Capitolo 14 - Affare fatto?
Principato di Monaco.
Monte-Carlo.
Un fascio di luce fu ciò che pose fine al suo quieto sonno. Un singolo fascio della luce di quel caldo sole, che si intrufolò dallo spiraglio che le tende, chiuse velocemente la sera prima, lasciavano. Le colpì il volto, facendola mugugnare. Si rigirò tra quelle lenzuola, provando a schiacciare la testa tra i due cuscini, ma ormai sapeva di essere sveglia.
Lentamente aprì gli occhi, abituandosi a quella nuova luminosità. Sbadigliò, stiracchiandosi un poco, prima che il suo sguardo iniziasse a notare alcuni dettagli inconsueti. Le tende grigio scuro, quelle pareti color panna e l'armadio con le ante a specchio, posto accanto al letto sul quale stava dormendo.
Un letto non suo, in una camera ancor meno sua.
Si tirò a sedere di scatto, stranita da quella situazione. Ma quando si accorse della maglia che stava indossando, tutto tornò alla memoria.
Quel messaggio che aveva inviato, il suo sgattaiolare fuori casa, guidando fino a lì. I minuti passati a parlare in spiaggia con Lewis, loro due che salivano nel suo appartamento. La sua schiena premuta contro la finestra, intrappolata tra essa e il corpo di lui. Le labbra del pilota che si scontravano con le sue, che le lasciavano umidi baci lungo il collo. Il modo in cui l'aveva portata in camera, le mani che si esploravano, il suo tocco esperto. I loro corpi che si univano, quei sospiri e i gemiti che riempivano l'aria.
Si passò una mano sul volto, scacciando via tali immagini, perché il solo ricordarle le provocava una certa eccitazione in corpo. E non era proprio il momento per lasciarsi andare ad un auto indotto piacere mattutino. Doveva capire come comportarsi, cosa fare.
Guardandosi attorno, si accorse della mancanza di Lewis. Non era nel letto con lei e in quella stanza non sembrava esserci nessun altro. Ma anche quella situazione venne presto spiegata dai suoi ricordi.
La notte prima, sdraiata sul letto, aveva osservato Lewis alzarsi, liberarsi del preservativo e poi, con un cenno della mano, gli aveva detto di usufruire prima lui del bagno. Jourdan era rimasta su quel materasso, lo sguardo perso nel vuoto e la testa leggera. Inspiegabilmente non stava rimuginando, nessun pensiero cancerogeno era ancora sopraggiunto. L'unica cosa sulla quale era concentrata, era quel leggero indolenzimento che avvertiva ai muscoli e nel suo basso ventre.
Lewis era uscito dal bagno dopo un tempo che lei non seppe definire, perché ne aveva del tutto perso la concezione. Si era fatto una veloce doccia, lavando via il sudore e ora era lì ad osservarla, quasi fosse una creatura esotica, perso con lo sguardo su quel corpo dalle forme a suo dire perfette.
Nemmeno lui stava rimuginando, non voleva rovinare quel momento appena passato. Ma sapeva che tanto, presto o tardi, anche i suoi pensieri sarebbero sopraggiunti per ricordargli quanto tutto ciò fosse stato sbagliato. «Ti ho lasciato degli asciugamani puliti sul lavabo» l'avvisò, decidendo di rompere quel silenzio.
Jourdan gli aveva sorriso appena, per poi alzarsi finalmente e chiudersi la porta del bagno alle spalle. Passò qualche minuto sotto l'acqua calda, lasciando che rilassasse ogni muscolo del suo corpo, avvertendo sempre di più il sonno farsi spazio. Ritornò nella stanza, trovando il pilota seduto sul bordo del letto. La ragazza sbadigliò, portandosi una mano davanti alla bocca. «Recupero i miei vestiti e torno a casa» lo avvisò, venendo colta da un improvviso pensiero di essere ormai di troppo.
Non era abituata a trattenersi dopo aver passato la notte tra le lenzuola di qualcuno. Solitamente si faceva una doccia, salutava in modo veloce e se ne andava ancora più di fretta. «Sono le quattro del mattino» disse guardando l'orologio da polso, poggiato sul comodino. «Non mi va di saperti a guidare da sola, dopo che non hai chiuso occhio» aggiunse, vedendola sbadigliare nuovamente.
La ragazza aggrottò le sopracciglia. Davvero non capiva perché avesse tante premure per lei. Non concepiva che qualcuno potesse preoccuparsi di quello che faceva o di come si sentiva. Perché nessuno nella sua vita le aveva mai prestato quel genere di attenzioni, tantomeno una persona conosciuta da poco. Avvertiva di essere quasi in difetto a riceverle, come se non le meritasse.
Ma Lewis era così, si preoccupava per gli altri, aveva un animo gentile. Aveva imparato sulla sua pelle quanto dolore potesse causare la cattiveria altrui e non voleva essere come le persone che avevano fatto parte del suo passato. Lui era migliore.
«Ti ripoterei a casa io, ma dovresti lasciare qui la macchina di tuo fratello e non mi sembra il caso» disse. «Potresti fermarti qua» propose, facendole sgranare gli occhi. «Ti lascerei la mia stanza e andrei in quella degli ospiti. O viceversa, come preferisci» si affrettò a specificare.
Jourdan provò a riflettere sulle sue parole e, sopraffatta dal sonno, si ritrovò ad annuire. «Va bene, ma starò nella camera degli ospiti» acconsentì, non volendo privarlo della sua stanza e non sentendosela di stare in un luogo per lui solitamente così privato.
Lewis le diede una sua maglietta e poi l'accompagnò verso una delle porte presenti in quel corridoio. Dopodiché si divisero.
La ragazza abbandonò definitivamente i ricordi della sera prima, concentrandosi sul presente, cercando di capire come comportarsi. Forse, andare a letto con lui era stato uno sbaglio, non avrebbe dovuto cedere. Ma ormai aveva capito che stargli lontano non era una cosa che riusciva a fare. Il suo corpo la attraeva come un potente magnete e la sua mente la portava a porsi domande alle quali mai prima d'ora aveva dato importanza.
E la cosa la spaventava parecchio.
Faticava a gestire le emozioni con cui aveva sempre convissuto. Conoscere e relazionarsi con queste nuove, le metteva non poco timore addosso. Credeva di essere brava a tenere le redini di quel tipo di gioco, la verità però era che chi ne usciva sempre peggio era lei. Lewis sembrava totalmente in grado di gestirsi, si conosceva e non aveva alcuna relazione di amore e odio con se stesso. Sotto quel fronte era decisamente avvantaggiato.
Ancora una volta, era lei che si ritrovava in una posizione più pericolosa rispetto agli altri.
Decise di alzarsi di scatto dal letto, con un'idea ben precisa in mente: si sarebbe vestita e poi sarebbe sgattaiolata fuori dall'appartamento, senza farsi vedere da nessuno.
Si diresse nel bagno presente in quella stanza, soffermandosi per qualche secondo ad osservare la sua immagine riflessa nello specchio. Aveva i capelli decisamente spettinati e il suo viso non sembrava affatto riposato, complici le poche ore di sonno dormite quella notte. Indossava ancora la maglietta che lui le aveva dato. Era di qualche taglia in più rispetto alla sua, infatti le stava alquanto larga e fin troppo lunga. Ma le piaceva. Amava la stampa astratta che dominava il davanti, in contrasto con il semplice colore nero del resto del tessuto. Avrebbe voluto tenersela, ma prima che quel pensiero si concretizzasse per davvero nella sua testa, decise di sfilarsela velocemente.
Sentì il suo odore addosso alla maglia, beandosi di quella nota di ammorbidente e profumo tipico del pilota, a cui non sapeva dare un nome. Indossò nuovamente i suoi vestiti, abbandonò il bagno, lasciando la maglietta sul letto sfatto e uscì da quella stanza.
Stette attenta a fare meno rumore possibile, richiudendosi la porta alle spalle. Si guardò attorno, ancora ferma in quel largo corridoio. La casa era silenziosa e la camera di Lewis era chiusa. Magari stava ancora dormendo e la sua idea di lasciare quell'appartamento senza incontrarlo, sarebbe stata più semplice di quello che si era immaginata. Camminò lentamente in avanti, raggiungendo il salotto, con un'altra veloce occhiata lasciò che il suo sguardo si scontrasse con il bulldog inglese.
Roscoe se ne stava sdraiato, appena fuori dalla finestra aperta, fissandola senza muoversi. Jourdan sorrise, portandosi un dito alle labbra, facendogli il segno del silenzio. Continuò ancora a camminare, oltrepassando la cucina, arrivando fino davanti alla porta di casa. Poggiò la mano sulla maniglia, convinta di avercela fatta, fino a che una voce la smentì.
«Te ne saresti andata via così? Senza salutare» Lewis se ne stava poggiato all'arco che delimitava l'inizio di quel corridoio, dal quale poco prima lei era passata. «Tra l'altro, dimenticando il cellulare e le chiavi della macchina» aggiunse, indicandole l'isola della cucina.
La ragazza si morse l'interno guancia, girandosi lentamente verso di lui. «Io... stavo solo...» gesticolò, cercando di farsi venire in mente una qualsiasi scusa che potesse coprire il suo reale gesto. Sentendosi però estremamente stupida, per non essersi accorta di star lasciando quei due importanti effetti personali proprio in casa sua.
«Tranquilla, non ti chiederò di fare colazione insieme, se è questo che ti mette in imbarazzo» ridacchiò, avvicinandosi a lei. Jourdan si prese il suo tempo per osservarlo, ormai era stata beccata, bloccata in quella situazione, tanto valeva dare la giusta importanza ai dettagli che contavano.
Il pilota indossava un completo sportivo e il sudore che macchiava leggermente quegli indumenti, le suggeriva che avesse appena finito di allenarsi. Le treccine erano legate accuratamente, mentre il piercing che portava al naso, brillava a seconda della luce. «In effetti, è meglio che tu vada» le suggerì, passandole le chiavi e il cellulare. «Tuo fratello ti starà cercando» la stuzzicò, facendole un occhiolino, per poi lasciare che il suo sguardo scorresse su tutto il corpo di lei.
Jourdan sentì un improvviso calore invaderla, nel momento in cui gli occhi di Lewis si inchiodarono nei suoi. Ancora una volta, le immagini della sera prima le tornarono alla mente. E non era la sola a ricordare alla perfezione ogni dettaglio, anche lui faceva lo stesso. Il pilota poteva ancora sentire i sospiri caldi di lei colpirgli la pelle, quei gemiti riempire l'aria e i corpi che si sfregavano.
Entrambi, nel corso della loro vita, erano andati a letto con diverse persone e avevano avuto relazioni più o meno durature. Nessuno dei due però poteva dire di aver mai provato prima una tale, irrazionale, attrazione fisica verso qualcuno. Un qualcosa che veniva amplificato da quella curiosità che nutrivano l'uno nei confronti dell'altra. Perché ogni volta che parlavano, non c'erano più solo i corpi a percepire qualcosa, anche le menti venivano risucchiate in quel vortice di emozioni e domande.
Dopo aver dato sfogo alle loro voglie, esse non si erano placate. Quell'attrazione non era diminuita. Se ne resero conto dal momento in cui, ancora con gli sguardi incatenati, avvertirono nuovamente quel desiderio di avventarsi sulle rispettive labbra, assaporandosi, percependosi, scoprendosi.
Ma non lo fecero, rimasero immobili al loro posto, divisi da quei pochi, sicuri, metri di distanza. Jourdan si allungò per recuperare le chiavi e il cellulare, ancora poggiati sull'isola di quella cucina. Poi tornò a guardarlo, si morse l'interno guancia con un certo nervosismo, indecisa sul da farsi. «Buona giornata, Hamilton» si congedò infine, non lasciandogli nemmeno il tempo di ribattere.
Lewis rimase confuso per qualche secondo, per poi ritrovarsi con un sorriso divertito sulle labbra. Si voltò, deciso a tornare sul terrazzo, per proseguire il suo allenamento. Incontrò lo sguardo di Roscoe, che gli abbaiò, come a volergli comunicare qualcosa. «Sì, è strana» ammise, riferendosi alla ragazza, per poi accovacciarsi e lasciargli quelle carezze che lui sempre apprezzava. «Ma lo è in un modo così intrigante» diede voce a quel pensiero nella sua testa, consapevole che nessuno avrebbe potuto sentirlo.
Dentro quell'ascensore, Jourdan pregava di non incontrare nessuno. Quando era arrivata lì, era piena notte, tutti dormivano. Ma ora, con il sole che illuminava la città di Monte-Carlo, le persone erano intente a passeggiare o svolgere altre attività quotidiane e quello non era più un luogo sicuro dove muoversi. Non importava se l'avessero vista camminare per il quartiere, l'unica cosa che contava era che non la vedessero uscire da quel palazzo. Altrimenti nessuno si sarebbe riservato di alimentare le voci che già giravano su lei e il pilota Mercedes.
Attendendo di raggiungere il piano terra, diede un'occhiata al suo cellulare, controllando le notifiche. Si rese conto di avere parecchi messaggi e chiamate perse da parte del fratello, che le chiedeva che fine avesse fatto e se sapeva come mai le chiavi della sua auto fossero sparite.
Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse stata una mossa stupida quella di fermarsi a dormire da Lewis. Se fosse tornata a casa, tutto sarebbe stato più semplice. Non avrebbe rischiato di essere vista da nessuno e non avrebbe lasciato che Max si accorgesse della mancanza sua e dell'auto. Ma ormai era tardi e l'unica cosa che poteva fare era pensare velocemente ad un scusa che potesse reggerle il gioco.
Decise di richiamare Max, nel momento in cui l'ascensore segnò l'arrivo al piano terra e le porte si aprirono. Con il sottofondo di quegli squilli di attesa, uscì velocemente, facendo un cenno al portiere diurno e lasciando quel palazzo. Con la testa bassa, una mano davanti agli occhi per ripararsi dal sole e da sguardi indiscreti, teneva il cellulare all'orecchio e camminava svelta verso la macchina.
«Mi spieghi che fine hai fatto?» la voce del fratello tuonò dall'altro capo del telefono. Il tono usato lasciava trasparire tutto il nervosismo accumulato in quegli ultimi giorni. Prima che lei potesse provare a ribattere, utilizzando una della tante scuse a cui aveva pensato, qualcos'altro attirò la sua attenzione. Qualcosa di davvero inaspettato, che per poco non le fece cadere il cellulare dalla mano, per via dello stupore.
Aveva alzato gli occhi, per individuare la Ferrari con la quale si era recata lì, ma essi si erano scontrati con ben altro. Rob era poggiato alla fiancata dell'auto, con le braccia conserte e un sorrisetto compiaciuto, che gli si dipinse in volto nel momento in cui la vide. «Jourdan?» Max la richiamò, ricordandole di essere ancora in chiamata. La ragazza lo ignorò.
Rob decise quindi di alzare una mano, mostrandole ciò che teneva stretto tra le dita. Una busta beige, della quale lei ignorava il contenuto, che fece ondeggiare un paio di volte. «Ci sei?» insistette il fratello e la ragazza decise di chiudere quella telefonata, capendo di avere un problema decisamente maggiore con cui confrontarsi.
Si affrettò a raggiungere la macchina, mettendosi davanti al giornalista, guardandolo con rabbia. «Che cazzo ci fai qua?» chiese a denti stretti, cercando di tenere a bada tutta l'ira e il risentimento che provava nei confronti di quell'uomo, che continuava a perseguitarla da anni ormai.
«Woah, pensavo che dopo una notte passata con nientemeno che Sir Lewis Hamilton, fossi decisamente più rilassata» rispose per tanto, non aspettando nemmeno un secondo per infastidirla.
«Sei decisamente sulla strada sbagliata. Ero a casa della mia amica. Non è colpa mia se abitano entrambi nello stesso quartiere» disse prontamente, utilizzando la stessa scusa che avrebbe tirato fuori con il fratello, in caso di domande più specifiche da parte di quest'ultimo.
Rob scosse la testa, recuperando poi il cellulare dalla tasca. «Sei sicura? Perché queste foto sembrano smentirti» le mostrò lo schermo, scorrendo quelle immagini che la ritraevano mentre la sera prima entrava, assieme a lui, in quel palazzo e quando poco prima era uscita, con la luce di un nuovo giorno, da sola.
Jourdan chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Cercò di ragionare in fretta, ma non vedeva alcuna via d'uscita, se lui avesse deciso di rendere pubbliche quelle foto, nulla avrebbe più potuto fermare le voci che stavano girando su lei e Lewis. Tutto sarebbe stato confermato e avrebbe portato ad ulteriori problemi con Max. Per non parlare poi dell'orda di giornalisti che avrebbero iniziato a perseguitarla, più di quello che già facevano.
«Cosa vuoi?» domandò spazientita, vedendosi costretta ad ascoltarlo.
L'uomo alzò entrambe le mani, mimando un segno di pace che risultava decisamente falso. «Solo parlare» non riuscì a mascherare il ghigno che continuava a increspargli le labbra.
Jourdan si guardò in giro, controllando che nessuno stesse prestando attenzione a loro. «Sali» gli intimò, aprendo quell'auto e posizionandosi sul sedile del guidatore. Rob si sedette accanto a lei ed entrambi rimasero in silenzio per tutta la durata di quel breve viaggio.
Avrebbero parlato, sarebbe stata a sentire ciò che aveva da dirle, ma lo avrebbe fatto in un posto appartato, tranquillo, dove nessuno li avrebbe disturbati. E c'era solo un luogo che avrebbe potuto garantirgli tutta la privacy di cui avevano bisogno: il country club, che distava solo pochi minuti di macchina dalla zona dove si trovavano.
Parcheggiò in uno dei posti privati, all'interno di quel complesso di edifici e spazi verdi, per poi scendere e chiudere l'auto. Camminò, seguita da lui, raggiungendo uno dei ragazzi destinati all'accoglienza. «Buongiorno, siete qui per usufruire dei campi da tennis, da golf, del ristorante o dei servizi di piscina e spa?» domandò, con un sorriso stampato in volto, stretto in quell'uniforme.
«Ci servirebbe semplicemente un tavolo tranquillo in uno dei vostri bar, per poter discutere di alcuni importanti affari» rivelò lei, ricambiando quel sorriso, cercando di comportarsi nel modo più discreto possibile.
«Certamente. Vogliate seguirmi» il ragazzo diede loro le spalle, mostrandogli la strada e portandoli fino al bar principale. «Questo può andare bene?» chiese, indicandogli uno dei tavoli. Entrambi annuirono in risposta, era in un punto appartato di quella terrazza con vista panoramica e nessun altro oltre a loro sembrava essere presente lì.
Una volta congedato il ragazzo, un cameriere accorse subito e Jourdan decise di ordinare un latte macchiato con un croissant, decidendo di godersi qualcosa di piacevole durante quella che sarebbe stata una conversazione tutt'altro che di suo gradimento. Oltre che ad approfittarne per placare il languore che si era fatto strada nel suo stomaco.
Prima che Rob iniziasse a proferire anche solo una parola, si lasciò distrarre per un po' dall'ambiente circostante. Era già stata in quel country club, la famiglia di Skye era tesserata ad esso e lo frequentavano in modo sovente, quando si trovavano nel Principato. Lei aveva usufruito dei servizi di esso assieme alla sua amica, facendosi fare alcuni trattamenti nella spa e rilassandosi nelle loro piscine. Non erano mai andate lì per giocare a tennis o a golf, nemmeno per vedere qualche torneo organizzato, ma le piaceva osservare le persone che si allenavano in quei due sport, mentre era intenta a fare tutt'altro.
Nonostante non avesse il tempo e la tranquillità per farlo anche in quel momento, lasciò lo stesso ricadere lo sguardo su due persone che, in uno dei campi in lontananza, si stavano allenando a tennis. Prima che potesse godersi anche il panorama sul mare, offerto da quell'altezza, Rob fece scorrere la busta sulla superficie liscia del tavolo.
Tergiversando per qualche secondo, dopo aver preso un sorso del suo latte macchiato, Jourdan decise di aprirla e scoprirne il contenuto. Avvertì come un vuoto nello stomaco quando si rese conto di ciò che c'era lì dentro. Tutta la fame che aveva si era appena strozzata, sostituita da un forte senso di nausea.
Con le mani sfogliò una serie di carte e fascicoli, contenenti informazioni private su di lei e sulla sua famiglia. Testimonianze anonime, che avvaloravano ogni cosa scritta in quei documenti. Tutto il suo passato, dalla sua nascita fino a quel momento, si trovava all'interno di quella busta.
«Che cazzo significa?» domandò retorica, osservando quei fogli e leggendo velocemente le informazioni stampate sopra. «Come hai avuto queste cose?» tornò a guardarlo negli occhi, cercando di capire se fosse più arrabbiata o più preoccupata per quanto appena scoperto.
«Varie conoscenze, vari amici» si limitò a dire, facendo spallucce, sempre con quel sorriso bastardo dipinto sulle labbra sottili. Un sorriso che lei avrebbe tanto voluto cancellargli dal viso, sfogando quell'irrefrenabile voglia, che portava dentro da anni, di tiragli un pugno.
Ci aveva pensato su parecchie volte, si era fermata a ragionare, cercando di capire il perché quell'uomo l'avesse tanto presa di mira. Poteva avergli fatto un torto del quale si era completamente dimenticata? Poteva essersi scordata del tutto di una persona alla quale aveva arrecato tanto fastidio, dal portarla a comportarsi in quel modo? La colpa era sua? O era semplicemente lui ad essere uno stronzo senza un minimo di umanità?
La prima volta in cui lei e quel giornalista si erano incontrati, secondo i suoi ricordi, era stata la sfilata di Chanel di ormai sei anni prima. Per Jourdan era la seconda volta in cui prendeva parte alla rivelazione di una collezione della Maison francese. Aveva solo diciotto anni, gli occhi di tutti sempre puntati addosso, tra i quali spiccava lo sguardo severo di Agnes, che non l'abbandonava mai per un secondo e quella sensazione di ansia a farle perenne compagnia.
Era sempre stata una bambina cresciuta troppo in fretta, privata della sua infanzia, presa e sbattuta, contro la sua volontà, in un mondo che aveva tutta l'aria di essere una prigione. Sapeva che c'erano persone che avrebbero ucciso per essere al suo posto, una modella di fama già di fama mondiale a quella tenera età. Un'icona e un volto per i più famosi marchi sartoriali. Lei però non era mai stata tra queste.
Jourdan aveva sempre desiderato di poter condurre una vita normale. Di crescere giocando in qualche parco, di farsi degli amici, di frequentare una scuola che le permettesse di relazionarsi con le persone e di fare esperienze. Da piccola, quando si immaginava il suo futuro, quando sognava cosa avrebbe fatto da grande, non si sarebbe mai aspettata di finire a vivere una vita che non sentiva sua. Conducendo un'esistenza intrappolata dalla parte opposta di uno dei tanti specchi che componeva quel mondo. Costretta a vivere come semplice spettatrice di se stessa, senza mai poter dire la sua.
Le persone si stupivano quando la vedevano discutere animatamente con Agnes, quando rispondeva male ai giornalisti, quando veniva sorpresa in situazioni decisamente poco consone. Ma loro non sapevano tutta la storia, non erano a conoscenza della rabbia che si portava dentro, della perenne ansia con la quale conviveva, di quell'infelicità che la logorava dall'interno.
Al termine della sfilata, dietro le quinte, Jourdan era stata avvicinata da alcuni giornalisti e tra essi spiccava anche Rob.
Robert Channing aveva intrapreso quella carriera parecchi anni prima, impegnandosi molto negli studi, desiderando lavorare per qualche importante testata, scrivendo notizie di rilievo e spicco per chiunque, facendo informazione. Presa la laurea, però, si era reso conto che la strada per arrivare alla sua meta era decisamente più ripida e tortuosa di quello che si era immaginato.
Aveva scelto di seguire una scorciatoia, accettando un lavoro per un piccolo giornale che si occupava di gossip. Niente notizie di informazione riguardanti tematiche importanti, solo mera cronaca rosa che nasceva dalla vita privata delle celebrità.
Si era detto che avrebbe usato quella posizione come trampolino di lancio per poter essere assunto da testate più importanti. E in effetti fu così, peccato però che nessuna di quelle per cui iniziò a lavorare dopo fu nel campo che dal principio si era prefissato.
Rob aveva compreso che quella scorciatoia gli regalava una vita più semplice, gli permetteva di avere un lavoro, delle promozioni e dei salti di stipendio senza doversi spaccare la schiena. Semplicemente trattando di notizie leggere, sulle quali, se mancava qualche informazioni, poteva metterci mano lui, attingendo dalla sua fantasia.
Era più facile e più divertente. E, una volta dopo aver scalato i gradini, assumendo posizioni sempre più importanti nella piramide di quel tipo di giornali, andarsene gli era sembrata una pazzia. La verità, in effetti, era che non aveva mai desiderato rendere un servizio pubblico utile, mettersi in gioco ed essere la voce che dava voce al popolo, l'unica cosa che gli era sempre interessata davvero era guadagnare, ricoprendo posizioni di potere.
Al tempo di quella sfilata di Chanel, Rob era uno dei più rilevanti dipendenti della testata giornalistica di gossip più famosa e influente in America. Lui, assieme a pochi altri, era in lizza per un'importante promozione e avrebbe fatto di tutto pur di ottenerla. Ecco perché, quando aveva saputo di quell'incarico si era fiondato subito. Aveva intravisto la concreta possibilità di assicurarsi l'ennesimo salto di carriera e l'aveva intravista proprio in Jourdan.
La modella, nonostante la giovane età, si era già resa protagonista di diverse controversie. Era stata beccata lasciare la festa di una confraternita, probabilmente ubriaca. L'avevano vista arrivare al lavoro con profonde occhiaie e lo sguardo stanco. Più volte aveva preso a parole dei giornalisti che le rivolgevano domande sul suo lavoro o sulla sua vita privata ed era stata scortese, negando loro interviste.
Insomma, quasi la normalità per quel mondo della moda, per una giovane celebrità. Ciò che aveva attirato l'attenzione di Rob, convincendolo a prendere parte a quella sfilata e concentrarsi su Jourdan, era stata una voce di corridoio, giunta al suo orecchio. Un fotografo, con il quale lei aveva lavorato, per un servizio dedicato ad un inserto di Vogue, aveva bisbigliato, forse con tono troppo forte, che il clima tra la modella più desiderata e Agnes, sua madre, nonché manager, fosse alquanto teso. Sostenendo che il loro rapporto si trovasse ormai agli sgoccioli.
Era solo una voce, perché le due erano state sorprese più volte a discutere tra loro e nulla era mai cambiato. Rob però voleva vederci chiaro e assicurarsi di avere un quadro più completo di quella situazione.
Sgomitando, si fece spazio tra la calca di colleghi che circondavano la modella, intenta a camminare verso la sua postazione trucco, per liberarsi dell'abito che indossava. Era ben consapevole della sua avversione verso i giornalisti, per questo decise di procedere con cautela, creando una specie di legame ed evitando di partire in quarta con domande personali. «Jourdan! Jourdan!» la richiamò, affiancandosi a lei, con il suo registratore in mano.
La ragazza non lo degnò di uno sguardo, continuando a camminare. «Sei stata fantastica lì fuori» si complimentò, guadagnandosi un'occhiata veloce. «Hai qualche segreto per riuscire a sfilare così bene?» chiese, rivolgendole un sorriso gentile.
Jourdan alzò un sopracciglio. «Camminare con convinzione e concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non sia ciò che ti circonda» rispose, prendendo posto su quella sedia che dietro riportava la scritta: "J. Reed".
«Concordi quando ti definiscono come l'erede delle più grandi top model degli anni passati?» continuò Rob, monopolizzando l'attenzione della ragazza e lasciando i suoi colleghi a bocca asciutta.
Lei strabuzzò gli occhi, lasciandosi andare ad un piccolo sorriso. «Non mi piace etichettarmi o fare presupposizioni così importanti sul mio futuro, che poi possono ritorcersi contro di me. Mi concentro sul mio lavoro, che è ciò che so fare meglio e lascio che sia quello a parlare» disse convinta, sentendo sempre di più di convivere con due personalità differenti. Odiava quello che faceva e allo stesso tempo non poteva farne a meno.
La perfetta rappresentazione di una contraddizione.
«Ragazzi, non potete stare qui» uno dei bodyguard si avvicinò. «Forza, tornate di là» li incitò, indicandogli la via per uscire da quel backstage.
«Grazie per il tuo tempo, Jourdan» le disse Rob, continuando a lavorare su quel legame che aveva creato, fingendo di essere diverso da tutti gli altri che facevano quel lavoro. Prima che la guardia lo scortasse fuori da lì, fu in grado di notare un piccolo dettaglio, che lo mise sull'attenti. Agnes aveva appena fatto ingresso dietro le quinte e lo sguardo della modella si era subito posato, rabbioso, sulla figura di quella donna, per poi alzarsi e andarsene, nel momento in cui la raggiunse, negandole di rivolgerle anche solo una parola.
Il giornalista intuì che un reale problema nel loro rapporto doveva esserci e lui sarebbe stato il primo ad accaparrarsi quello scoop. Sfuggendo allo sguardo di quel bodyguard, si aggirò per l'enorme sala nella quale era stata allestita quella sfilata, incappando in uno degli addetti all'organizzazione, domandando informazioni su dove si trovasse il bagno. L'uomo gli indicò una porta dietro di loro, vicino ad un'entrata secondaria di quel backstage e, nella confusione del momento, in cui tutti erano impegnati a sgomberare e smontare le attrezzature, Rob si intrufolò nuovamente in quel backstage.
Tenendo sempre alta l'attenzione, per evitare di essere scoperto, si mosse con discrezione. Aguzzò vista e udito, pronto a captare qualsiasi informazione, finché, arrivato davanti ad una porta socchiusa, iniziò a sentire delle voci decisamente più forti. Non erano semplici chiacchiere fatte tra modelle, parrucchieri o truccatori, era una vera e propria lite. Si avvicinò, sbirciando dallo spiraglio, individuando subito la figura di Jourdan, intenta a parlare e gesticolare con frenesia, rivolta verso una donna che gli dava le spalle. Nonostante ciò, non gli fu difficile capire che si trattasse di Agnes.
Immediatamente recuperò il cellulare dalla tasca, cominciando a riprendere, per poi afferrare anche il registratore, assicurandosi così un migliore audio di quella conversazione. «No! Non prenderò parte a nessuna intervista, servizio fotografico o sfilata per il resto della settimana» sentenziò Jourdan.
«Non spetta a te decidere» rispose per tanto l'altra donna.
«È da un mese che mi trascini da una parte all'altra del paese, oberandomi di impegni di cui non ho bisogno» insistette, passandosi una mano sul volto, sospirando pesantemente. «Sono l'unica che non ha mai un attimo di riposo, che deve sempre correre, senza avere il tempo di riprendere fiato» continuò.
Ad Agnes, tutto ciò che stava dicendo entrava da un orecchio e usciva dall'altro. «Le altre infatti sono mediocri. Tu no, grazie a me, perché ti ho fatta diventare chi sei. Se ti classificano come il nuovo volto della moda, è perché io ho lavorato duro, trovandoti gli ingaggi migliori e assicurandoti partnership durature» sostenne, puntandole un dito contro.
Jourdan si avvicinò a lei, abbassandole quel braccio con poca gentilezza, facendola indietreggiare. «Tu mi hai strappato alla mia infanzia, mi hai costretta a fare tutto ciò che volevi» le diede una spinta. «Io sono stanca. Voglio solo andare a casa, riposarmi, vivere in modo normale per qualche giorno, senza dover correre da un set ad una sfilata nel giro di poche ore» chiarì il suo punto di vista.
La donna tornò a ribattere. «Sei una celebrità, Jourdan. Quando capirai che non potrai mai avere una vita normale? Non sei nata per essere una tra le tante, sei nata per emergere. Essere una modella è sempre stato ciò per cui eri destinata. E ci sono delle regole da seguire, perché ci vuole davvero poco per cadere dal piedistallo sul quale io ti ho permesso di salire.»
Lei scosse la testa, portandosi le mani ai lati di essa. «Basta!» alzò ancora di più la voce. «Vattene, lasciami in pace. Non ho intenzione di lavorare con te per un solo secondo di più» Rob alzò le sopracciglia, consapevole di avere tra le mani una notizia davvero grande.
«Non puoi licenziarmi, sono tua madre» le ricordò lei.
Jourdan alzò la testa, puntando quello sguardo glaciale negli occhi della donna. «Non dire quella parola» spuntò, tornando minacciosamente verso di lei. «Non definirti in quel modo» le disse, a pochi centimetri dal suo volto. «Non farlo mai più» chiuse le mani a pungo, fino a farsi sbiancare le nocche. «Da oggi io vado avanti da sola, cercati un'altra da far impazzire» la oltrepassò, facendo subito scattare il giornalista, che iniziò a correre via da quel punto, per evitare di essere visto.
Uscì velocemente dal palazzo, tenendo stretti tra le mani il cellulare e il registratore. Ci era riuscito, poteva già sentire quella promozione diventare sua. Era in possesso di uno degli scoop più eclatanti, una di quelle notizie che avrebbe creato scalpore e presupposizioni. Non perse altro tempo, correndo in redazione e fiondandosi nell'ufficio del direttore. Gli mostrò il video, gli fece sentire la registrazione e, assieme a lui, in pochi minuti buttarono giù un articolo.
Pubblicarono il tutto, mettendo chiunque altro a conoscenza di quel fatto. In pochi minuti, il video della lite tra Jourdan e Agnes era già diventato virale e la gente si chiedeva cosa sarebbe successo ora, sentenziavano su chi avesse torto e chi avesse ragione in quella discussione. Ma, soprattutto, i manager di tutto il mondo della moda iniziarono a muoversi, per accaparrarsi quella ragazza.
E fu proprio dopo quel fatto che ogni cosa nella sua vita iniziò a crollare ancora di più.
Era stata colpa di Rob, che l'aveva messa al centro delle attenzioni di ogni agenzia? O era stata solo colpa sua se aveva deciso di fidarsi della persona sbagliata?
Se le cose fossero andate diversamente e lei avesse avuto tempo per condurre qualche giorno in pace, in totale normalità, lontano dai riflettori, forse non avrebbe nemmeno continuato con quella carriera. O, forse, avrebbe evitato di prendere quella decisione, scegliendo di fidarsi dell'uomo del quale si era poi innamorata e che assieme a lei aveva contribuito a farla sprofondare sempre di più.
Ma, tra tutte le persone a cui cercava di dare la colpa, sempre una in particolare emergeva con le maggiori responsabilità per tutto quello che era andato storto nella sua vita. E quella persona era proprio lei.
«Cosa vuoi da me, Rob?» abbandonando quei ricordi del passato e gli pose tale domanda.
«Un favore» rispose lui.
«Perché sei così ossessionato?» chiese.
Il giornalista scosse la testa, arricciando le labbra. «Non è ossessione, è solo lavoro, tesoro» puntualizzò, alzando gli occhiali da sole sopra la testa e puntando quegli occhi scuri nei suoi. «Sei la migliore nel tuo lavoro e anche io, le nostre strade saranno sempre destinate ad incrociarsi» proseguì, ricordandole che, essendo un personaggio pubblico, non poteva fare a meno di relazionarsi con giornalisti e fotografi. «Ci siamo formati a vicenda, ognuno, negli anni, ha dato e tolto qualcosa all'altro» perché erano tutti convinti di averle fatto del bene? Pensavano che averle dato più popolarità, aperto opportunità, indicato che via seguire, fosse stato un favore nei suoi confronti. Ma non era affatto così. L'avevano solo spinta sempre di più su quella strada buia, facendole perdere il sentiero per uscirne.
«Hai fatto collidere il mondo della moda con quello della Formula 1 e io non posso restarmene in disparte a guardare» aggiunse, alzando un sopracciglio. «Il gossip non è nuovo all'interno dei paddock e tu sei in grado di crearne molto» Jourdan decise di interromperlo.
«Dove vuoi arrivare?»
Rob, esattamente come anni prima, era in lizza per l'ennesima promozione nella sua carriera. E, ancora una volta, voleva usare lei per ottenerla facilmente. Da vice-direttore della più grande testata giornalistica che si occupava della vita delle celebrità, sarebbe potuto diventare direttore, ricoprendo così il ruolo più importante di tutte, sedendo al vertice della piramide. Per farlo accadere però, avrebbe avuto bisogno di un aiuto. «La tua vicinanza ad alcuni piloti non è un segreto e questo ti mette in una posizione decisamente avvantaggiata rispetto alla mia, per poter scoprire delle notizie interessanti» Jourdan aggrottò le sopracciglia, faticando a capire dove volesse arrivare. «Notizie che potresti condividere poi con me» in quel momento comprese ogni cosa.
«Nei tuoi sogni» gli rispose, accennando ad alzarsi, pronta per andarsene. Venne però fermata, dalla mano di lui che le avvolse il polso. Si liberò presto da quella presa, non volendo avere alcun contatto con quell'uomo.
«Sapevo che saresti stata riluttante. Ecco perché mi sono assicurato di avere una buona leva, prima di presentarmi da te» le disse, sfogliando quelle carte, spargendole sul tavolo. «Non è stato facile trovare tutte queste informazioni, ho dovuto scavare parecchio, fare avanti e indietro tra il Canada, l'America e i Paesi Bassi, ma alla fine il duro lavoro ha portato a galla parecchi frutti» le indicò uno di quei fogli, che lei osservò con cura.
Fece scorrere i suoi occhi su quello che aveva tutta l'aria di essere il suo certificato di nascita, leggendo dati che mai prima d'ora nemmeno Jourdan aveva saputo. Quell'uomo era venuto a conoscenza di dettagli così privati sulla sua vita addirittura prima di lei.
Decise di non andare oltre, non sentendosi pronta a leggere di più su quella che era la sua vera madre. La sua attenzione venne poi attirata da alcune polaroid che sporgevano da sotto quella miriade di fogli. Una volta svelate del tutto, non ci mise molto per riconoscerle.
«Come... come fai ad averle queste?» domandò incredula, non riuscendo davvero a capacitarsi di come si fosse appropriato di quelle foto così private. Foto che erano state scattate in momenti di intimità tra lei e l'uomo con cui aveva intrapreso una relazione prima del suo più grande scandalo. Quello stesso uomo che l'aveva manipolata, usata e spinta sempre più a fondo. Un uomo che non vedeva dal giorno in cui la notizia della loro relazione segreta era stata resa pubblica e tutta la sua vita lavorativa si era improvvisamente appesa ad un filo.
Non sapeva che fine avesse fatto lui, a dire il vero nessuno lo sapeva. Sembrava semplicemente essere scomparso, impossibile da rintracciare. Eppure, da qualcuno, quelle polaroid Rob doveva pur averle prese. E l'unico che poteva esserne in possesso, era proprio lui. E allora iniziò davvero a pensare che quella situazione potesse essere più grande di ciò che già in realtà sembrava.
«Vedi, il patto che ti propongo è questo: tu aiuti me e io in cambio tengo la bocca chiusa su tutti i segreti che riguardano la tua famiglia» le propose, ignorando completamente la sua domanda. «Oh, e ovviamente anche su questa tua nuova frequentazione con Hamilton» aggiunse con prontezza.
Sapeva di non potersi fidare di quell'uomo, glielo aveva dimostrato più volte. L'unica cosa che poteva fare era cercare di essere più scaltra di lui e colpirlo con i suoi stessi giochetti, facendoglieli ritorcere contro. Ma ci sarebbe riuscita? Questo solo il tempo glielo avrebbe detto.
Quello che era certo, era che non voleva in alcun modo approfittarsi, mettere in mezzo o far finire nei guai i suoi amici, perciò qualcosa in mente per uscirne se lo sarebbe dovuta far venire a tutti i costi.
«Allora, affare fatto?» le tese la mano. Jourdan provò a rifletterci su ancora per qualche secondo, prima di stringergliela, non vedendo altra via d'uscita per quel momento. Un gran sorriso si formò sulle labbra del giornalista, un sorriso soddisfatto, meschino. La ragazza si alzò di scatto, non volendo restare in sua compagnia per un secondo di più. «Questa roba puoi pure prendertela, io mi sono già fatto le copie che mi servivano» le disse, fermandola prima che potesse allontanarsi troppo da quel tavolo.
Jourdan lo fulminò con lo sguardo, piegando leggermente la schiena e iniziando a recuperare tutte quelle carte. «Anche lei era un'aspirante modella» il dito di Rob, evidentemente ancora in vena di tormentarla, si posò sul documento che conteneva varie informazioni su sua madre, indicando la foto che vi era stampata sopra. Una foto alla quale lei evitò di rivolgere anche un solo sguardo. «Esattamente come lo era stata Agnes. Sembra proprio che, anche se lo detesti tanto, il tuo destino sia sempre stato quello di essere una modella» ridacchiò.
Lei finì di riporre quei fogli all'interno della busta beige, per poi poggiare le mani sugli avambracci della sedia sulla quale si trovava lui. Si sporse, avvicinandosi al suo viso, guardandolo dritto negli occhi. «Rob, te lo dico ogni volta in cui, purtroppo, ti incontro» contrasse la mandibola, cercando di placare la rabbia che sentiva crescere sempre di più dentro di lei. «Devi andare a farti fottere» sentenziò a denti stretti, guardandolo ancora con disprezzo per qualche secondo, prima di dargli definitivamente le spalle e incamminarsi verso il parcheggio.
«È sempre un piacere parlare con te» si prese gioco di lei, che però decise di ignorarlo.
Jourdan arrivò velocemente alla macchina, salendo al suo interno e sbattendosi lo sportello alle spalle. Gettò quella busta sul sedile accanto, per poi impugnare il volante. Strinse la pelle di esso sotto le sue dita, fino a farsi sbiancare le nocche, poggiandoci poi sopra la testa. Prese un profondo respiro, ma non riuscì affatto a calmarsi. Avrebbe voluto urlare, prendere qualcosa a pugni. Non poteva credere di ritrovarsi ancora una volta in una situazione del genere. Ancora una volta stava venendo ricattata, messa alle strette, costretta a fare qualcosa che non voleva, qualcosa che poteva esporla, metterla nei guai. E non vedeva una via d'uscita.
Sentiva il cuore batterle veloce nel petto e la testa dolerle per la miriade di pensieri che avevano iniziato ad affollarla. La gola iniziò a bruciare e il respiro si fece corto, mentre le lacrime le riempivano gli occhi. Lacrime che lei non lasciò fuoriuscire, le ricacciò indietro.
"Solo i deboli piangono."
"Solo i perdenti piangono."
"Solo chi non vale niente piange."
Le aveva sentite fino alla nausea quelle frasi. Le aveva sentite uscire dalla bocca di suo padre, rivolte a Max e, senza nemmeno rendersene conto, le aveva immagazzinate. Così, come suo fratello non versava una lacrima sin da quando era solo un piccolo bambino, lei, quando le capitava, si sentiva in colpa, sentiva di valere meno. Perché quella era la convinzione che Jos aveva inculcato in suo figlio e indirettamente anche in lei, che se ti permettevi di piangere eri un debole, un perdente, una persona che non valeva niente.
E l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era aggiungere alle sue preoccupazioni anche il senso di colpa per essersi permessa di essere fragile, di piangere.
Si ricompose, scegliendo di tornare a casa, in un luogo dove avrebbe potuto riflettere in totale privacy su come gestire quell'orribile situazione nella quale era finita. Era già decisa a rivelare lei stessa la verità sulla sua famiglia, nel caso in cui fosse stato davvero necessario. Ma, la sua verità non prevedeva di rendere pubbliche delle informazioni che avrebbero potuto compromettere ancora di più la sua vita e la sua carriera.
In quei fascicoli, però, c'era tutto. Ogni dettaglio, ogni segreto, ogni cosa. E ora non stava più giocando da sola. Non era più lei contro Jos. A quella partita si era aggiunto anche Rob e le parole di suo padre iniziarono a professarsi. Le aveva detto che stava andando ad infilarsi in qualcosa di più grande di lei e aveva ragione.
Parcheggiò la macchina nei garage del palazzo dove abitava, rimettendola nell'esatto posto in cui l'aveva trovata, come se quel gesto potesse far dimenticare al fratello che lei l'avesse presa. Salì, entrando poi nell'appartamento, sperando con tutta se stessa di non trovarlo in casa. Una speranza che si infranse, dal momento in cui lo sguardo si scontrò con il suo, seduto all'isola della cucina.
«Dove cazzo sei stata?» saltò in piedi, non dandole quasi nemmeno il tempo di entrare in casa.
«Da Skye» rispose prontamente, cercando di nascondere quanto più possibile quella busta che teneva sotto braccio.
Max la osservò riporre le chiavi della sua macchina sul mobiletto, dove lui le aveva lasciate. «Sai, ho il gps su quell'auto, collegato al telefono e, secondo i suoi calcoli, sembravi essere vicino ad un palazzo dove abita un certo pilota con cui ultimamente ti piace tanto conversare» l'accusò.
«Non sapevo nemmeno abitasse nello stesso quartiere di Skye» mentì. «Ho preso la tua macchina perché avevo bisogno di uscire e schiarirmi le idee. Ho parcheggiato vicino al mare, non ero sicura di andare da lei e suonarle nel mezzo della notte. Poi alla fine mi sono decisa e ho raggiunto casa sua a piedi» spiegò, portando avanti quella bugia, i cui dettagli le erano usciti spontanei.
Il fratello non era certo di crederle. Forse era influenzato da quelle voci che avevano iniziato a girare su di lei e Lewis, dopo che era stata vista uscire dal motorhome Mercedes a Imola. E gli articoli scritti dopo quel Gran Premio di Monaco, lo spingevano ancora di più a non fidarsi delle parole che le stava dicendo. «C'è un altro problema da affrontare» la informò, prima che potesse proseguire per chiudersi in camera sua. Max alzò il giornale che era poggiato sull'isola, mostrandole il titolo di quella pagina.
"Una nuova rivalità tra Lewis Hamilton e Max Verstappen. E questa volta potrebbe non trattarsi solo di competizione in pista, Jourdan Reed potrebbe essere la miccia che ha fatto riaccendere i dissidi tra i due piloti."
«Grande idea quella di farti vedere mentre parlavi con lui prima dell'inizio e poi farti riprendere mentre seguivi la gara dal mio box» si complimentò sarcasticamente, indicandole due foto che la ritraevano in quei momenti.
La modella alzò gli occhi al cielo, non avendo alcuna voglia di intraprendere quella conversazione. Aveva tante altre cose per la testa, non poteva occuparsi anche di quegli stupidi articoli in cui si speculava per l'ennesima volta sulla sua vita sentimentale. «Non è il momento, Max» gli disse semplicemente, avviandosi verso la sua stanza.
Il ragazzo sgranò gli occhi. «Non è il momento per darmi delle spiegazioni?» domandò in modo retorico. Ma, ciò che davvero avrebbe voluto chiederle era se fosse andata da Lewis, se dopo l'incidente avvenuto tra loro due in gara, lei avesse scelto di andare da quell'uomo, invece che da lui, per parlare, consolarsi o distrarsi.
«Sì, non è il momento!» alzò la voce, lasciandolo sorpreso, quando con una certa rabbia sbatté la porta della sua stanza, chiudendosi a chiave al suo interno.
Avrebbe voluto pensare a qualcosa, trovare un modo intelligente per muoversi e uscire da quel patto che aveva stretto con Rob. Ma non riusciva a concentrarsi, i pensieri le affollavano la testa, uno più confuso dell'altro e nulla sembrava avere un senso. E allora scelse semplicemente di non fare nulla, capendo che, finché non avrebbe rimesso in ordine i suoi pensieri, niente avrebbe potuto funzionare.
Si sedette per terra, sul pavimento duro, poggiando la schiena alla struttura del letto dietro di lei. Allungò una mano, aprendo il cassetto del comodino, recuperando quel mazzo di carte ormai consumato dalle tante volte in cui lo aveva usato, in cui se le era fatte rigirare tra le mani. Decise di costruire un castello di carte, facendo la cosa che meglio le riusciva quando aveva bisogno di estraniarsi dal resto del mondo.
Iniziò ad impilarle, una dopo l'altra, creando più piani, fino a che lo spazio terminò e sulla cima ne rimasero solo due da mettere, l'una in bilico sull'altra.
Terminò quella costruzione, prendendosi qualche secondo per osservarla. La guardò da cima a fondo, per poi alzare una mano e colpirla, facendola crollare al suolo con una sola mossa, distruggendola completamente. E poi ricominciò da capo.
Costruì un altro castello e lo distrusse nuovamente.
Fece quello che per tutta la vita aveva fatto anche con se stessa, creare e disintegrare.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina 🙏🏻
Siccome c'erano state troppe gioie dopo il capitolo della scossa volta, ho deciso di rimediare, riempendo questo di drammi🫣
Lo so che mi adorate dai ahahahah
Scherzi a parte, la situazione inizia a farsi davvero brutta. Rob ha un grosso asso nella manica e Jourdan sembra non avere modo di uscire da questo patto che hanno stretto.
Credete che lo aiuterà davvero? Usando i suoi amici per avere informazioni private riguardo i vari team?
O troverà un modo per raggirare il giornalista?
Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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