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Capitolo 15 - Dicotomia


Canada, Montréal.
Montréal Circuit.

Aveva passato parecchi anni della sua vita a correre in Formula 1 e, con il tempo, su ogni circuito era stato in grado di creare dei ricordi.
La pista di Montréal, sin dall'inizio della sua carriera, ne conservava uno speciale. Proprio su quel tracciato aveva conquistato la sua prima vittoria. Quando, quel dieci giugno 2007, aveva tagliato per primo il traguardo.

Ci aveva messo solo cinque gare nella massima categoria per ottenere quel risultato e si sentiva al settimo cielo. Ancora oggi, dopo più di sedici anni, ricordava perfettamente tutte le emozioni provate quel giorno. La prima vittoria resta per sempre qualcosa di speciale, un ricordo che si custodisce quasi gelosamente, impossibile da lasciar andare. E lui, nonostante di podi e traguardi ne avesse ottenuti parecchi, non aveva mai smesso di dare valore ad ognuno di loro. Ogni passo fatto lo considerava importante, non lasciava nulla per scontato, nonostante, dall'alto della sua carriera, avrebbe anche potuto permetterselo. Eppure, Lewis non la vedeva così.

Di tempo ne era passato dalla sua prima stagione corsa in Formula 1, ma il pilota sentiva di avere ancora la stessa fame, nulla nella passione che provava per quello sport era cambiato. Puntava ancora a vincere, a dare sempre il meglio di sé, perché correre faceva parte del suo DNA, era un qualcosa a cui proprio non riusciva a fare a meno. Ogni tanto si chiedeva quando si sarebbe stancato, quando quella dedizione avrebbe iniziato a sfumare, poi però, davanti ai ricordi e all'amore che provava verso il suo lavoro, tale domanda perdevano di ogni significato. Sapeva che, prima o poi, anche il suo momento di ritirarsi sarebbe giunto, ma per ora non faceva minimante parte dei suoi piani.

Affrontò quell'ultima curva, vedendo dietro di sé, grazie allo specchietto retrovisore, la monoposto di Leclerc. Non aveva idea di chi ci fosse dopo di lui, perché i due sembravano aver creato un ampio gap tra loro e il resto delle macchine. «In che posizione è George?» domandò a Bono, aprendosi via radio.

«Terzo, se Verstappen non lo supera in questi ultimi metri» lo informò l'ingegnere, notando il minimo distacco che separava i due. Lewis annuì in modo meccanico e tornò a concentrarsi definitivamente sulla sua guida. Tagliò il traguardo poco dopo, portando a casa l'ennesima vittoria, l'ottava su quel circuito che aveva dato il via alla sua carriera costellata di primi gradini del podio.

Alla fine, il suo compagno di squadra era stato bravo a tenere dietro di sé Max, aggiudicandosi così il terzo posto e dei punti importanti per il team, per poter mantenere quel primo posto nella classifica del mondiale costruttori. Parcheggiate le auto, i primi tre scesero velocemente. Lewis si congratulò con Charles, dandogli la mano e lasciandogli una pacca sulla spalla, per poi dirigersi verso George e stringerlo in un abbraccio.

Corsero infine verso gli uomini dei rispettivi team, che li stavano aspettando al di là delle transenne, festeggiando i risultati. Compiute tutte le procedure necessarie, si diressero nella cool down room, attendendo di essere chiamati su quel podio. Passarono il tempo chiacchierando tra loro della gara, bevendo e pulendosi dal sudore con quei piccoli asciugamani chiari.

Il momento di riscuotere i loro trofei arrivò. Su quel podio, in attesa che venissero consegnati a tutti e tre, Lewis osservò come essi fossero cambiati nel tempo. Alla sua prima vittoria in quel circuito, gli era stata consegnata una grossa coppa di vetro lavorato, con tanto di coperchio a chiuderla. Ora invece gli stavano porgendo tra le mani qualcosa di più moderno, formato da una base cilindrica e un prolungamento arricciato in argento.

Il premio era cambiato, così come tante altre cose, ma, la sensazione di tenerlo stretto tra le mani, sollevandolo in alto, davanti alla folla sottostante che gioiva, era sempre la stessa. Certo, le emozioni provate alla sua prima vittoria sarebbero rimaste uniche per sempre, indimenticabili. Ma ogni volta era sempre un grande felicità che lo avvolgeva, quando il duro lavoro che compiva dentro e fuori la pista veniva ripagato.

Osservò parte del circuito, che quell'altezza gli permetteva di vedere e nella sua mente i ricordi scorsero liberi. Si rivide su quella pista, dentro la McLaren, al tempo dai colori argento, con il suo casco giallo, ispirato a Senna, uno dei suoi più grandi eroi. Rivide quel ragazzino venuto dal niente, pieno di sogni e speranze, saltare giù dalla sua auto, ancora incredulo di aver vinto quella gara. Ricordava bene i piccoli saltelli di gioia e l'emozione che gli riempiva gli occhi, la stessa che vide in quelli di suo padre, quando lo strinse a sé.

In quel momento, il padre non c'era, non aveva potuto esserci per quella gara, ma sapeva che l'aveva guardato alla televisione per tutto il tempo. E sapeva ancora meglio quanto fosse fiero di lui, per l'ennesimo traguardo raggiunto, per tutto quello che aveva conquistato, per l'uomo che era diventato.
Alzò il trofeo, sentendo dentro di sé quel ragazzino che tanti anni prima mai si sarebbe immaginato la lunga strada che sarebbe stato in grado di percorrere.

Lasciando andare ricordi e le malinconie del passato, Lewis si concentrò assieme agli altri a stappare le bottiglie di champagne, iniziando a spruzzare quel liquido ovunque, dando sfogo alla loro felicità. E solo in quel momento si rese conto di una piacevole presenza sotto il podio. Tra la folla spiccavano anche quei magnetici occhi chiari, appartenenti a Jourdan. Un sguardo, il suo, che però sembrava essere diretto a qualcun altro.

Così come lui, anche Charles si era avvicinato alla ringhiera, facendo andare buona parte dello champagne sulla folla sottostante, per poi ricambiare l'occhiata e il sorriso che la modella gli stava rivolgendo. Il pilota inglese si perse per qualche secondo ad osservare il modo genuino in cui i due si stavano fissando, con quella scintilla pura negli occhi, che faceva trasparire il bene che entrambi si volevano.

Un qualcosa di molto diverso da ciò che si poteva leggere in quelle stesse iridi azzurre, quando si fissarono su Lewis. I due non si erano più visti né sentiti da dopo quella sera passata assieme, nell'appartamento del pilota. Jourdan era stata presa dai suoi pensieri, tutti scaturiti dall'incontro inaspettato con Rob e lui aveva semplicemente deciso di dar spazio ad entrambi. Quel veloce, quanto intenso, scambio di sguardi che si stavano rivolgendo dopo giorni di nulla, fu interrotto dal monegasco, che si avvicinò all'inglese, iniziando a bagnarlo con quello champagne.

Le celebrazioni sul podio arrivarono al termine e piano piano anche quel circuito iniziò a svuotarsi. Sulla via verso il suo motorhome, il pilota incontrò Verstappen e i due si passarono accanto senza rivolgersi nemmeno uno sguardo, ignorandosi completamente. Che non fossero mai stati amici non era un segreto per nessuno, ma, dopo la grande rivalità avuta due anni prima, avevano iniziato a scambiare qualche parola in più occasioni, ritrovandosi persino a ridere assieme ad alcune battute.

Eppure, tutto ciò sembrava essere appena arrivato ad una fine. In seguito al Gran Premio di Monaco, qualcosa si era nuovamente rotto tra loro, un qualcosa che con tutta probabilità non sarebbero nemmeno stati in grado di spiegare. A quanto pareva però, li aveva riportati in quella situazione in cui entrambi preferivano ignorarsi, fingendo che non esistessero, quando erano fuori dalla pista.

Fu inevitabile per Lewis ripensare agli articoli che erano usciti dopo la gara nel Principato. I giornalisti si erano divertiti a montare originali storie secondo cui quell'incidente, avvenuto tra lui e Max, era stato la causa di una lite fatta tra i due per via di Jourdan. Si stavano dilettando a cucire gossip ad hoc per sostenere e portare avanti le voci che già giravano sul conto di ognuno di loro. Ed erano stati proprio bravi a rendere credibile quel fatto, convincendo la stragrande maggioranza delle persone che ci poteva essere una specie di conflitto emotivo tra i due piloti, che aveva come fulcro centrale la modella.

E forse non ci erano andati nemmeno troppo lontani, perché un conflitto c'era. Ma tra Max e Lewis era un qualcosa nato decisamente molto prima che Jourdan arrivasse nelle vite di entrambi, in modo completamente diverso, visto che con uno si trattava di parentela e con l'altro di attrazione. Un conflitto nato in pista, per la loro voglia di vincere, di prevalere, alimentato anche dalla rivalità che legava i rispettivi team per i quali correvano.

La variabile Jourdan entrava in gioco in una situazione esterna ai circuiti, dal momento in cui si era avvicinata sempre di più a quello che era il principale rivale lavorativo del fratello. Ma erano due professionisti e non avrebbero mai compromesso la loro carriera, il loro campionato, per una questione emotiva al di fuori del loro lavoro.

Certo, non sempre era facile lasciarsi tutto alle spalle quando si saliva in auto, la mente ogni tanto giocava brutti scherzi e portava a commettere degli errori, come successo a Monte-Carlo. Ma nessuno dei due avrebbe portato avanti quella rivalità con il solo scopo di litigarsi la ragazza. Se tale contrasto, che sembrava aver ripreso vita, doveva prolungarsi per il resto della stagione, sarebbe stato esclusivamente per decretare chi tra i due avrebbe alzato la coppa più importante alla fine di quella serie di gare.

Perché i conflitti che li vedevano rivali in pista avevano motivazioni diverse rispetto a quelli che li avrebbero potuti portare a scontrarsi fuori da essa.
Secondo Lewis, poi, era assurdo montare quelle storielle, dal momento in cui ciò che era accaduto tra lui e Jourdan era un qualcosa che solo loro due sapevano.
O almeno, questo era quello che credeva lui.

«Parti oggi o domani?» in uscita dal circuito, l'inglese aveva incontrato Sebastian. Gli si era subito affiancato, ponendogli quella domanda.

«Oggi» rispose. «Mi sarebbe piaciuto riposarmi stasera, ma cercherò di farlo sull'aereo. Almeno evito di perdere un altro giorno prima di tornare da mia moglie e dalle bambine» aggiunse, rivolgendogli un mezzo sorriso.

Lewis lo capiva, anche per lui la famiglia era molto importante, anche se non ne possedeva una nello stesso senso di Sebastian. Ma lui amava ed era felice di ciò che aveva. Era grato di essere in grado di passare del tempo con i suoi nipoti, di poter contare sul supporto di suo padre e delle sue madri, di essere un modello per suo fratello, di ricevere amore e fedeltà incondizionata da Roscoe e di poter sempre avere i suoi amici al suo fianco.

Perciò sì, capiva la volontà del pilota tedesco di tornare a casa il prima possibile, per passare il tempo circondato dalle persone che più amava. «Sono certo che riabbracciarle varrà il lungo viaggio di ritorno subito dopo la gara» gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla. Sebastian era una persona molto riservata, ci teneva alla privacy della sua vita privata ed evitava sempre di far scontrare la visibilità che il suo lavoro gli dava con essa. Nonostante questo, aveva concesso a Lewis il privilegio di conoscere la sua famiglia. Gli aveva presentato sua moglie e le sue figlie, le cose più preziose che aveva al mondo e non se ne era mai pentito.

Il legame stretto con l'inglese era qualcosa che non poteva identificarsi nella semplice amicizia. Erano arrivati ad avere quel rapporto così stretto, proprio dopo un fraintendimento avvenuto in pista, che li aveva portati ad una discussione al termine di una gara e che, con tutta sorpresa, li aveva uniti ancora di più. Tra i due c'era profondo rispetto e stima reciproca. Ed era molto importante sapere di avere l'uno al fianco dell'altro, perché si capivano. Facevano lo stesso lavoro, credevano negli stessi valori, nessuno più di Lewis avrebbe potuto capire Sebastian sotto quegli aspetti e viceversa.

Il tedesco annuì alle parole dell'amico, pensando a come i sorrisi felici delle sue bambine, nel momento in cui lo avrebbero visto entrare in casa, gli avrebbero scaldato il cuore e fatto passare ogni briciolo di stanchezza. «Tu resti qui?» gli chiese di rimando.

«Sì, partiamo tutti domani in mattinata» lo informò, riferendogli i piani suoi e del team.

Sebastian decise poi di spostare l'argomento di quella conversazione su tutt'altro, volendo punzecchiarlo un po', come spesso amava fare. «E quindi, è vero quello che si dice su di te e la sorella di Max?» alzò un sopracciglio, con un'espressione furba.

«Oh, ti prego. Non crederai anche tu che io e Verstappen abbiamo riacceso la nostra rivalità per lei» si lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, stoppando i suoi passi e costringendo anche l'altro a fare lo stesso.

«Perché, si era mai spenta?» gli fece notare. «Che non vi steste particolarmente simpatici è una cosa che avete appurato sin dal momento in cui vi siete conosciuti» l'inglese ricordò quell'anno in cui Max era entrato a far parte della massima categoria. Era un ragazzino, appena maggiorenne e Lewis a quel tempo non gli aveva dato il minimo peso. Si era accorto della sua bravura, ma era consapevole di quanta esperienza dovesse ancora compiere e lui, invece, doveva concentrarsi nel conquistare il suo terzo mondiale. Negli anni successivi comunque non avevano mai interagito più di tanto, considerandosi davvero poco compatibili, sia per età che per carattere.

Una tesi confermata dal momento in cui si erano ritrovati a sfidarsi, anni dopo, in modo serio, per conquistare un titolo, l'ottavo per Lewis, il primo per Max. Ed ecco che in quel momento il loro ignorarsi si era trasformato in una vera e propria rivalità, che aveva accentuato ancora di più le differenze caratteriali tra i due. «Lo scorso anno non vi siete scontrati in pista, solo perché tu non avevi una macchina che ti permettesse di stare lì davanti con lui. Avete fatto le vostre gare, pensando solo a voi stessi e tutto è andato bene» continuò Seb.

Aveva ragione. Non ci aveva ragionato su più di tanto, la stagione precedente era sempre stato concentrato a lavorare con il team per sistemare l'auto, non si era preoccupato di riflettere su null'altro che non fosse il modo per riportare la Mercedes e se stesso sulla vetta. Le parole di Sebastian, però, gli stavano facendo aprire gli occhi sul fatto che probabilmente quella rivalità tra loro non si fosse mai conclusa, ma che avesse preso solo una pausa.

E allora rifletté con una diversa visuale sulle gare compiute fino ad ora in quel campionato. Prima di Monaco non avevano fatto incidenti tra loro, ma avevano comunque corso in modo molto aggressivo, quasi al limite, quando si trovavano ruota a ruota. Un modo che si riservavano di usare solo l'uno contro l'altro, come se, quando si ritrovavano accanto, qualcosa nelle loro menti scattava e li portava in automatico a spostarsi su uno stile di guida più impetuoso.

«Adesso che siete tornati a competere, anche il vostro rapporto in pista era destinato a tornare come prima» concluse, facendo spallucce. Perché lui l'aveva sempre sostenuto e aveva sempre avuto ragione, se il rapporto fuori dal tracciato non era pacifico, sicuramente allora non poteva esserlo nemmeno quello dentro ad esso. «E comunque, non mi stavo riferendo alla gara di Monaco. Mi riferivo agli altri articoli usciti che vi vedevano protagonisti» ritornò sul discorso principale.

Lewis alzò le mani. «Niente di tutto quello che hanno scritto è vero» mentiva. Le storie che avevano creato potevano anche essere false, ma la base di partenza era del tutto veritiera. «Ci ho scambiato qualche parola ogni tanto, niente di più. È simpatica ed è piacevole parlarci, insomma, abbiamo l'interesse della moda in comune» annuì convinto alle sue stesse parole, creando di rafforzarle. Ma, l'espressione di Sebastian lasciava intendere che non si fidasse del tutto di ciò che gli aveva appena detto.

«Uhm, come vuoi» si grattò il capo, sistemandosi poi i capelli chiari, diventati forse un po' troppo lunghi. «Vedrò di fare più attenzione alle vostre interazioni allora. Così, per capire se mi hai detto una cazzata» lo informò ridendo e facendogli fare lo stesso. Sebastian riprese poi a camminare, diretto verso l'uscita di quel circuito, dove una macchina lo stava aspettando per portarlo in aeroporto.

«Seb» l'altro lo richiamò, facendolo voltare. «Per quella cosa che mi avevi accennato a Miami...» lasciò la frase in sospeso, non sapendo bene nemmeno lui quello che avrebbe voluto sapere a riguardo. Quel riferimento alla chiacchierata che avevano avuto nella sua auto, durante il viaggio di ritorno verso l'hotel, sembrava aver toccato un punto dolente per il pilota tedesco.

Lo sguardo che gli stava rivolgendo cambiò, passando da divertito a serio, in meno di un secondo. «Nein, ti ho detto che non ne voglio parlare» accentuò la sua frase da un movimento oscillante del dito indice. «Quando prenderò una decisione in merito, sarai uno dei primi a saperlo. Ma, fino a quel momento, dimentica ciò che ti ho detto a Miami» chiarì e Lewis si ritrovò ad annuire, acconsentendo davanti alla volontà del suo amico.

Se era quello che gli chiedeva, perché aveva bisogno di ragionare in pace e solitudine sulle scelte che riguardavano il suo futuro, allora così sarebbe stato. Lui non si sarebbe intromesso, mettendogli addosso altre pressioni, ma sarebbe rimasto lì, pronto a sostenerlo, quando Seb finalmente sarebbe venuto a capo con una decisione, qualunque essa sarebbe stata.

Terminata la gara, dopo aver assistito alla cerimonia di premiazione, Jourdan era subito corsa in hotel. La verità era che nemmeno ci voleva andare in Canada. Quello era il paese di origine di sua madre, un luogo che, per quanto amava, le metteva addosso un'enorme tristezza. Le volte in cui aveva dovuto recarsi lì per lavoro, era sempre stata investita da quell'emozione, che la conduceva inevitabilmente a porsi una miriade di domande su come sarebbe stata la sua vita se lei non avesse mai preso quella decisione di abbandonarla fuori casa del padre, andandosene e non facendosi mai più vedere e sentire.

Jourdan, durante tutti quegli anni, non aveva mai provato a cercarla. Non aveva mai chiesto informazioni in più su quella donna. Semplicemente perché non voleva. Il non sapere la faceva soffrire meno, perché in quel modo poteva immaginarsi gli scenari che più preferiva, scegliendo lei la motivazione meno dolorosa dietro quella scelta di lasciarla senza mai voltarsi indietro.

Farsi comunque delle domande ed avere una certa curiosità riguardo quella donna, era comunque inevitabile però. Si chiedeva se fosse ancora viva, se abitasse ancora lì, se magari l'avesse anche incontrata in qualche situazione, senza nemmeno sapere che fosse lei. Insomma, durante la sua vita aveva visto una singola foto della donna che l'aveva messa al mondo, la stessa foto che compariva anche sul documento che Rob aveva trovato. Era un'immagine che la ritraeva molto giovane, ancora prima che avesse lei, ancora prima che trovasse quel lavoro da grid girl e incontrasse Jos. Se l'avesse incrociata per strada, intravista tra la folla, dopo tutti quegli anni, non sarebbe di certo stata in grado di riconoscerla.

Ma poteva essere davvero successo?
Questo si chiedeva, mentre, adagiata sull'alto letto matrimoniale dell'hotel, teneva stretto un giornale tra le mani. Ecco perché non voleva andare in Canada, detestava rivivere quelle emozioni e tutti quei dubbi che la attanagliavano. Charles, però, aveva insistito tanto per averla lì. Non sapeva dire perché, ma sembrava che per il monegasco fosse proprio importate la sua presenza. Glielo aveva chiesto più volte, quasi pregandola e alla fine lei aveva ceduto.

E aveva ceduto anche davanti alle sue successive richieste di presentarsi al circuito, almeno per la gara. Nonostante le idee di lei fossero molto diverse e c'erano due motivi a riguardo, uno dei quali lo stava proprio osservando sulle pagine di quel giornale.

Rob non aveva pubblicato le foto che la vedevano entrare in piena notte a casa di Lewis e poi uscirne il giorno dopo. Eppure, gli articoli sul loro conto non si erano affatto fermati, alimentati da quanto successo durante il Gran Premio di Monaco. Senza rendersene conto, con quella sua decisione avventata, aveva sì spinto nuovamente Max in mezzo ai gossip, ma aveva messo di mezzo anche lei e Lewis, in un ruolo decisamente più attivo.

Alla fine, il tutto le si era ritorto contro, perché così facendo, i giornalisti avevano sfruttato l'incidente avvenuto dopo, per iniziare a diffondere la voce che fosse accaduto per colpa sua. Avevano fatto passare quell'evento come un modo dei due per contendersela, cosa alla quale le persone che non erano a conoscenza della sua parentela con Max, credevano eccome. In più, altre voci false erano scaturite da questi articoli, che avevano a loro volta dato vita a nuove storie, nuove ipotesi e nuovi commenti da parte delle persone.

La sua possibile relazione con Max e Lewis sembrava proprio essere diventata uno dei temi più di intrattenimento per gli utenti del web.

Il secondo motivo, per il quale avrebbe preferito restarsene a casa, lontano da qualsiasi sguardo indiscreto, era proprio il patto stretto con quel giornalista. Jourdan voleva evitare di passare del tempo con i suoi amici, se non li avesse visti non avrebbe dovuto metterli di mezzo. Ma, senza di loro, non avrebbe mai potuto rivelare nulla a Rob e lui allora avrebbe rivelato tutto su di lei.

Ci aveva riflettuto a lungo su quel problema, passando notti in bianco e giorni a fissare il vuoto. Alla fine era arrivata ad una conclusione, secondo la quale, il modo per uscirne era proprio quello di assecondarlo, giocando a quella partita e usando le sue stesse strategie contro di lui. Per farlo però, aveva comunque bisogno di recuperare delle informazioni dai suoi amici, che avrebbero potuto interessare il giornalista. Ma non gliele avrebbe riferite in modo corretto. Lui si era sempre divertito tanto a storpiare, modificare e aggiungere dettagli inventati alla realtà che la riguardava e lei avrebbe fatto lo stesso.

Quelle che aveva intenzioni di dargli, sarebbero state informazioni che nessuno gli avrebbe potuto confermare o smentire, se non i diretti interessati, che però parlavano solo con lei. Ecco che in quel dettaglio aveva trovato il suo vantaggio. Non sarebbe riuscita ad evitare tutte le conseguenze, perché le informazioni su di lei restavano comunque tra le mani di Rob e lui avrebbe potuto renderle pubbliche da un momento all'altro. Ma, almeno lo avrebbe colpito a sua volta, impedendogli di conquistare quella posizione da direttore che tanto bramava. Aveva cercato di prendere il meglio dal peggio, per quanto le fosse possibile.

«Quante stronzate» commentò, alzando gli occhi al cielo, mentre leggeva l'ennesimo articolo che si professava come il più veritiero e carico di dettagli inediti su quel triangolo amoroso tra lei e i due piloti rivali. Si voltò poi verso la porta, nel momento in cui udì qualcuno bussare ad essa. «Chi è?» chiese, alzando la voce, così da farsi sentire.

«Pierre» rispose, portandola ad alzarsi e aprirgli.

«Che ci fai qui?» domandò, notando come fosse vestito di tutto punto.

Gli occhi chiari del pilota scorsero le gambe scoperte della ragazza, incontrando poi quell'accappatoio da camera che stava indossando. «Sono appena tornato da una cena con Charles» con quelle parole spiegò il suo abbigliamento. «Skye non c'è ed ero certo che ti avrei trovata qui» continuò, sapendo che senza la presenza della sua amica, che quel weekend non aveva potuto esserci, Jourdan non sarebbe stata da altra parte che in camera in quel momento. «Mi chiedevo se ti andasse un po' di compagnia» svelò infine il motivo della sua visita.

La modella sorrise, notando come lo sguardo di lui fosse fisso sulla scollatura a V che l'allacciatura dell'accappatoio lasciava sul suo petto nudo, permettendogli di intuire facilmente che sotto quel tessuto non stesse indossando nulla. E lei comprese subito il secondo fine dietro le sue parole.

Pierre era lì perché voleva passare una notte a fare sesso, come tante altre che avevano trascorso insieme, distraendosi a vicenda e scaricando la tensione. Un qualcosa che, però, quella volta a lei sembrava non andare affatto. Le avrebbe fatto bene staccare la mente, smettere di pensare a sua madre, a quegli articoli, a Rob, il punto era che non voleva farlo. C'erano tante cose di cui doveva occuparsi e non si sentiva libera di potersi prendere del tempo per stare lontano dalle sue riflessioni.

Una parte di lei spingeva per trascinarlo dentro quella camera e rotolarsi assieme a lui sulle lenzuola pulite. Un'altra però la frenava, suggerendole che sarebbe stato meglio ragionare sulle piccole informazioni che aveva captato da Charles, quel pomeriggio, per capire in che modo comunicarle a Rob. E fu proprio quest'ultima a vincere. «Scusa, Pierre» scosse la testa. «Ma sono davvero tanto stanca» era una bugia, il sonno non sarebbe potuto essere più lontano da lei. «Sono appena uscita dalla doccia e stavo appunto andando a letto» aggiunse, fingendo uno sbadiglio.

«Oh, non preoccupati» fece aleggiare una mano. «Buonanotte allora» si avvicinò a lei, lasciandole un bacio sulla fronte, rivolgendole un veloce sorriso, prima di andarsene. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui i due erano finiti a letto assieme, Pierre però sembrava non farsene un peso. La loro era una relazione occasionale, solamente fisica. Prima di tutto poi era un suo amico, perciò sapeva bene che il periodo che stava vivendo la ragazza non fosse proprio facile, ecco perché non si stupiva di quella mancanza di contatto tra loro due.

Ma stava davvero tutto qui o c'era sotto dell'altro?
Ignorava sempre gli articoli di gossip, perché purtroppo faceva parte di quella cerchia di persone che ne finivano quasi sempre protagonisti. Però, chiedersi se ci fosse del vero dietro tutto ciò che era uscito riguardante lei e Lewis, gli risultava comunque inevitabile.

Jourdan richiuse quella porta, lasciandosi ricadere nuovamente sul letto. A pancia in su, con lo sguardo puntato verso il soffitto, tornò a concentrarsi sulle sue preoccupazioni. Riportò alla memoria la piccola conversazione avuta con Charles, prima della gara. Le aveva detto che la Ferrari stava lavorando a degli aggiornamenti e non era un qualcosa di così segreto, tutti i team durante la stagione portavano aggiornamenti alle vetture. Le aveva pure citato cosa essi avrebbero riguardato, senza entrare nello specifico dei dettagli, sapendo che tanto non avrebbe potuto capire quella parte così tecnica del suo lavoro.

Avevano parlato anche a proposito del suo futuro nella scuderia. Jourdan si era informata, appurando che il suo contratto sarebbe scaduto alla fine di quella stagione, così gli aveva chiesto se fosse nelle sue intenzioni rinnovare e lui si era detto assolutamente propenso a farlo. Aggiungendo che, però, ancora era presto e con il suo team principal non avevano preso degli accordi più specifici sulla possibile durata di quel rinnovo.

Tutte informazioni che non avevano il minimo valore per far uscire una notizia che portasse le persone a parlare. A meno che esse non venissero modificate un po'. Ma come avrebbe potuto farlo senza mettere troppo di mezzo il suo amico, senza far sì che ci fossero, per lui e il suo team, delle conseguenze mediatiche troppo pesanti e allo stesso tempo fornendo una notizia che accontentasse Rob?

Sbuffò frustrata, davanti all'ennesimo ostacolo che si ritrovava sulla strada. Si alzò di scatto, avvertendo il bisogno di fumare. Aveva rifiutato la richiesta di Pierre, le sigarette erano l'unica cosa che le restava per contrastare lo stress. Si infilò velocemente una jumpsuit nera, corta e con delle spalline sottili, ponendoci sopra una lunga camicia bianca, che decise di non allacciare con i bottoni, ma di legare le due parti finali, chiudendola in quel modo. Indossò poi un paio di calzini e delle tennis anch'esse bianche. Recuperò infine una sigaretta, incastrandosela tra le labbra, e un'accendino.

Lasciò quella stanza, raggiungendo la hall di quell'hotel, dove vi era un po' di via vai di persone, la maggior parte delle quali dipendenti dei vari team di Formula 1, che si assicuravano di aver organizzato ogni cosa al meglio in vista della partenza del giorno seguente. Non diede peso a nessuno di loro, diretta verso l'uscita dell'albergo, agognando quella sigaretta che ancora le penzolava, spenta, dalle labbra.

Fu costretta però a lasciare che la sua attenzione si spostasse anche su qualcos'altro, dal momento in cui, dalle stesse porte che lei voleva varcare per uscire, entrò proprio Lewis. Anche lui di ritorno da una cena con parte del team, aveva appena fatto il suo ingresso, convinto di ritirarsi nella sua stanza e andare a dormire. Una convinzione che vide sfumare, nel momento in cui, a sua volta, si accorse della presenza di quella ragazza.

Si osservarono, distanti qualche metro, muovendo lenti passi che mano a mano li facevano avvicinare l'uno all'altra. Jourdan si soffermò qualche secondo sul suo abbigliamento, venendo colpita dai jeans verde scuro, abbinati alla giacca del medesimo colore, con alcune lavorazioni intrecciate sul davanti.

Non ci fu bisogno di alcuna parola, bastarono i loro occhi per comunicarsi tutto ciò che agli altri rimaneva celato. Mantennero quel contatto visivo fino a che Jourdan lo sorpassò. Lewis fermò i suoi passi, rimase immobile per qualche secondo, prima di voltarsi. Di lei non vi era più alcuna traccia e lui ripercorse al contrario quella strada che portava alle porte girevoli, che aveva utilizzato poco prima per entrare nell'hotel

Uscì dallo stabile, trovandola proprio lì fuori. Si affiancò a lei, restando in silenzio. «Mi dimentico sempre che qui fumare non è così semplice» commentò, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Jourdan era abituata, ma, lì in Canada non era concesso fumare in qualsiasi luogo, nemmeno se si trattava di un posto all'aperto. Bisognava recarsi in un'apposita area circoscritta o accertarsi di essere ad almeno cinque metri di distanza dalle porte dei locali.

«Potresti evitarlo allora» le suggerì, stringendosi nelle spalle.

Gli occhi della ragazza si posarono su di lui. «Non essere ridicolo» rispose per tanto.

Lewis trattenne un sorriso. «Vieni» la incitò. «Conosco un posto dove potrai fumare in pace» e così, senza nemmeno pensarci, lo seguì. Lo fece con una naturalezza tale che, quando poco dopo le capitò di ripensarci, si sentì quasi spaventata da essa.

Camminarono per qualche minuto, ritrovandosi presto su una strada secondaria, che costeggiava il fiume San Lorenzo. Era tranquilla, non vi era praticamente nessuno oltre a loro due. Jourdan finalmente si accese quella sigaretta, inspirando a fondo il fumo, tenendolo nei polmoni anche più del dovuto, prima di lasciarlo andare, facendolo fuoriuscire dalla bocca. Il pilota la osservò, non perdendosi nemmeno un dettaglio dei suoi movimenti.

Notò come tenesse stretta, tra l'indice e il medio della mano sinistra, quella sigaretta, anche se in realtà non era mancina. Vide il modo in cui le sue labbra rosee si avvolsero attorno al filtro, con delicatezza e come poi da esse lasciò uscire quella nuvoletta di fumo grigio. Anche a lui durante la sua vita gli era capitato di fumare, mai però aveva preso il vizio. Perché il suo essere un'atleta non glielo permetteva a cuor leggero e soprattutto perché non amava per nulla l'odore o il sapore del tabacco bruciato.

«Cos'è quello?» Jourdan riportò la sua attenzione alla realtà.

Lewis puntò lo sguardo nella direzione che il dito di lei stava indicando. «È il luna park del porto, c'è spesso in questo periodo dell'anno» la informò, non dando il minimo peso a quelle giostre o alla sua domanda.

Non sapeva se fosse la confusione, lo stress, la sua vicinanza o un mix fatale di tutte e tre le cose, ma in quel momento la ragazza avvertita solamente una gran voglia di agire senza pensare, di staccare la spina e non preoccuparsi più di niente. «Andiamo» disse, facendogli strabuzzare gli occhi.

«Dove?» le domandò confuso, non capendo quell'improvviso cambio d'umore, che l'aveva portata dall'essere silenziosa, con un'espressione accigliata, all'essere sorridente e piena di voglia di divertirsi. Un cambio di umore al quale nemmeno lei sapeva dare una spiegazione, che era semplicemente arrivato, a sorpresa, e che non si sentiva di ignorare. Dopo tutti i giorni trascorsi con quell'incessante peso sul petto, per la prima volta dall'incontro con Rob, aveva voglia di smettere di pensare.

«A divertirci» rispose ovvia. «Hai vinto una gara, devi festeggiare in qualche altro modo, senza limitarti allo champagne sul podio» aggiunse, muovendo alcuni all'indietro, mentre aspettava che iniziasse a seguirla.

Lewis stava cercando di ragionare, mantenendo con sé la sua razionalità. «E tu per cosa devi festeggiare?» chiese divertito, osservando il sorriso scaltro che gli stava rivolgendo.

«Non lo so, un motivo lo troverò sul momento» rimbeccò prontamente, dandogli le spalle e continuando la sua camminata. Il pilota scosse la testa, la razionalità sembrava scemare ogni secondo che passava, ad ogni passo che lei compiva, aggiungendo metri tra loro. E, alla fine, si ritrovò a seguirla.

Arrivarono al porto, percorrendo tutto il pontile in legno chiaro, mescolandosi tra la folla che andava e veniva. Le luci di quel luna park erano di vari colori, si alternavano, si riflettevano nell'acqua sottostante. La musica proveniva da ogni angolo, da ogni giostra, tutte emettevano un suono diverso, riempendo l'aria. Le risate dei bambini riecheggiavano e le parole degli adulti le accompagnavano.

Lewis e Jourdan sembravano non c'entrare nulla in quel posto, eppure, in quel momento, non si sarebbero potuti sentire più a loro agio. Pareva assurdo, ma nessuno dei due era mai stato per davvero ad un luna park. Si erano sempre limitati a guardarli da lontano, chiedendosi come potessero essere. La ragazza non aveva mai avuto nessuno che la portasse a divertirsi, come la semplice bambina che un tempo era. E lui aveva sempre dato priorità al suo sogno, mettendo da parte molte attività più spensierate, tipiche di quella tenera età in cui un posto del genere è la cosa che più riesce a farti felice.

Osservando lo sguardo rapito e il sorriso genuino che si era formato sulle labbra di Jourdan, il pilota comprese, ancora un volta, quanta tristezza si celasse dietro quegli occhi chiari, che saettavano dalle giostre ai bambini che correvano felici. «Che fai?» gli chiese Jourdan, quando lo vide avvicinarsi a lei con una parrucca bionda a caschetto.

Il pilota aveva deciso di assecondare appieno la volontà della ragazza di divertirsi, tornando piccoli per una sera. Anche se lei non aveva ammesso ad alta voce quel desiderio, lui l'aveva capito. Si era quindi guardato velocemente intorno, adocchiando una piccola bancarella piena di costumi e travestimenti vari. Lasciando alcune banconote in mano all'uomo che vi stava dietro, che pareva proprio non avere idea di chi fosse, aveva poi afferrato quella parrucca. «Non li voglio gli sguardi della gente addosso» le spiegò il suo gesto. «Passiamo una serata senza che nessuno sappia chi siamo.»

Jourdan sorrise, senza aver detto una parola, ancora una volta, lui aveva intuito cosa stesse pensando. Si legò velocemente i capelli in uno chignon basso, indossando poi la parrucca che le stava porgendo, facendolo scoppiare a ridere. «Sì, lo so, il biondo non mi dona» fece aleggiare una mano.

«Nemmeno a me, tranquilla» le disse, riferendosi a quando, ormai molti anni prima, aveva scelto di tingersi i capelli biondo platino. Al tempo gli era sembrata una grande idea, ora, quando rivedeva le vecchie foto, si sentiva semplicemente un cretino.

Jourdan si voltò, allungandosi a sua volta verso la bancarella dietro di loro. Afferrò un capello da pescatore, che Lewis si mise sulla testa, nascondendo sotto di esso tutte le sue treccine. Entrambi recuperarono poi degli occhiali da sole, non dando il minimo peso al fatto che fosse sera e che non servissero. Non era un grande travestimento, qualcuno avrebbe potuto ancora riconoscerli, lo sapevano. Speravano solo che la folla presente fosse più impegnata a divertirsi, rispetto che a osservarli con attenzione e far caso a loro.

Si addentarono maggiormente in quel luna park, con gli sguardi che passavano da una attrazione all'altra. Si divertirono davvero come fossero ritornati bambini, riabbracciando e avendo un piccolo assaggio di quell'infanzia che nessuno dei due aveva potuto godersi appieno. Risero, per le cose più disparate, talmente tanto da farsi venire mal di pancia. Sorprese entrambi la facilità con cui la compagnia reciproca riuscisse a farli sentire leggeri, come se non avessero nulla di cui preoccuparsi nelle loro vite.

Decisero poi di entrare nella casa degli orrori.
«Non fare il cretino» si lamentò Jourdan, quando avvertì le dita di Lewis solleticarle il collo da dietro, fingendo di essere uno dei tanti scherzi che si nascondevano tra quelle mura.

Il pilota ridacchiò divertito, incitandola a proseguire lungo il corridoio completamente buio. Alcuni rumori sinistri provenivano da casse nascoste, mentre il pavimento tendeva a muoversi, come se avesse vita propria, rendendo difficile la loro camminata. «Lewis, smettila!» esclamò ancora lei, quando qualcosa le toccò il fianco.

«Non ho fatto niente» alzò le mani, ricordandosi solo successivamente che non poteva vederlo. Gliele poggiò allora sulle spalle, dimostrandole di non essere lui quella volta. E quando Jourdan avvertì ancora quel tocco sul fianco sinistro, sussultò, voltandosi di scatto e appicciandosi a lui.

«Che cazzo» sussurrò, schiacciando il viso contro il suo petto, presa alla sprovvista.
Lewis non si impegnò a nascondere l'espressione compiaciuta che comparve sul suo viso e nemmeno il sorriso che gli increspò le labbra, perché sapeva che tanto lei non avrebbe potuto scorgerli. Il buio totale in cui erano immersi sembrava avere quindi anche i suoi pregi.

Jourdan alzò la testa, non accennando però a staccarsi da lui. Le dita del pilota le accarezzarono i capelli e presto i loro visi furono più vicini del necessario. «C'è una non troppo remota possibilità che qui dentro ci siano delle telecamere e che chi gestisce l'attrazione stia osservando tutto» le fece presente, parlandole a fior di labbra.

Jourdan sospirò pesantemente, avvertendo quella ormai familiare eccitazione insinuarsi nel suo basso ventre. «Peccato» disse, unendo le loro bocche per una frazione di secondo, staccandosi e facendogli emettere un gemito di disappunto. «La casa degli orrori del luna park allora dovrà rimanere senza spunta nella mia lista dei luoghi in cui fare cose» scherzò, avvertendo la presa che lui aveva sui suoi fianchi farsi più intensa.

«Vorrei vederla questa lista» si spostò verso il suo orecchio. «Potrei aiutarti a spuntare qualche altro luogo» le mordicchiò leggermente il lobo, sentendola gemere sommessamente.

«Non ho dubbi» boccheggiò. Se avesse avuto la certezza che quel corridoio fosse privo di telecamere, non ci avrebbe pensato su un secondo di più per avventarsi su di lui e dare sfogo all'eccitazione che si era impossessata del suo corpo. «Prima però, dovremmo uscire da qui» si staccò riluttante, costringendo entrambi a proseguire con la camminata, arrivando alla fine del percorso e lasciando quell'attrazione.

Come ultima cosa, volendo distrarsi dalle sensazioni provate poco prima, decisero di giocare ad uno dei tanti stand a premi, scegliendo per primo il lancio degli anelli e poi la pistola a pallini, con la quale dovevi colpire più lattine possibili. Qui, Lewis vinse un piccolo panda di peluche, che lasciò con dolcezza nella mani della ragazza, guadagnandosi uno sguardo genuinamente contento. Si allontanarono dalla folla, lasciandosi il luna park alle spalle, camminando fino alla fine di quel molo, fino a quando il pontile terminò, costringendoli a fermarsi. Presero posto su quelle assi di legno, lasciando le gambe penzolanti in quei metri di vuoto che li dividevano dall'acqua.

«Era la prima volta che trascorrevo una sera in un luna park» confessò Jourdan, stringendo tra le mani quel piccolo peluche, togliendosi poi quella parrucca e gli occhiali, poggiandoli accanto a lei.

«Anche per me» la informò, liberandosi a sua volta del suo travestimento. «Da piccolo non mi capitava spesso di uscire, non erano molti gli amici che avevo e i miei genitori erano impegnati con i vari lavori che facevano» proseguì, raccontandole ancora qualcosa di lui. «Ma, in ogni caso, ero concentrato su quello che era il mio sogno. Alle uscite ho sempre preferito lavorare sul kart o allenarmi per migliorare nella guida» aggiunse, venendo colto, ancora una volta, dal sentimento malinconico che aveva avvertito quel pomeriggio, sul podio del circuito.

«Almeno hai rinunciato per qualcosa che ti faceva felice» gli fece notare. «La scelta di non vivere la mia infanzia non è dipesa da me. Hanno sempre deciso gli altri, imponendomi quello che avrei dovuto fare per diventare una modella. Nessuno mi ha mai chiesto cosa volessi davvero» tirò su una gamba, piegandola e poggiandosi leggermente ad essa. Era stato bello passare una serata come se fosse ancora una bambina, ma poteva bastare per ridarle tutto quello che le era stato impedito di vivere da piccola?

Decisamente no. E lo sapeva anche lui. C'erano ancora così tanti pezzi di quel puzzle, chiamato Jourdan, che lui doveva scoprire e capire come mettere insieme. L'unica certezza che aveva su di essi, era che il compito di tenerli tutti attaccati ce l'aveva quell'emozione chiamata tristezza. «Speravo che crescendo le cose sarebbero cambiate. Invece, ancora oggi, gli altri si sentono in diritto di scegliere al posto mio» lui non poteva comprendere a chi si stesse riferendo con quelle parole, perché semplicemente non era al corrente di tutta la situazione che la riguardava con il padre, suo fratello, il suo passato e Rob.

«Se c'è una cosa che ho imparato negli anni, è che ognuno di noi deve essere padrone della propria vita» la guardò. «Dobbiamo scegliere cosa crediamo sia meglio per noi. E se poi si rivelerà un errore, fa niente, si impara e si va avanti. Ma almeno abbiamo sbagliato con la nostra testa, senza che qualcun altro ci inducesse a farlo» ci era voluto un po' prima che anche lui lo capisse. «È così che si cresce» concluse, vedendola alzare un angolo della bocca.

Jourdan lasciò andare leggermente la testa all'indietro. Senza nemmeno rendersene conto, Lewis le aveva appena fatto comprendere il modo in cui si sarebbe dovuta comportare, rispetto ai problemi che la affliggevano. Le aveva dato una nuova visione sulla questione per la quale litigava con Jos e Max e soprattutto per quel patto stretto con Rob.

«Se l'avessi imparato tempo fa, mi sarei risparmiata tante cazzate» alzò le sopracciglia, capendo, ancora una volta, quanto fosse stata stupida in passato. «Probabilmente, se avessi scelto di sbagliare con la mia testa, mi sarei evitata gli ulteriori traumi e la gogna mediatica a cui sono andata incontro per colpa di...» fermò le sue parole, accorgendosi di star dando libero sfogo ai pensieri del suo inconscio, permettendo loro di uscire a voce alta.

«Ho sempre trovato assurdo il modo in cui le persone hanno scelto di puntarti il dito contro, come se lui non avesse colpe» Lewis, quella volta, decise di non lasciar perdere. Provò a spingersi oltre, proseguendo su quel discorso, perché voleva capirci di più, voleva sentire anche il suo punta di vista riguardo quanto le era capitato.

La modella sorrise amareggiata. «In qualche modo riescono sempre a far ricadere la colpa su di noi» nessuno avrebbe potuto negarlo, a meno che non avesse scelto di essere cieco davanti alla realtà dei fatti, quando succedeva qualcosa che concerneva un uomo e una donna, anche se la donna era vittima del fatto, la storia veniva girata e rigirata finché diventava lei la carnefice. «Non sto dicendo che io sia completamente innocente, ho le mie colpe, so quali sono, le riconosco. Ma ero sola, arrabbiata, decisamente vulnerabile e ho lasciato che si approfittasse di me... in ogni modo» prese un profondo respiro, era la prima volta che ne parlava ad alta voce con qualcuno.

Ai suoi amici si era limitata a raccontare il minimo indispensabile, non scendendo affatto nei dettagli. E loro non se l'erano sentita di chiedere di più, comprendendo la fatica, dettata dal dolore, dietro le sue parole e il suo sguardo. Un qualcosa che anche Lewis riusciva a vedere perfettamente in quel momento. Eppure, per qualche strano motivo, lei si stava sentendo, per la prima volta, libera di raccontare. Aveva conosciuto Lewis in un modo completamente diverso rispetto a Skye, Charles e gli altri. Il pilota era stato un estraneo che, con i suoi gesti gentili, le aveva più volte accarezzato l'anima. Non fuggire da quel discorso, davanti a lui, le sembrava quasi naturale.

«Come una cogliona, pensavo fosse amore» stritolò quel peluche nella mano, provando a trovare una valvola di sfogo alla rabbia che prima di tutto provava per se stessa. «Recriminavo ad Agnes l'obbligarmi a fare cose che non volevo. Mentre lui lo giustificavo, dicendomi che era il suo modo di tenere a me» per la prima volta, Lewis desiderò di essere incapace di provare tanta empatia, perché il modo in cui lei gli stava svelando quella storia, gli provocava una sensazione simile al ricevere delle pugnalate nel petto.

«I giornali hanno scritto che mi scopavo il marito della stilista che, per anni, aveva messo me al centro di tutto il suo marchio» sorrise amaramente. «E così io non sono diventata altro che la troia ingrata. -usò quell'epiteto con cui tantissimi avevano iniziato a chiamarla dopo l'uscita di quella notizia.- Non sapevano il resto della storia però, non avevano idea di tutti i modi in cui lui mi aveva manipolata, portandomi a fare ciò che voleva. Non erano al corrente di tutte le volte in cui gli avessi detto di no e di come a lui non fosse mai importato» tirò su con il naso, mentre la testa veniva invasa dai brutti ricordi.

Ripensare a quella parte del suo passato, a mente lucida, le permetteva di vedere tante cose che prima mai aveva compreso. Perché lei si era innamorata di quell'uomo e inizialmente era davvero convinta che lo fosse anche lui. Ma, andando avanti con il tempo, era arrivato un momento in cui l'ingenuità, che la tristezza le aveva messo davanti agli occhi, si scostò, permettendole di vedere la realtà. E aveva capito che c'era qualcosa che non andava nel loro rapporto, che ciò che le raccontava erano solo bugie. Aveva capito che il modo in cui la trattava, imponendole cosa mangiare, quando uscire, gli eventi a cui prendere parte, non erano le premure di una persona che l'amava e nemmeno quelle di un manager che voleva il suo bene, consigliandole cosa sarebbe stato meglio fare o non fare per la sua carriera.
Si trattava invece di abusi.

Al tempo non era riuscita ad osservare il quadro completo, ora però si rendeva conto di tante altre cose. E c'erano certi eventi che aveva scelto di dimenticare a memoria, perché talmente dolorosi da farle salire la nausea al minimo ricordo. «Io le riconosco le mie colpe, però nessuno sa quante volte ci ho provato a chiudere quella relazione, persino io ho perso il conto. Ci ho provato, ero determinata a farlo, poi lui mi minacciava, dicendo che se me ne fossi andata, avrebbe reso pubblico quel-» Lewis la interruppe, poggiandole una mano sull'avambraccio, facendola smettere di stritolare il peluche.

«Jourdan, quello che lui ti ha fatto non è colpa tua» la guardò serio, sperando che potesse credere alle sue parole, ma sapeva che non poteva convincerla, se lei per prima non lo faceva. «Approfittarsi di qualcuno, facendo leva sulle sue fragilità, utilizzando un momento di debolezza, quello è da coglioni. Ed è anche un aggettivo fin troppo gentile per descrivere ciò che ha fatto» la fece sorridere.

Lewis l'aveva sempre sospettato che sotto tutte quelle notizie scandalistiche, promosse dai vari giornali di gossip, ci dovesse essere dell'altro. Sapeva che una storia ha sempre due punti di vista, ecco perché aveva scelto di donarsi il beneficio del dubbio riguardo quella ragazza, di non puntarle il dito contro come in troppi avevano fatto. E adesso, finalmente, aveva compreso di essere sempre stato nella ragione.

«Beh, grazie» sospirò lei. «Per... per questa serata» aggiunse poi, abbassando lo sguardo, quasi in imbarazzo.

«È stato bello tornare bambini per un po'» ammise, si voltò a guardare quel luna park.

Jourdan riprese la parrucca, che prima aveva abbandonato accanto a lei. «Sì, hai ragione» gli disse, poggiandogliela sulla testa, per poi iniziare a ridere divertita.

«Potrei pensare di farlo diventare il mio nuovo look» scherzò, spostandosi, in modo decisamente teatrale, una ciocca di quei finti capelli biondi, facendola ridere ancora di più.

«Cadrebbero tutte ai tuoi piedi» lo prese in giro, avvicinandosi a lui.

Piano piano, le risate scemarono, lasciandogli con gli sguardi incatenati e i dubbi sul da farsi ad affollargli le menti. Era una storia vecchia come la dicotomia tra il bene e il male, quella del fare o non fare. Sbilanciarsi dando ascolto alla vocina che diceva di lasciarsi andare, muovendo un altro passo su quel territorio potenzialmente pericoloso. Oppure, restare fermi, ascoltando quell'altra vocina, che suggeriva di tenersi al sicuro nella propria zona di comfort.

Una dicotomia però, prevede sempre una scelta. Non si può stare nel mezzo, bisogna saltare da una parte o dall'altra. E quella sera, entrambi capirono a quale vocina avrebbero voluto dare ascolto. Con estrema naturalezza, le loro labbra si unirono, dando sfogo a quel bacio che prima invece, nella casa degli orrori, non aveva potuto concludersi a dovere.

Quella serata giunse così al termine. Ma, se Lewis, una volta tornato in hotel, si adagiò nel suo letto, abbandonandosi al sonno. Jourdan rimuginò sulle parole che lui le aveva detto, su tutto il discorso dello sbagliare con la propria testa, convincendosi sempre di più che quello sarebbe stato il modo più giusto per venire a capo di tutti i suoi problemi.

Non le restava altro che capire quando sarebbe stato meglio agire.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Sono successe un po' di cose dal punto di vista emotivo in questo capitolo. Iniziando con Lewis che ricorda la sua prima vittoria, poi la sua conversazione con Seb, passando per Jourdan che riflette sul suo passato e sulle sue decisioni, finendo con il discorso avvenuto tra i due protagonisti.

Finalmente è stato chiarito lo scandalo che ha riguardato la modella. Anche se, come detto, ci sono ancora tante altre cose da sapere che, mano a mano, verranno fuori nei capitoli.
Parliamo invece del fatto che questi due assieme stiano diventato sempre più carini e forse forse anche affiatati🥰

Ma, soprattutto, quale sarà questa nuova idea a cui sta pensando Jourdan? Un'idea che potrebbe portarla a risolvere tutti i suoi problemi (o almeno così crede😈)

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere👀

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XOXO, Allison💕

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