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XV: Knowledge.

"Hostage" | Doncaster

Io e Louis finimmo di mangiare i nostri gelati, seduti con gambe incrociate.

Il sole del tramonto copriva tutto di un rosa quasi magico. Lui era seduto sul prato, la collina sotto i suoi piedi pendeva un poco fino a diventare piatta in una strada che riportava alla città.

'Vuoi ancora giocare a calcio?' Domandai, guardandolo.

La mia voce richiamò e lui si voltò, superficialmente. Senza parlare scosse la testa, poi tornò a guardare il panorama davanti a se.

Non ci volle molto a capire che qualcosa non andava in lui; era sempre stato un ragazzo radioso e spensierato e un atteggiamento così da parte sua non aveva altro che un motivo. Tanto è vero, che quando era piccolo si atteggiava in quella maniera soltanto quando lo cacciavo dalla camera, stanca dei suoi continui scherzi oppure quando aveva litigato con qualcuno, e voleva semplicemente ricevere attenzioni.

Tuttora il suo atteggiamento era lo stesso, nonostante avesse vent'anni, Louis aveva la qualità di essere maturo quando voleva ma in alcuni campi, non cambiava mai.

'Cosa c'è che non va?' Tentai, guardandolo con premura.

Lui alzò semplicemente le spalle, prima di scattare verso di me. 'Cos'ho!?' strillò, tanto che rimasi sbigottita.

'Ho che domani già parti Bee e sono stato con te soltanto mezza giornata, okay?' Sbottò. Era serio, serio come non lo avevo mai visto e la sua voce divenne stridula, diventava così ogni volta che si incazzava.

Lo guardai negli occhi prima di aprir bocca, ma poi ci ripensai e restai in silenzio.

'C'è anche che hai passato gran parte delle vacanze dai tuoi 'amici''. Alzò le virgolette alla parola amici, poi riprese fiato. 'Sei stata pochissimo tempo con me e mi mancherai troppo, come ogni volta.' Scosse la testa prima di abbassare le sguardo davanti a se, distogliendo gli occhi dai miei.

'Ci sentiremo, lo sai.' Dissi la prima cosa che mi venne in mente, mi sentivo troppo in colpa.

Ma se soltanto avessi potuto, avrei evitato con tutta me stessa di passare giornate intere con dei perfetti sconosciuti. Gli stessi che lui credeva miei amici.

'Oh certo, come ogni santo giorno'. Borbottò, continuando ad evitarmi.

Cominciò a staccare dei fili d'erba dal prato, era nervoso e certi atteggiamenti non erano comuni per un tipo come lui.

'Oh diavolo Louis, smettila di farmi sentire una merda!' Esclamai, allargando le braccia.
D'altronde stava semplicemente cercando di farmi sentire in colpa, ci si impegnava.

Lui non aprì bocca, e sul suo volto non trasparì alcuna emozione.

'Tornerò qua a Doncaster il prima possibile, ma domani dovrò partire.' Cercai di sembrare irascibile. 'Ho già pagato l'aereo per Detroit.' Conclusi, distogliendo lo sguardo dal suo volto chinato.

Lo sentii sbuffare, per poi fare una pausa, prima di parlare. 'Non puoi rimandare la partenza?' sentii il suo sguardo fermo su di me, lo percepii.

'No.'

Lui sbuffò nuovamente prima di alzarsi. 'Bene, allora andiamo a casa.' Disse, tornando in piedi.

Alzai lo sguardo per vedere cosa stesse facendo e risi quando lo vidi imprecare, mentre ripuliva i suoi pantaloni con dei leggeri colpetti.

Salimmo nuovamente in macchina e il viaggio di ritorno sembrò l'opposto di quello d'andata.
Louis non aprì bocca, sembrava essere offeso e sapevo che avrebbe continuato così a lungo.

Nessuno parlava, passammo all'interno della città e le uniche parole che sentii fuoriuscire dalla sua bocca, furono delle parolacce e minacce contro le auto che lo sorpassavano o che lo ostacolavano durate il tragitto; nient'altro.

Improvvisamente Louis si agitò e tirò giù il finestrino, sporgendo la testa all'esterno.

'Vuoi premere quel cazzo di acceleratore o ti è presa una paralisi al piede!?' Sbraitò, premendo insistentemente la mano sul clacson.

L'uomo davanti a noi accelerò notevolmente, forse sentendo le varie grida di mio fratello.

Ridacchiai a quella scena, e stranamente riuscii ad ottenere un'occhiatina da parte sua.

'Cosa diavolo ridi?' Protesto, più scherzosamente.

Non risposi e mi limitai a trattenere le risate, mentre lui faceva il finto offeso continuando a guidare.

'Louis, ti potresti fermare al primo ristorante che trovi?' Chiesi di colpo.

Stentai a guardarlo non sapendo quale risposta ricevere, ma lui non fece altro che sbarrare gli occhi senza voltarsi minimamente. 'Per quale motivo?' Domandò, guardando la strada.

'Per mangiare insieme, no?' Alzai le sopracciglia cercando di sembrare in qualche modo innocente, e sperando che non mi sbraitasse contro ancora per la storia di prima.

Ma lui non fece altro che ridacchiare, evitando di striscio la mia faccia.

'Lo farei volentieri ma papà non mi paga abbastanza per pagare una cena in un ristorante.' Ironizzò. Louis disse quelle parole ridendo ma sapevo che infondo, c'era un minimo di nervosismo. Strinse il manubrio e socchiuse lievemente le palperbe, cercando di non lasciar trapelare niente dai suoi occhi.

'Beh?' Feci, alzando le spalle.

I miei passavano praticamente tutto a Louis, visto che ancora viveva con loro. Per questo lui non riceveva niente lavorando per papà, veniva mantenuto dai nostri genitori a posto di prendere uno stipendio.

E lui preferiva così, anche se a volte sperava che gli venisse dato qualche soldo.

Mentre io, che ero andata in America, avevo trovato un lavoro poco distante da casa mia e a parte l'affitto e le altre cose per cui spenderei miei soldi, cercavo di far bastare il mio stipendio al bar dove lavoravo abitudinariamente, per mettere da parte qualche soldo.

'Pago io Louis, voglio far cena con te.' Dissi, seriamente.
Louis ricalcò un flebile sorriso sul suo volto, poi si voltò a guardarmi. Finalmente.

'Paghi anche la birra?' chiese, facendo diventare il suo volto dolce in qualcosa di improvvisamente maligno.

Sbuffai ed alzai gli occhi al cielo, prima di rispondere, era un vizio il suo. 'Soltanto una.' Ammiccai, guardandolo male.

Lui annuì ridendo e dopo qualche metrò frenò la macchina davanti ad un ristorante dall'aspetto moderno, situato tra due bar, già chiusi.

Scendemmo dalla macchina e Louis entrò nel ristorante, con le mani affondate nelle stasche della sua felpa. Lo seguii, guardandomi intorno.

Quel posto aveva un aria molto elegante e forse l'abbigliamento di Louis, e i miei leggins, accompagnati ad una semplice t-shirt e da delle vans nere, non erano adatti. Ma mi caricai di tutto il coraggio e cercai di evitare la gente intorno a noi, piena di bracciali, diamanti e lunghi vestiti da sera.

'Nano, non pensi di aver sbagliato ristorante?' Bisbigliai fra i denti, sganciando una gomitata al ragazzo accanto a me.

Lui ridacchiò, ma non rispose.

Andò diritto su un tavolinetto vuoto, che si trovava più o meno al centro della sala e strusciò la sedia sul pavimento prima di sedersi, richiamando essenzialmente tutta la gente intorno.

Posò i gomiti sul tavolo ed io lo imitai, alzando però cautamente la sedia cercando di non fare la sua stessa figura. Mi sedetti silenziosamente difronte a lui, spaesata.

'Carino qui.' Commentò, guardandosi intorno con aria soddisfatta.

Lo guardai nei miei modi peggiori al posto di rispondere, lo stava facendo a posta ed aveva capito che piuttosto, eravamo gli unici due cretini che sembravano esser appena usciti dal manicomio.

'Salve, cosa volete ordinare?'

Una signorina dai lunghi capelli biondi, arricciati, spuntò dietro di Louis, pronta per prendere le ordinazioni con carta e penna; aveva un sorriso cordiale in volto.

Louis sobbalzò, non avendola sentita arrivare; e dopo essersi ricomposto si voltò nella una direzione, ridendo come un ebete.

Afferrai la bottiglia d'acqua che avevo difronte e ne versai un pochina sul mio bicchiere, portandola poi alle mie labbra mentre con gli occhi osservavo i due conversare.

'Due hamburger.' Affermò Louis, con convinzione.

A quelle parole, non riuscii affatto descrivere l'espressione sconvolta della ragazza, ma capii per certo che mi strozzai nel vero senso della parola, con l'acqua che avevo in bocca.

Posai una mano sulla bocca e tossii, cercando di non morire sul colpo. Ma tutto sembrò inutile visto che mezzo locale mi stava già guardando ed io stavo facendo tutto per tutto per non farmi sentire.

'Tutto a posto?' Domandò la ragazza, leggermente scossa.
Annuii, continuando a tossire ed alzai una mano in segno di continuare le ordinazioni.

'Allora, ehm... Due hamburger...?' Chiese ancora, alzando un sopracciglio.

'Sì, grazie.' Concluse Louis, con fierezza.

La ragazza scrisse sul blocchetto che teneva in mano e poi sorrise falsamente, dirigendosi verso la cucina.
Notai che nel tragitto si voltò più volte a guardarci, non sapevo se per assicurarsi che fossi viva o per rendersi conto che davvero, due ritardati erano entrati in quel ristorante.

Tutto sta che cercai di evitarla e riportai il mio sguardo su di Louis. Stavo andando a fuoco, sapevo di essere diventata rossa paonazza, sentivo le mie guance bollire.

'Tu dici che non facevano hamburger?' Chiese ingenuamente Louis.

Chiusi le palpebre cercando di non urlargli contro, e sospirai, prima di rispondere. 'No Louis, no.'

Dopo una mezz'oretta, la cameriera portò i nostri rispettivi piatti, se pur con un falso sorriso stampato in volto. Ed io e mio fratello cominciammo a mangiare.
Cercai di sembrare il più formale possibile, ma come riuscirci con un abbigliamento simile e con un hamburger difronte?

Mentre Louis, beh lui si ingozzava di cibo fregandosene di star praticamente facendo ridere mezzo locale.

'Hei Tomlinson!' Una voce maschile mi fece fermare, e Louis fece lo stesso.

Afferrò il tovagliolo che aveva avanti al piatto e si ripulii le mani, guardando dietro di me mentre finiva di masticare.

Un sorriso si formò sul suo volto; non capii se quella voce stesse chiamando me o mio fratello, Tomlinson era il cognome di entrambi ma io non conoscevo affatto quell'accento inglese, così marcato. Infatti il sorriso di mio fratello, quella voce roca e il fatto che io fossi ormai americana, mi fece intuire che fosse qualche amico di Louis.

Mi voltai lentamente mentre mio fratello tentava di rispondere senza sputare tutto, e dietro di me, comparve un ragazzo molto alto, piuttosto pallido con infiniti ricci castani sparsi sulla fronte.

Aveva una camicia bianca poco scollata sul petto, che lasciava intravedere il suo torace snello, e dei pantaloni attillati neri, accompagnati da dei stivaletti dello stesso colore.

Era abbastanza elegante e sportivo nello stesso tempo, sembrava donargli quell'abbigliamento.
Per lo meno a lui, pensai che se solo avesse indossato le stesse cose Louis, sarebbe sembrato un perfetto coglione.

'Hei tu, riccio, che diavolo ci fai qui!' Esclamò mio fratello.

Il ragazzo raggiunse Louis con un sorriso stampato in volto; le sue labbra erano incorniciate da delle fossette e i suoi occhi erano verdi, ma opachi.

'Ero di strada e... e non mi sono sentito bene, diciamo...' Posò una mano sulla spalla di mio fratello, balbettando. 'Così sono venuto a cercare un bagno.' concluse.

Notai come gli occhi azzurri di Louis che lo guardavano, si spensero improvvisamente a quelle parole. Li abbassò al suolo, eliminando anche il meraviglioso sorriso che aveva in volto.

Il riccio riscosse mio fratello dal suo trance, 'E lei chi è? Tua sorella?' Domandò, scuotendogli la spalla.

Louis si girò verso di me, tirando un sorriso ed annuendo contemporaneamente.

'Piacere, Bee.' Allungai una mano nella direzione del riccio e quest'ultimo la strinse, mostrandomi un enorme sorriso.

'Sì, è venuta a trovarci da Detroit...' Insinuò, continuando a guardarmi con qualcosa di strano negli occhi. Qualcosa che non riuscii a decifrare.

Tristezza? Non lo sembrava completamente.

Il ricci spalancò gli occhi a quelle parole. 'Abiti in America?' Domandò, entusiasta.

'Oh, anche i miei genitori sono là!' Aggiunse, intrufolando l'altra mano fra la sua massa di capelli, per scostarli dalla fronte.

'E dove vivono?' Domandai, incuriosita.

'Boston, ma sono inglesi.' Rispose, scostando la mano dalla spalla di mio fratello.

Alzò le spalle prima di continuare a parlare, e le incrociò al petto, interessato dall'argomento. 'Io sono ancora qui, con i miei fratelli...'

Annuii gentilmente, guardando con la coda dell'occhio Louis. Quest'ultimo si guardava intorno, spaesato e non teneva più gli occhi fermi su di me, tutt'altro.
Fissava un punto impreciso nel ristorante poi spostava le sue iridi azzurre da un'altra parte, pensieroso.

Qualcosa non andava, dovevo saperlo.

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