Capitolo 22 - Mancanze
Austria, Spielberg.
Red Bull Ring.
Non si sarebbe mai abituato a quella sensazione. Non sarebbe mai nemmeno stato in grado di descriverla per davvero. Ma la provava ogni volta in cui metteva piede in quel circuito austriaco.
Inevitabilmente, era legato a quel territorio. Toto, il suo team principal da dieci anni, era nato lì e anche Niki Lauda, suo mentore e amico, la vedeva come sua terra natale. Per questo, l'Austria, rappresentava parte del team per il quale correva e parte della sua storia in esso.
Allo stesso tempo, però, quello stato era anche il luogo dove era nata l'azienda Red Bull, che aveva poi deciso di investire in quasi tutti gli sport esistenti, come sponsor o come team. E lì, in Formula 1, quando si trattava di Austria, si parlava della gara di casa di quel team. E ciò non avrebbe potuto farlo sentire più lontano da quel territorio.
Era un qualcosa di completamente contrastante, due realtà che lo vedevano, da una parte legato e dall'altra rivale.
E, da quando Niki non c'era più, a quelle emozioni confuse, si aggiungeva, a fare da sottofondo perenne durante tutta la sua permanenza lì, la mancanza. Perché era quella che avvertiva, ogni volta in cui metteva piede in Austria.
«Lewis, sei pronto?» gli domandò Angela, riportandolo con la mente al presente. L'auto, sulla quale si trovavano, si era fermata già da qualche secondo, ma lui non aveva accennato ad alcun movimento.
Decise semplicemente di annuire, dando così l'okay al bodyguard accanto a lui. La donna scese dal posto di guida e il pilota fuoriuscì a sua volta, restando accanto alla guardia del corpo. Intravide l'entrata del paddock, fuori dalla quale alcune persone erano già appostate, in attesa degli arrivi dei vari piloti. Prese un profondo respiro, preparandosi ad affrontare quel weekend che già si sentiva sarebbe stato complicato. Dipinse sul suo volto un'espressione impassibile, varcando poi l'entrata.
Oltre le lenti scure degli occhiali da sole, incontrò le figure dei fotografi, tutti già pronti e intenti a scattare quanto più possibile, immortalando ogni angolazione della sua entrata in quel paddock. Un ragazzo si avvicinò, con il cellulare tra le mani, parandosi davanti a lui, senza nemmeno salutarlo o chiedergli il permesso per fare quella foto. Lloyd, il suo bodyguard, prontamente intervenne, allontanandolo con un semplice gesto del braccio.
Era una di quelle tappe del calendario in cui la sua presenza era necessaria. Per quando la gente fosse ipocrita e prima correva da lui chiedendogli una foto, per poi fischiare quando saliva in macchina, la realtà era che in quel circuito non era ben voluto. Negli anni, si era creata una certa rivalità tra lui e Max, che rappresentavano i piloti di punta dei due team più forti in griglia. Una rivalità che, due anni prima, aveva toccato l'apice e, inevitabilmente, aveva coinvolto anche i loro fan, portandola al di fuori della semplice pista.
Vi erano poi quelle persone che avevano estremizzato il tutto, iniziando a diventare scortesi, scorretti e molesti gli uni verso gli altri. E questi fatti capitavano sui vari social, ma anche e soprattutto alle gare. Tanto che, dopo lo scorso anno, alcuni fan Mercedes avevano riportato di essere stati abusati fisicamente e verbalmente dai tifosi Red Bull, in occasione di quella tappa. Questo trattamento, in modo minore, con fischi e insulti, o indirettamente, tramite ad esempio cartelloni degradanti o merchandising bruciato, lo subiva anche Lewis e il team.
Ecco perché, avere sempre accanto il suo bodyguard era necessario in quel circuito.
Oltrepassò i fotografi, sistemandosi meglio quel gilet a costine dal colore giallo chiaro, che lasciava scoperte le braccia ed era caratterizzato da uno scollo a V. Lo aveva abbinato a dei pantaloni del medesimo colore, un paio di scarpe bianche, quegli occhiali argento e i suoi amati accessori, composti da collane, orologio, bracciali e anelli.
Alzò lo sguardo verso il cielo, notando alcune nuvole grigie, cariche di pioggia, approcciarsi all'orizzonte. Non gli dispiaceva correre sul bagnato, era decisamente bravo a farlo, a tenere il controllo dell'auto meglio di chiunque altro in griglia. Ma quel giorno non ci sarebbe stata la gara, ci sarebbero state le qualifiche e farle su una pista bagnata, che prevedeva l'uso di gomme adatte e velocità ridotte, non era proprio l'ideale, in una sessione in cui andava avanti solo chi faceva i giri più veloci.
Lasciò indietro quel pensiero, evitando di rimuginarci sopra quando ancora mancavano parecchie ore all'inizio. Raggiunse il suo motorhome, rifugiandosi all'interno. Scrollò le spalle, prendendo un profondo respiro. «Grazie, Lloyd» ringraziò la sua guardia del corpo, lasciandogli una pacca sulla spalla. Assieme ad Angela, poi, si diresse nella sua stanza, preparandosi per la terza sessione di prove libere e la qualifica, che erano in programma per quella giornata.
In un altro motorhome, non molto lontano da quello della Stella tedesca, Jourdan era seduta su un divanetto, con un caffè tra le mani, mentre osservava il fratello controllare che tutte le sue cose fossero presenti. «Non trovo più il mio badge» dichiarò lui, alzando di colpo la testa, per poi iniziare a frugare in quell'armadio.
«Max, è sul tavolino» glielo indicò, scuotendo la testa. «Sei nervoso, per caso?» chiese allora, notando la smania con cui continuava a riporre al proprio posto cose che già lo erano, perdendo invece ciò che era più importante.
«Io...» lasciò la frase in sospeso ancora prima di iniziarla. «Papà aveva detto che ci sarebbe stato. Ma ieri non c'era e oggi non l'ho visto. Mi fa stare un po' in ansia questo non sapere se possa o no sbucare fuori da un momento all'altro» rivelò, senza girarci troppo attorno.
Jourdan si fece immediatamente seria. «Non chiamarlo così» lo riprese, non riuscendo a trovare due cose più opposte che Jos e l'epiteto di "padre". «E comunque, se non si presenta fa solo un favore a tutti quanti» puntualizzò lei, abbandonando il bicchierino di carta sul tavolo.
Da quando si erano finalmente decisi a parlare, lei e Max, sembravano aver fatto un passo avanti nel loro rapporto fraterno. Tutto sembrava andare meglio. In casa non c'erano più silenzi e le occhiatacce non erano più il loro unico modo di comunicare. Ancora tanto, tra i due, restava taciuto, sul loro passato e sul loro presente, ma erano segreti che, almeno per il momento, sarebbe stato meglio fossero rimasti tali.
«Senti» il fratello richiamò la sua attenzione. «Non ti fa strano quella notizia uscita su Daniel e il suo contratto?» le domandò, fingendo di non avere un secondo fine con quel quesito.
La modella fece spallucce. «Perché dovrebbe? Escono un sacco di notizie e indiscrezioni ogni giorno, su ogni cosa» rispose semplicemente. E non aveva detto qualcosa di falso, anzi. Ciò però non toglieva che a Max, il dubbio che sotto tutto quello ci fosse lei, restava comunque.
«Sì, ma questa è stata un po' troppo dettagliata. Insomma, solo qualcuno di interno a questo mondo, di vicino a lui, poteva venire a conoscenza di una notizia simile» insistette, lanciandole una veloce occhiata. Il punto era, che se mai avesse visto quella foto che la ritraeva in un bar, assieme a quello stesso giornalista che, mesi prima, gli aveva urlato di dire la verità sulla sua famiglia, non avrebbe avuto il minimo dubbio sul fatto che sua sorella potesse centrare qualcosa.
Quella foto però, unita alla delicata notizia uscita, era un grande campanello d'allarme per lui. «Qualcuno avrà fatto la spia» suggerì lei audacemente. «Qualcuno che aveva interesse a farlo, per motivi personali o magari esterni» incrociò le braccia al petto, lasciandolo per qualche secondo senza parole.
In quei momenti si rendeva ancora più conto di come, l'essere stati separati così prematuramente, aveva fatto sì che si creassero delle profonde mancanze nel loro rapporto, portandoli a non conoscersi affatto. Perché, davanti a quelle risposte, non era in grado di dire se gli stesse mentendo o se davvero non ne sapesse nulla. Era lui che si era fatto prendere troppo, creando una narrazione fantastica, esistente solo nella sua testa? O era lei, capace di mentire così, senza scrupoli, guardandolo negli occhi e portandolo a sentirsi quasi uno stupido per aver posto quelle domande?
Max non poteva saperlo, non ancora, che la risposa giusta risiedeva nella seconda opzione. Lo avrebbe scoperto a tempo debito, imparato a sua spese.
«Per caso lo consoci quello che ha scritto l'articolo? Era un certo Rob -si grattò la nuca, cercando di ricordarsi il nome- Robert qualcosa» provò ancora a proseguire sulla linea di quel discorso.
Jourdan scosse la testa in modo deciso. «Mai sentito» dichiarò, mentendo per l'ennesima volta. «E poi, perché dovrei conoscerlo?» saltò su, utilizzando un tono più inacidito. Tutte quelle domande, dal mero fine indagatore, stavano iniziando ad innervosirla. Ci doveva essere un motivo se suo fratello aveva deciso di tirare fuori quella questione. Che forse sapesse qualcosa?
Che sapesse o no, lei comunque avrebbe continuato a negare, fino a che la realtà dei fatti fosse stata smascherata del tutto. E forse, anche in quel caso avrebbe continuato a farlo.
«Non lo so, hai sempre avuto a che fare con i giornalisti, magari lo avevi già sentito» si giustificò lui.
La sorella fece aleggiare una mano, spazzando metaforicamente via quel discorso e tutte le sue implicazioni. «È la prima volta che riusciamo a passare una giornata insieme su un circuito, evitiamo di pensare agli altri» gli fece presente, ricordandogli quel dettaglio, costringendolo a lasciare da parte tutto il resto che gli frullava per la testa.
«Sono contento che tu sia qui» le disse allora, evitando di rovinare quella giornata.
«Anche io» rispose lei, essendo felice di vivere suo fratello in quegli importanti momenti che precedevano la discesa in pista. «Certo, sarebbe meglio poterlo fare senza dover essere relegati a stare chiusi dentro questo motorhome. Ma, non vuoi che il mondo sappia che sono tua sorella, perciò...» fece spallucce, sorridendogli un po' stizzita.
Max reclinò leggermente la testa all'indietro, emettendo un gemito frustrato. «Jourdan, ti prego» la riprese. «Hai appena detto di goderci la giornata, solo per poi cercare di rovinarla subito dopo?» domandò retorico.
«Hai ragione» alzò le mani. «Forza, spiegami un po' cosa sono tutte queste cose» si alzò dal divanetto sul quale sedeva, affiancandolo davanti a quell'armadio.
Il pilota si ammorbidì, felice di aver ricevuto quella domanda, vedendola interessarsi a lui e a ciò che faceva. Afferrò una gruccia, mostrandole meglio quello che vi era appeso. «Beh, questa è una delle tante tute che indosso quando salgo in auto. Sono tutte uguali, ma durante un weekend ne ho comunque diverse, così da poterle cambiare quando sporche o quando serve» le illustrò, descrivendole poi le funzioni di quell'indumento dal prevalente colore blu scuro, caratterizzato da vari loghi degli sponsor, il suo nome e quello del team per cui correva.
Le mostrò poi le scarpe, lasciandogliele tra le mani. «Vorrei farti vedere anche il casco, ma è nei box» si strinse nelle spalle, dispiaciuto di non poterle illustrare uno degli elementi più importanti che caratterizzavano un pilota in pista. E non avrebbe potuto farglielo vedere, perché, dal momento in cui avrebbe lasciato quel motorhome, lei non lo avrebbe seguito, per evitare che venissero fotografati assieme, per evitare l'uscita di altri articoli.
E Jourdan, se lo stava semplicemente facendo andare bene. Non perché ormai si fosse arresa al mantenere quel segreto, per evitare di indispettire o mettere nei casini Jos. Ma per il semplice fatto che, ci avrebbe pensato da sola a far venire fuori la verità, senza chiedere il permesso a nessuno su come e quando avrebbe dovuto raccontare la sua vita. Avrebbe semplicemente seguito il suo piano, mettendo fine, nello stesso momento, a quel ricatto a cui Rob l'aveva sottoposta e a quella situazione in cui si era ritrovata con Max.
«Sarà per la prossima volta» lo rassicurò, restituendogli le scarpe, così che potesse riporle nuovamente al loro posto.
Quel loro piccolo momento venne interrotto dall'aprirsi della porta. Da essa si affacciò un ragazzo, con indosso una maglia del team e il cappellino coordinato. «Max, dovresti venire per fare un video da pubblicare sui social» lo avvisò.
Il pilota annuì. Non gli dispiaceva prestarsi per quel tipo di cose, in più era necessario utilizzarle e tenerne conto, per far sì che la comunicazione del team funzionasse. «Arrivo» rispose, per poi voltarsi verso sua sorella. «Non tornerò qui per qualche ora» le disse, facendole sapere che, dopo quel piccolo impegno, sarebbe andato direttamente ai box per prepararsi in vista dell'ultima sessione di prove libere e delle qualifiche. Facendo quindi ritorno a quel motorhome solo terminato il tutto. «Tu fai pure quello che preferisci. Se vuoi restare qui non c'è problema» aggiunse.
Jourdan si limitò ad annuire, per poi guardarlo lasciare quella stanza. Rimasta sola, rifletté ancora per qualche minuto, prima di decidere cosa fare. A sua volta, uscì dal motorhome, ritrovandosi nella via principale del paddock, in quel momento alquanto popolata. Notò uno dei fotografi puntare l'obbiettivo verso di lei e scattare, immortalandola mentre camminava. Lo ignorò, concentrata con lo sguardo verso l'hospitality Mercedes.
Non voleva avvicinarsi troppo, per evitare di far uscire altri scatti o notizie. Restò quindi a quella distanza, per lei, di sicurezza, attendendo di vedere uscire Lewis. Ciò che attirò la sua attenzione però, fu invece una voce conosciuta, impegnata in una conversazione concitata, in francese.
Pierre, appena uscito dal motorhome dell'AlphaTauri, si era fermato proprio lì fuori. Ancora sui gradini e, con il telefono all'orecchio, era intento a discutere di un qualcosa che lei si stava sforzando di comprendere. Aveva imparato qualcosa di francese, durante quei due anni passati a Monte-Carlo, ma, cercare di capire quello che stava dicendo, le risultava più complicato del previsto, visto la velocità con cui il pilota stava parlando.
Non si accorse dello sguardo di lei addosso, troppo preso da quella conversazione. Accanto a lui, vi era invece uno dei membri del suo team personale, che solitamente si occupava di tutte le questioni burocratiche che lo riguardavano. Aveva dipinta in volto un'espressione preoccupata e i suoi occhi saettavano da una parte all'altra di quel paddock, per poi soffermarsi su di lui e pregarlo, in silenzio, di non farsi notare.
Il francese chiuse quella telefonata. «Merde!» esclamò a bassa voce, passando il cellulare nelle mani dell'uomo che gli stava accanto, iniziando a discutere anche con lui. Jourdan si ricordò delle parole di Charles, durante il loro viaggio in macchina verso Saint-Tropez e si disse che probabilmente, ciò che lo aveva fatto innervosire tanto doveva riguardare quella questione per cui stava cercando di trovare un posto in un team che gli desse più opportunità.
La conversazione tra lui e l'altro ragazzo terminò in poco tempo, con quest'ultimo che camminò via a passo svelto, diretto chissà dove. Mentre, Pierre, si infilò gli occhiali da sole e cercò, senza riuscirci, di nascondere l'espressione arrabbiata che aveva sul viso. La ragazza decise di raggiungerlo, volendo tener fede alla promessa fatta al suo migliore amico. Doveva parlare con lui, accertarsi che stesse bene e poi cercare di chiarire quanto più possibile le cose tra loro.
«Pierre» lo richiamò, quando l'ebbe quasi raggiunto. Il pilota si voltò, incontrando con lo sguardo la sua figura. «Ascolta, io volevo-» non riuscì a terminare la frase, perché lui la interruppe bruscamente.
Alzò una mano, posizionandola davanti al suo volto. «Non ho tempo per nessuna stronzata, Jourdan» la liquidò velocemente, per poi continuare a camminare, lasciandola lì. La modella rimase perplessa e anche un po' ferita da quel comportamento inaspettato. D'altronde, lei era stata la prima a comportarsi in modo scorretto con lui. Offendersi per aver ricevuto tale trattamento, mentre aveva provato a parlargli durante un momento in cui già era nervoso per cose esterne, non era forse il caso. Eppure, non riusciva a scacciare, dagli antri della sua mente, quella sensazione di malessere che tale azione le aveva lasciato addosso.
Per evitare di rimuginarci su, Jourdan aveva deciso di raggiungere Skye negli uffici della FIA, seguendo così da lì il resto di quella giornata.
Una giornata che sembrava riservare altri inconvenienti.
«Bono, puoi controllare se nella macchina è tutto a posto?» questo fu il messaggio via radio che Lewis comunicò al suo ingegnere di pista, durante il Q2 di quelle qualifiche.
«Okay, Lewis» gli rispose prontamente. «Dai dati sembra tutto normale. Tu cosa senti?» domandò di rimando.
L'inglese si spostò verso il lato del tracciato, permettendo alla macchina di Lando, che stava iniziando il suo giro, di passare senza impedimenti. «Credo ci sia qualcosa di strano ai freni» rivelò.
«Qui non risulta nulla. Prova a fare un giro e poi vediamo» gli consigliò, dicendogli così di tentare subito ad assicurarsi una posizione per passare nel Q3 e valutare poi come procedere in caso quei dati, per il momento regolari, fossero cambiati.
Lewis seguì ciò che gli venne detto, arrivando al traguardo di quel circuito, iniziando così il giro di qualifica. Fece del suo meglio, evitando quanto più possibile di commettere anche un singolo errore, cosa che non fu facile, dal momento in cui la monoposto sembrava proprio non voler rallentare a dovere, durante le curve. Terminò comunque classificandosi, temporaneamente, al terzo posto. «Okay, Lewis, box, box, box» lo richiamò subito Bono. «Pare ci sia un surriscaldamento dei dischi» i dati, dopo quel giro, erano decisamente cambiati, confermando i sospetti del pilota riguardo una problematica alla vettura.
Rientrò nel garage, parcheggiando la macchina e scendendo. Si diresse subito dai membri del suo team, non perdendo tempo, mentre i meccanici si mettevano al lavoro sulla sua auto. «Riesco a fare qualche altro giro?» domandò a Bono.
L'ingegnere scosse la testa. «In questa sessione, no. I freni devono raffreddarsi, ma potrai tornare fuori per il Q3» gli rispose, facendogli piegare la testa indietro, frustrato.
Toto gli poggiò una mano sulla spalla, facendogli un cenno con il capo, come per assicurarsi, senza bisogno di parole, che mantenesse lo stesso la concentrazione, nonostante l'inconveniente.
Lewis non si tolse il casco e nemmeno i guanti, si sedette semplicemente non molto lontano dalla sua auto, osservando il lavoro dei meccanici. La sua gamba iniziò a muoversi velocemente su e giù, colto da quell'improvviso nervosismo. Cercò comunque, quanto più possibile, di tenere la mente libera, senza farsi sopraffare dai pensieri negativi.
Il tempo, che per lui sembrò passare con una lentezza disumana, terminò per quella sessione di Q2, cambiando la classifica, facendolo scendere di sei posizioni. Dopo un cenno da parte di Bono, Lewis saltò nuovamente sulla sua auto, pronto per tornare in pista, sperando che il problema fosse stato risolto. Assieme a tutti gli altri piloti, uscì in pista, pronto per quell'ultima sessione, per dare il meglio di sé e prendersi la pole.
Iniziò il suo primo giro, posizionandosi in testa a quella classifica. «Come siamo con i tempi?» domandò a Bono.
«Ci siamo, attualmente sei primo. Ma, bisogna migliorare, perché anche gli altri lo stanno facendo» gli comunicò. Lewis fece un giro di cool down, per poi tentarne subito un altro e stava quasi per finirlo, quando, mentre stava tentando di frenare per imboccare una curva, avvertì la macchina faticare nuovamente a compiere quell'operazione. E, ancora prima che potesse aprirsi via radio, udì ancora la voce di Bono nelle sue orecchie. «Annulla, annulla» disse velocemente.
«Cosa succede?» chiese, volendo capirci di più sulla situazione in cui si ritrovava la monoposto.
«Box, box, box» lo richiamò dispiaciuto.
«È finita per oggi?» domandò, timoroso di sentire una risposta che già sapeva.
L'ingegnere guardò Toto sbattere una mano sulla superficie del tavolo, prima di rispondere. «Sì, mi dispiace, amico. Se continuiamo, i freni potrebbero andare a fuoco ed è un rischio che non dobbiamo correre» spiegò, mentre il pilota imboccava la via della pit-lane. Ancora una volta, parcheggiò l'auto e scese. Ancora una volta non si tolse il casco, scuotendo la testa, mentre camminava in quel garage.
Tra le pacche sulla spalle e le parole di incoraggiamento del suo team, osservò i monitor, guardando impotente il suo nome scendere sempre di più in quella classifica. L'ultima sessione di prove libere si chiuse, vedendo Max in pole e lui finito invece in ottava posizione. Poteva andare peggio, sì, ma non era lì per combattere per nessun altro posto che non fosse il primo. Ed era esattamente con quello spirito che sarebbe sceso in pista il giorno successivo, per la gara.
Dopo una sessione, il tempo per rilassarsi scarseggiava sempre. C'erano da fare le interviste e poi i briefing con il team, qualsiasi altra cosa sarebbe venuta dopo. Nel luogo dedicato alle TV pen, i piloti erano tutti impegnati a rispondere alle domande che i giornalisti ponevano loro. Lewis, in particolare, stava venendo messo sotto torchio da quell'emittente austriaca. «Un'ultima cosa» lo bloccò la donna, costringendolo a fermare i suoi passi. Il pilota mantenne un'espressione gentile, nonostante non vedesse l'ora di liberarsi di quelle domande. «Forse non hai sentito, ma quando ti sei ritirato per il problema ai freni, la folla ha esultato. Cosa pensi a riguardo?» gli chiese, dopo aver indagato con insistenza, cercando di farsi svelare quanto più possibile sull'inconveniente che aveva visto protagonista la sua auto. Informazioni che lui non le aveva di certo dato, restando sempre vago. E anche nel caso di quella domanda, volutamente provocatoria, non gli avrebbe regalato alcuna soddisfazione.
«Sinceramente, non mi interessa. Sono qui per fare il mio lavoro al meglio. Ci saranno sempre persone a cui non piacerò, curarmi di loro non rientra tra i miei problemi. Ciò che invece ci rientra, è aiutare il mio team. Quindi, scusatemi, ma devo andare ora» si congedò velocemente, liberandosi di quell'intervista del tutto sgradevole, cercando comunque di essere educato.
Lasciò quel luogo, mentre altri piloti erano ancora intenti a proseguire nel rispondere alle varie domande. Di nuovo fuori, nel paddock, si rese conto di come le nuvole nere nel cielo fossero aumentate. Non aveva piovuto durante quelle qualifiche, eppure, il maltempo sembrava non avere alcuna intenzione a farsi indietro. Vide Angela, in lontananza, attenderlo con un ombrello, chiuso, tra le mani. La raggiunse, recuperando quell'oggetto, ringraziandola per averlo portato, vista la lunga strada a piedi che avrebbero dovuto percorrere per raggiungere il loro motorhome, sotto le nuvole plumbee, pronte ad esplodere da un momento all'altro.
«Sarà una lunga serata» commentò lei, sapendo già che non si sarebbe mosso da quel circuito fino a quando non avesse avuto la certezza che ogni problema sulla sua auto fosse stato risolto.
«Temo proprio di sì» le confermò. «Ma tu puoi andare in hotel quando vuoi. Non devi aspettarmi» aggiunse, regalandole un sorriso. Prima che lei potesse rispondere però, l'attenzione di Lewis venne catturata da altro.
Gli occhi del pilota avevano scorto il volto di Jourdan, che stava camminando lungo quella via del paddock, come se non sapesse in che modo passare il tempo. Muoveva passi lenti, quasi ciondolanti, mentre si guardava in giro senza un reale interesse verso qualcosa. «Dammi solo un attimo» disse alla donna accanto a lui, per poi incamminarsi velocemente, fino a raggiungere la modella. Angela rimase lì, ferma, osservando quella scena da lontano, esattamente come le capitava di fare ogni volta quando li vedeva insieme.
«Sembra quasi che tu ti sia persa» la colse di sorpresa con quella frase, facendola voltare di scatto.
Le labbra di Jourdan si tirarono in piccolo sorriso, quando lo vide accanto a lei. «In realtà sto solo cercando un modo per passare il tempo» fece spallucce, confermando la sua intuizione iniziale. «La mia amica è impegnata e, a quanto pare, non mi è permesso stare vicino a mio fratello, in pubblico. Perciò, non mi resta altro che fare su e giù per il paddock» spiegò.
Nel mentre che quella conversazione proseguiva, lo sguardo di Angela non era il solo spettatore. Le interviste erano terminate anche per altri piloti, che mano a mano stavano uscendo dalla sala delle TV pen. Charles, in particolare, si era fermato proprio lì fuori, notando la sua amica e Lewis intenti a parlare. La sua curiosità, ovviamente, aveva prevalso, portandolo a non raggiungerli per salutarsi ed eventualmente intromettersi in quella conversazione, ma a restare lì dov'era, osservandoli da lontano.
Li vide sorridersi a vicenda, non staccando mai lo sguardo l'uno dall'altra. E fu contento di capire che fosse riuscita a legare anche con altri piloti, sentendosi così sempre più a suo agio all'interno di quel mondo.
Una voce, poi, lo fece sussultare. «Lei gli piace. Lui le piace. È ovvio a tutti, tranne che a loro» parlò Seb, che si era appena affiancato a lui, senza che nemmeno se ne accorgesse, uscendosene con una frase che lo costrinse subito a distogliere lo sguardo da quella scena, portandolo su di lui. Lo fissò confuso, sgranando quasi gli occhi, in attesa di ulteriori spiegazioni all'affermazione che aveva appena abbandonato le sue labbra.
Sebastian ricambiò quell'occhiata incredula. «E forse anche a te» aggiunse, ridacchiando divertito. Il tedesco non aveva mai parlato esplicitamente con Lewis riguardo gli articoli usciti, che lo vedevano protagonista assieme a quella ragazza. Non avevano nemmeno mai parlato anche solo di quella ragazza, tolta la volta a Miami in cui gli aveva confessato fosse la sorella di Max. Eppure, non aveva bisogno di alcun discorso con lui o conferma da parte sua, per comprendere cosa potesse esserci sotto. Gli bastava guardarli, in quel momento, mentre erano intenti a conversare senza curarsi di nessun altro, per essere certo della sua affermazione. Quei due si piacevano, perché rivedeva nei loro sguardi, la stessa piccola scintilla che anche lui e sua moglie avevano avuto quando si erano conosciuti.
Charles, invece, nonostante avesse letto a sua volta, come chiunque altro, quegli articoli che parlavano di un presunto flirt tra i due, mai ci aveva dato peso. Jourdan era la sua migliore amica ormai e l'ultima cosa che voleva era credere a dei giornali che facevano uscire voci e gossip su di lei. Gli stessi giornali che le avevano sempre reso la vita impossibile. Ecco perché, aveva lasciato perdere, pensando che, se mai ci fosse dovuto essere sotto qualcosa, sarebbe stata lei a dirglielo. Ma, in quel momento, dopo la frase di Sebastian, non poté fare a meno di guardare quella scena sotto un altro punto di vista, notando dettagli che, fino a poco prima, aveva del tutto ignorato.
Vide il modo in cui lui le poggiò una mano sulla spalla e di come lo sguardo di lei si posò su di essa, per poi tornare sul volto, soffermandosi sulle labbra di Lewis. Vide il sorriso che lui le riservò, il modo in cui Jourdan sbatté le ciglia, le loro dita che si sfiorarono veloci, quasi volendo compiere un movimento in più, che però sapevano di non poter fare.
E allora, si rese conto che la frase di Sebastian non doveva essere poi tanto assurda. Non ebbe il tempo di chiedergli ulteriori spiegazioni, perché il tedesco si era già incamminato verso il suo motorhome e soprattutto perché, grosse gocce d'acqua iniziarono a cadere dal cielo, schiantandosi sul cemento. Le nuvole avevano ceduto, lasciando andare quella pioggia che già per troppo tempo avevano trattenuto. Charles allora, come molti altri, iniziò a correre, in cerca di un riparo, abbandonando così quella scena.
Chi invece rimase lì, sotto quell'acqua sempre più insistente, fu Angela. La donna osservò Lewis affrettarsi per aprire quell'ombrello, porgendolo alla ragazza, per evitare che si bagnasse. Si sporse più vicino a lei, riparandosi a sua volta. «Ti scrivo appena finisco i briefing. Se sei ancora da queste parti, vieni da me?» le chiese, indicandole la stella luccicante, posizionata sul motorhome Mercedes, che si intravedeva in lontananza.
Una frase che Angela non poté udire, riuscendo solo a scorgere i loro gesti e il modo in cui Jourdan annuì convinta, prima che Lewis si allontanasse. La raggiunse nuovamente, poggiandole un braccio attorno alle spalle, cercando di ripararla come meglio poteva, dal momento in cui aveva lasciato l'ombrello, che lei aveva portato, a quella ragazza. Corsero insieme sotto la pioggia scrosciante, ma, Angela non poté fare a meno di guardare per un'ultima volta la modella.
Era rimasta lì, sotto quell'ombrello marchiato Mercedes. Mentre loro due si ritrovavano completamente bagnati, perché Lewis non ci aveva pensato su un secondo per donarle il riparo che Angela si era premurata di portare per lui, per loro. Quello di Lewis era stato un gesto del tutto normale, al posto suo anche lei avrebbe fatto lo stesso. Il punto era, che non si trovava al posto suo, si trovava in tutt'altra posizione in quella storia. Una posizione scomoda, perché avrebbe voluto dire delle cose, sapeva di doverlo fare, ma, allo stesso tempo, era consapevole che se lo avesse fatto, se avesse rivelato i suoi pensieri riguardo quella situazione, il rapporto tra loro due si sarebbe complicato.
Come avrebbe potuto però stare in silenzio a guardare, mentre una delle persone più importanti per lei si buttava in un qualcosa di cui ancora non riusciva a vedere i grossi rischi?
Il briefing con il team durò qualche ora, durante le quali, Lewis, si mise al lavoro assieme a ingegneri e meccanici per cercare di capire la problematica avuta e risolverla in tutto e per tutto, così da non avere alcun rischio il giorno dopo, durante la gara. Compresero presto cosa fosse accaduto, trovando il perché all'interno dei dischi dei freni. Uno di quelli anteriori, si era del tutto rovinato, mettendo così sotto sforzo gli altri tre, portandoli ad usurarsi prima del previsto con le alte temperature a cui erano sottoposti. Andavano quindi sostituiti tutti e forse non sarebbero state le uniche componenti a dover ricevere quel trattamento.
A tarda sera, non c'era più molto che avrebbe potuto fare, se non lasciare il lavoro che mancava nelle mani dei meccanici. Li salutò, ringraziandoli uno ad uno, per poi abbandonare quella stanza. Prese un profondo respiro, scrollando le spalle, provando a liberarsi della tensione accumulata. Recuperò poi il cellulare, guardando che ore fossero. Era più tardi di quanto si aspettasse, ma decise comunque di scrivere a Jourdan.
"Non credo tu sia ancora in giro da queste parti."
Inviò, per poi incamminarsi verso quella che era la sua stanza, che usava prima e dopo una gara per cambiarsi, lavarsi e rilassarsi.
"Resterai sorpreso ma, sì. Ho appena finito di cenare con Skye."
Lesse quella risposta, scoprendo, con sua piacere, che Jourdan non aveva ancora abbandonato il circuito, nonostante fosse quasi mezzanotte.
"Vieni qui?"
Scrisse semplicemente, attenendo con il cellulare stretto tra le mani, fissando quello schermo illuminato.
"Arrivo."
Sorrise, per poi cambiare strada e attenderla vicino all'entrata.
Il paddock era quasi del tutto deserto, avvolto dal silenzio che solo la pioggia e il vento spezzava. E lo stesso valeva per quel motorhome, illuminato da luci quasi soffuse e popolato da pochissime persone. Al suo interno, solo il rumore dell'acqua scrociante accompagnava i loro passi verso una stanza più appartata.
"L. Hamilton" recitava la targhetta attaccata accanto alla porta che si chiusero alle spalle.
Il pilota si lasciò ricadere sul divanetto in pelle nera, sospirando in modo stanco. Jourdan, prima di fare lo stesso, si liberò della felpa che si era bagnata con un po' di pioggia.
«Il tuo ombrello Mercedes non è bastato per ripararmi vendendo fino a qui» gli disse, facendolo sorridere.
«Se producessimo quelli invece che motori, avremmo trovato un modo per farli funzionare anche quando piove di stravento» rispose, stando al gioco. «Se apri quell'armadio, comunque, trovi degli asciugamani» la informò, indicandole le ante scure.
Jourdan fece come gli era stato detto, recuperandone uno, tamponandosi poi i capelli. Lewis, invece, si sciolse quelle treccine, ravvivandole un po' con le mani, sentendole ancora umide dall'acqua che aveva preso ore prima. La ragazza si accomodò accanto a lui, osservandolo di sottecchi. «Mi piaci con le treccine sciolte» gli disse, facendo sì che portasse il suo sguardo su di lei.
«Grazie» rispose sorridendo. «Le lego sempre per comodità» aggiunse, smettendo di toccarsele.
«Le togli mai?» domandò curiosa.
«Quando devo rifarle o quando devo tagliare i capelli. O quando, semplicemente, non devo correre e quindi li lascio come sono al naturale» spiegò, girandosi più verso di lei.
La ragazza allungò una mano, afferrando una treccina e facendosela rigirare delicatamente tra le dita. «Siete riusciti a risolvere il problema alla macchina?» chiese.
«Sembrerebbe di sì. Ma abbiamo dovuto cambiare alcuni pezzi e credo proprio che questo mi porterà ad avere una penalità domani» confessò, puntando lo sguardo dritto nel suo.
«Di che genere?» si incuriosì.
«Potrei partire ancora più dietro rispetto a dove mi sono qualificato» le spiegò brevemente.
La ragazza lasciò stare quella treccina, concentrandosi sui due brillantini che gli illuminavano le narici. «Puoi sempre rimontare» cercò di rassicurarlo. «Mi hanno detto che sei molto bravo a farlo» aggiunse, guardandolo ammiccante.
«Non sapevo che Verstappen tessesse le mie lodi quando non ci sono» scherzò, facendola ridere.
«Oh, sì, è il tuo più grande fan» lo prese in giro. «In ogni caso, è stato Charles a dirmelo» rivelò infine. «Lo scorso anno, ad una cena da lui, stavamo parlando di Formula 1 e dei piloti in griglia e lui ha detto che sulle partenze e sulle rimonte, se si può mettere la mano sul fuoco su qualcuno, quel qualcuno sei tu» gli spiegò meglio.
L'inglese sorrise, contento di avere l'ennesima conferma che quella con Charles fosse una stima reciproca. «Ho ottimi riflessi e mi piacciono le sfide» spiegò come mai fosse così bravo, in particolare, in quelle due cose. «Non sempre questo basta però» aggiunse, facendosi più serio in volto, mentre un ricordo bussava alle porte della sua memoria.
Jourdan notò quel cambio nella sua espressione e decise di aspettare semplicemente che fosse lui a continuare a parlare. «Niki diceva: "Tutti quelli che hanno corso e che corrono in macchina, hanno questa consapevolezza: quando si vince, il trenta percento di merito va alla macchina, il quaranta percento al pilota e il restante trenta, alla fortuna"» citò le esatte parole.
La modella analizzò quella frase. «La macchina e il pilota ci sono, non resta che sperare che la fortuna non faccia la stronza» commentò, sistemandosi meglio su quel divano, avvicinandosi di più a lui. Lewis annuì, accennando un sorriso, per poi tirarle le gambe sopra alle sue. «Chi era Niki?» domandò innocentemente, poggiando la testa sulla sua spalla, coperta solo dal tessuto di quella maglietta a maniche corte, del team, che indossava.
Lo sentì prendere un respiro più profondo. «Niki era... era un mio amico. Era il mio mentore, la persona che ha fatto sì che prendessi la decisione più giusta per la mia carriera, quella che mi ha sempre consigliato e aiutato in questo mondo» Jourdan lo guardò dal basso, notando come stesse fissando un punto indefinito davanti a lui. «Niki è parte del mio essere pilota» concluse, utilizzando, in quel caso, il tempo presente. Perché anche se non c'era più in modo fisico, sarebbe sempre stato con lui, nella mente e nel cuore.
«Era un pilota straordinario, sapeva usare la testa e la logica come nessun altro. Aveva un forza assurda. È stato capace di riprendersi dal brutto incidente fatto, ritornando in pista, a correre, in tempi record» poteva sentire benissimo l'emozione nel suo tono di voce. «Quando si è ritirato, ha deciso di aiutare i piloti a trovare la loro strada e si è affiancato poi a Mercedes. Mi ha voluto da subito con loro, scommettendo tutto su di me, fidandosi e lavorando assieme per realizzare le auto e portarci sempre in vetta» le piaceva ascoltarlo parlare, lo avrebbe fatto anche per ore. «Quattro anni fa, purtroppo, è scomparso. Ma tutti gli insegnamenti che mi ha dato, tutto quello che ha fatto per me, non potrò mai dimenticarlo» concluse quel breve racconto.
Jourdan si accoccolò maggiormente su di lui. «Immagino che ti manchi molto» commentò e non aveva bisogno di alcuna conferma da parte sua, perché tutte quelle che le servivano le aveva avute attraverso il tono della sua voce. Lei non aveva mai conosciuto Niki. Prima di quel momento, nemmeno sapeva chi fosse, ma le era bastato sentire il modo in cui parlava di lui, per comprendere quanto fosse importante per Lewis e che persona speciale potesse essere.
Il pilota si limitò ad annuire, piegando poi la testa verso di lei. Fece sfiorare le loro dita, ritrovandosi con lo sguardo nel suo. Osservò quei grandi occhi chiari, che lo stavano guardando enigmatici, chiedendosi cosa le stesse passando per la testa. Non riusciva mai ad avere una risposta a quella domanda, non riusciva a prevederla nei suoi pensieri o nei suoi gesti. Ma, forse, era proprio quell'imprevedibilità, quel non sapere mai con certezza cosa sarebbe accaduto quando era con lei, che lo spingevano sempre di più verso quella donna.
Le loro labbra si avvinarono, toccandosi delicatamente, lasciando che i respiri si fondessero. Quelle di Lewis scesero poi più verso il suo collo, accarezzandolo, mentre Jourdan si beava di quelle sensazioni così leggere e allo stesso tempo così decise. La ragazza emise un piccolo gemito, quando avvertì la mano di lui stringerle la coscia. Un suono che bastò per accendere nel pilota quella scintilla. Tornò sulle sua labbra, baciandola, attirandola sempre di più verso di sé. La modella si ritrovò ben presto a cavalcioni su di lui, con le mani ben salde sulle sue spalle. Quelle di Lewis, invece, erano ancorate sulla parte bassa della sua schiena.
Jourdan si mosse più in avanti, facendo sfiorare le loro intimità, sentendolo sospirare pesantemente. Interruppe poi quel bacio, soffermandosi qualche secondo di troppo sulle sue labbra gonfie e lucide. «Domani hai una gara» parlò a bassa voce.
«Sì e dove vorresti andare a parare?» le chiese, non capendo perché avesse interrotto quel momento per dirgli ciò.
«Dicono che gli atleti non debbano fare sesso prima di una gara» assunse con un'espressione furba.
Lewis le rubò un veloce bacio. «Per me, questa diceria è sempre stata una cazzata» affermò, infilando una mano sotto la sua maglietta, iniziando a disegnare linee immaginarie sulla pelle calda, che presto si cosparse di brividi.
«Potremmo usare questa cazzata per fare un gioco» lo stuzzicò, cercando di restare lucida e non cedere sotto quel contatto.
«Uhm...» il pilota tornò a baciarle il collo. «Che gioco?» sussurrò vicino al suo orecchio, mettendola decisamente in difficoltà.
Jourdan, per qualche secondo, perse del tutto la concentrazione, piegando maggiormente la testa all'indietro, lasciandogli così ancora più spazio di manovra. Prese poi nuovamente in mano le redini della situazione, tornando sulle sue labbra, baciandolo con foga, facendogli credere di aver ceduto del tutto. Dopo qualche secondo, però, si allontanò nuovamente, lasciandolo con un'espressione imbronciata. «Facciamo così» gli disse, mentre lui alzava gli occhi al cielo in maniera divertita. «Se domani mi dimostri che Charles aveva ragione e riesci davvero a recuperare posizioni in griglia, allora riprenderemo da dove abbiamo lasciato questa sera.»
Lewis arricciò le labbra. «Mi stai sfidando?» le chiese, alzando un sopracciglio.
«Ci stai?» rispose di rimando.
Il pilota sorrise sornione. «Ci sto» acconsentì a quella piccola scommessa, anche se ciò che avrebbe preferito fare, sarebbe stato stare con lei quella sera e anche quella successiva. Ma gli piaceva l'idea di avere un motivo in più per fare del suo meglio in gara il giorno dopo.
Correva sempre per vincere e l'indomani, avrebbe corso anche per uscire vittorioso da quel patto. Farlo, contro il fratello della persona con cui lo aveva stretto, poi, gli donava un certa adrenalina.
Forse però, quello sarebbe invece stato l'ennesimo modo per portare la loro rivalità ad un altro estremo, ad infrangere un altro limite.
🌟🌟🌟
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Capitolo abbastanza tranquillo direi. Caratterizzato da piccoli, ma significativi eventi.
Prima le emozioni che Lewis prova nel trovarsi nel paese che, da un lato rappresenta (in parte) il suo team e dall'altro non potrebbe invece essere più lontano da loro.
Poi si passa ad un piccolo momento tra Jourdan e Max, che sembrano davvero essere sulla via giusta per vivere sempre in pace. Chissà cosa mai potrà rovinare questo clima?😚
Successivamente, Pierre sembra decisamente arrabbiato, tanto da respingere in quel modo brusco la ragazza. Come potrà andare a finire il loro rapporto di amicizia?
Angela, invece, sembra essere di un parere molto diverso riguardo questa storia tra Lewis e Jourdan. Credete che ne parlerà con lui? O Resterà sempre e solo ad osservarli?
Sebastian, dal canto suo, continua ad essere iconico e amante del gossip, in quanto, ha appena rivelato a Charles (che ancora non sospettava nulla) che tra la sua amica e Lewis ci sarebbe davvero sotto qualcosa. Come credete che la prenderà, il monegasco, questa cosa che lei lo abbia lasciato del tutto all'oscuro?
Infine, quali (e quanti) problemi potrà mai causare questa piccola scommessa, voluta da Jourdan, con il pilota?
Per rispondere a tutte queste domande, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.
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XOXO, Allison💕
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