebbe dovuto rivelarle? Che aveva paura di impegnarsi in qualcosa di più serio, per via di come erano finite le cose l'unica volta in cui lo aveva fatto? Nemmeno sapeva se lei fosse disposta o stesse pensando a qualcosa di più serio. Era vero che la loro conoscenza si era spinta, più volte, oltre a quel semplice termine, ma questo non significava che lei stesse pensando ad imbarcarsi in qualsiasi cosa che andasse a rinchiudersi nella sfera di una vera e propria relazione.
E quindi che senso avrebbe avuto esternarle quella paura, se mai nemmeno avevano parlato riguardo cosa stessero facendo o cosa fossero quando erano assieme.
Si sentiva solo incredibilmente stupido per ciò che aveva fatto e per come nemmeno riuscisse a fornirle un perché logico al suo gesto.
«Non ti devi giustificare. Io e te non siamo e non siamo mai stati niente, non hai bisogno di darmi spiegazioni» e fu dopo quella frase che tutti i suoi dubbi precedenti trovavano una conferma. A quanto pareva, Jourdan non aveva alcuna intenzione di pensare ad un loro. Perciò la sua paura era ingiustificata, tutti quei film che si era fatto non rispecchiavano affatto la realtà. Avrebbe quindi dovuto tirare un sospiro di sollievo. Invece si ritrovava a sentire una strana morsa allo stomaco, davanti a tale consapevolezza.
C'era poco da fare, al di là di ogni sua paura, a Lewis piaceva quella ragazza. Sentirsi quindi dire quella frase, ritrovandosi a sbattere contro un metaforico muro, non era stato affatto piacevole. «È stato divertente, ma adesso torna alla tua vita come è sempre stata e io torno alla mia» aggiunse ancora, facendogli abbassare lo sguardo verso l'asfalto, notando solo in quel momento la valigia accanto a lei. «Scusa, sono già in ritardo per il mio volo. Devo andare» chiuse definitivamente così quella conversazione, in cui lui non era riuscito a sistemare un bel niente.
Batté una mano sul finestrino dietro di lei, avvisando l'autista, che immediatamente scese, provvedendo a caricare il bagaglio. Aprì lo sportello, salendo in auto e richiudendoselo alle spalle. Lewis invece, ancora una volta, restò lì, immobile, guardando quella macchina allontanarsi sempre di più, fino a scomparire del tutto dal suo campo visivo.
La ragazza, chiusa nell'abitacolo, avvolta dal silenzio, recuperò la sua borsetta, estraendo da essa il passaporto e quel biglietto aereo, di sola andata. Lesse il numero del volo e poi la destinazione: New York, J.F.K.
Prese un profondo respiro, scrollando le spalle, cercando quanto più possibile di liberare la mente.
Non volle più pensare a Lewis, alla copertina appena uscita, al suo lavoro, ai suoi amici, al fratello o a qualsiasi altra cosa che non avesse a che vedere con quello per cui stava partendo, per tornare, dopo due lunghi anni, a casa.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
Da questo capitolo in poi, ci sarà un punto di svolta👀
A quanto pare lei e Lewis non sono riusciti a riappacificarsi, dopo il suo gesto di andarsene e lasciarla da sola per quella notte.
Jourdan non ha voluto sentire ragioni da lui, impaurita di soffrire nuovamente.
La stessa paura che ha portato anche Lewis a sbagliare.
Chissà quando riusciranno finalmente a parlarsi in modo chiaro e smetteranno di scappare dalle loro emozioni. Si accettano scommesse🤷🏻♀️
Nel frattempo, dopo che nemmeno Charles è riuscito a farla ragionare su questa storia con Lewis, per lo meno ha avuto la soddisfazione di trovare la sua migliore amica sotto il podio per festeggiare la sua vittoria🫶🏻
Max, invece, sembrava alquanto contrariato da ciò o forse era solo lo sguardo che sua sorella e l'inglese si stavano riservando a lasciarlo amareggiato?
Comunque, che pausa estiva sia🎉
Adesso per i piloti (e non solo) iniziano le vacanze. Chissà dove andranno, con chi e soprattutto quali nuovi drammi creeranno🤭
Ma, soprattutto, chissà cosa andrà a fare ora Jourdan a New York.
Ultima cosa ma non per importanza, non so se avete notato, ma in una parte di questo capitolo c'è una piccola citazione che riprende la storia (più in particolare la protagonista) di "The Honey Badger | Daniel Ricciardo | Vol. 4" di mybrightshadow ✨
Così come lei ha messo nel suo decimo capitolo della storia, una citazione che riprendere Jourdan 🤍
Detto ciò, per trovare una risposta a tutte le domande in sospeso (e sono parecchie) non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.
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XOXO, Allison💕
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