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Giorno 12 / cucchiaio

Osservava il cucchiaio nel piatto da portata con occhi avidi.

Danilo gli posò una mano sulla gamba, per intimarlo ad andarci piano.

Non poteva farci niente. Non era riuscito a impedirsi di infatuarsi come uno stupido, non sarebbe riuscito a non afferrare quel cucchiaio e ingurgitare tutto quello che avrebbe trovato a disposizione.

E comunque, perché rinunciarci? Anche il cibo era una gioia del paradiso. All’inferno aveva sofferto la fame, che senso avrebbe avuto continuare a farlo?

Eppure avrebbe dato troppo nell’occhio, e lui non poteva dare troppo nell’occhio. Mangiare troppo in quel momento sarebbe significato tornare a digiunare. Se solo fosse riuscito a controllarsi, invece, avrebbe avuto cibo per l’eternità.

Quel maledetto cucchiaio... era tutta colpa sua. Era là, nel suo piatto di risotto, a portata di mano e di bocca, solo per lui.

Come si poteva resistere a un richiamo del genere?

Lui aveva un problema. Sì, la cosa non si poteva più ignorare. Forse non era bulimico – insomma, non vomitava mai apposta, vomitava perché aveva mangiato troppo e aveva la nausea – però sano sano non doveva essere.

Del resto, ci sarà pure stato un motivo se l’avevano spedito all’inferno.

No.

Ingiustizia!

Di questo si era trattato.

Pura ingiustizia. A chi faceva del male se mangiava un po’ troppo e più veloce del dovuto? Solo a se stesso.

Del resto, a chi aveva fatto del male Danilo ponendo fine alla sua vita? Sempre a se stesso e basta.

Ma un essere umano avrà pure il diritto di farsi del male come gli pare?

A quanto pareva la risposta era no.

Lui odiava quella risposta.

Perché una sofferenza in vita doveva portare a una sofferenza nella morte? Non avrebbe dovuto essere l’opposto?

Da quando sentirsi male era un crimine che andava punito per l’eternità?

Da sempre, o almeno così sembrava.

Certo, lui non credeva di aver più diritto di quelli ai piani alti di decidere il criterio di selezione, ma gli sembrava un tantino ingiusto come metodo di lavoro.

Che poi, quali peccati avrebbero meritato un’eternità di tortura? Non settimane, mesi, o anni, ma un’infinita eternità di terrore e atroci dolori.

C’era davvero qualcuno nel mondo che avrebbe meritato questo?

Lui ne dubitava, ma forse lui era di parte perché era uno di quei qualcuno. E comunque, una mente umana e semplice come la sua che ne poteva sapere?

Se solo non avesse avuto il cucchiaio, allora non avrebbe potuto mangiare. Forse avrebbe dovuto lanciarlo via.

Certo, così Danilo l’avrebbe come minimo sbranato per aver attirato l’attenzione.

Danilo.

Ancora si ostinava a fargli da babysitter, si sentiva un peso. Da quando lui era arrivato in Hotel, l’anima si era vista costretta a stargli dietro. Non era autosufficiente, in grado di gestirsi, e questo lo faceva impazzire di rabbia contro se stesso.

Doveva dirglielo. Doveva scusarsi. Sì, glielo avrebbe detto. Avrebbe tirato fuori quel poco di dignità rimasta e si sarebbe scusato per essere un animale, un completo disastro.

E per iniziare, per dimostrargli di meritare quel perdono, doveva prendere in mano quel cucchiaio, portare un po’ di risotto alla bocca, mandarlo giù in modo sobrio, attendere qualche istante e poi farlo di nuovo. E non fare il bis. E magari, magari, fare avanzare persino qualche grammo.

Ce l’avrebbe potuta fare. Sì, lui ci credeva.

Così afferrò quel cucchiaio.

Note autrice
Riuscirà Francesco a limitarsi, per questa volta? Lo scoprirete domani.
Quello di domani, come preannunciato, sarà un capitolo importante e più lungo di questo. Quello dopo, tra l’altro, sarà forse più importante ancora.
Restate sintonizzati perché tra un po’ entriamo nel vivo... del resto, siamo quasi a metà mese, giusto?

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