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6- Scared

Arrivammo in una stanza piuttosto ampia, una stanza abbastanza disordinata ma al contempo carina e raccolta in un solo letto, una scrivania, un divano ricoperto di abiti stropicciati ed un armadio probabilmente vuoto. 

Non mi ci volle molto ad intuire che fosse la sua camera; in parte bastava osservare la confusione e tutto il casino che la riempiva, per rendersi conto di essere in un posto tutto suo, probabilmente poco esposto alla gente.

Vi erano oggetti sparsi ovunque: partendo dal caricabatterie attaccato inutilmente alla presa della corrente fino ad arrivare ai numerosi pacchetti di sigarette incominciati, lasciati qua e là nella stanza.

E ovviamente, come ogni uomo che si rispetti, svariati accendini sparsi sulla scrivania, probabilmente destinati ad essere dimenticati su di essa.

Per un attimo potei giurare di trattenere il fiato, mentre con attenzione mi guardavo intorno e lentamente mi rendevo conto di essere sveglia, immersa nella cruda realtà e segregata nella casa di qualcuno che non avevo mai visto nella mia vita.

Fu strana la sensazione che provai quando, con poca lucidità e davvero troppa paura, ricordai al mio cervello che quello non fosse soltanto un incubo e che stessi realmente vivendo tutto sulla mia stessa pelle.

Fu un po' come sentire i propri polsi legati da delle possenti corde e sapere che là fuori, aldilà della porta e delle mura di quell'abitazione, sarei potuta essere a casa, nel mio letto e con la mia famiglia.

'Puoi dormire sul divano', lo sentii dire, svegliandomi completamente da quello stato di trance e paranoia nel quale mi ero spudoratamente immersa, senza riflettere troppo sulle conseguenze. 

Non a caso, dopo aver fantasticato su quale sarebbe potuta essere la mia serata al di fuori di quella casa, sentii crescere un enorme macigno sul mio petto.

I miei occhi si spostarono con distacco su una delle pareti della sua stanza e su ciò che comprendeva la sua personalità introversa e decisamente strana.
Osservai un quadro appeso su di essa, un quadro qualsiasi che non raffigurava niente di esatto se non uno snervante miscuglio di colori.

Pensai che potesse servirmi per focalizzare la mia attenzione a ciò che stava accadendo il quel preciso istante e non a ciò che in realtà, se non fossi stata la vittima di qualche fuori di testa, sarebbe potuto accadere.

Udii il rumore della maniglia quando chiuse rapidamente la porta alle mie spalle e non potei far a meno di sussultare, scattando nella sua direzione.

'Aprila'. Il mio tono non lasciò trapelare alcun cenno di tregua, mentre con gli occhi sbarrati andai a fissare i suoi, castani.

Potei notale la maniera repentina nella quale si accigliò, rimanendo fermo e confuso difronte alla mia reazione. 

'Qualunque cosa abbiate in mente, ti assicuro che finirà male', lo minacciai, indicando con l'indice la porta che aveva appena chiuso.

Alle mie parole, il moro aggrottò semplicemente la fronte e spostò lo sguardo dove il mio dito stava indicando, scettico.

'Non lascerò che finisca così', continuai, 'non mi farò mettere le mani addosso da due pazzi'.
Sentii il fiato mancarmi quando, con riluttanza, affermai ad alta voce tutto ciò che più mi turbava, senza alcuna paura.

La sua testa tornò in fine nella mia direzione e i suoi occhi colmi di incomprensione sembrarono comprendere finalmente ciò che avessi appena detto.
Senza che io potessi capirne il senso, le sue labbra si inarcarono con divertimento e il suo volto assunse un'espressione parecchio stupefatta, mentre con tutto il coraggio che avevo in corpo mi ostinavo a fissarlo intensamente, senza interruzioni.

'La mia vita sessuale non è così pessima da spingermi a metterti le mani addosso con la forza', si difese, storcendo il naso: 'non mi farò denunciare per qualcosa di così ridicolo', esclamò esterrefatto, ridendo in fine.

E tutto ciò che fui in grado di fare, a quelle parole, fu lasciarmi scappare un profondo e momentaneo sospiro di sollievo.

Dopodiché, lasciandomi totalmente di stucco, mi passò accanto come se non avesse mai parlato e si diresse con un passo svelto verso il divano posizionato ai piedi dell'enorme finestra della sua camera.

Afferrò alcuni degli abiti chi vi erano scaraventati sopra e li portò sulle sue spalle, sbuffando: 'non partecipo ad un pigiama party dalla prima elementare', lo sentii borbottare.

E continuò a spostare i numerosi capi che probabilmente giacevano lì da qualche mese, cercando di fare spazio sulla tappezzeria del divano.

'Detesto i pigiama party', affermai freddamente, portando le braccia conserte al petto.

Non seppi esattamente spiegare a me stessa il senso di quella frase, una volta pronunciata ad alta voce.

Mi limitai semplicemente a credere che fossi totalmente in panico ed abbastanza agitata da parlare a sproposito come spesso facevo; e non mi porsi altre inutili domande, sapendo già di essere in una situazione abbastanza terrificante in cui il mio carattere poteva benissimo essere messo in secondo piano.

'È così che siete voi ricchi?' Domandò improvvisamente Zayn, con davvero molto interesse.

Lo vidi concentrarsi completamente a me per qualche secondo, con gli occhi stretti in due serrature e lo sguardo attento sul mio volto; quasi come se quell'argomento lo affascinasse davvero: 'comprate macchine da centomila sterline, vivete in ville a due piani e disprezzate tutte le cose che non abbiano a che fare con i soldi?' Insistette.

Non riuscii a capire se fosse stata la domanda diretta e decisamente inaspettata a turbarmi, o l'improvviso contatto visivo che più di ogni altra cosa mi metteva a disagio.

Mi soffermai semplicemente alle sue parole fredde, al tono rigido con il quale parlò e al modo interessato in cui sembrò cercare di ricevere una risposta.

E quando invece capì che non avrei aperto bocca difronte alla sua improvvisa voglia di farmi sentire una stupida bambina, si voltò e buttò tutti gli abiti a terra, accanto al divano.

'Mi dispiace ma dovrai dormire su quello che non sembra affatto un letto a baldacchino', sospirò, con falso dispiacere.

Si voltò a guardarmi e passò il suo sguardo diligente lungo il mio corpo, scrutandomi attentamente, 'e dovrai accontentarti dei tuoi vestiti', continuò, insistendo con quel tono ridicolo ed indiscutibilmente irritante.

'Potrei darti qualcosa di mio', propose, 'ma sarebbe davvero disgustoso indossare gli abiti di un ragazzo qualsiasi', procedette con ostinazione.

E capii di non essere più in grado di trattenermi quando le sue parole cominciarono a provocare dolore e peso nel mio petto, come spesso capitava quando ero io a riflettere sul passato e sulla vita che grazie alla mia situazione economica avevo vissuto.

Sentivo di star crollando a causa delle parole sbagliate pronunciate da chi aveva precedentemente deciso di rendere la mia permanenza in Inghilterra un inferno.
E sentivo di star per crollare emotivamente per ogni singola cosa mi fosse capitata nelle ultime ore.

Avanzai verso il divano e distolsi semplicemente lo sguardo dal suo, obbligandomi a non ribattere.

Percepii i miei occhi bruciare ed il nervosismo crescermi nel petto, assieme alla voglia di scoppiare in lacrime e scappare lontano, là dove sarei riuscita a raggiungere la strada di casa.

Mi sedetti su di esso ed una volta preso un lungo e profondo respiro, lasciai che i miei polmoni si riempissero d'aria e rilasciassero dentro di me una breve ma rilassante brezza di sollievo.

***

Quella mattina aprii di scatto gli occhi, lasciandomi colpire in pieno volto dalla luce del sole, mentre sulle mie labbra si dipinse un'inevitabile smorfia di disapprovazione.
Percepii una forte fitta invadere la mia spina dorsale ed uno strano dolore alle tempie farmi scappare un rauco gemito di irritazione.

Avevo fissato per quasi tutta la notte la sveglia; quell'insopportabile aggeggio che Zayn teneva sul comodino e che a causa dei lucenti numeri rossi, mi costringeva e tenere gli occhi aperti.

Inoltre era scomodo, i cuscini di quel divano erano la cosa meno adatta al sonno e la sua spalliera aveva letteralmente distrutto il mio cervello, facendomi quasi venir voglia di alzarmi e dormire a gambe incrociate.

In realtà, la mia vita e le mie abitudini erano ben diverse da quelle che Zayn aveva descritto con tanta rabbia e cattiveria la sera prima, facendomi quasi sentire in colpa.
Non ero mai stata una ragazzina alla ricerca di soldi o vestiti, sì, dovevo ammettere di aver avuto un'adolescenza piuttosto invidiabile; ma non ero nemmeno mai stata una tipa dalla puzza sotto il naso e dalle lenzuola profumate ogni sera da un detersivo diverso.

Avevo sempre detestato la donna delle pulizie che puntualmente entrava nella mia camera e spostava ogni cosa dal suo posto, pur di riordinare la stanza e guadagnarsi il suo minimo stipendio.
Ed avevo sempre trovato ridicolo dover andare a scuola con l'autista di famiglia, fermarmi davanti all'entrata dell'edificio e lasciarmi guardare da tutta la classe mentre mio padre sfoggiava la sua lussuosa vita agli occhi di chi non poteva permettersi nemmeno la metà del suo patrimonio.

All'inizio, come ogni bambina della mia età, credevo che ogni bambola o privilegio fosse qualcosa di assolutamente fantastico ed insuperabile.
Andavo in quegli enormi negozi di giocattoli ed acquistavo ciò che volevo assieme alla baby sitter che puntualmente mio padre pagava ogni mese, in cambio della sua costante presenza a casa e nella mia vita.

Ma poi le cose cambiarono: io crebbi e tutto ciò che consideravo fantastico cominciò a soffocarmi letteralmente, ogni giorno di più, fino a considerare insopportabile e privo di senso il modo in cui mio padre aveva deciso di organizzare la nostra famiglia.

Erano inutili le domeniche sera all'interno dei ristoranti lussuosi, se a tavola vi erano uomini importanti e donne dalle lunghe ciglia finte che non avevo mai visto in vita mia.
Era inutile discutere di automobili, di affari e di quanto mia madre avesse pagato l'ultima volta dall'estetista, se per tutto il tempo lanciavo occhiatine annoiate a mio fratello.

Era inutile semplicemente vivere in maniera così esageratamente bella e priva di ostacoli, se al posto di uomini in giacca e cravatta non vi era mai stato mio nonno a tavola, pronto a raccontarmi qualcosa della sua vita.

Era inutile passare le vacanze dall'altra parte del mondo, se la nostra crociera comprendeva soltanto mia mamma depressa nella sua camera a guardate film d'amore, mentre mio padre girava per la nave assieme ai suoi colleghi.

Era un po' come aveva detto lui, come una persona a caso aveva considerato il mondo dei ricchi; con la sola differenza che per tutti gli anni in cui la mia vita aveva smesso di girare attorno alle bambole, io non avevo mai fatto altro che sperare di andare altrove, lontano dalla tanto desiderata Inghilterra, dove avrei potuto vivere la mia vita senza troppi vizi e poche emozioni.

'Sei sveglia?' Udii una voce piuttosto incerta, richiamare la mia attenzione, cogliendomi totalmente alla sprovvista.

Per un attimo fu come risvegliarsi da quello stato che mi stava riportando alla realtà e rendersi conto di essere finiti nuovamente nel buio di uno spaventoso incubo, nella casa di chi mi aveva rapita e strappata via dalla normale routine che ero abituata a vivere.

'Sei riuscita a dormire?' Domandò subito dopo, leggermente confuso dal mio silenzio.

'Circa venti minuti'. Quella fu la mia unica risposta, mentre con un sospiro di frustrazione fissai il soffitto di quella casa ed obbligai la mia mente a non torturarsi altrimenti.

'Beh, quel divano è davvero scomodo', osservò. Lo sentii muoversi sul letto e notai lo spostamento della sua figura con la coda dell'occhio; ma non osai voltarmi minimamente ed incrociare lo sguardo della persona che mi aveva portata lì, senza pietà o rancori.

Ogni minuto, così come ogni giorno che trascorrevo tra quelle quattro mura, serviva soltanto per portarmi ad odiare le persone che mi stavano costringendo a quel malefico piano, terrorizzandomi interamente.


'Non faccio il rapitore quotidianamente', mi informò di punto in bianco, con un tono alquanto pacato e decisamente inaspettato.

E quando lo sentii dire quelle parole con uno strano senso di liberazione nel tono della sua voce, non potei controllare il mio capo e i miei occhi che si voltarono percettibilmente a guardarlo.

Lo trovai seduto sul letto, con un pacchetto pieno di sigarette tra le mani e lo sguardo perso ad osservarlo: 'non ho mai nemmeno pensato di poterlo fare, in realtà' ammise.

Le sue parole furono dette come se nemmeno lui, sempre freddo e distaccato, avesse programmato di dirle.

Sembrò cercare la sicurezza che decisamente non stava ricevendo da parte mia, come quando ogni volta che qualcuno di loro parlava tremavo e mi tenevo a distanza, impaurita da ciò che avrebbero potuto fare.

'Non so nemmeno perché te lo sto dicendo', il suo capo si alzò leggermente e i suoi occhi incrociarono i miei con tensione, con la prontezza di ritornare il ragazzo apatico ed incurante che si era sempre dimostrato.

Scosse rapidamente la testa e fece una risatina amara, simile a quella di qualcuno che aveva appena fatto una gran cazzata: 'dovrei comportarmi in tutt'altra maniera', alzò le spalle.

Per qualche secondo riabbassò lo sguardo al pacchetto di sigarette che stava agitatamente stritolando tra le sue dita e prese un profondo respiro, restando in silenzio a riflettere su qualcosa che mai avrei potuto intuire.

Il sole della mattina sembrava aver risvegliato in lui un lato umano, un lato naturale e che forse detestava indubbiamente.

Di colpo scaraventò il pacchetto sul materasso, a pochi centimetri dalle sue gambe incrociate, ed alzò prontamente il capo: 'dimentica quel che ti ho detto', mi freddò.

I suoi occhi castani tornarono cupi, impassibili e chiaramente terrorizzanti al minimo sguardo.

Riuscii soltanto a deglutire rumorosamente e ad osservare il suo corpo mentre con nervosismo si alzava dal letto e si dirigeva con un passo svelto verso la porta.

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