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3- Kin

Il ragazzo che avevo difronte mi teneva d'occhio e non la smetteva per un attimo di guardarmi, mentre le mie dita stuzzicavano nervosamente le pellicine delle mie unghie, in preda al panico.

Alternava il suo sguardo fra me e l'orologio che vi era appeso proprio alle mie spalle, quasi come se stesse aspettando un'orario preciso per uscire da quell'albergo.

'Bee', udii la sua voce calda richiamarmi d'improvviso.

Alzai leggermente gli occhi e lo intravidi con le braccia conserte, poco distante da me.

'Bee, quanti anni hai?' Intervenne ancora.

Lo seguii con lo sguardo mente spostava le sue braccia ed infilava le mani nelle tasche della sua larga felpa nera, sbuffando a causa del mio silenzio.

Ma onestamente me ne importava ben poco di quanto il mio comportamento potesse infastidirlo.

Quelle domande da parte sua fecero porre tantissimi interrogativi nella mia mente, nonostante di solito fossi sempre pronta a rispondere e a ribattere con tutta tranquillità. 

Avrei potuto rispondere semplicemente, ma qualcosa mi fermava; probabilmente quella situazione avrebbe ammutolito chiunque.

Non avevo alcuna intenzione di dare le mie informazioni in giro, soprattutto se a chiedermele era qualcuno che non conoscevo e che si era palesemente presentato come un pazzo.

'Non dovrebbe interessarti', dissi quindi, alzando finalmente il volto con arroganza.

Sulla sua faccia però, a differenza di quanto mi aspettassi, non notai affatto comparire un'espressione infuriata; tutt'altro, i suoi occhi si alzarono al cielo e dalle sue labbra udii uscire un profondo sospiro, seguito dalla sua voce.

'Ne hai diciotto da poco, giusto?' Fece, portando le mani ai fianchi questa volta.

E la sua pazienza diminuì a dismisura quando spostai ancora una volta lo sguardo, non aprendo bocca.

'Sei muta?' Chiese, seccato. 'Vorrei soltanto assicurarmi di aver preso la persona giusta'. Affermò con tono lamentoso, quasi come se quello che stesse facendo non rientrasse nei suoi canoni di come passare una serata a Doncaster.

Allargò le braccia in segno di protesta e lanciò ancora una volta lo sguardo al l'orologio, prima di tornare a me.

'Beh, hai la faccia di qualcuno con un nome come il tuo', osservò, alzando le spalle.

E alla sua ennesima affermazione, potrei ritenermi totalmente pericolosa.

'Sì, hai preso la persona giusta, ora puoi smetterla di far domande?' Scattai seccata, guardandolo abbastanza male da potermi ritenere profondamente fiera di me stessa.

Di tutta risposta, ricevetti soltanto un'occhiataccia e per un ultima volta guardò l'orologio, prima di venirmi incontro con un passo svelto e di afferrare il mio avambraccio.

Mi tirò verso di lui con così tanta forza che, a causa della sua presa, mi ritrovai a sbattere contro il suo petto.
Ma le sue mani si posarono prontamente sulle mie spalle e mi tirarono indietro, il giusto indispensabile per potermi guardare negli occhi e per dividere i nostri corpi dannatamente troppo vicini.

'Adesso farai finta di niente ed uscirai con me.' Mi impose.

La sua non era a una domanda, avrei potuto considerarla nettamente un ordine.

Lo vidi leccarsi nervosamente il labbro infierire e farmi un cenno con il capo, cercando una conferma da parte mia.

Ma nonostante si stesse sforzando a sembrare abbastanza serio e raccapricciante, il lato più orgoglioso di me prese il sopravvento e le mie mani afferrarono saldamente i suoi polsi, scaraventandoli via dalle mie spalle.

'E se non lo facessi?' Domandai provocatoriamente, guardandolo con disgusto.

Lui, prepotentemente appoggiò nuovamente le sue mani sulle mie spalle, imperterrito, e mi strinse più forte, facendomi indietreggiare di qualche passo.

'Ammazzo te e il coglione di sotto'.

Sentii il suo fiato caldo contro la mia pelle: il suo viso era eccessivamente vicino a me e le sue labbra si mossero con arroganza, mettendomi parecchio a disagio.

Il mio cuore cominciò a batter più forte e le mie mani presero a sudare.
Spostai istintivamente lo sguardo altrove, cercando una soluzione per scappare, qualcosa di concreto su cui trovare una speranza per liberarmi da lui.

Ma ancor prima che potessi pensare, il ragazzo mi scosse; richiamando la mia attenzione.

'Allora?' Domandò, guardandomi intensamente.

I nostri sguardi si incatenarono in qualche modo, quasi come se stessi cercando una soluzione nelle sue iridi profonde ed iniettate sul mio volto.

Sospirai prima di rispondere ed abbassai lo sguardo: 'fanculo', mormorai.

La mia risposta non ebbe alcun effetto su di lui; probabilmente avevo programmato una reazione piuttosto esagerata, ma al di fuori di ogni mia aspettativa, il ragazzo mi evitò completamente.

La sua mano destra si posò dietro alla mia schiena e mi spinse leggermente, facendo qualche passo insieme a me.
Mi spinse fino a quando non arrivammo difronte alla porta ed una volta giunti lì, girò la chiave.

Prima di uscire, il moro si fermò sulla soglia e mi rivolse uno sguardo.

'Mi fido ben poco dei ricchi'. Bisbigliò.

La sua voce fu quasi inaudibile ma coincisa, ed era difficile nascondere che stavo letteralmente tremando sotto al suo sguardo.

Per questo non lo degnai di una risposta ed annuii semplicemente, nonostante la frustrazione.

Al mio gesto sentii il palmo della sua mano scivolare lungo la mia schiena fino ad afferrare la mia; la sua stretta era calda a differenza dell'atmosfera che ci circondava.

Cominciò a camminare lentamente, mano nella mano con me, senza aprire bocca.

E così percorremmo tutto il corridoio e persino le scale, fino a quando non arrivammo al piano terra.

Lì trovammo un uomo sulla sessantina, seduto dietro a bancone con un libro fra le mani che gli copriva il volto.

Quando sentì la nostra presenza, quest'ultimo, alzò lo sguardo oltre al libro e ci rivolse un sorriso.

'Buona serata, ragazzi', disse cordialmente.

Il ragazzo accanto a me strinse spropositatamente forte la mia mano e sembrò minacciarmi di non parlare, mentre con falsità ricambiava il sorriso del signore.

Riprese poi a camminare, senza neppur lasciarmi il tempo di aprir bocca.

E mentre i nostri piedi percorrevano il pavimento in marmo di quell'hotel, ripensai all'assurdità delle sue parole.

"Buona serata" .

Avrei voluto urlargli che in realtà non ero una scansafatiche che aveva deciso di non presentarsi all'ultimo minuto, ma che qualcuno mi aveva presa altamente per il culo fino ad incastrarmi in una delle stanze del suo albergo.

Avrei voluto urlargli che molto probabilmente avrei passato una buona serata in chissà quale parte della città, con delle manette al posto dei bracciali.

Ma tornai alla realtà, all'esterno di quel palazzo, dove il moro aveva appena lasciato la mia mano ed aveva portato le sue nelle tasche dei suoi jeans, infreddolito.

L'aria gelida di Doncaster mi penetrava nelle ossa, mentre io cercavo inutilmente di scaldarmi nel mio piccolo giubbetto, lo stesso con il quale ero arrivata.

Le numerose macchine circolavano sotto ai miei occhi, illuminando con i loro fari quella che era una frazione morta di quella città, e rendendola particolarmente popolata.

'Ho freddo', dissi a denti stretti, stringendo le braccia al petto.

Non mi aspettavo chissà cosa da parte sua, soprattutto perché nel caso avesse problemi di personalità ed avesse proposto di darmi il suo cappotto, lo avrei rifiutato; però, quando rispose, ammetto che rimasi per qualche secondo con il fiato sospeso.

'In macchina ti scalderai', ribatté, rivolgendomi una rapida occhiata.

Un tetro silenzio calò tra noi, rendendo l'atmosfera ancor più fredda e preoccupante di quanto già non lo sembrasse a primo impatto.

Ma, fortunatamente, se così potevo dire, dopo qualche secondo il rumore di una macchina richiamò la nostra attenzione, ponendo fine a quella straziante situazione.

Frenò a secco sull'asfalto e si fermò proprio davanti ai nostri occhi.

Inutile dire che il mio cuore prese a battere in maniera spropositata, così dannatamente veloce che potei percepire le sue pulsazioni.

Mi alzai sulle punte per guardare oltre agli scuri finestrini, e presi un profondo respiro mentre con lo sguardo notai un ragazzo biondo dai grandi occhi azzurri, che guardava da là dietro, facendoci cenno con le mani di entrare.

Il moro, prese contemporaneamente il mio braccio e mi trascinò dietro di se fino a quando non arrivammo di fonte alla portiera posteriore dell'auto.

'Entra'.
Mi indicò la maniglia, come se non avessi mai visto un auto in tutta la mia vita e restò puntato accanto a me, fino a quando non aprii lo sportello e mi sedetti sul sedile nero in pelle di quella grande auto.

'Fammi spazio'. Ordinò, facendomi cenno col mento di raggiungere l'altro sedile.

Odiavo obbedire agli ordini, ma quella volta erano in due e a dir che avevo paura era davvero poco a differenza di ciò che stavo percependo oltre il mio petto.

Così non osai ribattere, mi spostai rapidamente e non appena arrivai nel sedile accanto, mi rannicchiai accanto al finestrino.

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