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Capitolo 21 - Faccia a faccia


Principato di Monaco.
Monte-Carlo.

Il tempo sembrava essersi fermato. In quei pochi secondi in cui, uscita dalla sua stanza, gli occhi si erano incrociati con quelli del fratello, i minuti parevano aver cessato il loro scorrimento, mettendosi in pausa e una coltre di tensione era calata in tutto l'ambiente.

I due restarono in silenzio, studiandosi a vicenda. Quelle iridi chiare vagavano le une sulla figura dell'altro, cercando di scorgere un qualcosa che nemmeno a loro era chiaro. Max era seduto sullo sgabello di quell'isola, davanti ad una tazza ormai vuota. Non aveva dormito granché quella notte, troppo tormentato dai pensieri e dal nervosismo che non gli permetteva di prendere sonno. E, sin in dal momento in cui si era alzato dal letto, non aveva fatto altro, se non aspettare che sua sorella compisse la stessa azione.

Jourdan, dal canto suo, aveva avuto un sonno un po' tormentato, per via del troppo alcol bevuto. Quella mattina, subito dopo aver aperto gli occhi, un fastidioso mal di testa si era impossessato di lei.

Mano mano che si svegliava del tutto, anche i ricordi della sera precedente prendevano a farsi più nitidi. Si portò una mano sul volto, maledicendosi per essersi lasciata andare in quel modo, ubriacandosi. E, soprattutto, per aver dovuto chiamare Lewis, mettendolo in mezzo a quella situazione, facendosi vedere come in uno dei tanti momenti del suo passato.

Recuperò subito il cellulare, trovandolo poggiato sul comodino accanto a lei. Digitò velocemente un messaggio.

"Mi dispiace averti svegliato ieri e fatto uscire per venirmi a prendere fino a Nizza."

Inviò, per poi continuare a scrivere.

"E scusami anche per qualsiasi cosa io abbia potuto dire o fare."

Perché sapeva che sicuramente qualche cazzata le era scappata, involontariamente, dalla bocca.
Mentre si rigirava ancora tra quelle lenzuola, sperando che il mal di testa le passasse per miracolo, provando anche a riaddormentarsi, la risposta di Lewis arrivò.

"Tranquilla. Hai fatto bene a chiamarmi, piuttosto che metterti in qualche casino."

Lesse quel primo messaggio, per poi passare al secondo che le aveva inviato subito dopo.

"Mi sarei evitato volentieri l'incontro con tuo fratello fuori dalla tua stanza, ma va bene lo stesso."

Sgranò gli occhi, tirandosi a sedere di scatto, provocandosi una fitta più acuta alla testa. Gemette dal dolore, portando una mano a massaggiarsi la tempia.

"Max era a casa?"

Digitò, ancora più mortificata per averlo messo in mezzo. Non solo l'aveva chiamato, svegliandolo nel pieno della notte e facendosi andare a prendere, l'aveva anche infilato in quella situazione decisamente scomoda, portandolo ad incontrare Max mentre si trovava in casa sua.

"Credevo fosse fuori con degli amici... merda."

Inviò, portando già la sua mente a pensare a quale scusa inventare per spiegare al fratello la presenza di Lewis in casa sua. Quella volta però, scamparla liscia, con una semplice bugia, le sembrava impossibile.

"Lo era, ma ha avuto un tempismo perfetto per ritornare."
"Fossi in te mi preparerei per la ramanzina che probabilmente ti aspetta appena lo incontrerai."

L'avvisò, confermandole un qualcosa che già si aspettava.

"Che palle."

Rispose, sbuffando, ponendo fine a quella conversazione e lanciando il cellulare sul materasso. Passandosi una mano sul volto, decise che, la prima cosa che avrebbe fatto, sarebbe stata prendere un'aspirina, per provare a lenire l'atroce mal di testa che la stava affliggendo. Recuperata, dal bagno, era allora uscita dalla stanza, pronta a prendere una bottiglia d'acqua. Prima che potesse fare ogni cosa però, gli occhi del fratello l'avevano inchiodata.

«Buongiorno» lo disse con un tono rabbioso, inequivocabile.

Jourdan provò a fare finta di nulla. «Buongiorno» rispose semplicemente, avviandosi verso il frigorifero. Versò l'acqua in un bicchiere, lasciandoci cadere dentro l'aspirina, osservando il modo in cui le bollicine iniziarono a salire in superficie.

«Immagino che oggi tu debba fronteggiare un post sbornia e sicuramente avrai cose più importanti a cui pensare» intavolò ironicamente, non perdendo tempo. «Ma vorrei lo stesso sapere cosa cazzo ci faceva Hamilton nel mio salotto alle quattro di mattina» alzò la voce.

La ragazza chiuse gli occhi per qualche secondo. «Puoi non urlare?» gli chiese, mantenendo un'atteggiamento pacato. «E comunque, avevo fatto una cazzata, avevo bisogno di un passaggio, lui era disponibile e mi ha riaccompagnata» spiegò a grandi linee, per poi mandare giù tutto in una volta il liquido dentro quel bicchiere, strizzando gli occhi per il sapore amaro.

Max si passò una mano nei capelli biondo cenere, cercando di mantenere la calma, con scarsi risultati. «Come ti è venuto in mente di chiamare lui per farti riportare a casa?» domandò, ancora incredulo davanti al momento in cui, rientrando, se l'era ritrovato lì.

«E chi avrei dovuto chiamare? Te?» Jourdan poggiò pesantemente una mano sulla superficie dell'isola, fissandolo con insistenza. Mentre lui avvertiva nuovamente quel dolore premergli sul petto, lo stesso che anche la notte prima aveva sentito, davanti alla consapevolezza che il loro legame era talmente fragile, che sua sorella, se doveva scegliere su chi contare, metteva sempre lui all'ultimo posto. «Avrei dovuto forse dirti: "Ciao, fratellone. Sono completamente sbronza, su uno yacht a Nizza. Cosa ne dici di venirmi a prendere?"» ipotizzò una possibile conversazione.

«Sarebbe potuta essere un'idea» rimbeccò, sapendo che se avesse chiamato lui, non ci avrebbe pensato su un secondo prima di salire in macchina e andarla a prendere. Cosa che, a quanto pareva, anche Lewis aveva fatto senza battere ciglio.

Jourdan scosse la testa, con un'espressione ironicamente divertita. «Se ti andava tanto di fare il fratello maggiore, o semplicemente il fratello, avresti dovuto cominciare prima a preoccuparti per me» gli fece notare. «Sono adulta ormai e le scelte che decido di prendere, non sono affar tuo» aggiunse, fissandolo seria.

Il ragazzo non lasciò passare inosservata quell'accusa. «Non addossarmi tutta la colpa. Nemmeno tu hai mai deciso di preoccuparti per me.»

La ragazza prese un profondo respiro. «Max, tu non vuoi dire al mondo che sono tua sorella e vieni qui a farmi la morale perché, mentre tua madre -gli puntò un dito contro- e poi il mio ex, abusavano di me, non mi è passato nella testa di chiamarti e chiederti come stavi» alcuni flashback del suo passato le tornarono alla mente, ma lei, con prontezza, li ricacciò indietro.

«Parli come se fossi stata l'unica a soffrire qui» il fratello abbassò la testa. «Non ti è mai venuto in mente che, forse, anche io non me la stavo passando poi bene» aggiunse, puntandole nuovamente lo sguardo addosso.

Nessuno dei due sapeva esattamente cosa avevano fronteggiato durante la loro crescita, perché non parlavano. Mai si erano parlati, affrontando quel tipo di discorsi, avevano sempre preferito fare finta di nulla, conveniva ad entrambi d'altronde. Forse però, quel vaso di Pandora andava scoperchiato, per il loro bene, per il bene del loro rapporto.

«Io parlo per quello che so» commentò, rendendosi sempre più conto di come, nonostante fossero fratelli, in realtà non si conoscevano affatto. Entrambi ricordavano sprazzi di quella parte della loro infanzia passata insieme, bei momenti condivisi, che li avevano aiutati a sentirsi più leggeri. Ma poi più niente. Tutto era finito in fretta, in quel modo brusco. E adesso, sedici anni dopo, si ritrovavano nuovamente in una casa, a vivere assieme, ma come due sconosciuti. Le cose erano cambiate, lui non era più il suo Maxie e lei non aveva più quel sorriso rassicurante e quella spensieratezza riflessa negli occhi. Avrebbero dovuto imparare a conoscersi nuovamente, da zero.

Max aggottò la fronte, rendendosi conto che lei aveva ragione, non poteva sapere. Tutto quello che era accaduto da dopo la sua partenza con Agnes, era rimasto racchiuso tra le mura di quella casa d'infanzia. Ogni momento della sua vita non era stato seguito con smania dai giornalisti di tutto il mondo, non era finito in prima pagina e non aveva fatto scandalo. Era semplicemente successo, senza che nessuno se ne accorgesse. Una sola cosa li aveva accomunati in quegli anni passati divisi, entrambi erano sempre stati soli.

«Sto ancora cercando di guarire da eventi di cui non ho mai voluto parlare con nessuno» scosse la testa, accennando ad alzarsi da quello sgabello. La conversazione stava andando a toccare delle corde delicate, stava stuzzicando ricordi del passato che aveva archiviato. E, per quanto volesse rendere le cose chiare con Jourdan, non era ancora certo di voler riesumare tali eventi che lo avevano riguardato.

La ragazza lo fermò, poggiandogli una mano sull'avambraccio, lasciato scoperto dalla semplice maglietta che indossava. «Ma con me puoi parlare, Max» lasciò alle spalle tutte le loro discussioni, le accantonò, in quel momento che capì essere delicato, andando oltre le problematiche che avevano avuto negli ultimi tempi. «Quando eravamo piccoli, venivi sempre da me a confidarti. Ci dicevamo tutto, perché sapevamo di poterlo fare liberamente» gli ricordò. «So che tante cose sono cambiate, ma questo no. Siamo solo io e te adesso, puoi ancora parlare con me, di qualsiasi cosa» aggiunse, interrompendo quel contatto, lasciando che riflettesse senza sentirsi forzato nel dover fare qualcosa.

Rimase in silenzio per un po', fissando quel pavimento sotto di lui. Max sapeva di potersi fidare di lei, ricordava la moltitudine di volte in cui si era confidato. Eppure, parlare di quella specifica parte del suo passato, gli faceva provare quasi vergogna. Perché lui sapeva gli sbagli che aveva commesso, era consapevole anche degli errori del padre. Eppure, nonostante ciò, non riusciva lo stesso ad allontanarsi del tutto da lui. E se ne vergognava, incapace di comprendere come non fosse in grado di chiudere ogni rapporto con quell'uomo che tanto lo aveva fatto soffrire, che gli aveva rubato ogni briciolo di infanzia.

«Come fai a reagire così davanti al tuo passato? Come hai fatto a staccarti da ogni cosa, lasciandoti tutte le persone che ti avevano fatto male alle spalle?» le chiese, continuando a non rivolgerle lo sguardo. «Perché io non ne sono in grado» aggiunse in un sussurro.

«Ho dovuto toccare il fondo per esserne capace» rivelò lei. Se le cose fossero andate in modo diverso, se tutto non si fosse rivoltato, schiacciandola completamente, dove sarebbe oggi? Se lo chiedeva spesso. Era quasi certa che ogni cosa sarebbe rimasta uguale, lei con quell'uomo, in segreto, in balia delle manipolazioni e di quella vita fatta di sregolatezze. Quindi doveva forse ringraziare il modo in cui erano andati gli eventi? Doveva ringraziare Rob per aver fatto uscire quell'articolo in cui la loro storia veniva smascherata? Le sembrava assurdo anche solo pensarlo, eppure, pareva comunque logico.

«Max, tutti abbiamo dei rimpianti. Tutti abbiamo fatto degli sbagli. E io sono in cima alla lista» il fratello si voltò verso di lei. «Potrei starmene qui ad essere triste, ma ho tante cose da fare» scherzò, facendolo sorridere, per la prima volta da quando stavano parlando.

«Non è stato facile da quando te ne sei andata» le confessò. «Per i primi tempi non capivo. Credevo a ciò che mi diceva Jos, che saresti tornata l'estate successiva, che ci saremmo potuti vedere solo durante quei tre mesi, perché eri andata a studiare in America e io avevo bisogno di concentrarmi sui kart» ci aveva creduto per davvero, ad ogni parola uscita dalla bocca di suo padre. Aveva riposto le sue speranze in esse, solo per vederle infrante dalla stessa persona che gliele aveva date. «Poi però l'estate è arrivata, ma tu no» aggrottò le sopracciglia, al ricordo di quelle emozioni provate davanti alla verità dei fatti, iniziando sempre di più ad aprirsi con lei. «E allora ho capito che erano tutte cazzate quelle che mi raccontava» prese un profondo respiro.

Le aveva perfettamente stampate in testa, le immagini del suo sguardo che, puntato fuori dalla finestra, osservava il cancello del giardino, dal quale sperava di veder entrare sua sorella. La mancanza che sentiva, quando saliva su un kart, percorrendo il tracciato prestabilito, sapendo che lei non c'era, non lo stava guardando, non faceva il tifo per lui, sembrava qualcosa di incolmabile.

Dal momento in cui li avevano separati, Max ebbe solo la compagnia di suo padre. Farsi degli amici era complicato, più avanzava in quelle competizioni e meno frequentava la scuola, arrivando fino al punto di farla da privatista, non riuscendo a starci dietro con tutti gli spostamenti che le gare richiedevano. Socializzare con qualcuno che frequentava il suo stesso ambiente, poi, era un qualcosa che a Jos non andava affatto a genio. «Sono tuoi rivali, non tuoi amici» gli ripeteva sempre, quando lo vedeva soffermarsi a parlare e scherzare più del dovuto con qualche altro bambino.

Non capiva la freddezza con cui suo padre lo trattava, quello sguardo, incapace di essere altro se non severo, che sempre gli rivolgeva. Non capiva perché i padri degli altri bambini fossero sempre pronti a sostenerli, aiutarli nelle difficoltà, consolarli quando le cose andavano male e gioire quando invece andavano bene. Non lo capiva perché il suo non facesse nulla di tutto ciò e non riusciva a spiegarsi se fossero strani gli altri o se il problema invece fosse proprio lui. Quante volte si era chiesto se stava sbagliando qualcosa, mai aveva trovato una risposta però. Se vinceva, riceveva semplicemente un cenno della testa da parte di Jos e parole che gli ricordavano quale sarebbe stata la gara successiva e come avrebbe dovuto far di tutto per trionfare anche in quella. E se perdeva, le urla avrebbero fatto da sottofondo al resto della loro giornata, seguite da qualche punizione e alzata di mani.

Ricordava perfettamente la paura che lo invadeva, quando si rendeva conto di non aver tagliato il traguardo per primo e magari nemmeno di essere salito sul podio. E sapeva che avrebbe dovuto solo stare zitto, tenere la testa bassa e incassare qualsiasi cosa il padre avesse deciso. Erano eventi che mai avrebbe potuto cancellare dalla sua testa, perché avevano segnato profondamente quel bambino che era. Un semplice bambino pieno di voglia di giocare, ridere, divertirsi, come tutti, a cui però era stato impedito.

Dimenticate a memoria, quelle occasioni traumatiche, ogni tanto tornavano a fargli visita nel presente. Si infiltravano nella sua mente, intaccando i pensieri e costringendolo a riviverli, come un film già visto fino alla nausea.

Come quella volta in cui stava partecipando ad una delle ultime gare di quella competizione di kart, ma non era del tutto concentrato, stava pensando ad altro. La sera prima, per caso, su un giornale adagiato in uno degli uffici di quel circuito, aveva notato una foto. Immortalava sua sorella, intenta a pubblicizzare una linea di vestiti per bambini. Non aveva fatto altro che pensarci, tutta la notte, negandosi il sonno. E, ancora, durante quella gara, non poteva fare a meno di riportare la sua mente a quel giornale. Jos gli aveva detto che sarebbe andata a studiare in America, ma che cosa stava studiando di preciso per far sì che finisse su una rivista? Ormai non la vedeva da quasi un anno, domandarsi come stesse e cosa facesse, era inevitabile.

Con quella distrazione nella mente, si privò parecchie volte della concertazione, facendo qualche errore, retrocedendo nelle posizioni. Perse la gara, arrivando tra gli ultimi. E, di ritorno verso il box, sapeva già a cosa sarebbe andato incontro, si aspettava le solite urla e le minacce. Invece, trovò semplicemente suo padre, già pronto per partire. Ci fu un silenzio tombale tra i due, che gli pesò sul petto sin da subito. Era anche peggio delle urla, perché in quel modo continuava a stare con i nervi tesi, non sapendo mai quando e se sarebbe potuto esplodere contro di lui.

Sulla strada verso la meta che li avrebbe attesi, Max decise di sbilanciarsi, aprendo bocca. «Papà...» lo richiamò, senza però ottenere la sua attenzione. «Perché Jourdan era su quella rivista?» domandò innocentemente, sicuro del fatto che a Jos non andasse di parlare della gara e del suo pessimo risultato, visto che fino a quel momento non lo aveva fatto. Il padre non rispose, guidando ancora per qualche metro, prima di azionare la freccia e imboccare la via che portava ad una stazione di servizio, quasi del tutto deserta.

Fermò l'auto in uno dei parcheggi sul retro. «Scendi» gli disse, continuando a tenere lo sguardo fisso davanti a sé.

Max aggrottò la fronte. «Ci fermiamo per mangiare?» chiese, non riuscendo a capire minimamente le intenzioni del padre.

«Ho detto, scendi!» urlò, facendolo sobbalzare. «Scendi, cazzo!» gridò ancora, allungando una mano verso di lui e colpendolo sulla testa. Spaventato, fece come gli aveva detto, affrettandosi a balzare giù da quel suv. Con i piedi sull'asfalto, davanti a quella portiera ancora aperta, Max fissò suo padre, guardandolo mentre si allungava per chiudere lo sportello. Mantenne i suoi occhi sulla macchina, che venne rimessa in moto, per poi passargli davanti. Restando completamente immobile, incapace di fare altro, la vide imboccare nuovamente l'autostrada, fino a sparire dal suo raggio visivo.

Lo aveva lasciato lì.
Da solo.
In una stazione di servizio.

Lo aveva lasciato lì perché aveva perso una gara, perché si era permesso di chiedere dove fosse e cosa stesse facendo la sorella dalla quale lo avevano separato.

Riuscì a raggiungere l'hotel nel quale alloggiavano, solo grazie ad un altro padre, il cui figlio correva a sua volta sui kart e aveva preso parte a quella gara. Avevano deciso di fermarsi lì per cenare. E quando l'uomo si era accorto di lui, lì fuori, gli aveva chiesto cosa ci facesse in quel posto e Max non aveva saputo rispondergli. Gli aveva chiesto dove fosse suo padre e anche in quel caso, lui non seppe cosa dire. Si vergognava, si vergognava da morire ad ammettere come stavano le cose nella sua quotidianità, a rivelare che Jos, in realtà, lo aveva abbandonato lì, perché arrabbiato del fatto che non avesse vinto. Capendo che qualcosa non doveva andare, quell'uomo gli offrì la cena, facendolo mangiare assieme a loro e portandolo poi nello stesso hotel in cui quasi ogni piccolo pilota alloggiava con i genitori.

Dopo essere stato lasciato nella sua stanza, vide, dalla finestra, i due discutere animatamente nel cortile sottostante. Per poi osservare suo padre dare uno spintone all'altro, che allora decise di andarsene. Non parlarono più per il resto della serata, fino al giorno successivo, in cui si scambiarono solo qualche sillaba. Jos ancora arrabbiato, il figlio ancora terrorizzato. E da quel giorno, Max non chiese mai più nulla riguardo sua sorella.

Lasciando andare quel ricordo doloroso, il ragazzo tornò a concentrarsi sul presente. «Tu lo sapevi?» domandò a Jourdan.

«Che cosa?» rispose, non capendo subito il punto.

«Che non saresti più tornata» le ricordò, appigliandosi al discorso che avevano lasciato in sospeso.

Jourdan annuì leggermente, abbassando lo sguardo. «Li avevo sentiti parlare in proposito al fatto che non volessero più stare insieme» rivelò, portando a sua volta la mente indietro nei ricordi. «Jos non era d'accordo a tenermi con lui però, perché diceva che ero una distrazione, un peso per la tua carriera da pilota» sorrise amaramente, avvertendo, più vivo che mai, l'odio che provava nei confronti di quell'uomo. «Hanno discusso per un po' di giorni e poi Agnes gli ha detto che mi avrebbe portata con lei, in America, sfruttando quell'opportunità che le si era presentata. Sfruttando me» concluse, disegnando, inconsciamente, delle linee immaginare, con i polpastrelli, sulla superficie marmorea di quell'isola della cucina.

«Perché non me l'hai detto?» saltò su Max.

«Cosa sarebbe cambiato?» domandò, scuotendo la testa. «Non avresti potuto fare nulla» gli fece notare. «Non avresti voluto, come non vuoi adesso» si corresse poi. «Sarebbe stato inutile» mosse qualche passo indietro, lasciando che la sua schiena si poggiasse al frigorifero.

Il fratello ignorò la velata accusa che gli aveva mosso, continuando a restare concentrato sul fulcro di quel discorso. «Perché allora non ti sei mai fatta sentire, durante tutti questi anni, per spiegarmi come stavano le cose, per...» lasciò la frase in sospeso, sentendo un groppo in gola.

«Max, non eri l'unico a dover rispettare una volontà altrui sulla tua vita. Non eri e non sei stato l'unico impaurito a far sentire la tua voce. Incapace, alle volte, persino di proferire una parola» serrò la mandibola, percependo la rabbia accumulata durante tutti quelli anni, ribollirle nelle vene. E sapeva che, anche se l'avesse sfogata, anche se avesse urlato fino a perdere la voce, spaccato ogni cosa che si trovava vicino a lei, comunque nulla sarebbe cambiato. Il suo passato, in ogni caso, sarebbe sempre rimasto lì, fisso, indelebile.

L'unico castello di carte che mai avrebbe potuto distruggere.

«Non parlare ci ha sempre fatto male. E stiamo commettendo lo stesso errore anche ora» il fratello si alzò in piedi, restando però sempre vicino a quello sgabello. Ci pensò su ancora qualche secondo, prima di convincersi del tutto che, ciò che gli stava passando per la testa, fosse la cosa migliore da fare.

«Quando perdevo una gara, Jos mi urlava addosso, alle volte mi picchiava» non potevano più rimandare, era arrivato il momento di dire tutto, di smetterla di nascondere il passato all'unica persona che avrebbe potuto comprenderlo per davvero. Jourdan alzò subito lo sguardo, fissandolo seria. «Mi ha abbandonato in una stazione di servizio, quando ho perso una gara e poi ho provato a chiedere di te» rivelò, facendole sentire uno dolore come se l'avessero appena pugnalata nello stomaco «Una volta mi sono scontrato con un altro bambino, finendo fuori pista. Mi ero fatto male alla gamba, ma non ho detto una parola su quello. Sono corso da lui, chiedendogli di aiutarmi a recuperare il kart dall'erba. Sai cosa mi ha risposto?» domandò retorico. «"Io non aiuto i perdenti. Arrangiati"» citò le esatte parole.

Jourdan deglutì a forza, avvertendo gli occhi velarsi di lacrime. Decise di non commentare nulla di ciò che gli aveva detto, proseguendo invece sulla sua stessa linea, rivelando a sua volta eventi tristi del suo passato. «Agnes mi impediva anche di dormire per potermi portare a più provini possibili. Avevo solo otto anni e mi ripeteva quanto fossi troppo grassa per il mondo della moda, anche se non era affatto così. Decideva cosa, come e quando avrei potuto mangiare» la tristezza si trasformò in rabbia. «Non potevo uscire, non potevo giocare, non potevo fare null'altro che non fosse relativo a quel lavoro che lei aveva scelto per me. Dovevo essere sempre perfetta, parlare solo quando era richiesto e secondo le istruzioni che lei mi aveva dato» come lui, nemmeno lei era mai riuscita a vivere la sua infanzia in modo normale, sottomessa da un genitore inadatto a quel ruolo, schiacciato dal suo stesso ego e dai suoi stessi sogni infranti.

«Il peggio però, per me, è arrivato dopo. Chi mai avrebbe potuto immaginare che chiudere ogni rapporto con Agnes mi avrebbe solo fatta finire in mani ancora più cattive» era stata così stupida a fidarsi di quell'uomo, a credere a tutte le bugie che le aveva detto, a lasciarsi manipolare come fosse una sua bambola. «La prima volta in cui mi ha toccata, eravamo ad un after party. Continuava a riempirmi il bicchiere e le sue mani si adagiavano sempre sulle mie braccia o sulle mie cosce. Si era offerto di riaccompagnarmi a casa, ma siamo andati da lui e da lì è iniziato tutto» Max distolse lo sguardo, non riuscendo più a reggere quello della sorella. «È stato lui a farmi provare diversi tipi di droghe, perché gli conveniva che restassi sempre in quello stato di stordimento, così che potesse fare ogni cosa che voleva con me, senza che io potessi avere voce in capitolo.»

«Jourdan, basta» non riusciva più a sentire quelle storie, gli facevano male, gli provocavano un senso di rabbia e disgusto, lo portavano a prendersela ancora di più con se stesso per non aver mai provato a cercarla prima. Perché il peggio, per Max, era finito quando aveva smesso di essere un bambino, per la sorella invece era cominciato proprio da quel momento. E allora si rendeva conto di come, ormai più libero dalle grinfie del padre, avrebbe potuto chiamarla, cercarla. Quando vedeva uno di quegli articoli uscire sul suo conto, invece di pensare quanto fosse stupida a rovinarsi la vita così, avrebbe potuto intuire che qualcosa forse non andava, che c'era un perché sotto tali azioni.

Lei non aveva mai potuto sapere nulla di quanto accaduto al fratello. Ma lui, così come il resto del mondo, quei titoli di giornale li leggeva. E allora, forse, aveva ragione Jourdan quando gli diceva che le colpe erano di entrambi, ma sue un po' di più.

«Quando il fatto che tradisse la moglie con me è venuto fuori, l'unica che ci è andata di mezzo sono stata io. Nessuno però sa il modo in cui mi manipolava, come mi obbligava a stare con lui, i ricatti, le umiliazioni, il suo fregarsene dei miei no» Max si passò una mano sul volto, stringendolo leggermente. «Adesso tutto è passato, fratellone» sorrise amaramente. «O forse no? Tu continui ad avere paura di Jos, esattamente come da bambino. E io continuo a ripetere gli stessi errori, incastrandomi con le mie stesse mani» prese un profondo respiro. «In qualche modo siamo sopravvissuti, ma dobbiamo convivere con i traumi» concluse.

Una lacrima solcò il viso della ragazza e Max cedette del tutto. Si avvicinò a lei a grandi falcate, attirandola a sé. La strinse in un abbraccio, lasciando che tutta la loro tristezza si sfogasse in quel gesto tanto semplice quanto salvifico. Per la prima volta da quando si erano ritrovati, si permisero di essere deboli, di dare spazio alle loro emozioni. E per quel momento, si sentirono in pace, lontani da ogni problema, come se gli anni non fossero mai passati e loro fossero ancora quei due bambini pieni di gioia e sogni non ancora infranti.

«Direi che per oggi ci siamo liberati di abbastanza segreti che ci pesavano addosso» le parlò vicino all'orecchio, continuando a tenerla stretta. «Perciò non ti chiederò, per il momento non indagherò su cosa sta accadendo tra te ed Hamilton» la sorella si staccò di qualche centimetro, guardandolo con un'espressione divertita. «Solo, non farmelo più ritrovare dentro casa. Per favore» le chiese, facendola ridacchiare.

«Prometto» rispose, poggiando nuovamente il viso sul suo petto. Rimasero in quella posizione per qualche altro secondo, beandosi della calma attorno a loro. Avevano ancora una miriade di cose da dirsi, ma avrebbero avuto il proprio tempo per essere confessate. In quel momento avevano solo bisogno di affetto.

Rimasero così, fino a che non furono interrotti in modo brusco e inaspettato. La porta di casa si spalancò e da essa vi entrò Daniel, con passo deciso. Non si accorse nemmeno di come i due si staccarono in fretta, troppo preso da quello che avrebbe dovuto dirgli. «Mi spieghi come hanno fatto a sapere che-» stoppò per qualche secondo le sue parole, notando solo in quel momento la presenza della ragazza, subito accanto all'amico. «Oh, ciao Jourdan» la salutò, per poi riprendere con il suo discorso. «Che la McLaren sta pensando di chiudere il mio contratto con un anno di anticipo?!» domandò incredulo, sbattendo sull'isola della cucina un giornale, quello per cui Rob scriveva.

Jourdan spalancò gli occhi, cercando però di restare il più possibile impassibile. Perché la risposta alla domanda di Daniel, era proprio lei.
I due lessero il titolo, riportato sopra ad una foto che ritraeva l'australiano intento a festeggiare il suo primo posto nel Gran Premio di Monza di due stagioni precedenti.

"La scelta sbagliata.
Ricciardo e la McLaren, un'accoppiata destinata a finire prima del previsto?"

Vi era scritto a caratteri cubitali.

"Ricciardo sembra non riuscire mai a puntare sul team vincente per lui, finendo sempre per dover abbassare le sue aspettative, fare da ruota di scorta o non rispettare gli standard richiesti. Era entrato in Formula 1 con il sogno di vincere un mondiale e ora sembra alquanto probabile che possa uscire dalla massima categoria in modo precoce, con nulla tra le mani, se non la consapevolezza di aver fatto sempre le scelte sbagliate. Cosa deciderà la McLaren, terrà il povero Daniel o lo manderà via, cercando un pilota con un talento che possa soddisfarli?"

Proseguiva così, l'introduzione di quel lungo articolo che era stato scritto in merito a tale vicenda, firmato alla fine dal nome di Rob.

Mentre in quell'appartamento i discorsi mutavano, passando dal passato ad un presente che non li riguardava in prima persona, dall'altra parte del Principato, in un altro palazzo, altri quesiti si proponevano all'ordine del giorno.

«E sei andato fino a Nizza?» chiese chiarimenti Miles, mettendo giù i pesi che stava utilizzando fino a poco prima. Lewis annuì, vedendo l'amico fare un sorrisetto furbo.

Il pilota, quella mattina, si era ritrovato con Angela, per fare alcune sessioni di fisioterapia in preparazione alla prossima gara. Più tardi, era stato poi raggiunto, nella palestra del complesso in cui abitava, dai suoi due amici, arrivati da poco in città. Miles ne aveva approfittato per allenarsi a sua volta, mentre Spinz si stava semplicemente ciondolando da una parte all'altra di quella stanza, ascoltando con attenzione il discorso che Lewis aveva deciso di analizzare assieme a loro.

«Poi l'hai riportata a casa, l'hai messa a letto e andandotene hai incontrato Max, giusto?» riepilogò, per essere certo di aver capito ogni cosa. Il pilota annuì nuovamente, notando Angela trattenere un sorriso. «L'olandese sarà stato felice di vederti lì» scherzò Miles, sovrastandolo con la sua altezza.

«Non fare il coglione» l'ammonì subito. «Ho davvero bisogno di un consiglio su questa cosa» ricordò il perché avesse tirato fuori quel discorso. Miles si sedette accanto a Spinz, sopra quella panca imbottita, lasciando che i pantaloncini corti scoprissero maggiormente quel tatuaggio che gli ricopriva tutta la gamba.

«Lo so che è solo una conoscenza al momento. Ma, se dovesse andare più avanti, approfondirsi del tutto, cosa che già mi terrorizza» puntualizzò la sua paura, sempre presente, di impegnarsi in una relazione seria a tutti gli effetti, che potesse, come accaduto in passato, metterlo davanti ad una scelta. «Quanto influirebbero tutti i suoi problemi? Ne varrebbe la pena di infilarsi in un qualcosa che sai già sarà complicato?» chiese a se stesso, infilando in quell'elastico una treccina che era sfuggita.

«Ti sono sempre piaciute le sfide» gli ricordò Spinz. «Quando tu vedi un limite, lo infrangi. Quando ti dicono che non puoi fare una cosa, gli dimostri invece di esserne capace. Non ti sei mai tirato indietro, perché farlo qui, ancora prima di iniziare?» incrociò le braccia al petto, dopo essersi tolto il cappellino dalla testa.

«Perché qui si tratta di un limite emotivo e io non-» venne interrotto da Miles, che balzò nuovamente in piedi.

«Aspetta, aspetta» lo fermò con una mano. «Prima di addentrarci nel pippone emotivo che so stai per tirarci, ricapitoliamo un po' lo storico delle tue ex frequentazioni. Perché tu dici che Jourdan ha un bel bagaglio di problemi, ma forse ti sei dimenticato di quelli che si portavano dietro le ragazze precedenti» alzò un sopracciglio.

Angela batté le mani. «Ah sì, questo gioco mi piace» lo prese in giro, accomodandosi al posto sul quale, fino a poco prima, Miles era seduto.

«Fate sul serio?» Lewis guardò prima l'amico e poi la donna, che continuavano a sorridere divertiti, mentre Spinz si sistemava meglio su quella panca, non volendo perdersi nemmeno una parola.

Miles alzò un dito. «Nicole, con la quale ancora oggi mi chiedo come hai fatto a starci assieme per sette anni. Maniaca del controllo, problemi a gestire la rabbia, esperta di litigi in pubblico. La stessa che ti ha fatto sentire in difetto perché amavi ciò che facevi e perché volevi arrivare sempre più in alto. Quella che ti controllava il cellulare, ti diceva come vestirti, che ti ha quasi colpito con un piatto quando le hai detto che non avresti lasciato la Formula 1 e che non eri pronto per una famiglia, per poi metterti a soqquadro casa, prima di andarsene» gli altri due risero divertiti e Lewis si portò una mano sul volto.

Non ci pensava spesso, ma i tempi con Nicole non erano stati poi così semplici come gli sembrava quando era innamorato di lei. E, sentirsi elencare in quel modo, parte delle cose accadute, gliene faceva rendere ancora più conto.

Miles alzò un altro dito, segando un due. «Niki, sulla quale preferisco non esprimermi. Forse la scelta più sbagliata che potessi fare per consolarti della tua rottura. Grazie a dio è durata solo qualche settimana, perché evidentemente ti eri reso conto da solo dell'errore che stavi commettendo» aveva ragione. Ancora oggi non riusciva a spiegarsi che cosa gli avesse detto il cervello per fargli pensare che frequentare quella donna, anche solo per distrarsi nel suo periodo post-relazione fosse una scelta saggia.

Miles aggiunse la terza a quell'elenco. «Barbara, forse l'unica con cui avresti davvero potuto proseguire. Lei era gentile, bella, educata, stavate anche bene insieme e andavate parecchio d'accordo. E sarebbe stato tutto molto bello, se non fosse stato che lei amava un altro. Tu lo sapevi, ma hai lo stesso pensato: "Perché no, buttiamoci in una relazione con una che è già innamorata di qualcuno che però non sono io. Cosa mai potrebbe andare storto?"» lo scimmiottò, scuotendo la testa in modo quasi rassegnato.

Lewis emise un sospiro frustrato, quando vide le dita nella mano dell'amico segnare il numero quattro. «Cindy, sono stati più i giorni passati a litigare tra voi che quelli a divertirvi. Credo che riusciste a litigare anche quando stavate scopando» il pilota aprì la bocca per controbattere, solo per poi richiuderla subito, davanti a quella verità che alla fine non valeva la pena contrastare.

«Ahia» commentò Spinz, guadagnandosi un'occhiataccia.

Miles alzò il quinto dito di quella mano. «Bella, faceva avanti e indietro da una clinica al tempo e direi che non c'è bisogno che aggiunga altro» Lewis stava iniziando a rendersi conto di come, nel suo passato, era sempre finito per prendere la scelta sbagliata quando si trattava di donne da frequentare. Nonostante non avesse mai più cercato nulla di serio, era comunque riuscito ad infilarsi in pseudo-relazioni problematiche.

Arrivò la volta di contare il numero sette. «Dominique, durata letteralmente il tempo di un weekend di gara. Stupida come poche ne esistono e in più detestava Roscoe» quella ragazza l'aveva anche quasi del tutto rimossa dalla sua mente.

Le dita passarono a otto. «Juliana, che ancora devo capire se frequentava te, Jared o te e Jared allo stesso tempo» era l'ultima di quelle opzioni quella giusta, ma evitò di dirlo.

Fu il turno del numero nove. «Isabel, pretendeva che andaste a vivere assieme dopo sole tre settimane di frequentazione, sfogliava riviste di abiti da sposa e ti chiedeva quali erano le scuole migliori in zona per un vostro possibile figlio» Angela si lasciò scappare una risata più acuta, portandosi subito la mano davanti alla bocca, facendo finta di nulla quando lui la guardò.

«E giungiamo fino a Jourdan» Miles smise di tenere il conto. «Vorrei farti una lista anche di tutte quelle altre frequentazioni durate solo una notte, ma in quei casi non ho avuto il tempo di conoscerle per capire quali fossero i bagagli di problemi che si portavano dietro» si avvicinò a lui, poggiandogli un braccio sulle spalle. «E sono certo che ne avessero un bel po' anche loro» Lewis alzò gli occhi al cielo, portandolo a continuare con quel discorso. «Il punto è, che anche quelle ragazze avranno avuto i loro bagagli e sai perché?» chiese retorico.

«Perché tutti noi ne abbiamo almeno uno» rispose Angela, guadagnandosi un piccolo applauso da parte di Miles.

«Nonostante sia la sorella del tuo rivale in pista, di una persona con cui non vai molto d'accordo. Nonostante abbia avuto un passato difficile, che ha delle conseguenze sul suo presente, io credo che comunque sia l'unica ragazza per la quale tu abbia provato una curiosità tale da spingerti a volerla conoscere sempre di più» ogni tanto si chiedeva come fosse possibile che Miles riuscisse a leggerlo in quel modo, come un libro aperto. Era in grado di comprenderlo anche solo con un semplice sguardo e sapeva sempre cosa consigliargli.

Spinz attirò la sua attenzione. «Te l'ho detto, amico. Perché arrendersi ancora prima di aver provato?»

Era una situazione emotiva, sentimentale e non lavorativa, ma chi aveva detto che per questo non poteva essere in grado di fronteggiarla, uscendone vincente? Non poteva prevedere il futuro, non aveva certezze su come sarebbe potuta andare, poteva però non lasciarsi spaventare da quegli ostacoli. Evitando così di lasciarsi alle spalle l'unica donna che dopo dieci lunghi anni, era riuscita a stuzzicare prima la sua mente che il suo corpo.

Non voleva pensare che tra loro sarebbe potuto arrivare quel sentimento chiamato amore. Fare un'ipotesi del genere gli metteva solo pressione addosso e voglia di lasciare tutto ancora prima di iniziare. Ma voleva credere che il proseguire della loro conoscenza sarebbe stato limpido, caratterizzato dai sorrisi che li avevano accompagnati fino a quel momento, che avevano prevalso sui momenti che invece si erano rivelati più complicati di quello che si immaginava.

Le ore erano trascorse, Lewis e i suoi amici avevano finito di allenarsi e Jourdan aveva deciso di uscire di casa, lasciando così il fratello e Daniel liberi di parlare in pace. In più, la ragazza, dopo aver letto per intero l'articolo che Rob aveva scritto e guardato in faccia Ricciardo, vedendolo per la prima volta con un'espressione triste dipinta in volto, si sentiva alquanto in colpa per aver lasciato fuoriuscire quell'informazione.

Jourdan credeva di poterlo aiutare, facendo sì che la McLaren venisse esposta, di modo che tutti sapessero le sue intenzioni. E invece, il giornalista aveva rigirato completamente la situazione, addossando ogni colpa a Daniel, descrivendolo come una stella ormai spenta, un peso per il team, qualcuno che non aveva più voglia di fare quel lavoro. Lo aveva additato come troppo scherzoso, ipotizzando che fosse proprio quel suo voler ridere sempre che gli impediva di comprendere quali problemi avesse, minimizzandoli e mettendo il difficoltà il team per il quale correva. Aveva anche aggiunto che, da quanto Red Bull lo aveva messo in secondo piano, non si era più ripreso, lasciando che il talento svanisse a poco a poco.

Tutte cazzate, che però mettevano la McLaren, agli occhi esterni, in una posizione in cui avrebbero fatto più che bene a scegliere di recidere il suo contratto con un anno di anticipo, dal momento in cui si incolpava Ricciardo per le scarse performance generali della macchina e lo si additava come finito.

Non era decisamente quello l'intento di Jourdan, quando aveva scelto di condividere, tra tutte, quella notizia. Vedere come, per l'ennesima volta, Rob aveva rigirato ogni cosa, buttando del marcio su chi non ne aveva e liberando chi invece aveva colpa, le fece rendere conto di come il momento in cui avrebbe dovuto mettere fine a quel ricatto sarebbe dovuto avvenire nel minor tempo possibile.

E avrebbe fatto bene a sbrigarsi, perché lei non poteva saperlo, ma, il fratello, parlando da solo con Daniel, aveva iniziato a ragionare su quella foto che Lando gli aveva mandato durante il weekend di Silverstone e ipotizzava che tale notizia dovesse proprio essere uscita da una fonte interna a quell'ambiente. Poteva essere una coincidenza o poteva essere come una parte della sua mente gli stava suggerendo, ponendo Jourdan al centro di ciò.
Ecco perché si ripromise di indagare più a fondo su quella questione.

In giro per Monte-Carlo intanto, da ormai qualche oretta, Jourdan si era detta che forse avrebbe potuto fare un'altra cosa giusta in quella giornata, dopo aver parlato con suo fratello, andando a scusarsi di persona con Lewis.

Prese una bevanda d'asporto in un bar, iniziando poi a camminare fino al quartiere di Larvotto. Cercando di ignorare i dubbi nella sua mente che la portavano a pensare che quella fosse una pessima idea. Una volta arrivata, prima che potesse dirigersi all'entrata di quel palazzo ormai famigliare, il suo sguardo ricadde sulla spiaggia.

Lo trovò lì, vestito con degli abiti tipici della palestra, assieme a Roscoe, intento a giocare con lui, tirandogli una pallina da tennis, rincorrendosi a vicenda. Sorrise davanti a quella scena, per poi entrare nell'hotel, così da poterlo raggiungere in quella spiaggia privata che il suo palazzo condivideva in parte con esso. Si avvicinò in silenzio, continuando a guardarlo mentre giocava con il suo cane.

Lewis si accorse della sua presenza solo quando si ritrovò a voltarsi, per caso, nella sua direzione. Stoppò i suoi movimenti e lo stesso fece anche Roscoe. Ma dei due, quest'ultimo decise di reagire per primo, iniziando a correrle incontro, facendole qualche festa. «Ciao cagnolone» lo accarezzò lei, accovacciandosi, stando attenta a non rovesciare quella bevanda d'asporto.

Anche il pilota la raggiunse, restando però in silenzio. Jourdan smise di accarezzare quel bulldog, tornando del tutto in piedi. «Volevo chiederti scusa per ieri notte» gli disse, stringendosi nelle spalle. «Sono stata del tutto irresponsabile e mi dispiace di averti messo in mezzo in quel modo» continuò, tentennando davanti alla sua espressione impassibile. «Ti ho portato un cappuccino» provò ad aggiungere, mostrandogli quel bicchiere, sentendosi però improvvisamente stupida per quel gesto del quale non riusciva più a trovare il senso.

Avrebbe dovuto farsi perdonare di averlo svegliato in piena notte, di essersi fatta andare a prendere mentre era completamente ubriaca, averlo costretto a salire in casa e fatto poi incontrare con suo fratello, con un semplice cappuccino?

«Sono vegano, Jourdan» ruppe il silenzio con quella frase, che la fece sentire in tutto e per tutto una stupida. Non solo un cappuccino non sarebbe di certo bastato per il disturbo che gli aveva arrecato, non avrebbe nemmeno potuto berlo. Perché, in tutto quel tempo ancora, lei non si era mai resa conto di che tipo di regime alimentare seguisse.

«Fanculo» sussurrò, abbassando la testa. «Senti, lascia perdere tutto» si rassegnò, ormai certa di essere riuscita a rovinare l'ennesima cosa nella sua vita. Si voltò, iniziando ad incamminarsi per lasciare quella spiaggia.

«Ehi, Reed!» la richiamò, utilizzando il suo cognome, come faceva sempre lei.

Jourdan si fermò, girandosi nuovamente, attendendo che proseguisse. Ma non lo fece, non disse altro. Si incamminò invece verso la sua direzione, raggiungendola. Si fermò a pochi centimetri dal suo corpo. «Avevo già accettato stamattina, per messaggio, le tue scuse» le ricordò. «Solo... cerca di non metterti più in situazioni del genere» si raccomandò. «Non ho problemi ad esserci se dovessi avere bisogno, però-» lo interruppe.

«Lo so, nemmeno a me piace bere e poi combinare casini. Ma non è sempre facile, in certe situazioni, evitare che le brutte abitudini passate ritornino» confessò. «Sto ancora cercando di imparare come fare a gestire questa mia nuova vita» aggiunse.

Sentirono poi un fischio, che li costrinse a cercare con lo sguardo da dove provenisse. Affacciati dal balcone dell'appartamento di Lewis, i suoi amici li stavano osservando divertiti. Quando si accorsero di avere la loro attenzione, li salutarono contenti. «Non farci caso, sono idioti» scosse la testa lui. Jourdan, dal canto suo, ridacchiò, per poi ricambiare quel saluto con la mano.

Fu Angela ad interrompere tutto ciò. «Siete peggio dei bambini» li riprese, uscendo a sua volta sul balcone, cercando invano di farli rientrare. Non riuscendoci, decise di affiancarsi a loro, provando a tenerli a bada, ma osservando a sua volta la scena.

Jourdan e il pilota tornarono a guardarsi negli occhi, frapponendo tra loro qualche secondo di silenzio. Lewis osservò il volto della ragazza, incorniciato dai capelli sciolti, leggermente mossi, quei grandi occhi azzurri, dall'aria ancora stanca, puntati nei suoi e l'impercettibile sorriso che le stava increspando le labbra rosee. Si concentrò su quelle lievi lentiggini che le decoravano il naso dritto e parte degli zigomi definiti, provò quasi anche a contarle, ma si perse via quasi da subito. Il semplice vestitino che indossava, svolazzava di poco, per via del venticello presente su quella spiaggia.

Roscoe, che nel frattempo si era completamente distratto con la sua pallina, tornò da loro, cercando di frapporsi nel mezzo, infilandosi nel piccolo spazio che le gambe dei due, a quei pochi centimetri di distanza, lasciavano. «Quando non riceve attenzioni per troppo tempo, diventa geloso» le disse.

«Tranquillo, ora vado e te lo lascio tutto per te» parlò lei, rivolgendosi al cane. «Questo lo porto via con me» gli mostrò nuovamente il cappuccino d'asporto che teneva tra le mani, stringendosi nelle spalle.

Lewis rise. «È stato comunque un gesto carino» la rassicurò, nonostante non potesse berlo.

Altri secondi di silenzio tornarono tra loro, quella volta però, furono interrotti da un gesto della ragazza. Jourdan decise di sbilanciarsi, sporgendosi più in avanti, facendo aderire le labbra con quelle di lui. E il pilota non si fece attendere per ricambiare, baciandola a sua volta, approfondendo quel contatto fin da subito.

«Ci vediamo in Austria?» domandò lei, staccandosi di qualche millimetro, riferendosi alla prossima imminente tappa che il calendario di quel campionato prevedeva. Avvertiva la salda presa che lui aveva ancorato con il palmo della mano sulla parte bassa della sua schiena e si beava, nel frattempo, di come quella maglietta aderente mettesse in risalto ogni suo muscolo definito.

«Sì» le confermò a fior di labbra, tornando poi a baciarla ancora.

Dall'alto di quel balcone, mentre Miles e Spinz osservavano la scena divertiti, trattenendosi però dal distrarli con altri fischi e schiamazzi, il volto di Angela sembrava essersi incupito. Aveva guardato con più attenzione del solito quel loro incontro. Notando i movimenti del corpo di Lewis, che ormai conosceva come fosse suo figlio, non le fu difficile capire, dai suoi gesti e dalle sue esitazioni, che quella ragazza gli piacesse sul serio. Non poteva dire lo stesso per quanto riguardava lei, perché non la conosceva. Un pensiero però, iniziò ad aleggiare nella sua mente. E anche se pregava di sbagliarsi, non poteva fare a meno di udire quella vocina nella sua testa, in sottofondo alla scena che stava guardando.

"Gli spezzerà il cuore."

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Festeggiamo, perché Max e Jourdan hanno finalmente parlato🎉
Scherzi a parte, sono arrivati alla conclusione che è meglio essere uniti, essendo gli unici che possono capirsi per davvero per quello che hanno passato, invece che litigare costantemente.
Ma durerà questa tregua?
A quanto pare Max sembra avere qualche dubbio che correla la fuga della notizia su Ricciardo con sua sorella👀
Indagherà?
Arriverà a qualcosa?

Nel frattempo anche Lewis, con l'aiuto dei suoi amici, si è chiarito le idee (per l'ennesima volta) su Jourdan.
Pare proprio che, nonostante i problemi della ragazza, comunque non riesca a togliersela dalla testa😚

I due hanno anche chiarito gli avvenimenti della sera prima e si sono ripromessi di vedersi in Austria.
Austria, terra di Niki, di Toto e allo stesso tempo territorio Red Bull, un mix perfetto per Lewis e Jourdan.
Cosa mai potrebbe andare storto?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.

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XOXO, Allison💕

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